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Nella seconda metà di gennaio 12 studenti del dipartimento di Scienze della Terra hanno partecipato all’ICA-LAB, un campo scuola organizzato nel deserto peruviano della regione di Ica, non lontano dalle famose linee di Nazca, per svolgere ricerche in uno dei giacimenti paleontologici più importanti del mondo. L’iniziativa è stata organizzata dal dipartimento di Scienze della Terra e interamente finanziata dall’Università di Pisa nell’ambito dei progetti speciali per la didattica.

Rientrati in questi giorni in Italia, i ragazzi ci raccontano la loro avventura in Perù, rievocando la magia e i colori del deserto in cui hanno vissuto e lavorato per circa dieci giorni.

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“Buon rientro a casa ragazzi, grazie a tutti per la partecipazione, è stata una bellissima esperienza, ci vediamo a Pisa!”. Con queste parole studenti, professori e ricercatori si sono salutati all’aeroporto di Madrid il 25 gennaio 2019 concludendo ufficialmente il campo scuola ICA-LAB svoltosi nel deserto del Perù.

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I protagonisti di questa spedizione siamo noi: Alice Belluzzo, Laura Bronzo, Guglielmo Di Stefano, Alessandro Favaroni, Raffaele Gazzola, Giacomo Gazzurra, Pietro Giacomini, Amedeo Martella, Marco Merella, Leonardo Nicodemi e Lorenzo Porta del corso magistrale in “Scienze e tecnologie geologiche”, e Sara Citron del corso magistrale di “Conservazione ed evoluzione”. Ci hanno accompagnato Giovanni Bianucci, Alberto Collareta, Anna Gioncada, Giovanni Sarti e Giancarlo Molli, docenti del dipartimento di Scienze della Terra, insieme ai ricercatori Giulia Bosio ed Elena Ghezzo rispettivamente dell'Università Milano Bicocca e dell'Università di Venezia e per ultimi, ma non meno importanti, tre guide peruviane che hanno affiancato il nostro team nelle calde giornate del deserto peruviano: Mario Urbina, Walter Aguirre e Jolao Chauca Luyo.

L’attività svolta durante il campo scuola ha avuto l'obiettivo, attraverso l'integrazione di conoscenze acquisite durante il percorso universitario, di studiare e comprendere l'evoluzione geologica strutturale e paleoambientale del bacino di Pisco, località desertica nel distretto di Ica, sulla costa peruviana sud-occidentale.

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Le attività di studio e ricerca sono state accompagnate sia da momenti di svago che di difficoltà. Ci siamo dovuti confrontare con condizioni logistiche, climatiche e ambientali del tutto particolari e lontane dalle comodità a cui siamo abituati quotidianamente. Giornate di caldo torrido sono state seguite da fresche sere in cui la luna timida dietro leggeri banchi di nuvole ha fatto da padrona a un cielo ricco di stelle.

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Durante i lunghi spostamenti per attraversare le incantevoli dune e i cerri del deserto, abbiamo potuto ammirare l'intenso verde della sporadica vegetazione che di tanto in tanto appariva in lontananza lungo il letto del Rio Ica. I continui “insabbiamenti” dei nostri pick-up ci riportavano con i piedi sulla calda sabbia del deserto. Ciò non bastava ad abbattere il nostro morale e rinunciare, al fresco delle ultime ore di luce, a qualche partita di calcio con i nostri professori, ricercatori e amici peruviani.

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Impossibile dimenticare il nostro arrivo sul campo: la prima notte nel deserto sembrava non voler finire mai, dopo un viaggio a dir poco interminabile che ci aveva portati dal freddo dell’inverno italiano al caldo torrido dell’estate sudamericana. Ci siamo inoltrati nella notte su piste di sabbia che si perdevano tra le luci dei fari per poi riapparire tra le dune. Su quelle piste alcune delle nostre auto si sono insabbiate a pochi metri dall’arrivo. C’è chi ha scavato, chi ha spinto, chi da lontano ha cercato di coordinare le operazioni e chi nel mentre è riuscito persino a trovare un fossile nascosto in un nodulo dolomitico.
Erano le 3 del mattino ora locale e le 48 ore di viaggio, accompagnate da qualche riposino qua e là, avevano iniziato a farsi sentire. A quel punto abbiamo deciso di montare il nostro accampamento “provvisorio” per spostarci l'indomani mattina in un’altra zona non molto distante e stabilirci per quei, purtroppo, pochi giorni tra tende, scatolette di tonno e lavoro sotto il sole cocente.

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Il nostro risveglio è stato accompagnato dal chiarore del mattino e da una temperatura che saliva troppo velocemente, ma fuori dalle nostre tende ci aspettava il deserto. Prima del viaggio avevamo visto tante foto e sentito tante parole, ma in quel momento, finalmente, eravamo lì: il deserto era di fronte a noi, un paesaggio immenso e maestoso che stava per regalarci un'avventura che mai dimenticheremo.

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La professoressa Valentina Domenici del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa è entrata a far parte del neonato gruppo per la diffusione della cultura chimica della Società Chimica Italiana (SCI). Il gruppo attivo da gennaio sta già organizzando numerose iniziative in tutta Italia, anche legate all'anno internazionale della Tavola Periodica degli Elementi, designato per il 2019 dall'Unesco per celebrare la ricorrenza dei 150 anni dalla prima pubblicazione ad opera di Dimitri Ivanovich Mendeleev nel 1869.

"Nel corso dell'ultimo congresso nazionale della Società Chimica Italiana abbiamo organizzato una sessione dedicata alla comunicazione – racconta Valentina Domenici –proprio in questa occasione è nata l’idea di attivare un gruppo di lavoro che si occupasse del tema anche per contrastare le cosiddette "fake news" che purtroppo interessano direttamente anche la chimica, basti pensare alla bufala delle scie chimiche”.

