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Salgono a 5, per un totale di 286 posti, le aule studio al chiuso a disposizione delle studentesse e degli studenti dell'Università di Pisa. Da mercoledì, infatti, sarà attiva anche la già annunciata sala di Palazzo Ricci (52 posti). Prevista, inoltre, l'apertura nel fine settimana per le 3 aule dei Poli Piagge, Pacinotti e Porta Nuova per una capienza complessiva di 194 posti.

Nessuna variazione negli orari di apertura che, anche nel weekend, saranno: 8.30-13.30; 14.00-19.00, con mezz'ora di pausa per consentire la sanificazione a metà giornata e garantire così la massima sicurezza degli studenti e il ricambio degli utenti tra mattina e pomeriggio.

Stesso discorso per la prenotazione dei posti che avverrà sulle consuete Agende:

· aula studio Polo Piagge: https://agende.unipi.it/bno-irb-rbh

· aula studio Porta Nuova: https://agende.unipi.it/pxk-vrp-qrs

· aula studio Pacinotti: https://agende.unipi.it/lfm-snn-wpj

· aula studio Pacinotti 2: https://agende.unipi.it/lfm-snn-wpj

· aula studio Fibonacci: https://agende.unipi.it/xop-afl-swa

· aula studio Palazzo Ricci: https://agende.unipi.it/xow-pdb-krs


«Siamo in un momento delicatissimo – commenta il Rettore Paolo Mancarella – in cui, sebbene il quadro epidemiologico ci costringa a nuove limitazioni, grazie alla gestione prudente adottata fino ad ora, che ha consentito agli studenti e al personale di adattarsi alle nuove regole assicurando sempre la massima sicurezza nell'Ateneo, oggi ci è possibile procedere all'apertura di tre aule studio nel fine settimana e all'attivazione di quella a Palazzo Ricci. La volontà dell'Ateneo è di limitare il disagio delle nostre studentesse e dei nostri studenti, che da questa settimana si trovano in numero maggiore a frequentare le lezioni frontali a distanza, a seguito dell'ultimo DPCM. Riusciamo a farlo, perché in questi mesi abbiamo messo in campo tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei nostri ragazzi. Devo aggiungere, però, che se oggi in Ateneo siamo in grado di convivere con il virus, è anche grazie al comportamento consapevole e responsabile che gli studenti hanno saputo tenere e nel quale, ancora una volta, confido».

sistemasigns homeSalgono a 5, per un totale di 286 posti, le aule studio al chiuso a disposizione delle studentesse e degli studenti dell’Università di Pisa. Da mercoledì, infatti, sarà attiva anche la già annunciata sala di Palazzo Ricci (52 posti). Prevista, inoltre, l’apertura nel fine settimana per le 3 aule dei Poli Piagge, Pacinotti e Porta Nuova per una capienza complessiva di 194 posti.

Nessuna variazione negli orari di apertura che, anche nel weekend, saranno: 8.30-13.30; 14.00-19.00, con mezz’ora di pausa per consentire la sanificazione a metà giornata e garantire così la massima sicurezza degli studenti e il ricambio degli utenti tra mattina e pomeriggio.

Stesso discorso per la prenotazione dei posti che avverrà sulle consuete Agende:

«Siamo in un momento delicatissimo – commenta il Rettore Paolo Mancarella – in cui, sebbene il quadro epidemiologico ci costringa a nuove limitazioni, grazie alla gestione prudente adottata fino ad ora, che ha consentito agli studenti e al personale di adattarsi alle nuove regole assicurando sempre la massima sicurezza nell’Ateneo, oggi ci è possibile procedere all’apertura di tre aule studio nel fine settimana e all’attivazione di quella a Palazzo Ricci. La volontà dell’Ateneo è di limitare il disagio delle nostre studentesse e dei nostri studenti, che da questa settimana si trovano in numero maggiore a frequentare le lezioni frontali a distanza, a seguito dell’ultimo DPCM. Riusciamo a farlo, perché in questi mesi abbiamo messo in campo tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei nostri ragazzi. Devo aggiungere, però, che se oggi in Ateneo siamo in grado di convivere con il virus, è anche grazie al comportamento consapevole e responsabile che gli studenti hanno saputo tenere e nel quale, ancora una volta, confido».

