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In merito all’episodio che ha riguardato la nostra docente professoressa Alessandra Veronese che, nei giorni scorsi a Roma, è stata oggetto di aggressione in quanto ritenuta ebrea da un individuo con una svastica tatuata sul braccio, il Consiglio di Amministrazione dell’Università di Pisa esprime preoccupazione e sdegno e invita a intervenire con fermezza per arginare l’imbarbarimento che, proprio alla vigilia del Giorno della Memoria, si sta esprimendo in diversi modi nel nostro Paese.

L'Ateneo di Pisa, che su questo tema è particolarmente sensibile e si è molto impegnato con iniziative a tutt’oggi in atto, fa proprie le parole pronunciate nei giorni scorsi dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella su “Quel male che alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, a distruggere, appena se ne ripresentino le condizioni”.

Esprimendo tutta la propria solidarie alla collega, s’impegna, e invita tutti a farlo, a impedire in ogni modo che atti di prepotenza e barbarie, che non vanno trascurati, possano turbare la convivenza civile di un Paese che non vuole che le infamie del passato possano ripetersi.

mit 2019Sono sei i nuovi progetti di ricerca finanziati dell’ambito del MIT-UNIPI Project, l’accordo tra Università di Pisa e Massachusetts Institute of Technology (MIT), nato per favorire progetti di ricerca comuni e lo scambio di studenti e ricercatori tra le due istituzioni. Ad oggi 49 le collaborazioni finanziate grazie al programma congiunto: “Siamo fieri che il nostro Ateneo sappia concepire e condurre progetti di ricerca innovativi nei più diversi ambiti disciplinari – ha dichiarato il professore Lisandro Benedetti-Cecchi, prorettore per la Ricerca in ambito europeo ed internazionale - come dimostrano anche i sei promettenti progetti selezionati con questa settima call del MIT-UNIPI Project, che vedono coinvolti ben sette dei nostri venti dipartimenti, anche in tandem multidisciplinare. Grazie ai seed fund del MIT-UNIPI Project i nostri Principal Investigator, ai quali vanno i miei più sentiti complimenti, avranno l’opportunità di avviare ricerche con alcuni tra i più brillanti colleghi a livello internazionale”.

I progetti finanziati sulla settima call sono i seguenti: “INTENSE: Particle Physics Experiments at the Fermilab High Intensity Frontier” di Simone Donati del dipartimento di Fisica; “Using Graph Compression for Shortest Path Computation in Urban On-Demand Mobility” di Paolo Ferragina del dipartimento di Informatica; “Event Extraction for Fake News Detection” di Alessandro Lenci e Francesco Marcelloni, rispettivamente del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica e del dipartimento di Ingegneria dell'informazione; “Waves of Globalization, Between Tradition and Innovation” di Valeria Pinchera del dipartimento di Economia e Management; “Microfluidic Fabrication of Bioengineered Microspheres for Tissue Repair” di Elisabetta Rosellini e Maria Grazia Cascone del dipartimento di Ingegneria civile e industriale; “An In Vitro Model of Pyelonephritis” di Giovanni Vozzi e Emilia Ghelardi, del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione e di ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia.

Le attività dei progetti che hanno ottenuto il finanziamento, coordinate congiuntamente da un Principal Investigator dell'Università di Pisa e da uno del MIT, si svolgeranno tra gennaio 2019 e agosto 2020.

L’accordo quadro con il Massachusetts Institute of Technology (MIT), stipulato dall’Università di Pisa sin dal 2012 e recentemente rinnovato fino al 2021, è finalizzato alla realizzazione di progetti di ricerca comuni e allo scambio di studenti e ricercatori, in tutte le aree scientifiche. Nell’ambito dell’accordo, il MIT-UNIPI Project ha l’obiettivo di facilitare gli scambi e le attività di ricerca tra i due enti con i Seed Funds, finanziamenti che sostengono le nuove collaborazioni nella loro fase iniziale. L'Ateneo finanzierà le spese di viaggio, vitto e soggiorno del gruppo di ricerca del nostro Ateneo che si recherà presso il MIT, la partecipazione del gruppo di ricerca a convegni per la disseminazione dei risultati della ricerca e pubblicazioni in open access dei risultati della ricerca. Analogamente, il MIT finanzierà le spese di viaggio, vitto e alloggio del proprio Principal Investigator e del suo gruppo di ricerca che si recherà a Pisa.