 

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Valentina Domenici a sinistra durante Bright 2018, la Notte Europea dei Ricercatori


Il gruppo per diffusione della cultura chimica nasce infatti dalla consapevolezza che il mondo di oggi abbia bisogno di tornare a credere nella chimica e nel suo ruolo chiave nel garantire il benessere e lo sviluppo. Insieme a Valentina Domenici ne fanno parte altri sette soci della Società Chimica Italiana: Sara Tortorella, Stefano Cinti, Valeria Costantino, Elena Lenci, Adriano Intiso, Alberto Zanelli e Luciano D’Alessio.

lisandro1Il professor Lisandro Benedetti-Cecchi, ordinario di Ecologia al dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e prorettore per la Ricerca in ambito europeo e internazionale, ha ricevuto il premio alla carriera dell'International Temperate Reefs Symposium (ITRS) in occasione dell’omonimo congresso che si è tenuto a Hong Kong dal 7 all'11 gennaio.

L’ITRS è la più importante conferenza internazionale dell’ecologia marina costiera che storicamente ha coinvolto alcuni fra i più rinomati studiosi dell’ecologia sperimentale. Lo spirito dell’ITRS è quello di stimolare lo scambio tra scienziati in una fase avanzata di carriera e le nuove generazioni di ricercatori, in un clima amichevole e informale. La prima edizione si è svolta a Melbourne nel 1989 e da allora il congresso si svolge ogni due o tre anni con alternanza fra emisfero australe e emisfero boreale. È stato ospitato da importanti università negli Stati Uniti, in Sud Africa, Australia, Cile, Inghilterra, Italia e Cina. Il professor Benedetti-Cecchi ne ha curato l’undicesima edizione che si è svolta a Pisa nel giugno 2016.

Il premio alla carriera è stato istituito in riconoscenza dell’impegno di ricercatori che si sono contraddistinti per il contributo alle scienze del mare e alla promozione dell’ecologia marina attraverso l’ITRS. Le candidature avvengono secondo un processo decisionale tra gli studiosi del settore, moderato dai precedenti beneficiari del premio. Il discorso di motivazione e attribuzione del riconoscimento, che per tradizione avviene durante la cena del congresso, è stato tenuto dal professor Tony Underwood dell'Università di Sydney. "È per me un grande onore ricevere questo premio - ha commentato il professor Benedetti-Cecchi - un riconoscimento dal sapore del tutto speciale che proviene dagli scienziati che stimo maggiormente e che hanno inspirato tutta la mia carriera dai tempi del dottorato di ricerca in poi".

Il professor Lisandro Benedetti-Cecchi, nato a Montecatini Terme nel 1963, ha sviluppato le sue attività di ricerca negli ambiti dell'ecologia di ambienti marini costieri, della biodiversità di coste rocciose, degli effetti di aree marine protette, dell'analisi sperimentale di processi ecologici a varie scale spazio-temporali e degli effetti di cambiamenti climatici e analisi di impatto antropico sulla biodiversità marina costiera. Autore di oltre 140 articoli su riviste scientifiche internazionali, ha partecipato a più di 30 progetti di ricerca, coordinando tra i questi due progetti internazionali (BIOFUSE e NAGISA) e un PRIN (BIORES). Ha ricoperto numerosi e qualificati incarichi accademici e di ricerca sia a livello nazionale che internazionale: attualmente è rappresentante per l’European Marine Board nella Partnership for Observation of the Global Ocean (POGO) e per il Consorzio Nazionale delle Scienze del Mare (CoNISMa) dell'University Consortium Panel dello stesso European Marine Board. È inoltre membro del Biology and Ecosystems Panel del Global Ocean Observing System (GOOS) e negli ultimi otto anni ha servito nel pannello LS8 per la valutazione dei progetti IDEAS dell’European Reseach Council.

Dal 22 al 23 gennaio si è svolta a Trieste la seconda edizione dei “Seminari di fisica della materia al sincrotrone”, attività promossa nell’ambito della convenzione quadro recentemente stipulata fra Elettra Sincrotrone Trieste e Università di Pisa, quest’anno supportata dall’Ateneo nel piano dei progetti speciali per la didattica. Tredici studenti dei corsi di laurea magistrale in Fisica e in Materials&Nanotechnology dell’Ateneo pisano, accompagnati dai professori Riccardo Mannella e Simone Capaccioli, hanno partecipato a due giornate di lezioni ed esercitazioni di laboratorio dedicate allo studio della materia condensata attraverso la radiazione di due sorgenti coerenti di luce, l'anello di accumulazione Elettra ed il laser a elettroni liberi (FEL) FERMI.

Gli studenti sono Lorenzo Bernazzani, Davide Bonaretti, Lorenzo Cacciamani, Ada Angela Chimienti, Letizia Ferbel, Maria Domenica Galati, Enio Mangiacotti, Simone Morviducci, Matteo Rinaldi, Raffaele Salvia, Giorgia Silvestrelli, Daniele Sonaglioni, Lorenzo Zavagna.

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L’edizione 2019 dell’iniziativa ha proposto un ricco programma formativo grazie al coinvolgimento nelle attività didattiche, sia teoriche sia pratiche, di alcuni ricercatori di Elettra (Maurizio Polentarutti, Sigrid Bernstorff, Francesco D’Amico e Alessio Turchet), Fermi (Carlo Callegari) e TUGraz (Barbara Sartori). Dopo una prima parte dedicata a seminari tematici riguardanti le caratteristiche della radiazione prodotta dalle sorgenti di Elettra e FERMI e le loro possibili applicazioni sperimentali, gli studenti hanno potuto saggiare dal vivo alcuni esempi di lavoro di ricerca che viene svolta presso le grandi infrastrutture.

