Oman, il sito di Salut
Nel 2004, dopo che la missione dell’università di Pisa lavorava ormai da alcuni anni a Khor Rori, le autorità omanite chiesero ad Alessandra Avanzini di iniziare un progetto finalizzato alla comprensione, protezione e valorizzazione del sito di Salut, nella regione di Bahla, vicino alla città di Nizwa. Salut è un luogo importante nella storia omanita; è ricordato in varie narrazioni storiche, in particolare nel Kitab al–ansab dello storiografo arabo Al–‘Awtabi (XI secolo d.C.).
Un paio di episodi possono essere citati, che forniscono la cifra dell’antichità e del carico di significati culturali attribuiti dalla tradizione araba all’insediamento di Salut.
Il primo episodio, che si inserisce nei racconti dei viaggi del re Salomone, pone la nascita delle fortificazioni situate in cima alla collina di Salut in un tempo antichissimo ed in circostanze misteriose. Il re di Israele giunge infatti ai piedi di una fortezza di eccezionale possanza e solidità, perfettamente conservata nonostante secoli di abbandono, di cui nessuno conosce l’origine o chi ne fosse stato il costruttore: a narrare la vicenda del sito a Salomone sarà un aquila, l’unico abitante di Salut.
La città di Sumhuram e il territorio di Khor Rori
È importante sottolineare che Salomone è profondamente legato alla storia ed al territorio omanita; egli è infatti ritenuto il realizzatore di una vasta rete di aflaj, le canalizzazioni sotterranee che ancora oggi sono alla base della tipologia insediativa incentrata sul modello dell’oasi. Un valore fondante per la attuale identità omanita, in particolare per la storia “araba” del paese, è rivestito anche da un secondo episodio, collocato in un tempo ed in un contesto totalmente differenti e riguardante la piana di Salut.
L’epica battaglia campale, combattuta a Salut tra Malik Bin Fahm al–Azdi ed i Persiani, segna infatti l’inizio dell’arabizzazione dell’Oman, con Salut che diviene il palcoscenico sul quale il re arabo dà prova del suo eroico coraggio e del suo acume guerriero. La battaglia di Salut segnerà la fine della migrazione della tribù degli Azd, iniziatasi in Yemen, e l’inizio del loro dominio sul paese, per la prima volta governato da una dinastia araba.
Spesso le leggende hanno una base di verità, Salut è un luogo storicamente ed evocativamente importante, fondamentale per gli inizi di una storia omanita.
Gli scavi
L’Università di Pisa ha al momento completato nove campagne di scavo sul sito, dopo una preliminare ricognizione
condotta nella primavera del 2004. La vista offerta da Salut è oggi nettamente differente rispetto all’inizio dei lavori, con la sua monumentalità che finalmente inizia ad emergere dalle macerie che la soffocavano.
Sulla piccola collina di Salut le persistenze archeologiche testimoniano fasi di occupazione notevolmente differenti tra loro sia come cronologia sia come modalità: ad alcuni resti riferibili ad una sepoltura dell’Età del Bronzo (Bronzo Antico – III millennio a.C.), si sovrappongono almeno due fasi insediative collocabili tra la seconda metàdel II e la metà del I millennio a.C. (Età del Ferro I–III). Un villaggio islamico vi fu costruito nel XII secolo d.C. e insediamenti islamici continuano fino a tempi a noi vicini, come testimonia la piccola casetta costruita in cima alla collina dal nonno dell’attuale proprietario del terreno. La regione di Bahla, nella quale si inserisce Salut, è un’area di lunga storia, estremamente ricca dal punto di vista archeologico.
Le prime ricognizioni archeologiche sistematiche nel Sultanato dell’Oman furono condotte nei primi anni ‘70; in primo luogo erano ricercate conferme alla corrispondenza tra l’Oman e la terra di Magan, citata nei testi cuneiformi mesopotamici già nel III millennio.
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Tra queste, l’indagine condotta dall’Università di Harvard fu una delle prime a documentare un cospicuo numero di siti del III millennio in Oman, mostrando come lo wadi Bahla fosse un’area nella quale insediamenti e sepolture del Bronzo Antico erano ancora ben preservati. Altri siti coevi furono individuati nel 1974–75 da Beatrice de Cardi. Dal 1980 ad oggi, lo wadi Bahla è stato al centro di un progetto sviluppato dall’Università di Birmingham, mirato alla ricostruzione del paesaggio e del sistema insediativo del Bronzo Antico.
In questo wadi, non lontano da Salut, si conoscono attualmente cinque torri risalenti al Bronzo Antico, costruite su piccoli rilievi rocciosi; nello wadi Sayfam, dove si trova Salut, se ne contano quattro, situate nella piana.
