Elenco scorciatoie

Italia, Portus Pisanus, Vada Volaterrana e Firmum Picenum

Le ricerche di Topografia antica sono finalizzate, mediante studi interdisciplinari ed applicazioni di tecnologie innovative, alla ricostruzione storica di ambiti urbani e territoriali e dei rispettivi contesti paleogeografici. Tali ricerche, strutturate in prospettiva diacronica, si articolano in attività sul campo (ricognizioni archeologico–topografiche, scavi stratigrafici, analisi tecnica di strutture ed edifici antichi), nello studio delle fonti disponibili (letterarie, epigrafiche, archeologiche, numismatiche, archivistiche, toponomastiche) e in studi paleogeografici, applicazioni di tecniche diagnostiche non distruttive (telerilevamento, prospezioni geofisiche), analisi archeometriche dei reperti, elaborazione e visualizzazione dei dati mediante programmi gestionali di ultima generazione. Alle attività sul campo, di norma configurate come lezioni fuori sede, partecipano studenti, dottorandi, specializzandi dell’Università di Pisa e studenti Life Long Learning/Erasmus. Gli ambiti geografici nei quali svolgiamo tali ricerche sono la Toscana nord–occidentale (le città di Pisae e Volaterrae ed i relativi territori), la Liguria (Val Polcevera), le Marche meridionali (Firmum Picenum e relativo territorio), la Corsica (Mariana) e l’Albania (Elbasan). In questa sede presentiamo una breve sintesi delle indagini nella Toscana nord occidentale e nelle Marche meridionali.

Le attività sul campo in ambito pisano–volterrano permettono di ricostruire molti aspetti delle tipologie degli insediamenti, urbani e territoriali, dei paesaggi, della viabilità, delle attività produttive e commerciali. Particolare attenzione viene posta al rapporto intercorrente fra i centri urbani, i territori di afferenza, nei quali si svolgevano cospicue attività economiche, ed i loro sistemi portuali, dei quali Portus Pisanus (periferia nord di Livorno) e Vada Volaterrana (Vada, Rosignano M.mo, LI) costituivano i poli principali. In particolare, nel territorio pisano le ricerche topografiche hanno permesso di individuare un modello di economia integrata, articolato in:

Fig. 1: il conto di atelier da Isola di Miglarino

Fig. 1: il conto di atelier da Isola di Miglarino.

Fra le merci pisane di maggior successo era il vasellame in ”terra sigillata italica“: vasi a vernice rossa, databili dall’età augustea alla metà del II sec.d.C., di cui sono state individuate manifatture a Pisa e nel territorio. Pisa risulta essere fra i principali centri produttori di queste ceramiche, che vennero commercializzate in tutto l’impero romano, ed oltre i suoi confini: ”terra sigillata pisana“, ad esempio, è attestata ad Arikamedu, nell’India sud–orientale. Per quanto riguarda le dinamiche del commercio, è certo che gran parte della terra sigillata pisana venne distribuita in stretta connessione con l’annona militare e dunque in regime di commercio statalmente diretto. Tale vasellame risulta abbondantemente attestato anche in contesti civili, in tutto l’impero, in accordo con gli studi più recenti, che prospettano un’economia romana non necessariamente legata ad esigenze stataliste, di annona militare o civile, ma aperta anche alle dinamiche del libero mercato. L’enorme volume di questa produzione può essere delineato grazie ad un conto di atelier rinvenuto nel centro manifatturiero di Isola di Migliarino (fig. 1): un frammento di vaso su cui è graffito un elenco di nomi di ceramisti con il numero ed il tipo di vasi da loro manufatti ed inseriti per la cottura in una fornax minor, gestita dalla ditta a firma Sextus Murrius Festus: coppe, piatti, zuppiere per un totale di 2630 esemplari. Calcolando per questa fornax minor, secondo le tradizioni artigianali di età romana, 12 infornate all’anno (2 al mese nel periodo aprile–settembre) si arriva ad una cottura annua minima di 31.000 vasi. Moltiplicando tale produzione annua minima per i 90 anni di attività accertati per la ditta sulla base di dati archeologici ed epigrafici, si giunge al numero di 2.790.000 vasi prodotti in una fornace di Sex. Murrius Festus, che era soltanto uno dei numerosi ceramisti operanti in ambito pisano. Data l’importanza della produzioni ceramiche pisane, in collaborazione con il DipTerRis della Università di Genova e con il Laboratoire de Céramologie, CNRS, Lyon, abbiamo effettuato una mappatura archeometrica (minero–petrografica e chimica) dei materiali rinvenuti nei centri di produzione locali e delle ceramiche di importazione particolarmente significative dai territori in corso di studio. Tale schedatura, confluita nella Banca Dati Analisi Archeometriche istituita presso il nostro Laboratorio, ed attualmente costituita da circa 600 campioni analizzati, dato il suo collegamento con i principali Laboratori europei costituisce un efficace ausilio per la studio della circolazione delle ceramiche pisane e per l’identificazione della provenienza delle merci di importazione.