L'Università di Pisa partecipa con 3 tecnologie brevettate a Tech Share Day 2020 2020 (TSD 2020), evento completamente in digitale che mette in contatto il mondo della ricerca pubblica con quello delle imprese, degli investitori e degli innovatori, che si svolgerà online dall'11 al 13 novembre.

I brevetti presentati dall'Ateneo e supportati dall'Unità Servizi per il Trasferimento Tcenologico sono: "Nuovi derivati biciclici per la cura di diabete e obesità" (referente il prof. Mauro Pineschi); "Agenti melanocortinici per terapia dei tumori" (referente il prof. Guido Bocci; "Apparato di elettrofilatura e microestrusione" (referente il prof. Giovanni Vozzi).

Tech Share Day 2020 è un evento organizzato da Netval, UIBM e Politecnico di Torino che mira a mettere in contatto esperti e opinion leader dall'accademia, dal mondo dell'industria e da quello degli innovatori, con l'intento di promuovere la collaborazione e stimolare la creazione di sinergie nel campo del biomedicale e delle scienze della vita tra imprese ed università, centri di ricerca ed EPR.

Durante il TSD verranno presentate più di 500 tecnologie, tutte legate al settore del biomedicale e delle scienze della vita, provenienti da oltre 70 dei più importati centri di ricerca e università sul territorio nazionale.

L'evento inoltre renderà possibile un'attività di networking tra i partecipanti che desiderano ingaggiarsi per approfondimenti rispetto a determinate specificità di settore, con l'obiettivo di far crescere i progetti in campo che vogliono diventare soluzioni concrete e raggiungere il mercato.

Il cranio fossile di Paranthropus robustus rinvenuto a Drimolen fa ipotizzare che le condizioni ambientali influirono sul cambiamento

Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution, è stato condotto da un team internazionale di ricercatori tra cui il professor Giovanni Boschian dell’Università di Pisa

 

La scoperta di un nuovo cranio fossile di Paranthropus robustus di circa 2 milioni di anni fa, rinvenuto nel sito paleoantropologico di Drimolen, nella cosiddetta “Cradle of Humankind” presso Johannesburg (Sudafrica), ha portato nuova luce sui processi microevolutivi subiti dalla specie estinta di ominini, che visse probabilmente un periodo di rapido e turbolento cambiamento climatico. Lo studio è stato condotto da un gruppo internazionale di ricerca costituito da membri di University of Johannesburg, La Trobe University di Melbourne, Washington University-St. Louis e Università di Pisa, con la partecipazione di Giovanni Boschian, docente del dipartimento di Biologia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature Ecology & Evolution.

Prima del ritrovamento del nuovo reperto, si credeva che la specie di Paranthropus fosse caratterizzata da un forte dimorfismo sessuale, con individui maschi che presentavano dimensioni corporee e struttura cranica molto superiori rispetto alle femmine, come oggi in gorilla, oranghi e babbuini. Il nuovo fossile, classificato con la sigla DNH 155, è chiaramente appartenuto a un maschio della specie di Paranthropus, ma è di dimensioni minori dei maschi rinvenuti nel vicino sito di Swartkrans, e a sua volta è più grande di DNH 7 “Eurydice”, un individuo presunto femmina trovato sempre a Drimolen alcuni anni fa. Il ritrovamento di DNH 155, chiaramente contemporaneo di DNH 7 e proveniente dallo stesso sito, fa supporre che il dimorfismo fosse molto meno pronunciato e indica che Paranthropus robustus si sia evoluto rapidamente. Infatti Drimolen è di almeno 200.000 anni più antico di Swartkrans, come è risultato da uno studio del medesimo gruppo di ricercatori, pubblicato su Science all’inizio di quest’anno. Drimolen rappresenta quindi una popolazione più arcaica della medesima specie, mentre Swartkrans ne rappresenterebbe una anatomicamente più derivata.

