Egitto, la regione del Fayum
L’ingresso dell’Università di Pisa nell’archeologia “militante” in territorio egiziano è avvenuta nel 1966, quando Edda Bresciani fu chiamata a riaprire, come direttore di una missione congiunta milanese–pisana, gli scavi dell’Istituto di Papirologia dell’Università di Milano nel Fayum, a Medinet Madi. Fino al 1977 le ricerche nel Fayum, ad Assuan e a Tebe Ovest facevano capo, dal punto di vista amministrativo, all’Università di Milano; da allora tutti i cantieri di scavo, compreso quello di Saqqara, sono concessioni dell’Università di Pisa
Il Fayum è una depressione geologica che forma un’oasi nel deserto libico a occidente della Valle del Nilo. Ha testimonianze di insediamenti umani dal paleolitico e dal neolitico, ma è più nota per i numerosi villaggi di epoca greco–romana che hanno restituito una massa enorme di papiri greci e demotici, documentari e letterari, oltre a importante documentazione archeologica e urbanistica.
In questa regione la missione pisana diretta dalla prof.ssa Bresciani ha operato regolarmente nei siti archeologici di Kom Madi e Khelua, e a Medinet Madi – Narmuthis dove gli scavi sono ancora in corso.
Uno dei leoni del dromos scoperto quest’anno
Kom Madi
Tra il 1978 e il 1979 gli scavi a Kom Madi, un’area che appare essere una necropoli ellenistica, situata a circa un chilometro da Medinet Madi, portarono alla scoperta di una cappella di culto dinastico, edificata con mattoni crudi e decorata da importanti pitture murali che restano ancora senza paralleli. Le pitture che ornano le pareti della corte e del sacello sono databili al I secolo a.C.: i soggetti rappresentati sono in parte religiosi e tipicamente egiziani e comprendono Osiride affiancato dalle dee Iside e Nefti; l’allevamento degli
ibis sacri al dio Thot, e la presentazione del titolare della cappella di culto a differenti divinità.
Altre pitture sono in stile greco–egiziano e rappresentano tematiche del tutto originali: un offerente che versa vino sopra un altare a corna, mentre un officiante esegue il sacrificio di un toro rosso; il cocchio di una divinità solare trainato da pantere alate all’inseguimento di animali del deserto; una parata militare che accompagna un personaggio vestito da lunga tunica ornata di ricami e pietre preziose. La veste “orientale” della figura, la testa cinta da diadema, il volto e lo sguardo levati in alto, permettono di proporne l’identificazione con Alessandro Magno, al quale la cappella può essere stata dedicata per volontā dei sovrani Lagidi.
La cappella dipinta è stata oggetto di opere di conservazione e di protezione, le pareti sono state integrate e un tetto è stato posto a copertura.
Oltre alla cappella di culto dinastico, sono stati riportati alla luce un tempio dedicato al dio Anubi, e una cappella che un’iscrizione demotica identifica come dedicata a Imhotep, dio della medicina che i Greci assimilavano ad Asclepio; nella corte dell’Asclepieion è un altare in mattoni perfettamente conservato.
Khelua
Negli anni 1992–1994 l’Università di Pisa ha fatto importanti scoperte nella necropoli di Khelua, un sito archeologico
posto presso il margine sud–occidentale dell’oasi del Fayum. L’area monumentale, scavata nella falesia calcarea, comprende due grandi tombe contigue, che comunicano con una entrata interna. La prima, e la più grande, delle tombe ha potuto essere attribuita al principe e governatore Uage grazie alle iscrizioni che accompagnano i rilievi. La seconda, priva di iscrizioni, era forse destinata alla madre di Uage, il cui nome Nebetmut è fornito dai testi del figlio. Le due tombe, simili nella struttura e per alcune caratteristiche tipologiche, sono crollate in epoca antica, forse a causa di un terremoto.
Il vestibolo della prima tomba era sorretto da dodici pilastri costruiti con blocchi tagliati, parzialmente conservati. Accanto al muro di fondo del vestibolo, si trovano le basi e i piedi di sei statue monolitiche, raffiguranti il principe Uage; i corpi acefali delle statue giacevano al suolo, ognuna accanto alla sua base. Le statue sono di altezza decrescente, dal centro verso gli angoli della sala, allo scopo di ottenere una prospettiva allargata dello spazio. Questo sistema ingegnoso non era stato finora documentato per nessuna epoca della civiltà egiziana. La sala seguente è un grande ambiente ipogeo, il cui soffitto era una volta sorretto da dodici pilastri decorati con la figura del proprietario della tomba su ognuno dei lati. I testi geroglifici che accompagnano le immagini del defunto elencano una serie di importanti titoli sacerdotali e di corte che descrivono il proprietario della tomba fra l’altro come: «Principe e governatore, amico unico, cancelliere del Re del Basso Egitto, confidente del suo Signore, capo dei profeti del Tempio di Sobek». Dalla sala a pilastri si accede al pozzo funerario, che dà accesso a tre stanze sotterranee, già depredate in epoca antica.