Portus Pisanus e il sistema portuale di Pisa antica.
Ricerche interdisciplinari nella fascia costiera nord–etrusca ci hanno permesso di delineare l’avanzamento della linea di riva dal IX/VIII sec.a.C. al 1830 circa, evidenziando le relative cause naturali e antropiche; sono state inoltre condotte indagini sulla paleoidrografia del sistema fluviale Arno–Serchio, sui siti archeologici interpretabili come porti e⁄o approdi.

Il principale scalo del distretto, definito Portus Pisanus da fonti di età tardoantica, era ubicato a sud di Pisae, in un’area oggi occupata dalla periferia settentrionale di Livorno e ben collegato alla città da vie d’acqua e di terra, in particolare dalla via Aurelia.

Molteplici scali sia marittimi (S. Rocchino; Isola di Migliarino) che fluviali (S. Piero a Grado, presso la foce dell’Arno; Pisa – Staz. FF.SS. S. Rossore, Campo) integravano le attività del porto principale. Il rinvenimento, alla periferia Nord–Ovest di Pisa, presso la stazione ferroviaria di Pisa–San Rossore, di numerose imbarcazioni fluviali con materiali databili dal V sec. a.C. al VII sec. d. C. ha fornito cospicui dati sulla navigazione nelle acque interne. I porti nord–etruschi risultano ben inseriti nelle rotte antiche: a giudicare dagli elementi naturali che condizionavano la marineria (venti, correnti, brezze termiche) dai porti nord–etruschi si poteva agevolmente navigare lungo costa, sia in direzione Sud, verso Roma, sia in direzione Nord, verso la Gallia ed oltre (le coste iberiche); la prossimità dell’Arcipelago Toscano e della Corsica, inoltre, favoriva l’inserimento nelle rotte di altura verso il Mediterraneo occidentale.

Un recente progetto che comprende ricerche archeologiche e paleogeografiche integrate (con studio dei carotaggi e dei relativi indicatori biologici e con datazioni radiometriche) ha permesso di ricostruire le vicende storico–topografiche dell’area, dal V sec.a.C. al Medioevo.In particolare, è stato portato in luce un settore del fondale del bacino, frequentato almeno a partire dal V sec. a. C., e soprattutto nel II–I sec. a.C.

Nelle vicinanze forse era ubicato anche l’approdo Labro citato da Cicerone (Erat… iturus… ut aut †labrone† aut Pisis conscenderet.Cic. Ad Q. fr. 2, 5 (56 a.C.).

Le più antiche attività di import–export (fine VI–V sec.a.C.) sono documentate dal rinvenimento di anfore vinarie samie ed etrusco meridionali e di ceramiche locali. Nei secoli seguenti sono attestate consistenti importazioni dall’area campano–laziale (anfore vinarie, vasellame da simposio e da cucina: olle, tegami, pentole e coperchi), mentre i prodotti locali sono rappresentati soprattutto da anfore vinarie di produzione locale.

In età tardo–repubblicana allo sviluppo dei traffici portuali sembra corrispondere il grande incremento delle attività produttive dell’hinterland: in questa fase Pisae, città foederata di Roma, rivestiva un ruolo strategico importante –militare ed economico– come piazzaforte nelle guerre di espansione verso il Nord–Ovest, ed in particolare nelle guerre contro i Liguri.

Fig. 2: Portus Pisanus (periferia nord di Livorno), edificio commerciale in corso di scavo.

Fig. 2: Portus Pisanus (periferia nord di Livorno), edificio commerciale in corso di scavo.