“La nuova scoperta mette in evidenza un sottile cambiamento avvenuto in tempi relativamente brevi durante il processo evolutivo di una specie – spiega il professor Giovanni Boschian – È un caso estremamente raro e difficile da osservare nella documentazione fossile, che è notoriamente molto discontinua e incompleta, soprattutto nel caso degli ominini e che rende particolarmente importante questa scoperta. In questo caso possiamo osservare una piccola finestra spazio-temporale nel processo evolutivo, ovvero ciò che avvenne a una specie, in un’area ristretta e in un breve periodo di tempo”.

Il contesto paleoambientale è un altro aspetto che rende particolarmente importante il ritrovamento. Il periodo intorno a due milioni di anni fa è stato in Africa australe un momento di rapido e quasi turbolento cambiamento climatico che sembra aver causato in Paranthropus robustus cambiamenti anatomici che prima di questa scoperta erano attribuiti al dimorfismo sessuale. Ma l’influenza del cambiamento ambientale, che si manifestò con marcata aridizzazione e raffreddamento del clima, sembra esser stata di portata ben maggiore: “Sappiamo che in questo periodo la comparsa di Paranthropus robustus coincise all’incirca con la scomparsa di Australopithecus e con l’arrivo dei primi rappresentanti del genere Homo in Sudafrica – aggiunge Boschian - Si trattava di una situazione di stress per tutti ma, mentre Australopithecus non resistette, Paranthropuse e Homo adottarono due strategie adattative divergenti: i primi con piccoli cervelli e grandi denti adatti a cibi duri e coriacei, Homo erectus con grande cervello e piccoli denti più adatti a un selezionato cibo tenero”.

Tuttavia lo stress si manifestò attraverso il tempo su Paranthropus, infatti le caratteristiche anatomiche di DNH 155 mostrano che le forme più arcaiche di Drimolen non erano in grado di masticare con una forza pari a quella dei loro successori di Swartkrans. In 200.000 anni si manifestò un processo evolutivo in grado di favorire coloro in grado di nutrirsi di cibo sempre più resistente. Per quanto Paranthropus robustus sembri esser stato le specie dominante nell’area, alla fine però fu Homo a resistere alla pressione selettiva.

DNH 155 è uno dei crani meglio preservati della specie e si unisce al già ricchissimo materiale che Drimolen ci ha restituito e che testimonia l’accuratezza e la perseveranza del gruppo di ricerca nel lavoro sul campo e poi di studio dei reperti, che include lo studio multi- e transdisciplinare di tutti gli aspetti del sito. Recentemente l’Università di Pisa insieme a University of Johannesburg ha ottenuto un grant Erasmus+ KA107 per la mobilità di docenti e studenti che potrà consolidare i rapporti tra gli Atenei e favorire nuove scoperte.
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Nelle immagini:
1. Il nuovo reperto di Paranthropus robustus DNH155 nella ricostruzione virtuale da scan 3D.

2. A sinistra il nuovo reperto di Paranthropus robustus DNH155 (originale), a destra il cranio Paranthropus robustus dell'individuo femminile DNH7 “Eurydice” trovato a Drimolen nei primi anni 2000. DNH155 presenta tratti di maggior robustezza rispetto a DNH7 e soprattutto un’evidente cresta sagittale che serviva ad ancorare i potenti muscoli della masticazione. Foto di G. Boschian.

3. Il team internazionale di ricercatori, da sinistra Giovanni Boschian, Jesse Martin, Andy Herries (La Trobe University), Stephanie Baker (University of Johannesburg), Angelina Leece (La Trobe University), David Strait (Washington Universty).

TSD2020 logo2 650x428L’Università di Pisa partecipa con 3 tecnologie brevettate a Tech Share Day 2020 2020 (TSD 2020), evento completamente in digitale che mette in contatto il mondo della ricerca pubblica con quello delle imprese, degli investitori e degli innovatori, che si svolgerà online dall’11 al 13 novembre.