Durante le campagne del 2007 sono stati portati parzialmente alla luce, sul punto più alto della collina di Salut, i resti di un’ampia struttura circolare, interpretabili come le fondazioni di una tomba del Bronzo Antico. Nel 2008 inoltre tutta la porzione ancora rimanente della tomba è stata messa in luce, fornendo la possibilità di valutarne le dimensioni e mostrando chiaramente la struttura a muri concentrici. I resti parziali di due inumazioni sono stati rinvenuti al suo interno. Una delle due inumazioni conservava un numero di ossa lunghe sufficienti a stabilire che il corpo era stato deposto in posizione rannicchiata, oltre ad una serie di reperti che si possono attribuire al corredo del defunto, tra i quali alcuni vaghi in pietra dura, uno spillone di bronzo ed una testa di mazza litica.
Ad oggi non ci sono tracce a Salut e nell’area circostante di un’occupazione databile agli inizi del II millennio: l’area fu abbandonata dopo il Bronzo Antico, forse a causa di un impoverimento delle risorse idriche. Il periodo del Ferro rappresenta un periodo di ripresa o di crescita del popolamento nell’Arabia sud–orientale nonché, da molti punti di vista, una netta cesura rispetto al Bronzo Antico. Le torri, fulcro degli insediamenti del Bronzo, non caratterizzano più i siti del nuovo periodo, che mostrano al contrario un modello organizzativo più aperto, basato sul villaggio. Uno dei motivi principali per questi nuovi insediamenti e per la loro localizzazione è l’introduzione del falaj. L’edificazione del sito di Salut, quindi, analogamente agli altri siti del Ferro, rappresenterebbe una rioccupazione su larga scala dell’area.
Le datazioni mediante 14C ottenute a Salut indicano che il sito venne fondato agli inizi del periodo del Ferro I (ca. 1300 a.C.), per poi continuare attraverso il Ferro II e III. La quantità di frammenti ceramici attribuibili al Ferro III è però molto scarsa e rispecchia una occupazione di breve durata, consentendo di collocare la fine del sito nel VII/⁄VI secolo a.C.
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Confrontando la ceramica ritrovata a Salut con quella di altri siti indagati negli Emirati Arabi, quali Tell Abraq, Kalba, Muweilah, Rumeilah, sorge un interessante problema storico. L’assemblaggio ceramico rinvenuto a Salut, anche quello dai contesti stratigrafici più antichi e legati alla fase iniziale del sito, è pienamente conforme a ciò che è stato altrove identificato come caratteristico del Ferro II. Le date più antiche testimoniate per gli stessi materiali a Salut potrebbero indicare che nell’Oman centrale la fase iniziale del Ferro era già caratterizzata da una cultura materiale altrove etichettata come Ferro II. L’apparizione di questo orizzonte culturale nei siti più settentrionali degli Emirati potrebbe allora essere il risultato di un influsso culturale proveniente dal cuore dell’Arabia sud–orientale.
Con la prima campagna di scavo del 2009 si è per la prima volta giunti a poter parlare con certezza di almeno due distinte fasi edilizie all’interno dell’occupazione del Ferro di Salut.
La più antica è rappresentata dall’edificio portato alla luce sulla sommità della collina, distrutto da un incendio. Esso può per di più essere posto in relazione con alcune parti del possente muro di cinta, in particolare con la torre che si protende dal limite sud–ovest del sito.
La seconda fase edilizia non è altrettanto ben definita, ma è caratterizzata da un sistema di piattaforme e terrazze in mattoni crudi che occupa tutta la parte est della collina, all’interno del circuito murario superiore.
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Grandi progressi sono stati fatti anche per quel che riguarda la delineazione del circuito murario che cinge tutto il sito, organizzato su una cortina superiore di forma ovale alla quale si addossa un’ulteriore cortina ad U nella parte ù bassa della collina, che va a definire la cosiddetta “torre” principale, protesa nella piana sottostante. Quasi tutto il perimetro delle mura è ora visibile, ed anche l’ingresso all’insediamento è stato localizzato in corrispondenza con una possibile rampa di accesso sul lato sudest del sito, in asse principale con l’edificio bruciato e le terrazze.
Gli scavi di Salut hanno fornito una grande quantità di dati anche per la ricostruzione di vari aspetti della vita pubblica della comunità che frequentava il sito tra II e I millennio, permettendo di distinguerne almeno tre aspetti: culto, ritrovi collettivi durante le festività, difesa. Anche un quarto si potrebbe aggiungere: la gestione e ripartizione delle risorse comunitarie.
Salut è difatti un sito fortificato ma anche sicuramente un luogo di culto, la cui principale simbolizzazione sembra essere legata al serpente, mentre le piattaforme erette durante la seconda fase si potrebbero collegare a raduni collettivi. Come si è visto, il sito venne abbandonato attorno alla metà del I millennio. La successiva testimonianza di un’attività insediativa significativa si può datare al XII secolo d.C. all’incirca, quando sorge sulla collina un villaggio costituito da capanne circolari con base semiinterrata in pietra ed alzato in materiali deperibili. Nei 1500 e più anni trascorsi tra queste due fasi, le strutture del Ferro hanno subito una massiccia erosione da parte degli agenti atmosferici, con l’accumulo di potenti depositi di sabbia eolica e di detriti. Considerando l’entità del degrado ed il profondo impatto avuto dall’occupazione islamica (con buche di discarica profonde anche più di 3 metri), si può immaginare quanto dovesse essere imponente il sito nei giorni del suo massimo splendore.