Nel retroterra di Portus Pisanus, sulle bassi pendici e nelle aree pianeggianti ancora oggi destinate ad uso agricolo (cereali e vite), mentre i settori più elevati sono coperti da boschi, le ricognizioni hanno permesso di individuare un fitto popolamento rurale ed un vero e proprio distretto manifatturiero con alcuni centri polifunzionali per la produzione di mattoni, tegole, anfore vinarie e vasellame di uso comune (soprattutto recipienti per il servizio e lo stoccaggio di liquidi).

A Portus Pisanus il bacino in uso in età tardo–repubblicana, progressivamente colmato da depositi di posidonia e sabbia, risulta non più navigabile nel I sec.d.C.: i dati geomorfologici ed archeologici concordano nell’indicare il progressivo spostamento verso sud–ovest dell’area portuale, che rimarrà attiva nel corso del medioevo. Circa 400 m a sud–ovest del bacino di età repubblicana è stato portato in luce un settore di un horreum databile dal I al V sec. d.C. (fig. 2).

In accordo con le fonti letterarie e con i rinvenimenti effettuati a Pisa e nel suo territorio, il distretto risulta inserito nelle principali dinamiche commerciali mediterranee per tutta l’antichità ed oltre.

Vada Volaterrana
Principale porto di Volaterrae, secondo l’Itinerarium Maritimum era ubicata a 25 milia da Populonium e a 18 da Portus Pisanus, in corrispondenza della moderna Vada, che ne conserva il toponimo, poco a nord della foce antica del fiume Cecina, la cui valle costituiva un rapido collegamento fra Volaterrae e la sua costa.

Fig. 3: area archeologica in località San Gaetano di Vada (Livorno).

Fig. 3: area archeologica in località San Gaetano di Vada (Livorno).

In loc. S.Gaetano, circa 1,5 km a nord dall’attuale centro di Vada, abbiamo in corso di scavo un quartiere adiacente all’area portuale di età romana. Esso venne edificato con unità progettuale alla fine del I sec. d.C. e restò in vita sino ai primi decenni del VII secolo. Sono stati portati in luce (fig. 3) due complessi termali (A, D), un horreum (magazzino: B), un’aula con funzioni commerciali e di rappresentanza (C), una fontana monumentale (E) ed una schola (F : sede di un collegium di lavoratori connessi con le attività portuali).Nel settore meridionale dell’area sono un edificio triabsidato di notevole impegno architettonico (G) ed un complesso (H) , nel quale erano anche strutture di servizio (vasche ed una fornace⁄ essiccatoio) funzionali alle attività del porto.

Gli edifici presentano ristrutturazioni (ampliamenti, cambio d’uso di ambienti, ripavimentazioni) effettuate sia nella media età imperiale, sia nel tardo–antico, dopo una fase di parziale abbandono dell’area, durante la quale numerose sepolture occuparono parte delle strutture. Uno degli scheletri pertinenti a tali sepolture, sottoposto ad analisi C 14, ha restituito la datazione 267–377 d.C., prezioso terminus post quem per la cronologia delle ristrutturazioni tarde. Gli edifici, e soprattutto i complessi termali, presentano particolarità architettoniche di prestigio (rivestimenti in marmi di provenienza mediterranea; intonaci dipinti di accurata fattura). Si segnala inoltre il rinvenimento di una statua della divinità Attis (fig. 4), databile alla prima metà del II sec. d.C., di marmo e probabilmente di bottega microasiatici, che in epoca tardo–antica venne intenzionalmente distrutta e gettata nel frigidarium delle grandi terme.

Fig. 4: statua di Attis da San Gaetano di Vada.

Fig. 4: statua di Attis da San Gaetano di Vada.

Nel corso del VI sec. l’area di S. Gaetano venne progressivamente abbandonata ed occupata parzialmente da una necropoli, le cui sepolture hanno restituito notevoli oggetti di ornamento personale, databili fra la fine del VI e i primi decenni del VII sec. d.C.

I rinvenimenti di anfore, vasellame, monete, marmi documentano intense attività commerciali per tutto l’arco di vita del quartiere: qui giungevano merci dall’intero bacino del Mediterraneo, che dal porto venivano redistribuite nell’hinterland e a Volaterrae, e confluirono i prodotti locali per la commercializzazione transmarina.