Bolge, diavoli, demoni, gironi infernali, l’eterno dolore e la perduta gente. Sono queste alcune delle parole e delle espressioni dantesche che ricorrono nelle descrizioni dei Lager nazisti rese dai sopravvissuti: il Lager è un inferno in terra che i testimoni sono riusciti a raccontare facendo in molti casi ricorso al lessico dantesco. L’imperativo categorico del ‘dovere della testimonianza’ ha così trovato la via attraverso la Commedia di Dante, che ha fornito alle vittime il vocabolario attraverso il quale dare un nome a eventi e a realtà altrimenti indicibili. Sono proprio queste “parole per dirlo” al centro della ricerca di Marina Riccucci, docente di Letteratura italiana dell’Università di Pisa, che sul tema sta lavorando da circa due anni e che entro il 2019 pubblicherà almeno tre lavori, uno dei quali insieme all’allieva Sara Calderini sulla rivista “Italianistica”.

 

Sandro Botticelli La Carte de lEnfer



Lo studio prende in considerazione fonti non letterarie, cioè diari, lettere e racconti orali di chi ha vissuto il campo di sterminio, un patrimonio molto vasto di cui fanno parte, per esempio, “Un mondo fuori dal mondo”, l’indagine dell’istituto DOXA condotta nel 1971 tra gli ex-deportati italiani nei vari capi di sterminio, ma anche alcune interviste, realizzate ad hoc da Riccucci, alla Senatrice Liliana Segre, a Mauro Betti, dissidente politico internato in vari campi scomparso purtroppo l’anno scorso, e a Goti Bauer, la donna italiana più anziana ancora in vita sopravvissuta ad Auschwitz.

“In tutti i casi – dice Marina Riccucci – a colpire è l’enorme difficoltà che i testimoni hanno nel raccontare e la frase che usano di più è ‘non ci sono parole per dirlo’: nello stesso tempo, però, quando queste persone arrivano a dare un nome e un volto a ciò che hanno visto e subìto, viene loro spontaneo, quasi in virtù di un automatismo, ricorrere all’immaginario infernale dantesco, indipendentemente dal loro livello di istruzione; perché si attinge a Dante come a un patrimonio linguistico collettivo, senza ambizioni letterarie, in nome dell’urgenza di trovare un codice, le parole, appunto”.

Per i sopravvissuti, insomma, in molti casi il campo di concentramento è come l’oltretomba dantesco e per questo quando se ne riferisce, lo si fa rimandando alle immagini che Dante ha creato, con le parole che il poeta della Commedia ha usato.

 

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Marina Riccucci

Accade spesso che per descrivere l’arrivo nel Lager i testimoni prendano in prestito le parole del terzo canto dell’Inferno, quelli che recitano “Lasciate ogni speranza o voi che entrate / … / Per me si va nella città dolente, / per me si va ne l’etterno dolore, /per me si va tra la perduta gente”. Non solo: sembra che abbiano bisogno di ripetere spesso termini come ‘bolgia’ e ‘Malebolge’, o espressioni come ‘voci alte e fioche’, come ‘pianti e altri guai’, come, ancora, ‘girone infernale’, e quando parlano del momento della liberazione dicono di essere tornati ‘a riveder le stelle’. In loro non c’è nessun intento di citare o di esibire una cultura letteraria. Per i salvati c’è, incombente sempre, il bisogno di trovare le parole per descrivere l’inaudito.

“I campi di concentramenti ritornano nelle parole dei testimoni come la realizzazione concreta di una fantasia malvagia e perversa, quella di cui Dante ci ha offerto, appunto, il migliore e il più rappresentativo esempio – conclude Marina Riccucci – solo che la giustizia divina che caratterizza il poema dantesco è letteralmente capovolta: nei Lager, infatti, a essere torturate e uccise furono vittime innocenti dei colpevoli aguzzini. Non dimentichiamo mai che quello che i sopravvissuti hanno conosciuto e subìto è un regno dei vivi con carnefici e dannati, in cui milioni di persone si sono trovate a essere dannate senza avere commesso alcuna colpa. È questo che dobbiamo ricordare: perché nessuno dimentichi, perché niente di così atroce si ripeta mai più”.

Si è riunito a Pisa il coordinamento della nuova Associazione delle University Press Italiane (UPI), la rete che raccoglie le più importanti realtà editoriali accademiche italiane. Nel corso dell’assemblea è stato deciso l’ingresso di un nuovo socio, la Palermo University Press (UniPapress). Alla presenza dei professori Antonino Giuffrida e Andrea Le Moli, rispettivamente amministratore unico e direttore della collana "Filosofie” della UniPapress, il direttivo ha apprezzato la proposta e il catalogo dell’editore siciliano, capace di coniugare visione imprenditoriale e progettualità culturale.