I brevetti presentati dall’Ateneo e supportati dall’Unità Servizi per il Trasferimento Tcenologico sono: “Nuovi derivati biciclici per la cura di diabete e obesità” (referente il prof. Mauro Pineschi); “Agenti melanocortinici per terapia dei tumori” (referente il prof. Guido Bocci; “Apparato di elettrofilatura e microestrusione” (referente il prof. Giovanni Vozzi).

Tech Share Day 2020 è un evento organizzato da Netval, UIBM e Politecnico di Torino che mira a mettere in contatto esperti e opinion leader dall’accademia, dal mondo dell’industria e da quello degli innovatori, con l’intento di promuovere la collaborazione e stimolare la creazione di sinergie nel campo del biomedicale e delle scienze della vita tra imprese ed università, centri di ricerca ed EPR.

Durante il TSD verranno presentate più di 500 tecnologie, tutte legate al settore del biomedicale e delle scienze della vita, provenienti da oltre 70 dei più importati centri di ricerca e università sul territorio nazionale.

L’evento inoltre renderà possibile un’attività di networking tra i partecipanti che desiderano ingaggiarsi per approfondimenti rispetto a determinate specificità di settore, con l’obiettivo di far crescere i progetti in campo che vogliono diventare soluzioni concrete e raggiungere il mercato.

L’iscrizione a TSD 2020 è gratuita e disponibile al seguente link: https://techshareday.com/. Per info e approfondimenti in merito si prega di contattare Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Per informazioni si può contattare l’Unità Servizi per il Trasferimento Tecnologico all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

DNH155 virtual 900La scoperta di un nuovo cranio fossile di Paranthropus robustus di circa 2 milioni di anni fa, rinvenuto nel sito paleoantropologico di Drimolen, nella cosiddetta “Cradle of Humankind” presso Johannesburg (Sudafrica), ha portato nuova luce sui processi microevolutivi subiti dalla specie estinta di ominini, che visse probabilmente un periodo di rapido e turbolento cambiamento climatico. Lo studio è stato condotto da un gruppo internazionale di ricerca costituito da membri di University of Johannesburg, La Trobe University di Melbourne, Washington University-St. Louis e Università di Pisa, con la partecipazione di Giovanni Boschian, docente del dipartimento di Biologia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature Ecology & Evolution.

Prima del ritrovamento del nuovo reperto, si credeva che la specie di Paranthropus fosse caratterizzata da un forte dimorfismo sessuale, con individui maschi che presentavano dimensioni corporee e struttura cranica molto superiori rispetto alle femmine, come oggi in gorilla, oranghi e babbuini. Il nuovo fossile, classificato con la sigla DNH 155, è chiaramente appartenuto a un maschio della specie di Paranthropus, ma è di dimensioni minori dei maschi rinvenuti nel vicino sito di Swartkrans, e a sua volta è più grande di DNH 7 “Eurydice”, un individuo presunto femmina trovato sempre a Drimolen alcuni anni fa. Il ritrovamento di DNH 155, chiaramente contemporaneo di DNH 7 e proveniente dallo stesso sito, fa supporre che il dimorfismo fosse molto meno pronunciato e indica che Paranthropus robustus si sia evoluto rapidamente. Infatti Drimolen è di almeno 200.000 anni più antico di Swartkrans, come è risultato da uno studio del medesimo gruppo di ricercatori, pubblicato su Science all’inizio di quest’anno. Drimolen rappresenta quindi una popolazione più arcaica della medesima specie, mentre Swartkrans ne rappresenterebbe una anatomicamente più derivata.

La nuova scoperta mette in evidenza un sottile cambiamento avvenuto in tempi relativamente brevi durante il processo evolutivo di una specie – spiega il professor Giovanni Boschian – È un caso estremamente raro e difficile da osservare nella documentazione fossile, che è notoriamente molto discontinua e incompleta, soprattutto nel caso degli ominini e che rende particolarmente importante questa scoperta. In questo caso possiamo osservare una piccola finestra spazio-temporale nel processo evolutivo, ovvero ciò che avvenne a una specie, in un’area ristretta e in un breve periodo di tempo”.