Come a Portus Pisanus, anche nel retroterra di Vada Volaterrana le ricognizioni evidenziano un fitto popolamento rurale, articolato in villae, fattorie ed in distretti produttivi specializzati nella produzione di vasellame e soprattutto di anfore vinarie. Un insediamento rurale, identificato come fattoria di piccole dimensioni, è in corso di scavo in loc. Monte Bono (Guardistallo, PI). Il sito, individuato da ricerche di superficie, è ubicato presso la confluenza del fiume Sterza nel Cecina, a circa 10 km dalla costa. A giudicare dai materiali rinvenuti, la fattoria fu attiva fra la tarda repubblica e gli inizi del II sec. d. C.; numerosi dolia documentano consistenti attività di lavorazione e stoccaggio di derrate alimentari. Evidentemente la fattoria produceva un surplus ed era inserita in un’economia di mercato, come dimostra l’importazione di vasi da Pisa e di olio dal sud della Spagna.

I rinvenimenti di Monte Bono confermano la stretta interdipendenza fra il porto di Vada Volaterrana ed il suo retroterra. L’integrazione delle varie attività economiche (agro–silvo–pastorali, manifatturiere e commerciali) e dei diversi sistemi insediativi (città, centri minori e popolamento rurale), la rete sistemica in atto fra Volterrae, Vada Volaterrana ed il loro territorio determinò la prosperità del distretto sino agli inizi del VII sec. d.C., periodo in cui nella Tuscia costiera, il mondo romano si trasformò in Medioevo.

Firmum Picenum
Nell’ambito del South Picenum Survey Project condotto nel territorio di Firmum Picenum, colonia latina del 264 a.C., il cui ager viene generalmente identificato fra le vallate dei fiumi Tenna ed Aso, vengono raccolti ed elaborati dati significativi sui paesaggi antichi, in prospettiva diacronica dall’età del Ferro all’alto–medioevo (fig. 5).

Particolare attenzione poniamo alla paleogeografia, alla tipologia e distribuzione del popolamento, alle attività produttive (agro–silvo–pastorali e manifatturiere) e commerciali.

Firmum Picenum costituiva il centro politico ed amministrativo; il principale porto era il Castellum Firmanum, noto dalle fonti letterarie a partire dall’età augustea e che le nostre ricerche hanno permesso di identificare alla foce antica del fiume Ete. Su Castellum Firmanum è risultato incardinarsi un efficace sistema di porti⁄approdi minori situati allo sbocco dei corsi d’acqua e correlato con una capillare rete viaria costituita da diverticoli della via Salaria e dei relativi raccordi.

A giudicare dai risultati delle ricognizioni e dai dati archeologici, nel periodo piceno (IX–III sec.a.C.) il territorio non risulta sfruttato sistematicamente e su larga scala; la ricchezza derivante dal surplus agricolo, manifatturiero e commerciale era gestita e tesaurizzata da oligarchie locali. Il processo di romanizzazione produsse sostanziali mutamenti negli assetti economici e sociali : in particolare a partire dal II–I sec. a.C. il paesaggio risulta caratterizzato dalla presenza di villae di grandi dimensioni, poi affiancate da fattorie connesse alle deduzioni agrarie di età triumvirale (ultimi decenni del I sec. a.C.). Fonti letterarie, epigrafiche ed archeologiche documentano che la vite era la cultura specializzata di maggior successo: essa si inseriva in un paesaggio caratterizzato da culture diversificate e ben integrate, che garantivano un’alta produttività economica ( in particolare cereali, pere, mele, olive da tavola).

Fig. 5: territorio di Fermo: archeologiche.

Fig. 5: territorio di Fermo: archeologiche.

Alle attività agricole si associava l’allevamento, soprattutto di maiali e di ovini, la cui lana alimentava la produzione tessile, privata e professionale . La pesca, la caccia, lo sfruttamento delle aree paludose e incolte dovevano rappresentare ulteriori attività reddittizie per l’economia di Firmum e del suo territorio.

Data la solidità delle strutture agrarie fermane, il paesaggio presenta forti elementi di continuità sino alla conquista longobarda (fine VI sec. d.C.).

Marinella Pasquinucci e Simonetta Menchelli
pasquinucci@sta.unipi.it
s.menchelli@sta.unipi.it