Uno dei leoni del dromos scoperto quest’anno
Medinet Madi
Il tempio di Medinet Madi fu portato alla luce tra il 1935 e il 1939 dal milanese Achille Vogliano. Si tratta del solo tempio di culto del Medio Regno (II millennio a.C.) conservato in Egitto, completo di testi e di sculture. Il piccolo tempio era stato fondato assieme al villaggio chiamato Gia dal faraone Amenemete III, nel quadro delle misure prese dai sovrani del Medio Regno per accrescere le risorse agricole del Fayum.
Il tempio era dedicato, oltre che a Sobek, anche a Renenut, la dea Cobra, signora delle messi e dei granai e protettrice del faraone, che fu poi assimilata in epoca tarda con la dea Iside sotto il nome di Iside–Thermutis. Il nome della dea dette origine al toponimo Narmuthis «La città di Renenut» in uso durante l’epoca greco–romana.
Il fondatore Amenemete III e il suo successore Amenemete IV sono rappresentati in bei rilievi sui muri del tempio, che comprende una sala ipostila con due colonne e una sala trasversale con tre celle. Il tempio originario fu restaurato e ampliato in direzione sud e nord durante l’epoca tolemaica. Probabilmente sotto il regno di Tolomeo II furono aggiunti tre cortili, un vestibolo e un altro tempio appoggiato sul lato nord, che furono tutti circondati da uno spesso ed alto muro di mattoni crudi con un grande portale a sud e a nord. Sugli stipiti dell’ingresso della prima corte, Achille Vogliano trovò incisi i quattro inni in greco composti attorno alla fine del I secolo a.C. da Isidoro, un egiziano grecizzato, in onore di Iside–Thermutis e del fondatore del tempio Amenemete III.
Dal vestibolo del tempio un lungo dromos, o via processionale, fiancheggiato da sfingi conduceva in direzione sud a un chiosco monumentale. L’area oltre il portale secondario a nord è stata modificata in epoca romana con l’aggiunta di una grande piazza porticata (50 x 30 metri), di rilevante interesse archeologico.
Le ricerche delle campagne archeologiche 1997–2004 in collaborazione con l’Università di Messina–Cattedra di Papirologia, hanno portato alla scoperta, sulla collina che sovrasta il complesso templare scoperto dal Vogliano, di un nuovo tempio di epoca tolemaica, denominato tempio C. L’edificio, dedicato al culto di due coccodrilli, misura 16,50 x 12 metri, è orientato est–ovest e costruito in mattoni crudi con elementi architettonici in calcare.
Uno dei leoni del dromos scoperto quest’anno
Una struttura collegata col tempio ha fornito la più singolare delle scoperte: un ambiente con volta a botte, integro, utilizzato per l’incubazione delle uova di coccodrillo e l’allevamento, in una speciale vasca a gradini, dei piccoli sauriani sacri destinati ad essere uccisi, mummificati e ceduti ai pellegrini devoti di Sobek.
Contemporaneamente allo scavo del tempio C, le missioni archeologiche degli anni 2000–2004 sono state dedicate allo scavo, al rilievo e al restauro del quartiere a sud del tempio. Sono stati riportati alla luce un gruppo di edifici costruiti sul pendio della collina che sovrasta la via processionale del tempio, e caratterizzati in alcuni casi dalla presenza di grandi ambienti preceduti da pilastri e decorati con pitture parietali, tipologicamente affini al secondo stile pompeiano, databili al II–III secolo d.C. Tutti gli edifici di questo settore erano accessibili mediante una scala esterna ed erano dotati di cantine con volte a botte.
Non tutti gli edifici scavati sono da interpretare come abitazione private, ma piuttosto come sedi di confraternite religiose, alcune come archivi o biblioteche. Negli scavi sono stati rinvenuti frammenti di testi greci e demotici, vasellame di varie forme e tipologie, numerosi frammenti di vasi in vetro e faience e una bella testa maschile in terracotta.