Gli oggetti trovati
Nel corso delle varie campagne di scavo dell’IMTO, vari oggetti significativi, in diversi materiali, sono stati riportati alla luce, oltre ai numerosissimi reperti ceramici, cui si è già accennato.
Tra i recenti ritrovamenti va sicuramente citato un sigillo piramidale, il primo rinvenuto a Salut – ma con confronti da altri siti dell’Arabia sud–orientale – la cui importanza è notevole nel testimoniare l’esistenza di un sistema amministrativo.
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Un’altra categoria di oggetti ha trovato attestazione a Salut nella campagna del 2009: un frammento di incensiere cuboide è infatti la prima evidenza correlabile ad una classe di oggetti che, già testimoniata in alcuni siti degli Emirati, era ancora assente dagli assemblaggi ceramici dei siti omaniti. Realizzato in un impasto ceramico comune ad altri manufatti dal sito, è fittamente decorato con profonde incisioni. Benché un’attribuzione funzionale solo sulla base della forma sia da considerare con molta cautela, la forte caratterizzazione di questo tipo di oggetti rende la sua identificazione molto probabile. I confronti possibili con siti degli Emirati, ed il fatto che gli esemplari più antichi di questa tipologia di incensieri provengano da contesti mesopotamici e levantini di VIII/VII secolo (ad Ur, Lachish e Tell Ajjul, per esempio), portano a datare il reperto verso la fine del Ferro a Salut, tra VII e VI secolo a.C.
Anche la produzione di vasi in steatite trova testimonianza a Salut. È questa un’altra classe che si colloca perfettamente nella cultura materiale del Ferro nell’area del Golfo Persico, oltre a rivestire un interesse a livello più generale, essendo uno dei pochi esempi di manifattura locale sicuramente oggetto di esportazione verso l’Iran e l’Asia centrale.
Per quanto riguarda i reperti metallici, oltre ad una serie di armi che si aggiungono ai repertori conosciuti, si hanno alcuni oggetti che si possono associare a manifestazioni elitarie o a significati cultuali. Tra questi, meritano una particolare menzione tre ramaioli ed un calderone in bronzo, il cui legame con l’autocelebrazione di una possibile elite legata alla gestione delle risorse (in particolare idriche) è stata da tempo proposta.
Un’ascia con immanicatura a cannone va invece collocata nell’ambito delle riproduzioni con finalità probabilmente votiva, così come altre due asce miniaturistiche rinvenute nelle campagne passate.
Infine, la forte testimonianza di un valore simbolico cultuale associato all’immagine del serpente è fornita dalle numerose sagome del rettile applicate a rilievo sulle ceramiche oppure modellate in bronzo, oltre che dalla decorazione a chevrons (chiaro richiamo alle scaglie) di una delle categorie ceramiche più diffuse sul sito, quella delle “long–handled bowls”, coppe con un lungo manico che recano al loro interno tracce di bruciato e che si potrebbero correlare a particolari ritualità, sia che fossero usate semplicemente come lucerne o che contenessero essenze profumate.
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Il territorio
Ovviamente, il lavoro sul sito non è disgiunto dall’indagine sul territorio in generale, in particolare sul sistema di
aflaj individuato in prossimità del sito, la cui datazione al periodo del Ferro fornirebbe un’ulteriore prova del grande
cambiamento che questo sistema idrico rese possibile per la prima volta in questa zona dell’Oman. Le relative indagini geoarcheologiche sono attualmente in corso.
Indagini archeo–botaniche hanno dimostrato la presenza nel territorio vicino a Salut in tempo antico di cereali e del sesamo, piante oggi non più presenti. I campi intorno al sito erano fertili e irrigati.
Conclusioni
Come a Khor Rori, il progetto non si limita agli aspetti di ricerca archeologica, ma integra al suo interno progetti di conservazione e valorizzazione del sito. Uno studio sulle possibilità di intervenire per la preservazione dei mattoni crudi, utilizzati in maniera estesa sul sito, è stato realizzato nel 2008, mentre i primi interventi di restauro delle murature sono stati effettuati all’inizio di
quest’anno. L’obiettivo finale sarà quello di creare a breve termine un parco archeologico e paesaggistico a Salut.
Il progetto a Salut è finanziato dal Ministero degli Esteri, dall’Università di Pisa e dall’Office of the Adviser to His Majesty the Sultan for Cultural Affairs.
Alessandra Avanzini e Michele Degli Esposti
avanzini@sta.unipi.it