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Un’intera giornata è stata dedicata infatti a lezioni “pratiche” presso le linee di luce XRD, IUVS, SAXS e DXRL, durante le quali gli studenti hanno partecipato direttamente alla realizzazione di un esperimento in tutte le sue fasi di preparazione del setup sperimentale, raccolta e analisi dati. In particolare, grazie all’impiego di tecniche di diffrazione ad ampio e piccolo angolo di raggi X e di spettroscopia Raman UV risonante, è stato possibile studiare la struttura e la dinamica di molecole rilevanti per applicazioni bio-mediche e agroalimentari.

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«Il successo di questa seconda edizione, riscontrato nell'entusiasmo che gli studenti hanno mostrato nelle differenti attività svolte e dall’apprezzamento espresso dai docenti accompagnatori, conferma l’importanza di questa iniziativa che potrebbe diventare un appuntamento fisso annuale di incontro fra la comunità accademica pisana ed i laboratori Elettra e FERMI – commenta il professor Simone Capaccioli, direttore del CISUP (Centro per l'Integrazione della Strumentazione scientifica dell'Università di Pisa) e co-organizzatore dei seminari insieme alla dottoressa Barbara Rossi (Elettra) e al professor Claudio Masciovecchio (FERMI) – Tali occasioni di scambio sono fondamentali per creare sinergie sempre più strette fra l’Università di Pisa e le grandi infrastrutture di ricerca e possono aiutare a rafforzare la preparazione dei giovani che si affacciano all’attività di ricerca scientifica in ambito internazionale».

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Tre studenti dell’Università si sono aggiudicati 20mila dollari vincendo il Fujitsu AI-NLP Challenge, una sfida al livello mondiale per sviluppare un programma in grado di scegliere la risposta corretta a domande poste in lingua inglese. Il team composto dai ventitreenni Alessio Gravina e Silvia Severini, rispettivamente di Maratea e Jesi, e da Federico Rossetto, ventisettenne di Bassano del Grappa, ha progettato una “rete neuronale profonda”. Si tratta cioè di un algoritmo che impara ad analizzare le domande attraverso un innovativo "meccanismo di attenzione" per focalizzare le parti del testo più rilevanti ai fini di individuare le risposte corrette.

Silvia, Federico e Alessio, ora all’estero con il programma Erasmus+ a Monaco Di Baviera, Bielefeld e Dublino, hanno sviluppato l’idea nell’ambito del corso in “Human Language Technology” della laurea magistrale in Informatica.

 

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Da sinistra, Federico Rossetto, Silvia Severini e Alessio Gravina

“Il corso – spiega il professore Giuseppe Attardi dell’Università di Pisa - si concentra particolarmente sulle tecniche di Deep Learning, che negli ultimi anni hanno portato a significativi progressi nel settore dell’elaborazione del linguaggio naturale, in particolare nella traduzione automatica, nel rispondere a domande, nell'analisi di sentimento e nel riconoscimento del parlato”.

Per riuscire a realizzare il prototipo in tempo utile per partecipare al concorso, i tre studenti hanno condotto i test su una macchina speciale acquistata dall’Università di Pisa con i fondi “Grandi Attrezzature 2016”. Questo tipo di macchine è infatti necessario per potere eseguire velocemente gli algoritmi di apprendimento di Deep Learning, che richiedono grande potenza di calcolo per elaborare grandi quantità di dati.

tellini copyIl professor Bernardo Tellini, docente dell’Università di Pisa, è stato eletto nuovo presidente della IEEE Italy Section (Institute of Electrical and Electronics Engineers), la più importante associazione internazionale nell’ambito dell’ingegneria elettrica e dell’informazione. In precedenza, aveva servito come Conference Coordinator e dal settembre 2016 come Italy Section Vice-Chair e Chapter Activity Coordinator.

L’associazione fu fondata in Italia nel 1959 da Mario Tchou come Institute of Radio Engineers, IRE Section, e cambiò il suo nome in Italy Section sotto la presidenza di Algeri Marino. Nel 1966 si formarono le due sezioni North Italy Section e Central-South Italy Section per riunificarsi nel 2005 nella nuova Italy Section. A oggi, la Italy Section, articolata al suo interno in 40 Chapter, 3 Affinity Group, più di 20 Student Branch, Student Branch Chapter e Affinity Group, risulta con più di 5000 membri iscritti, di cui più di 1000 studenti, la terza per numerosità all’interno della Region 8 che comprende Europa, Africa e Medio Oriente.

Bernardo Tellini è attualmente professore ordinario di Misure elettriche e elettroniche al dipartimento di Ingegneria dell'energia, dei sistemi, del territorio e delle costruzioni. La sua attività di ricerca include principalmente lo sviluppo di metodi di misura per la caratterizzazione di sistemi interessati da elevate correnti impulsive, lo studio di proprietà elettriche e magnetiche di materiali, e la caratterizzazione di sistemi di accumulo dell’energia.

È giunto alla sua nona edizione il percorso PhD+, che dall’anno 2018 è diventato parte integrante dell’offerta formativa di base del Contamination Lab, iniziativa organizzata dall’Università di Pisa in collaborazione con la Scuola Superiore Sant'Anna, la Scuola Normale Superiore e la Scuola IMT Alti Studi di Lucca, dedicata alla promozione della creatività, dell’innovazione e dello spirito imprenditoriale. Il PhD+ si articola in 14 seminari tenuti da prestigiosi relatori su temi legati all’innovazione, alla valorizzazione della ricerca, alla brevettazione, alla valorizzazione delle proprie idee. Il corso si terrà dal 29 gennaio al 28 febbraio 2019 al Centro congressuale “Le Benedettine”, sede del Contamination lab Pisa, in Piazza San Paolo a Ripa d’Arno. 