L’incontro si è svolto nel rettorato dell’Università di Pisa il 21 gennaio scorso: insieme ai rappresentanti della Pisa University Press erano presenti gli editori dell’Ateneo Salesiano, della Bocconi, delle università di Macerata, Trieste, Udine, Genova, Palermo e della Urbaniana University Press.

La nuova Associazione UPI si è costituita a giugno 2018 presso la Pontificia Università Urbaniana ed ha come obiettivo lo studio e l’approfondimento dei temi relativi all’alta divulgazione scientifica e alla funzione dell’editoria accademica. Dopo l’ingresso della UniPapres è in fase avanzata di perfezionamento l’adesione di altri cinque soci.

 

I partecipanti dell’incontro in Rettorato dell’Università di Pisa 

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Con un contest rivolto ad agricoltori, operatori forestali e imprenditori nel settore agro-alimentare, il progetto europeo “Liaison” va alla ricerca di 15 ambasciatori dell’innovazione rurale in Europa. Partner dell’iniziativa è anche l’Università di Pisa, con un team del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali guidato dal professor Gianluca Brunori: «I settori agricolo, forestale e di trasformazione alimentare affrontano oggi sfide economiche e ambientali sempre più impegnative – spiega il professore – Il progetto “Liaison”, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito di Horizon 2020, nasce con l’obiettivo di dare un contributo significativo alle politiche dell’UE per accelerare l’innovazione in questi settori e il concorso che lanciamo in questi giorni fa parte di questa attività».

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I 15 ambasciatori riceveranno un riconoscimento internazionale durante la cerimonia di premiazione in programma nel prossimo mese di novembre in una grande capitale europea e potranno beneficiare dalla cooperazione con il progetto “Liaison” e la sua rete. Per candidarsi basta compilare form di iscrizione. Alla fine del contest verrà realizzato un database interattivo con circa 150 casi di studio.

I soggetti che intendono candidarsi devono avere una storia di successo da condividere, devono aver fatto parte di un’iniziativa innovativa ispiratrice ed essersi avvalsi di competenze da parte di partner con un background scientifico o professionale, con cui si è instaurato un rapporto collaborativo e di condivisione. Maggiori informazioni sui requisiti per partecipare al contest sono disponibili a questo link.

«Il progetto “Liaison” produrrà metodi e strumenti pratici per ottimizzare l'uso dell'approccio interattivo all'innovazione nei progetti finanziati nell’ambito di EIP-AGRI, il Partenariato europeo per l’innovazione per la produttività e sostenibilità in agricoltura, lanciato dalla Commissione Europea nel 2012 – aggiunge Brunori – In particolare il mio gruppo di ricerca (composto, oltre a me, da Elena Favilli e Gabriela Molina) si occuperà di studiare e analizzare gli approcci all’innovazione interattiva messi in atto all’interno di progetti realizzati in Italia, al fine di individuarne i meccanismi di funzionamento e poter fornire raccomandazioni alla sfera politica riguardo al miglioramento degli strumenti di supporto».

Del progetto fanno parte 17 istituzioni, ONG e aziende europee; capofila è la tedesca Eberswalde University for Sustainable Development.

Sono state 188.411 le persone che hanno visitato i musei dell'Università di Pisa durante il 2018, con una crescita di circa il 25% rispetto al dato dell'anno precedente, quando i visitatori erano stati poco più di 150.000. Il Museo di Storia Naturale di Calci si conferma la punta di diamante, con i suoi 71.033 visitatori e un aumento del 30% delle presenze, ma anche le altre realtà museali sono sempre di più conosciute e apprezzate dalla cittadinanza e dai turisti, a partire dall’Orto e Museo Botanico che, con 61.929 presenze, ha migliorato ulteriormente le cifre lusinghiere del 2017. I musei del centro storico hanno visto crescere il numero dei propri visitatori da 96.705 a 117.378, con un incremento medio del 21%, che diventa del 100% nel caso del Museo di Anatomia Patologica e del 40% nel caso del Museo della Grafica. Significativo è anche il risultato raggiunto dal Museo degli Strumenti di Fisica, costituito di recente, che insieme alla Ludoteca Scientifica ha chiuso il 2018 con più di 10.000 visitatori.

