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Oman, il porto di Sumhuram

Dal 1997 la IMTO (Missione italiana in Oman), diretta da Alessandra Avanzini, lavora nel sito di Sumhuram, nel territorio di Khor Rori, portando avanti un progetto finanziato dal Ministero degli Esteri, dall’Università di Pisa e dall’Office of the Adviser to His Majesty the Sultan for Cultural Affairs.

Territorio e storia degli studi
La città è collocata nell’Oman meridionale, nella regione del Dhofar, un’area che, in alcuni periodi dell’anno, è incredibilmente verdeggiante e caratterizzata da una vegetazione rigogliosa. La regione è infatti investita dallo strascico del monsone indiano che riesce a garantire un microclima assolutamente unico in tutta l’Arabia.

La posizione, esattamente al centro del lato meridionale della penisola araba, oltre ad essere strategica per i commerci, è anche di incantevole bellezza: Sumhuram si staglia su un massiccio affioramento calcareo ed è circondata su tre lati da una laguna, alimentata da un fiume a carattere stagionale, lo wadi Darbat.

Nel 2000 il sito di Khor Rori è stato inserito dall’UNESCO nella lista dei luoghi patrimonio dell’umanità.

La città di Sumhuram e il territorio di Khor Rori

La città di Sumhuram e il territorio di Khor Rori

Il primo, in epoca moderna, a scrivere di Sumhuram, fu un inglese, Sir Thomas Bent, che, alla fine dell’800, identificò le rovine con il porto di Moscha limén, citato in un’interessante guida per i naviganti, il Periplo del Mare Eritreo del I sec. d.C. Il porto era inoltre identificabile con la città di Abussapolis, ricordata dall’autore latino Claudio Tolomeo, nel II sec. d.C.

Bent era però interessato alla geografia dei luoghi, non alle esplorazioni archeologiche e fu necessario attendere mezzo secolo, fino ai primi anni ‘50, perchè iniziassero gli scavi sul sito. Furono condotti grazie ai finanziamenti di un giovane petroliere, Wendell Phillips, a capo dell’American Foundation for the Study of the Man, che affidò la direzione sul campo prima a F.P. Albright, e poi, negli anni ‘60 a R. L. Cleveland.

Vennero indagate estensivamente molte delle zone della città: l’area dei magazzini, parte del quartiere residenziale, il grande edificio monumentale che chiude e protegge il pozzo e fu rinvenuta anche una gran quantità di oggetti: centinaia di monete, ceramica di importazione, oggetti tipicamente sudarabici come gli incensieri e alcuni straordinari manufatti di importazione, tra cui una statuina in bronzo raffigurante una divinità femminile indiana.

Furono scoperte anche alcune iscrizioni, incise sui blocchi di pietra della porta monumentale di accesso alla città; in alcune iscrizioni era citato il re dello Hadramawt Eleazos, già noto nel Periplo, e l’arrivo di coloni dalla capitale dello Hadramawt, Shabwa.

La posizione dell’insediamento – al centro delle rotte che mettevano in comunicazione il Mediterraneo e l’India ed ai margini di quella fascia pre–desertica in cui cresceva e cresce la pił pregiata varietà di incenso, la Boswellia Sacra Flueck –, il fatto che Sumhuram fosse citata nelle fonti classiche dei primi secoli dell’era cristiana, il tipo di ceramica di importazione trovata dalla missione americana erano tutti elementi che permettevano di inserire la città in un quadro storico coerente.

La fondazione sarebbe stata contemporanea ai traffici tra Mediterraneo ed India dopo la conquista romana dell’Egitto: Sumhuram era l’ideale centro di stoccaggio e smistamento dell’incenso che, raccolto nel Nejd, a monte dell’insediamento, raggiungeva il porto di Qana, nello Hadramawt, per poi prendere la via verso il Mediterraneo.

La città avrebbe avuto un arco di vita relativamente breve, parallelamente alla fioritura del commercio internazionale, dal I al III secolo d.C.

Sumhuram, l’entrata alla città

Sumhuram, l’entrata alla città

Gli scavi portati avanti dalla missione pisana hanno, però, delineato un quadro diverso ed hanno permesso di inserire la città in un orizzonte culturale ben più ampio. Le monete (nello specifico le Early Hadramawt Imitations), il materiale ceramico confrontabile con altri corpora sudarabici e le analisi al 14C hanno infatti permesso di alzare la data di fondazione della città.

Il porto risale al III secolo a.C. e precede la fondazione di Qana; anche la sua fine non va più collocata nel III, ma nel V secolo d.C. quando la città viene lentamente abbandonata forse per cause naturali, come il progressivo insabbiamento del porto.

Sumhuram viene così ad assumere una grande importanza dal momento che risulta essere il primo porto archeologicamente scavato sulla costa araba, da porsi prima dell’era cristiana, in quelli che sono gli anni formativi del traffico per mare.

La città
Gli scavi dell’Università di Pisa hanno chiarito in questi anni la struttura urbanistica del porto. Sumhuram è una città piccola in superficie (circa un ettaro), ma è contraddistinta da caratteri urbani come la divisione in quartieri, l’esistenza di installazioni produttive e di un tempio esterno, la presenza, in loco, di un emissario del re e – non ultimo – di una zecca, che, a dispetto delle sue piccole dimensioni, le attribuiscono una fisionomia complessa e sfaccettata.