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Il percorso centrato sul trasferimento tecnologico, che insegna a pensare innovativo e a trasformare le idee in impresa, arriva alla nona edizione con il record di iscritti tra i dottorandi, confermando quindi che gli studenti ne hanno recepito la rilevanza multidisciplinare e trasversale. Al termine del percorso, dal 26 marzo al 21 giugno, seguirà il CYB+: offerta formativa avanzata strutturata in seminari action-learning, utile a rafforzare il processo di costruzione, formazione e sviluppo dei singoli progetti innovativi nati con il supporto di esperti nel trasferimento tecnologico coinvolti nel Contamination Lab.

All’inaugurazione del corso hanno portato i loro saluti il rettore Paolo Mancarella, il delegato per la Promozione delle iniziative di spin off, start up e brevetti, Leonardo Bertini, chief del progetto Contamination Lab, e il project manager, professoressa Giovanna Mariani. A seguire, un focus sull’"Entrepreneurial Mindset and Financial Practices" a cura di Guido Mantovani dell’Università Cà Foscari di Venezia.
Ospiti della giornata inaugurale sono state due spin off dell’Università di Pisa, che porteranno la testimonianza del loro percorso da start up innovative ad aziende di successo: Sleep Acta srl, il cui attuale core business consiste nello sviluppo di metodologie di machine learning per l’analisi dei ritmi sonno-veglia, e Ingeniars srl, azienda specializzata nella realizzazione di soluzioni tecnologiche hardware/software in ambiti strategici quali spazio, telemedicina e automotive. La panoramica evidenziata dalle due testimonianze è stata poi dibattuta durante la tavola rotonda dal titolo "New ventures: strategies for growth and resilience", moderata dalla giornalista del "Corriere della sera" Raffaella Polato, con la partecipazione di Massimo Cerbai, responsabile della Direzione regionale toscana Crédit Agricole Cariparma SpA, Luigi Doveri, di RedLions Holdings, e Ciro Spedaliere, dell'Associazione italiana del Private equity, venture capital e private debt. I relatori si sono confrontati sulle analisi delle condizioni di contesto esterno e interno all’impresa con un approfondimento sui vettori e sulle modalità che le imprese hanno a disposizione per aumentare le proprie dimensioni e quindi su come i cambiamenti dell'ambiente rilevante, specie del mercato, possono modificare i fattori critici di successo. 

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"Per i partecipanti al PhD+ - ha detto il rettore Paolo Mancarella - si tratta di un’occasione altamente qualificante per acquisire una serie di importantissime competenze complementari, determinanti nella realtà economica moderna, caratterizzata da tempi sempre più brevi di adeguamento dell’offerta alle richieste del mercato".
“Il Contamination Lab - ha affermato il professor Leonardo Bertini - è una iniziativa pensata per stimolare gruppi di allievi a indirizzare la loro vita professionale verso il difficile mondo della autoimprenditorialità, facendo loro scoprire le affascinanti possibilità offerte dalla creazione di aziende ad alto contenuto di innovazione e aiutandoli fattivamente nello sviluppo dei loro progetti di impresa”.

Evil ditches, devils, demons, circles of hell, eternal pain and forgotten people. These are some of Dante’s words and expressions which recur in the descriptions of the Nazi Lagers as recounted by the survivors: the Lager is a hell on earth which the survivors are able to describe by borrowing the language of Dante. The categorical imperative of ‘the obligation to testify’ has therefore found a voice through Dante’s Divine Comedy, which has provided the victims with the vocabulary necessary to name events and realities otherwise indescribable. These ‘right words’ are, in fact, the focal point of the study carried out by Marina Riccucci, a professor of Italian literature at the University of Pisa. She has been working on this theme for around two years and by the end of 2019 will have published at least three works, one of which with her pupil Sara Calderini in the “Italianistica” journal.

 

Sandro Botticelli La Carte de lEnfer



The study takes into consideration non-literary texts such as diaries, letters and oral recounts of those who were interned in extermination camps. This is a huge heritage which includes, for example, “Un mondo fuori dal mondo”, an investigation carried out by the DOXA institute in 1971 among the Italian ex-deportees from various extermination camps, but also a number of specific interviews conducted by Riccucci with Senator Liliana Segre, Mauro Betti, a political dissident interned in various camps who sadly passed away last year, and Goti Bauer, the oldest living Italian woman to have survived Auschwitz.

“The thing which strikes you the most“, says Marina Riccucci, “is the great difficulty the witnesses have in telling their stories and the most common phrase is ‘no words can express it’: at the same time, however, when these people are able to put a name and face to what they have seen and undergone, it comes naturally to them, almost like a reflex action, to resort to the image of Dante’s hell, regardless of their level of education; Dante is referred to as a collective linguistic patrimony, with no literary pretense, driven by the need to find a code - the right words.”

For the survivors, therefore, in many cases the concentration camp is like Dante’s world beyond the grave and for this reason when they refer to it, they invoke the images created by Dante, using the very words of the poet of the Divine Comedy.

 

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Marina Riccucci

In order to describe the arrival in the lager, witnesses often borrow the words from the third ring of Dante’s Hell, which say “Lasciate ogni speranza o voi che entrate (Abandon hope all ye who enter here)/… / Per me si va nella città dolente, (Through me you pass into the city of woe) / per me si va ne l’etterno dolore, (through me you pass into eternal pain) /per me si va tra la perduta gente (through me among the people lost for aye).” In addition, they appear to feel the need to repeat terms like ‘bolgia’ (ditch) and ‘Malebolge’ (Evil ditches), or expressions such as ‘voci alte e fioche’ (voices shrill and faint), ‘pianti e altri guai’ (lamentations and loud cries), and ‘girone infernale’ (circles of hell) and when they talk of the moment of liberation they say they have returned ‘a riveder le stelle’ (to rebehold the stars). They have no intention of citing or professing to a literary culture. The survivors constantly feel a pressing need to find the right words to describe the unthinkable.