DNH155DNH7 
A sinistra il nuovo reperto di Paranthropus robustus DNH155, a destra il cranio Paranthropus robustus, individuo femminile DNH7 “Eurydice” trovato a Drimolen nei primi anni 2000. DNH155 presenta tratti di maggior robustezza rispetto a DNH7 e soprattutto un’evidente cresta sagittale che serviva ad ancorare i potenti muscoli della masticazione. Foto di G. Boschian. In alto il nuovo reperto DNH155, nella ricostruzione virtuale da scan 3D.

Il contesto paleoambientale è un altro aspetto che rende particolarmente importante il ritrovamento. Il periodo intorno a due milioni di anni fa è stato in Africa australe un momento di rapido e quasi turbolento cambiamento climatico che sembra aver causato in Paranthropus robustus cambiamenti anatomici che prima di questa scoperta erano attribuiti al dimorfismo sessuale. Ma l’influenza del cambiamento ambientale, che si manifestò con marcata aridizzazione e raffreddamento del clima, sembra esser stata di portata ben maggiore: “Sappiamo che in questo periodo la comparsa di Paranthropus robustus coincise all’incirca con la scomparsa di Australopithecus e con l’arrivo dei primi rappresentanti del genere Homo in Sudafrica – aggiunge Boschian - Si trattava di una situazione di stress per tutti ma, mentre Australopithecus non resistette, Paranthropus e Homo adottarono due strategie adattative divergenti: i primi con piccoli cervelli e grandi denti adatti a cibi duri e coriacei, Homo erectus con grande cervello e piccoli denti più adatti a un selezionato cibo tenero”.

ricercatori drimolen
Il team internazionale di ricercatori, da sinistra Giovanni Boschian, Jesse Martin, Andy Herries (La Trobe University), Stephanie Baker (University of Johannesburg), Angelina Leece (La Trobe University), David Strait (Washington Universty).

Tuttavia lo stress si manifestò attraverso il tempo su Paranthropus, infatti le caratteristiche anatomiche di DNH 155 mostrano che le forme più arcaiche di Drimolen non erano in grado di masticare con una forza pari a quella dei loro successori di Swartkrans. In 200.000 anni si manifestò un processo evolutivo in grado di favorire coloro in grado di nutrirsi di cibo sempre più resistente. Per quanto Paranthropus robustus sembri esser stato le specie dominante nell’area, alla fine però fu Homo a resistere alla pressione selettiva.

DNH 155 è uno dei crani meglio preservati della specie e si unisce al già ricchissimo materiale che Drimolen ci ha restituito e che testimonia l’accuratezza e la perseveranza del gruppo di ricerca nel lavoro sul campo e poi di studio dei reperti, che include lo studio multi- e transdisciplinare di tutti gli aspetti del sito. Recentemente l’Università di Pisa insieme a University of Johannesburg ha ottenuto un grant Erasmus+ KA107 per la mobilità di docenti e studenti che potrà consolidare i rapporti tra i nostri Atenei e favorire nuove scoperte.

 

"Un maestro e un amico che rimarrà sempre con noi": il ricordo del professor Alberto Casadei

È scomparso il professor Marco Santagata, docente all'Università di Pisa e illustre studioso di letteratura italiana, che all'attività di storico e di critico della letteratura affiancava quella di narratore.
"Con Marco - ha commentato il rettore Paolo Mancarella - ci lascia un grande intellettuale e un amico generoso. Di lui, oltre al grande sapere, ci mancheranno l'infinita curiosità, il desiderio di conoscere e la sottile ironia. È stato uno dei grandi maestri del nostro Ateneo e il vuoto che lascia difficilmente sarà colmabile. Anche per questo, in segno di riconoscimento, avevo pensato a lui come professore emerito. Adesso, però, è il tempo del cordoglio e l'Università di Pisa si stringe attorno alla sua famiglia in quest'ora così difficile".