L’area del tempio coi suoi annessi è senza dubbio la parte più significativa di Medinet Madi. Tuttavia le ricerche della Missione pisana si sono estese anche ad altri settori del sito archeologico, in particolare l’area alle pendici sud–orientali della collina del tempio, occupata dal villaggio di epoca tardo romana e copta (III-VII d.C.). L’area è stata esplorata sistematicamente negli anni 1984–1990 e sono state scoperte e rilevate dieci chiese di V–VI d.C., a pianta basilicale, alcune di imponenti dimensioni e ricche di sculture. Fra i reperti ritrovati durante gli scavi sono da segnalare le pagine di un codice copto del VI d.C.
Nel 2007 è stata fatta la scoperta di grandissima importanza del castrum romano di Narmuthis, di epoca dioclezianea (fine del III d.C.), nominato nella Notitia Dignitatum. Il castrum di Narmuthis è l’unico campo militare del Fayum, oltre a quello già noto di Qasr Qarun.
Costruito in mattoni crudi, il castrum presenta una pianta quadrata (50 x 50 metri circa); le mura, spesse 3,80 metri, sono rinforzate agli angoli da quattro torri a sezione quadrata, e da una torre circolare al centro del muro ovest. Il castrum ha due ingressi, quello principale a nord e uno secondario a sud; al centro dell’accampamento stanno i resti delle caserme che accoglievano i militari della Cohors IV Numidarum.
All’interno del castrum, nell’area adiacente all’ingresso meridionale, è stata individuata e scavata una grande cisterna (3,35 metri di lato) tagliata nella roccia e chiusa da una copertura a volta in mattoni cotti, che era destinata all’approvvigionamento idrico di tutto l’accampamento. La cisterna era rifornita da un complesso sistema di canalizzazioni che si collegava al sistema idrico (scavato nella roccia e con copertura a cappuccina o orizzontale realizzata in blocchi di calcare) che forniva l’acqua al villaggio e ai terreni agricoli circostanti; anche il sistema idraulico č stato studiato e pubblicato.
Progetto di Cooperazione italo–egiziana a Medinet Madi
La grande novità per la vita archeologica di Medinet Madi è data dall’attivazione che viene portata a termine in questi
mesi di un importante progetto di Cooperazione sostenuto dal nostro Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo.
Uno dei leoni del dromos scoperto quest’anno
La direzione scientifica del progetto ISSEM (Egyptian–Italian Environmental–Cooperation Program: Institutional Support to Supreme Council of Antiquities for Environmental Monitoring and Management of Cultural Heritage Sites) comprende per la parte egiziana il dottor Zahi Hawass, segretario generale dello SCA, e Edda Bresciani, Professore Emerito di Egittologia dell’Università di Pisa, accademico dei Lincei, per l’Ateneo pisano–dipartimento di Scienze storiche del mondo antico.
Il programma – la cui direzione tecnica è assicurata da due esperti egiziani e da due italiani – ha previsto la liberazione della sabbia da tutta l’aerea sacra, da nord a sud, calcolandone l’estensione per il collegamento con l’accesso da sud dei visitatori. Tale operazione ha dato risultati insperati in quanto ha aggiunto tutto un nuovo settore a sud del primo chiosco portato alla luce da Achille Vogliano: un nuovo dromos sacro, un nuovo chiosco in stile greco con un altare intatto, cinque leoni lungo il dromos, di cui quattro su zoccolo e una leonessa di fattura eccezionalmente realistica, coi suoi leoncelli. Il nuovo dromos termina con strutture a gradoni, rampe, per finire con un altare da olocausto. Tre iscrizioni greche dedicatorie del dromos non sono l’elemento di minore importanza della nuova Medinet Madi.
Altro elemento importante, è l’inserimento dell’area archeologica di Medinet Madi nell’area naturalistica protetta di Wadi El Rayan con la quale sarà collegata da una pista nel deserto. L’Area Sacra dell’antica cittā sarà aperta al pubblico, che potrà fruire di un Visitor Center. Attualmente si portano a conclusione impegnativi lavori di restauro e protezione degli edifici.
L’area archeologica di Medinet Madi rappresenterà il primo parco archeologico e naturalistico dell’Egitto; è questo uno dei principali obbiettivi del progetto di cooperazione italo–egiziana, tenendo anche presente che l’apertura al pubblico del parco archeologico di Medinet Madi costituirà certamente un importante fattore per un turismo sostenibile e per lo sviluppo socio–economico del Fayum.
Edda Bresciani e Flora Silvano
bresciani@sta.unipi.it
silvano@sta.unipi.it