“The concentration camps recur in the words of the witnesses like a concrete realization of a perverse and evil fantasy, just like the one proffered by Dante, the best and most representative example,” concludes Marina Riccucci. “The difference is that the divine justice expounded in Dante’s poem is literally turned upside down: in the Lagers, in fact, it was the innocent victims of delinquent persecutors who were tortured and killed. We must never forget that what the survivors saw and endured is a real life world with executioners and condemned victims, where millions of people found themselves damned without ever having committed a crime. This is what must be remembered, so that nothing so atrocious ever happens again.”

Undici studenti divisi in tre squadre si sono sfidati a colpi di progetti partendo da situazioni reali grazie alla collaborazione con due imprese leader come Errequadro s.r.l. e Zucchetti Centro Sistemi. L’occasione è stata la conclusione del corso in Strategic & Competitive Intelligence che si è svolta il 19 gennaio scorso al Gate - Galileo Aggregator for Technology and Enterprise di Pisa grazie anche al sostegno dell’ingegnere Filippo Chiarello.

 

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Gli studenti impegnati nella competizione


Il corso in Strategic & Competitive Intelligence impartito in lingua inglese fa parte delle lauree magistrali impartite in Data Science & Business Informatics ed in Ingegneria Gestionale dell’Università di Pisa.

"Questo genere di corsi è una novità per l'Italia - spiega la professoressa Antonella Martini dell’Ateneo pisano - ne esistono di simili in nord Europa e negli Stati Europa e generalmente adottano una prospettiva - strategica o tecnologica. Noi abbiamo voluto fare un esperimento, integrando entrambe le prospettive e rivolgendoci a studenti con differenti background: economico-aziendale, gestionale e informatico".

 

È rientrato da pochi giorni l’undicesimo Treno della Memoria toscano, partito nell’anno in cui ricorre il centenario della nascita di Primo Levi. Al Viaggio della memoria 2019, promosso dalla Regione Toscana e realizzato ancora in collaborazione con il Museo della deportazione di Prato, sotto l’Alto Patronato del presidente della Repubblica, hanno partecipato oltre 500 studenti delle scuole superiori con i loro docenti e 60 studenti universitari dei tre atenei toscani, che hanno viaggiato grazie al contributo dell’Azienda regionale per il diritto allo studio.

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Immancabili e fondamentali come sempre, i compagni di viaggio eccellenti, ovvero i testimoni: le sorelle Andra e Tatiana Bucci, affezionate al viaggio della memoria toscano, e Silva Rusich, la figlia di Sergio Rusich deportato politico al lager di Flossenburg ed esule istriano, testimone della deportazione politica, che ha viaggiato come rappresentante dell’Aned. 

Con loro anche i rappresentanti delle associazioni ovvero le Comunità ebraiche di Firenze e Pisa, le Associazioni rom e sinti, Aned (di Firenze, Prato, Pisa, Empoli), Anei, Anpi, Arcigay, che hanno incontrato gli studenti sul treno durante il viaggio, attraverso workshop di discussione di quarantacinque minuti tra passato e presente. Insieme hanno parlato di antisemitismo e antiziganismo, delle deportazioni degli omosessuali e degli oppositori politici, di ieri ma anche dei segnali che arrivano dalla società di oggi. In questa edizione si è parlato anche d’Europa: l’ultimo giorno a Cracovia, il 23 gennaio, si è svolto infatti un citizen dialogue all’università della città polacca con il vicepresidente della commissione europea Timmermans e il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, i testimoni della furia nazista, gli studenti polacchi e quelli toscani.

Qui di seguito si pubblicano le testimonianze di alcuni dei 20 studenti dell’Università di Pisa che hanno viaggiato sul Treno della Memoria e che hanno voluto condividere con tutta la comunità accademica la loro esperienza di viaggio.

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Jessica De Lucia, 22 anni, corso di laurea in Giurisprudenza
Entrare in quei campi e vedere il modo in cui erano costretti a vivere i prigionieri, le condizioni igieniche e meteorologiche che dovevano sopportare, l'annientamento completo dell'identità e della personalità che subivano solo perché qualcuno, dall'alto della sua posizione, aveva deciso che degli esseri umani dovessero essere annientati per la loro razza, religione, orientamento politico o disabilità in quanto inferiori, mi ha sconvolto e mi ha condotto a pormi delle domande: com'è stato possibile disumanizzare e trattare delle persone come fossero un male da estirpare? L'odio? La paura del diverso? La povertà e la fame o la necessità di trovare un capro espiatorio? La paura indotta dal regime? Sono domande, che dal giorno della visita di quei campi, mi tormentano e a cui non riesco a trovare una risposta, perché molto probabilmente una risposta non esiste. 

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Questa esperienza, però, nonostante il malessere che comporta, mi ha arricchito e mi ha reso una persona migliore. Mi ha portato a indagare e a voler essere più partecipe di quello che accade intorno a me, a fare attenzione ai segnali che potrebbero portare a un'altra Auschwitz e a combattere affinché questo non accada cercando di raccontare quello che ho visto e che ho imparato a più persone possibili per sensibilizzarle e renderle consapevoli, tanto quanto me, che per quanto la deportazione e lo sterminio possano essere inspiegabili e aberranti, sono stati commessi e possono essere commessi di nuovo. Infatti, come ha detto Primo Levi "è accaduto e può succedere di nuovo", per cui dobbiamo impegnarci in quanto esseri umani a non permettere a nessuno di elevarsi a giudice con il potere di decidere chi possa vivere e chi debba morire, dobbiamo impegnarci a non permettere che nessuno venga privato della dignità, della libertà e della vita, e soprattutto dobbiamo impegnarci a non permettere che l'indifferenza, l'omertà e la paura di reagire prevalgano sulla giustizia, sull'uguaglianza e sulla garanzia dei diritti che appartengono ad ogni individuo in quanto tale.

auschwitz scarpeVittorio Studiale, 20 anni, corso di laurea in Medicina e Chirurgia
Il giorno della partenza per il Treno della Memoria è stato un po' come rivivere la partenza per una gita scolastica: forse perché eravamo un piccolo gruppo di universitari insieme a liceali con i loro professori, tutti intenti a conoscerci e sistemarci nei vari scompartimenti dove avremmo passato le successive 20 ore e più. Il lungo viaggio ci ha permesso di staccarci fisicamente e mentalmente dalla nostra realtà di tutti i giorni, via via che il treno si faceva strada sempre più a nord e le temperature calavano. 