Riportaimo di seguito il ricordo del professor Marco Santagata scritto dal suo allievo e amico, il professor Alberto Casadei, ordinario di Letteratura italiana nell'Ateneo pisano.

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Il primo aggettivo che sorge spontaneo, nel cercare di definire Marco Santagata, è senz'altro poliedrico. Marco non si è mai voluto inserire nella schiera degli studiosi che separavano nettamente la loro attività di ricerca da quella legata alla didattica e più in generale alla ricaduta sociale dei propri lavori. Essendosi formato soprattutto nella fase dei grandi sconvolgimenti politici tra anni Sessanta e Settanta, ha sempre considerato l'accademia non una turris eburnea ma un luogo di confronto, spesso di battaglie, sempre all'insegna del rinnovamento e dell'apertura, mai della conservazione fine a sé stessa. Per questo ha aperto strade in territori inesplorati, non solo nell'ambito dell'italianistica.

Certo, il suo percorso dall'amatissima Zocca, dove era nato il 28 aprile 1947, al liceo "Muratori" di Modena e poi a Pisa, studente dell'Ateneo e della Scuola Normale Superiore, lo ha portato inizialmente a seguire linee di ricerca molto consolidate, tra Medioevo e Umanesimo. I suoi primi studi, sulla lirica aragonese e in particolare sulla poesia napoletana del secondo Quattrocento, sfociarono in un solidissimo volume nel 1979, ma furono subito affiancati da altri legati a un modo di studiare Petrarca che funse poi da modello per tanti altri studi specialistici: il suo Dal sonetto al "Canzoniere" (Padova, Liviana, 1979) coniugò i risultati della ricerca filologica e stilistica con quelli del miglior strutturalismo, riuscendo a far cogliere con precisioni gli snodi compositivi che permisero a Petrarca di trasformare progressivamente una raccolta di testi in un macrotesto narrativo coeso e perfettamente bilanciato.

Marco in effetti ha fatto tesoro di molti tipi di approccio alle opere letterarie che venivano praticati a Pisa da maestri e compagni di strada, che fossero docenti illustri quali Mario Fubini, Augusto Campana e Gianfranco Contini, o altri di generazioni successive quali Luigi Blasucci o Francesco Orlando, oppure studiosi magari poco più anziani di lui, come Alfredo Stussi e Umberto Carpi. Ma ha poi trovato rapidamente la sua via, giungendo giovanissimo alla docenza, quasi sempre a Pisa salvo brevi periodi trascorsi a Venezia o Cagliari. Dal 1984, poco tempo dopo il suo arrivo definitivo come ordinario, ha ricoperto l'incarico di Direttore dell'Istituto di letteratura italiana, allora collocato all'ultimo piano di Palazzo Ricci: lì si creò un ambiente ricchissimo di stimoli e di dibattiti, cui partecipavano attivamente le nuove leve, di cui anch'io facevo parte, e ricordo che si parlava a lungo fra noi studenti delle lezioni di Marco o degli altri docenti che seguivamo, ognuna delle quali risultava stilisticamente riconoscibile.

santagata5Tutti comunque aspettavamo il nuovo commento al Canzoniere petrarchesco che, preceduto da altri studi importanti (come I frammenti dell'anima, 1992), uscì per i "Meridiani" di Mondadori nel 1996. Si trattò della definitiva consacrazione dopo un cursus già allora costellato di risultati notevolissimi, fra insegnamenti all'estero (per esempio alla Sorbonne Nouvelle di Parigi, a Ginevra e poi ancora a Nancy, a Città del Messico ecc.), partecipazione a iniziative editoriali e nuove riviste scientifiche, vittorie di prestigiosi premi quali il "Luigi Russo" o il "Natalino Sapegno". Ma in quella stessa fase, tra anni Ottanta e Novanta, Marco ha maturato sempre più la convinzione che era necessario uscire dai confini accademici, innanzitutto per creare nuove opportunità specifiche per gli studi letterari, e inoltre per far arrivare al pubblico dei non specialisti le più recenti acquisizioni interpretative.