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La crescente capacità attrattiva del Sistema Museale d'Ateneo (SMA) nel suo complesso è frutto dell'attività di promozione e valorizzazione delle collezioni, fortemente voluta dall’Università, e del fitto calendario di laboratori didattici ed eventi dedicati a differenti fasce di pubblico.

"I dati relativi al 2018 - ha commentato le professoressa Chiara Bodei, presidentessa dello SMA - ci riempiono di soddisfazione e sono da stimolo per l'anno appena iniziato. L'Università si è posta l'obiettivo di far conoscere e di rendere sempre più fruibili le collezioni appartenenti al suo Sistema Museale, rendendole punto di riferimento vivo e costante per tutta la cittadinanza e non solo per la parte accademica. Anche per il 2019 sono dunque in programma esposizioni, eventi e momenti di condivisione culturale che spero possano confermare e migliorare ancora il trend positivo registrato nell'ultimo anno".

ricerca 3RSi arricchisce di un importante partner il Centro 3R, l’infrastruttura nata un anno fa su impulso delle università di Pisa e Genova per la promozione dei principi delle 3R nella didattica e nella ricerca: il Politecnico di Torino è entrato a far parte dell’organismo che costituisce una novità assoluta nel panorama italiano e che vuole stimolare e sensibilizzare studenti, ricercatori e docenti alla sperimentazione responsabile e ai metodi alternativi all’uso degli animali, come stabilito dalla direttiva europea in materia, recepita in Italia con il D.L. 26/2014. “3R” è l’acronimo di Replacement (sostituzione delle sperimentazioni sugli animali con metodi alternativi ogni qual volta questo sia possibile), Reduction (riduzione al minimo indispensabile del numero di animali utilizzati) e Refinement (continuo perfezionamento dei metodi impiegati allo scopo di ridurre la sofferenza degli animali).

«A un anno dall’inizio della sua attività, il Centro 3R va a includere al suo interno un’università di assoluto prestigio a livello nazionale e internazionale – dichiara la professoressa Arti Ahluwalia, direttrice del Centro 3R e responsabile per l’Università di Pisa – Il Politecnico di Torino, oltre a una maggiore visibilità e forza lavoro, porta specifiche conoscenze ed expertise nell’ambito di materiali e scaffold 3D e metodi computazionali e ingegneristici. Il nostro sogno è che il Centro 3R diventi un punto di riferimento (informazioni, materiali, documenti, risposte a quesiti da parte dei ricercatori, materiale didattico, supporto ai progetti e nella loro preparazione ecc.) per la ricerca sperimentale biomedica e un veicolo per formare un pensiero scientifico razionale nei giovani ricercatori e studenti».

Ad oggi sono più di 250 i docenti e ricercatori afferenti al Centro 3R, un numero più che radoppiato da gennaio 2018. Tra le varie iniziative e attività promosse nel suo primo anno di vita, ricordiamo un corso organizzato a Genova sui metodi alternativi, con lezioni e seminari tenuti da diversi membri del consiglio scientifico didattico, e la collaborazione con un gruppo europeo di Centri 3R. Il prossimo giugno, l’Università di Genova ospiterà la conferenza annuale del Centro, per fare un punto sulle 3R nelle università italiane.

“In questi mesi abbiamo ricevuto numerosi inviti da parte di università italiane interessate all’affiliazione al Centro 3R e di comitati organizzativi di convegni internazionali per illustrare le finalità del Centro” riferisce Anna Maria Bassi, vice-direttore del Centro e referente per l’Università di Genova. “Il riscontro ottenuto è stato rilevante, infatti è stato chiesto al Centro 3R di partecipare alla creazione di una rete di collaborazione tra Centri 3R europei. L’affiliazione dei colleghi del Politecnico di Torino conferma come uno degli obiettivi del Centro 3R sia quello di formare i giovani ricercatori attraverso una sinergia multidisciplinare e un accesso aperto alle informazioni, grazie alla libera condivisione dei contenuti in rete. Attraverso questo approccio innovativo, che prevede quindi una collaborazione a livello nazionale e internazionale” continua Anna Maria Bassi “si potranno raggiungere obiettivi sempre più rilevanti e risultati scientificamente validi, nell’ambito della ricerca biomedica di base, traslazionale e applicata”.