L'atmosfera è cambiata drasticamente una volta arrivati al campo di Birkenau/Auschwitz 2: l'impatto è sconvolgente, una struttura tanto grande che non si riesce ad abbracciare con un unico sguardo, eppure paradossalmente così opprimente, circondata da recinti di filo spinato che si perdono nella nebbia del gelido inverno polacco. Ricorderò per sempre il freddo provato durante la visita, nonostante indossassimo tutti abbigliamento termico, sciarpe, cappotti e scarponi invernali. I prigionieri di Auschwitz vestivano leggeri completi a righe e zoccoli di legno. All'impatto emotivo di Birkenau è seguita la visione dei tanti documenti che testimoniano ancora oggi l'orrore dell'Olocausto: foto, registri, oggetti quotidiani, valigie, scarpette, persino i capelli delle donne deportate sono ancora lì, a eterna prova di tutto il male che l'uomo è stato capace di infliggere e che qualcuno tuttora cerca di negare o ridimensionare. 

La cosa più preziosa che porterò con me di questa esperienza sono le testimonianze dei sopravvissuti, prime fra tutti le sorelle Andra e Tatiana Bucci, in viaggio con noi, e la voce rotta dal pianto dell'interprete durante la testimonianza di Lidia Maksymowicz, sopravvissuta bielorussa all'Olocausto. Il compito mio e di tutti noi di ritorno da questo viaggio sarà quello di far arrivare la loro voce a più persone possibili, anche quando non ci saranno più loro a potere raccontare, perché non sia mai dimenticato ciò che "è avvenuto, quindi può accadere di nuovo".

auschwitz 03Elisabetta Corbo, 19 anni, corso di laurea in Lettere
Perché l’uomo è lupo all’altro uomo? Quale crudeltà lo ha spinto ad attuare l’opera dello sterminio? Cosa trasmette quel luogo di sofferenza e filo spinato? Dolore e vergogna sono stati i sentimenti che hanno prevalso davanti alla crudele atrocità e noi, giovani studenti, siamo stati testimoni di una triste pagina di storia. Nel contesto in cui sono annullati i valori della vita, la disumanità non svanisce, anzi cresce, la ferocia alberga nel cuore dell’uomo e si tramanda di generazione in generazione.

A questo punto una ribellione interiore si scatena e mi ritornano in mente le parole di Primo Levi, che nei versi accorati in prima pagina della poesia “Shemà” di Se questo è un uomo, non esorta, ma comanda di scolpire nel cuore le sue parole e diffonderle in qualunque contesto. Emerge dunque l’importanza e la necessità di farsi testimoni e trasmettere ai più, per mantenere integra la dignità umana. Deduco che la pace e la libertà siano la vera ricchezza e l’amore profondo verso i simili dovrebbe essere arricchito ogni momento dalla sensibilità del cuore. Le ideologie accanite annientano la speranza dell’unione tra i popoli e il perverso risultato è la morte. L’amaro ricordo di quei resti umani, dove i più penosi erano quelli degli oggetti dei bambini, e i disgustosi racconti delle testimonianze di chi è stato sottoposto a “esperimenti” terribili, siano l’ammonimento per i posteri contro le discriminazioni razziali spingendoli ad arricchire i valori grandiosi sul tema della fratellanza e della pace.

auschwitz 04Luca Donadeo, 23 anni, corso di laura in Economia e Commercio  
Ringrazierò sempre me stesso per essermi deciso a partecipare a questo viaggio. Le ore trascorse in treno per arrivare in Polonia sono volate tra risate, sorrisi, cuccette scomode e nuove conoscenze, ma una volta arrivati al campo di Birkenau tutto si è letteralmente gelato. Il tempo quel giorno era “perfetto” per l’ambiente ostile e crudo in cui eravamo. Credo che se avessimo trovato una giornata soleggiata, non avrebbe suscitato le stesse emozioni che abbiamo provato invece con quel cielo grigio e quella nebbia. Una nebbia così fitta e densa come non l’avevo mai vista, che non permetteva ad occhio nudo di vedere la fine di questo enorme campo. Ma la cosa più sconvolgente è stato il silenzio, un silenzio pieno di dolore, di voci soffocate e di rispetto, un silenzio che ti entrava dentro e che in qualche modo vi è rimasto. 

A questo punto, il compito che spetta a chi, come me, ha avuto la fortuna di partecipare a questo viaggio è quello di portare fuori da quel campo il silenzio e farlo diventare una grande voce, una voce unita e solidale. La voce di tantissimi ragazzi che non abbassano gli occhi davanti alle ingiustizie, ma che seguono i loro ideali nonostante tutto e tutti. Perchè “è accaduto, quindi potrebbe accadere di nuovo”


Alberto Soavini, 20 anni, corso di laurea in Scienze della formazione primaria

auschwitz 05Ecco che improvvisamente nell’angolo di un’aula studio, mi ritrovo a pensare ai cinque giorni trascorsi con i partecipanti all’iniziativa “Treno Della Memoria 2019”, alle tante cose viste, gli orrori e i sorrisi, le lacrime di rabbia e i brividi suscitati dai racconti e dal contatto con l’ambiente dei lager nazisti. Ho percepito in me stesso la nascita di una nuova e maggiore consapevolezza durante le discussioni intavolate sui temi della differenza, del razzismo differenzialista, dell’unione fra popoli e della memoria; mi sono abbandonato all’ascolto di mille parole piene di sentimento e ho compreso. Durante il viaggio di andata, sul treno, essendomi stato assegnato il compartimento 7, mi sono seduto in mezzo ad Aldo e Andrea scoprendo, poco dopo, quanto questi ragazzi avessero da offrirmi e come loro altre decine di persone con le quali ho condiviso i piccoli spazi del nostro vagone. Ma, mentre nel treno il tempo è trascorso tra racconti e risate, ovviamente non posso dire lo stesso dell’esperienza dentro i campi di sterminio di Birkenau e Auschwitz 1.