Ecco allora il grande progetto di fondare, assieme a numerosi colleghi di tutta Italia, la nuova Associazione degli Italianisti, nata formalmente l'11 maggio 1996 ma in realtà ideata già negli anni precedenti. Dopo il congresso costitutivo a Pisa, rievocato proprio da Santagata durante il XXIII, che si è tenuto di nuovo presso l'Ateneo pisano nel 2019, l'Associazione ha raccolto nel tempo l'adesione di un numero di ricercatori e docenti (pure delle scuole superiori) sempre crescente, segno della sua importanza e vitalità. Per numerosi anni nel ruolo di segretario nazionale, poi come membro del direttivo, Marco non ha mai fatto mancare i suoi suggerimenti e le sue indicazioni per individuare le strategie migliori da adottare sia negli orientamenti della ricerca, sia nelle scelte politiche. A volte con brusca sincerità, ha sempre messo in evidenza i problemi sul tappeto, senza nascondere le manchevolezze dei vecchi programmi didattici o quelle delle risorse destinate specificamente al sostegno e alla diffusione della lingua e della letteratura italiana.

E proprio in questo ambito, grazie a un lungo lavoro di preparazione in sinergia con il Ministero allora della Pubblica Istruzione e con quello degli Esteri, nacquero alcuni dei progetti più innovativi sostenuti da Santagata, come quello (a partire dal 1995) per la creazione di una Biblioteca italiana telematica, per rendere consultabile online il patrimonio di tutta la nostra letteratura, o quello di Italica, campus virtuale legato a RAI-International. E si giunse poi, ufficialmente dal 1999, alla creazione del Consorzio interuniversitario Italian Culture on the Net (ICoN), cui aderirono oltre venti atenei italiani e che produsse la prima laurea triennale interamente telematica, pensata per cittadini non italiani o residenti all'estero. Ricordo ancora il clima di entusiasmo che accompagnò l'avvio del Corso in Lingua e cultura italiana per stranieri, frutto di una stagione forse irripetibile e che ancora molto può insegnare sulle potenzialità dell'e-learning, purtroppo poco sfruttate o addirittura osteggiate anche adesso. Ma intanto, attraverso ICoN, centinaia di studenti in oltre sessanta Nazioni hanno ricevuto una laurea italiana, in virtù di uno studio qualificato e sempre perfettamente certificato; ma pure tanti altri progetti didattici e di aggiornamento di docenti di italiano all'estero sono stati e sono ancora realizzati attraverso il portale italicon.

Ricordo cosa mi disse Marco, quando nel 2001 mi chiamò per collaborare, senza voli retorici e invece con una concreta valutazione delle ricadute sociali e anche economiche che potevano derivare da una scommessa come quella. Le difficoltà sono state tante, ma la scommessa si può adesso considerare vinta, così come altre per le quali abbiamo lavorato fianco a fianco. Una riguardava un manuale per le scuole superiori, intitolato nella prima versione Il filo rosso, uscito per l'editore Laterza anche a nome di Laura Carotti e Mirko Tavoni, da sempre vicinissimi a Marco. La sua proposta per la didattica era forte e forse il sistema scolastico non colse sino in fondo tutte le sue potenzialità; in ogni caso, Marco scrisse per quell'antologia alcune ottime analisi di grandi testi dalle Origini all'Ottocento, nelle quali metteva in pratica i suoi criteri riguardo alla buona divulgazione, già applicati per esempio a Leopardi. Tra anni Novanta del XX secolo e primo decennio del XXI, uscirono anche vari suoi volumi scientifici, sempre portatori di tesi innovative: riguardavano ancora Petrarca e Leopardi, ma pure Foscolo, Pascoli, d'Annunzio, e poi, soprattutto, Dante.