“Da sempre il Politecnico di Torino è in prima linea nella sperimentazione preclinica responsabile, oggetto di numerosi progetti di ricerca nazionali ed internazionali, tra cui 2 recenti finanziamenti ERC - commenta Valeria Chiono, referente della collaborazione per il PoliTo - Per questo motivo la nostra università ha accolto con entusiamo l’iniziativa del Centro 3R, aderendo come intero ateneo, con 6 su 11 dipartimenti impegnati in prima linea. La nostra prima iniziativa come membri del Centro 3R sarà rivolta alla formazione dei giovani, con l’attivazione di un corso sulla sperimentazione preclinica biomedica, a partire dal prossimo anno accademico. Essere parte di un network nazionale di ricercatori impegnati sullo stesso fronte, consentirà uno scambio di esperienze e di conoscenze e darà un impulso alla ricerca di modelli preclinici alternativi”.

figli destinoMercoledì 23 gennaio andrà in onda su Rai 1, in prima serata, la docufiction «Figli del destino», per la regia di Francesco Miccichè e Marco Spagnoli che raccoglie le testimonianze e le storie di quattro bambini che, nel 1938, furono espulsi dalla scuola in quanto ebrei. Il film è stato proposto alla Rai, nel quadro del programma di “San Rossore 1938”, dall’Università di Pisa che ne ha curato anche la revisione scientifica e storica.
Vedremo le testimonianze dirette di quattro bambini di allora che, in quanto ebrei, patirono le conseguenze di quell’infamia e le loro storie filmate. Tra queste quella della senatrice a vita Liliana Segre e quella di Guido Cava, presidente emerito della comunità ebraica pisana.

Il rettore dell’Università di Pisa Paolo Mancarella parteciperà all’anteprima del film che sarà proiettato in Senato il pomeriggio del 23 gennaio. La revisione storica della sceneggiatura è stata curata da Michele Battini, docente della nostra università e coordinatore del Comitato scientifico di “San Rossore 1938”; l’intervista a Guido Cava è stata registrata nella tenuta di San Rossore proprio nel luogo dove furono filmate le leggi razziali.

“Sono molto contento che questo lavoro che proponemmo loro lo scorso anno come compendio alle nostre iniziative, veda la luce proprio in questi giorni, – commenta il rettore Paolo Mancarella – e apprezzo molto che, dopo la media partnership che Rai Cultura e Rai Storia hanno offerto alle nostre attività, la televisione di Stato abbia deciso di confermare la sua attenzione a questi temi trasmettendo il film sulla sua rete più importante nella fascia di massimo ascolto. È anche il segno – prosegue Mancarella – che la Rai può svolgere pienamente la propria funzione di servizio pubblico fornendo prodotti di qualità come questo, utili alla diffusione della memoria perché quel che è accaduto non si ripeta mai più”.


image copyUna immagine della docufction "Figli del destino".

Il Senato Accademico dell’Università di Pisa, nella seduta del 18 gennaio 2019, dopo aver valutato la delibera motivata assunta dalla Commissione Etica di Ateneo a conclusione dell’attività istruttoria svolta, nonché la proposta di irrogazione di sanzione formulata dal Rettore, ha deliberato di comminare al prof. Alessandro Strumia la sanzione del richiamo pubblico per la violazione, grave e rilevante, degli artt. 3, 5, comma 1, e 9 del Codice Etico di Ateneo.

Il Senato Accademico richiama il Prof. Alessandro Strumia a prendere atto che quanto da lui sostenuto pubblicamente in più occasioni – e non smentito altrettanto pubblicamente – in merito all’incidenza del genere sull’esito delle procedure concorsuali in taluni ambiti scientifici, è in contrasto con:

  •  l’art. 3 del Codice etico, nella parte in cui afferma che “tutti i componenti la comunità universitaria, docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo [...] sono tenuti ad ispirare i propri comportamenti ai principi di [...] lealtà, correttezza […] enunciati in questo codice, anteponendo il superiore interesse della comunità stessa a quello personale”;
  •  l’art. 5, comma 1, del Codice etico, laddove recita: “Nel pieno rispetto della libertà della ricerca scientifica e dell’insegnamento spettante a tutti i destinatari del codice […] tutti debbono svolgere i propri compiti uniformandosi ai principi di lealtà e di rispetto reciproco”;
  •  l’art. 9 del Codice etico, ai sensi del quale “Nell’esercizio della libertà accademica i membri dell’Università sono tenuti a mantenere una condotta […] responsabile”.