Ho camminato per qualche ora nella gelida nebbia che ricopre gli interminabili spazi di Birkenau e, ad ogni passo, mi guardavo intorno impietrito, con gli occhi spalancati e senza il coraggio di rompere quel silenzio di morte. La paura è ancora una sensazione possibile in luoghi come il lager nazista; quando entri e sai quello che è successo all’interno, conosci l’enorme numero di vittime e ti vedi circondato da un filo spinato del quale non riesci a individuare i confini, l’angoscia ti toglie il fiato. Io ho addirittura fatto fatica a ricordarmi chi ero, a tener presente il fatto che ero lì in visita e che davanti a me c’era un interprete che spiegava, traducendo il polacco della guida locale, la storia e la struttura del campo. Il problema è che lo sguardo non trova rifugio, ad Auschwitz la vita ti mette di fronte alle tue responsabilità in quanto membro della specie umana.

“È successo e può succedere di nuovo” afferma Primo Levi, italiano sopravvissuto, e noi, sapendo che spesso, nella storia passata ma anche presente, tante persone subiscono violenza e vedono calpestati i loro diritti e la loro umanità ingiustamente, noi che abbiamo visto, sentiamo adesso di dover fare qualcosa. La conoscenza e il rispetto sono gli strumenti che dobbiamo adoperare e diffondere, frequentare luoghi in cui regna la differenza per sviluppare maggiore spirito critico, e ancora viaggiare, conoscere persone che la pensano diversamente da noi, pensare con la propria testa e scegliere sempre il bene con coraggio. Racconto ad amici, parenti e scrivo su carta di aver visto montagne di scarpe, capelli, valigie, protesi, pentole appartenute alle vittime, un peso portato sulle spalle in nome dell’attaccamento alla propria esistenza, oggetti personali che rappresentavano una parte importante dell’identità umana di queste persone e dei quali sono stati però brutalmente privati poche ore dopo l’arrivo. Ho imparato l’importanza di ricordare questa e altre stragi simili, segno di una enorme sconfitta da prevenire, e ho inoltre capito che camminare sulle ceneri dei prigionieri ti insegna molto più di quanto lezioni, libri e film possano fare… una lezione di vita alla quale vi invito a prender parte.


Laura Corleo, 20 anni, corso di laurea in Medicina e chirurgia

A qualche giorno dal rientro faccio ancora fatica a realizzare di aver preso parte a questa esperienza. La sensazione che mi ha dato, dall’inizio alla fine, è stata quella di distacco e isolamento dalla vita quotidiana, dalle cose e dalle persone di tutti i giorni, come se lo avessi sognato.

sorelle bucciPenso sia dovuto anche al clima che si respira nei campi di Auschwitz e ancora di più a Birkenau, un clima di desolazione, statico, immobile, freddo e silenzioso: un cimitero. Forse è stata questa calma a rendere faticoso il cercare di collegare quello che vedevo e quello che sapevo, di rendermi conto di dov’ero e che era proprio là che era successo tutto. Eppure non è una calma autentica, serena e tranquilla, ma piuttosto triste, vuota e tetra, che lascia una certa sensazione di disagio, che pesa sullo stomaco. Ovviamente avevo già sentito tante storie, testimonianze, a cui si aggiungevano le informazioni che dava la guida durante le visite, e sapevo che era successo, sapevo che cosa era successo, ma toccare con mano e cercare davvero di capacitarsene è diverso, serve a spezzare il distacco temporale, spaziale e anche emotivo dai fatti; è anche in questo che risiede il valore di questo viaggio. 

Un altro punto cardine di questa esperienza, oltre alle visite guidate ai campi di Auschwitz e Birkenau, sono stati i racconti dei testimoni, sia dal vivo che in video. Incontrare dei testimoni e ascoltare dal vivo la loro esperienza è una fortuna che non credo siano in molti ad avere avuto e che purtroppo in un futuro non lontano non avrà più nessuno. Credo che l’incontro con le sorelle Bucci in particolare sia stato uno dei momenti più intensi per me e probabilmente anche per molti altri. Quello che forse più colpisce è che, per quanto sembrino assurdi e irreali, i fatti di cui siamo testimoni, seppur indirettamente, sono in realtà molto “normali”. Ce l’hanno anche detto: non si trattava di un branco di pazzi guidati da un mostro, ma di persone che si sono limitate a eseguire ordini e si sono a piccoli passi approfittate di un già ben radicato antisemitismo (e non solo). Credo che per arrivare a tanto servano molta indifferenza e desensibilizzazione, proprio ciò che esperienze come quella del Treno della Memoria si propongono di intaccare dando la possibilità di prendere contatto diretto con i luoghi e le vittime dell’olocausto. È stata un’esperienza importante, a cui sono contenta e fiera di aver preso parte e di cui conserverò e tramanderò il ricordo.