Infatti, mentre faceva fronte a ulteriori impegni universitari e istituzionali, che fra l'altro contribuirono a fargli conferire nel 2002 l'Ordine del Cherubino del nostro Ateneo, Marco si è appassionato allo studio della vita e dell'opera del nostro massimo poeta, facendo tesoro degli studi di Carpi usciti nel 2004. Ecco allora uno studio fondamentale come L'io e il mondo. Un'interpretazione di Dante (Bologna, il Mulino, 2011), seguito dalla fortunatissima biografia Dante. Il romanzo della sua vita (Milano, Mondadori, 2012), che ha raggiunto un pubblico davvero ampio, grazie anche all'uso molto accorto e innovativo dei social, e che è poi stata tradotta in varie lingue straniere. Il Dante di Marco è ricco di contraddizioni, impegnato quasi giornalmente in una lotta politica che lascia numerose tracce nelle sue opere, a leggerle in filigrana. È un Dante un po' pisano, visto che per Enrico VII avrebbe scritto e poi ultimato, forse proprio a Pisa, la Monarchia. In ogni caso, un Dante fuori degli stereotipi, persino quelli derivati dalla lezione di grandi interpreti come Auerbach o Singleton.

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La passione dantesca è proseguita per vari anni, concretizzandosi fra l'altro nella direzione dei Meridiani mondadoriani dedicati alle Opere cosiddette minori (due volumi, 2011-2014), e si è connessa strettamente alla seconda attività letteraria di Marco, quella di narratore in proprio, che lo ha condotto a ottenere prestigiosi riconoscimenti, prima con Il Maestro dei santi pallidi, premio SuperCampiello nel 2003; poi, con l'inserimento nella Cinquina del Premio Strega nel 2015. In questo caso il romanzo era Come donna innamorata, in cui veniva indagata la vita di Dante prima dell'esilio e in particolare il suo rapporto con Guido Cavalcanti. È giusto segnalare le connessioni perché Marco ha più volte dichiarato di riuscire a manifestare molte delle sue idee sui grandi autori tanto con le analisi testuali e critiche, quanto con le sue ricostruzioni narrative. Forse, come capita a chi per molti anni si concentra su un'opera, anche lui sentiva che spesso l'essenziale sfugge a chi si limita a mettere in ordine rigoroso i dati disponibili, e per questo è necessario a volte fare ipotesi 'fuori sacco': ma l'uscire dai pregiudizi e dagli schematismi è stata sempre una prerogativa di Marco.

La narrativa gli serviva pure per ricomporre la sua personale biografia, attraversando vari periodi della storia d'Italia, per esempio in Papà non era comunista (1996) o in Voglio una vita come la mia (2008): rievocazioni spesso ironiche, a volte persino dissacranti, di luoghi comuni sulla politica italiana del secondo dopoguerra e sul 'mitico' Sessantotto. In questi testi si percepisce anche il lato più oscuro di Marco, quello che lo portava a scherzare sulle amarezze e sulla morte: un testo drammatico quale Il movente è sconosciuto (2018) ci dice molto sul pessimismo nascosto sotto una scorza apparentemente coriacea e ironica. Da romagnolo, capisco bene questo sentimento di un emiliano doc quale lui era.

Ma sino all'ultimo Marco ha continuato a proporre nuove interpretazioni, per esempio ancora di Petrarca, cui ha dedicato un'altra narrazione biografica, L'amoroso pensiero (2014), nonché un delicato racconto lungo, Il copista, la cui edizione rinnovata è proprio del 2020. Nel 2019 si era anche avvicinato a Boccaccio, con studi critici ma ancora una volta pure con un saggio in forma di biografia, uscita con il significativo sottotitolo di Fragilità di un genio. E forse proprio con la nota della fragilità, che a volte traspariva dietro le battute e le risate in apparenza piene e convinte di Marco, possiamo chiudere questo già lungo e però troppo breve discorso in ricordo di un maestro e di un amico, che certo non c'è più, eppure rimarrà sempre con noi.

Alberto Casadei
Docente di Letteratura italiana dell'Università di Pisa

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