Pisa, 18 gennaio 2019

Il segretario
Dott. Riccardo Grasso

Il Rettore
Prof. Paolo M. Mancarella

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La sottoscritta Sandra Bernardini, in qualità di responsabile dell’Ufficio del Rettore, attesta ex art. 22, comma 2, D. Lgs. n. 82/2005 la conformità tra il contenuto in formato elettronico e quello cartaceo conservato presso l’Ufficio del Rettore.

La Responsabile dell’Ufficio del Rettore
F.to avv. Sandra Bernardini
Firma autografa sostituita a mezzo firma digitale ai sensi e per gli effetti del D. Lgs. n. 82/2005 s.m.i.

sabbatai zeviNel XVII secolo Livorno fu una delle città europee che accolse con più fervore la dottrina di Sabbatai Zevi di Smirne, il cabalista che nel 1665 si proclamò l’atteso messia degli ebrei e che in poche settimane raccolse attorno a lui un impetuoso movimento di fedeli. I legami di Sabbatai con la città toscana sono al centro di uno studio coordinato da Alessandra Veronese, storica dell’Università di Pisa, che sarà presentato a un convegno internazionale sul Sabbatianismo in Italia in programma a Roma dal 20 al 22 gennaio presso l’Unione delle Comunità ebraiche e la Sapienza.

«Livorno fu uno dei più importanti centri sabbatiani del Mediterraneo – spiega la professoressa Veronese – I contatti di Sabbatai Zevi con Livorno precedono persino la sua rivelazione messianica. Già nel marzo 1664 Sabbatai aveva sposato un’ebrea polacca residente a Livorno, che sosteneva di aver doni profetici e aveva annunciato che sarebbe diventata la moglie del messia. La notizia che Sabbatai aveva dichiarato di essere il messia giunse in città nell’autunno del 1665 e gran parte della comunità, compresa la maggioranza degli studiosi rabbinici, aderì al movimento sabbatiano. Nel nostro studio abbiamo ricostruito questi legami attraverso fatti ed episodi che in quel periodo caratterizzarono il territorio di Livorno, con alcune tracce anche all’Isola d’Elba».

Il movimento sabbatiano era nato nella primavera del 1665 quando Sabbatai Zevi proclamò di essere l’atteso messia degli ebrei. Nel febbraio 1666 Sabbatai fu arrestato e condannato a morte a Istanbul. Gli venne però offerta la salvezza nel caso si fosse convertito all’Islam e clamorosamente Sabbatai accettò di farsi musulmano. L'annuncio della conversione provocò grande disappunto tra i suoi fedeli, che progressivamente abbandonarono il loro messia. Nel 1672, a causa della sua ambiguità religiosa, Sabbatai fu esiliato in Montenegro dove morì nel 1676. Quanti ancora credevano in lui, pur facendosi passare per musulmani, vennero chiamati i dönmeh (in turco “convertiti”) e continuarono a vivere in semi-clandestinità sino almeno ai primi anni del ‘900.

«La notizia della conversione all’Islam di Sabbatai del settembre 1666 dovette giungere a Livorno già ai primi di ottobre e fece barcollare la fede della comunità – aggiunge la professoressa Veronese - La vicenda di Sabbatai era ormai motivo di profondo imbarazzo e sappiamo che nell’estate del 1667 gli ebrei di Livorno chiesero addirittura l’intervento del vicario dell’Inquisizione per impedire la circolazione di un opuscolo che trattava delle vicende di questo presunto messia. Ormai minoritari, i sabbatiani di Livorno continuarono a riunirsi più o meno in segreto e si ha notizia di un rinnovato fervore sabbatiano a metà degli anni ’70, tanto che nell’ottobre 1676, la comunità di Livorno scomunicò formalmente chi sosteneva che Sabbatai Zevi fosse il vero messia».

Il convegno di Roma, organizzato dall’Università del Maryland, dalla Johns Hopkins University di Baltimora e dal gruppo di ricerca sull’Antisemitismo finanziato dal MIUR (di cui fa parte anche il gruppo di Pisa), vedrà la partecipazione dei maggiori studiosi del movimento sabbatiano e fa parte di un ciclo di tre conferenze internazionali sulla storia ebraica italiana nel lungo Rinascimento, che comprende altri eventi a Baltimora e a Gerusalemme. Il programma è consultabile alla pagina: https://jewsitalylongrenaissa4nce.wordpress.com. Del comitato scientifico di questo convegno, che ha ricevuto finanziamenti da numerose istituzioni culturali europee, israeliane e statunitensi, fa parte anche Stefano Villani, già docente dell’Università di Pisa e ora professore di storia europea all’Università del Maryland.

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