Federica Suffredini, 20 anni, corso di laurea in Infermieristica

auschwitz lettiFreddo, trapassante, impossibile da eliminare anche con gli abiti più pesanti. Questa la prima impressione avuta al momento della discesa dal treno, nella stazione di Oswiecim. Impressione che è stata ben presto sovrastata dal pensiero “Quale pena devono aver provato queste persone, anche solo per il freddo?”. Arriva una fitta al cuore immaginandosi milioni di donne, uomini, anziani, bambini….i bambini...al di là di un cancello, di chilometri e chilometri di filo spinato, al freddo, nudi o quasi. E sì, sono concetti praticamente scontati: l’idea del grande campo, del filo spinato, i camici a righe. Ma fino a che non si è lì dentro, pensando che quello stesso terreno su cui camminiamo nel suo silenzio grida e si rivolta per tutto quello che ha dovuto vedere; che “chissà quanti hanno sperato di vedere qualcuno di buono, un salvatore al di là di quel cancello”; quanta libertà è stata violata e quanta dignità violentata. Ecco, solo lì si può capire davvero il senso di quel filo spinato, di quel freddo e delle lacrime che inevitabilmente scendono sui visi di tutti noi. Una delle cose che mi hanno maggiormente colpito è la finezza con cui tutto è stato organizzato e preparato: dalla registrazione estremamente dettagliata di ogni singolo individuo, all’ingresso del campo; alla costruzione delle strutture.

Nel campo di Auschwitz (costruito seguendo la costruzione di una piccola cittadina, dove ogni struttura è a mattoncini rossi) è possibile visitare diversi “block”, adibiti a museo. Ed è qui che si comincia davvero a tremare: capelli, vestiti, valigie, ciotole per il cibo, scarpe. Non si possono contare, non si può avere la minima idea delle proporzioni di ciò che ci si pone davanti agli occhi. “Nessuno che sa di andare a morire porta con sé questa roba”. Fa raggelare il sangue l’idea che le famiglie si erano fatte di una nuova vita, da iniziare proprio in quel luogo. La speranza di andare verso qualcosa di bello, che si è rivelato l’inizio della situazione più tragica mai vissuta da tutto il genere umano.

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E in tutte quelle masse di oggetti, pezzi di vita, sono le scarpine dei bambini, i vestitini, le protesi a scaturire dentro di noi il massimo odio, la rabbia più grande; ma soprattutto l’impotenza, tanto forte da distruggerci. Ringrazio la mia regione per avermi dato l’opportunità di fare questo viaggio, quindi Ugo Caffaz, colui a cui si deve la nascita del Treno. Sono ringraziamenti dovuti perché, come già detto, fino a che non si va in quei luoghi e non si vede, non si tocca con occhi e mani proprie, non si può capire fino in fondo cosa la memoria possa essere. Sarebbe blasfemo affermare che si può capire, anche dopo la visita, quello che le persone hanno vissuto, perché si può solo immaginare, mai comprendere fino alla fine. Credo sia doveroso per la nostra generazione e sempre di più per quelle a venire, andare in questi luoghi e riportare quello che è successo, per non perdere la concezione di una realtà che è stata e che mai più dovrà essere. I testimoni, come le sorelle Bucci, che hanno fatto con noi il viaggio, stanno invecchiando e saremo noi la loro futura voce.

Ritengo, poi, necessario visitare in segno di grande rispetto, come vicinanza a tutte quelle anime lì tormentate, quasi a dire “noi siamo qui, siamo qui per darvi quella voce che vi è stata tolta inutilmente”. Ma non solo: il viaggio permette, a mio avviso, di sensibilizzare tutti coloro che spesso usano parole a sproposito, per ignoranza, come “maledetto ebreo” oppure “che brutto questo posto, nemmeno nei campi di concentramento!” o ancora “puzzi come un nero”. Frasi dette totalmente a sproposito, per convenzione, in situazioni che, ormai, fanno parte della nostra quotidianità: bullismo, razzismo.

Il male è forte e si sconfigge solo conoscendo.  Dico a tutti di fare questo viaggio, come scelta ma anche come dovere morale, perché, come cita Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.


Miria Del Guasta, 23 anni, corso di laurea in Infermieristica

auschwitz abitiLa prima impressione che ho avuto attraversando l’entrata del campo di Birkenau e poi di Auschwitz è stata quella di mettere piede in un luogo congelato nel tempo. La nebbia e il freddo sono stati la cornice perfetta che rendeva l’esperienza ancora più unica nel suo genere: il clima impietoso ti costringeva a chiederti come potessero sopravvivere quelle persone malnutrite e vestite di stracci, mentre noi battevamo i denti nonostante i giacconi pesanti, le sciarpe e i guanti. È incredibile poter osservare gli oggetti appartenuti a coloro che più di settanta anni fa erano arrivati con tutto ciò che possedevano, guardando fiduciosi a un futuro che credevano migliore: vestiti, pentole, padelle, spazzole… tutto ciò che rimane di persone che hanno capito che cosa stava succedendo solo quando ormai era troppo tardi. Solo chi sapeva a cosa andava incontro ha lasciato dietro di sé un segno, come alcuni deportati che hanno inciso il proprio nome sui mattoni di un block. Non dimenticatemi, questo è stato il loro ultimo grido. Ed è esattamente quello che dobbiamo fare: dobbiamo serbare nei nostri cuori il ricordo di questa esperienza, e cercare di farla arrivare a quante più persone possibile.

Camminare su quei viali percorsi da milioni di persone che nulla provavano se non disperazione è un’esperienza scioccante. Ma ciò che più lascia il segno è come appare il cimitero più grande d’Europa: cittadine disabitate, set cinematografici. Perché una persona qualunque pensa a quanto sia incredibile che un uomo abbia ucciso milioni di persone che non avevano alcuna colpa. Viene da pensare che l’autore di questo genocidio sia un pazzo, un mostro... un “qualcosa” al di là di noi. Ma non è così. Quell’uomo era un essere umano, una persona che di sua spontanea volontà ha fatto ciò che ha fatto. Per questo è importante, è fondamentale non permettere più che ciò accada. Capire questa cosa è il fulcro del Treno della Memoria, secondo me.

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