Il sito è chiuso all’esterno da una poderosa cinta muraria realizzata in blocchi di calcare, realizzati in situ sfruttando come cava l’affioramento naturale. Una porta monumentale, a cui si pose mano con ampliamenti e rifacimenti durante tutti gli otto secoli della storia della città, ne garantiva un accesso protetto con la sua serie di porte disposte a baionetta, le torri di guardia ed i bastioni. Sicuramente oltre alla necessità di difendersi dai nemici, era di grande importanza l’aspetto ideologico: mura così alte, disposte con una scansione a zigzag, con torri e muri isolati, parlavano da sole dell’importanza, della ricchezza, dell’inespugnabilità del sito.

Una porta di ridotte dimensioni, ricavata lungo il versante nord–orientale, metteva in comunicazione l’insediamento con la parte bassa, in cui si trovava il porto.

Nella laguna non sono state trovate tracce di banchine o strutture per gli ormeggi ma è probabile che si trattasse di installazioni in materiale deperibile, presumibilmente legno, o che le operazioni di carico–scarico fossero condotte per mezzo di piccoli barchini che facevano la spola tra grandi navi, ormeggiate al largo, e la costa, come ancora accadeva in epoca islamica.

Numerose tracce di pietre utilizzate come zavorre e poi rilavorate e re–impiegate come utensili sono state scoperte all’interno del sito e permettono di tracciare l’itinerario compiuto dalle imbarcazioni che arrivavano o partivano da Sumhuram.

La piccola porta a mare che si affacciava, da un lato, lungo un pendio scosceso, si apriva, dall’altro, nel luogo delle contrattazioni commerciali, una piazza chiusa e circondata da lunghi edifici, forse a due piani, in cui veniva stoccato l’incenso.

È interessante notare il particolare assetto architettonico di questo ambiente: non un’ampia piazza di scambio aperta come quelle del mondo classico, ma uno spazio circoscritto e protetto, a sottolineare il valore dei beni in transito ed il rigido controllo che veniva esercitato dallo stato sui commerci.

Sumhuram, il pozzo e l’edificio monumentale

Sumhuram, il pozzo e l’edificio monumentale

Se l’area dei magazzini occupava tutto il settore sud–orientale della città, quello nord–orientale era riservato alle abitazioni. Costruite a ridosso delle mura e con muri portanti in comune, erano almeno su due livelli, con il piano terra adibito a laboratorio–magazzino–cucina ed un piano superiore ad uso propriamente abitativo. Tracce di pavimenti in terra battuta con talvolta soglie in pietra, scale con gradini in arenaria, vertebre di balena usate come elementi architettonici e fori in cui erano inserite le travi che sostenevano i piani superiori, sono state trovate nel corso degli scavi.

Tranne in qualche caso, verosimilmente quello degli edifici più importanti, le case erano costruite una accanto all’altra con ambienti di dimensioni piuttosto ridotte. La rete viaria si componeva di strade e piazze.

Presso il lato settentrionale stava un edificio monumentale a pianta quadrata, cinto da muri spessi fino a 6 metri, con al centro un pozzo profondo 25 m. realizzato con una muratura perfetta. Raggiungendo il livello della laguna e quello della falda acquifera sottostante, il pozzo sopperiva al fabbisogno di acqua della città.

Le indagini della IMTO all’inizio del 2009 hanno rivelato che, dopo una prima fase (più bassa di circa 4 metri rispetto al piano di calpestio della seconda fase), lo spazio interno all’edificio fu intenzionalmente riempito di pietre di arenaria di medie e grandi dimensioni e che su questo poderoso accumulo fu poi costruito il pavimento di seconda fase. Una canaletta che da un grosso bacino di raccolta convogliava le acque verso l’esterno della costruzione e da qui, oltre le mura di cinta, garantiva la possibilità di usufruire dell’acqua anche fuori dall’abitato vero e proprio. La diversa altezza a cui erano poste le vasche fa pensare che servissero per abbeverare gli animali, in particolare i cammelli delle carovaniere, che sostavano all’esterno della città.

Alle spalle dell’edificio monumentale, sempre nell’ultima campagna, è venuto alla luce tutto un complesso di vani legati ad attività produttive che prevedevano l’utilizzo di acqua, come dimostrato dalle numerose vasche intonacate o in pietra ritrovate in situ.

Un santuario costituito da un unico vano, risalente ad una fase occupazionale tarda, con all’interno numerosi incensieri completi e varie installazioni cultuali tra cui vasche intonacate, panchine e pilastrini decorati con immagini di serpenti, è stato scoperto nei pressi dell’edificio monumentale.

Il settore occidentale della città era occupato dal tempio.

Sumhuram, i magazzini

Sumhuram, i magazzini

Il santuario, dedicato a Sin, dio principale del pantheon di Hadramawt, era articolato in numerosi ambienti con una stanza per il culto vero e proprio, dotata di podio ed altare, vasche per le abluzioni ed una cucina per la preparazione di pasti rituali. Splendidi oggetti in bronzo legati al culto sono stati trovati nel corso degli scavi assieme a numerose valve di conchiglia con segni di bruciatura che dovevano essere utilizzate nel corso di riti notturni.

È interessante notare come la vita a Sumhuram sembri si sia svolta completamente intra–moenia.

Il territorio circostante fu occupato sporadicamente e con funzioni ben precise: oltre al santuario extra–urbano, sono state individuate sepolture in grotta ed edifici isolati da legare alle attività agricole; mancano testimonianze di villaggi. Tuttavia tracce relative a terrazzamenti e canalizzazioni sono state individuate sul territorio a riprova del fatto che l’ambiente naturale fosse diverso nel periodo di occupazione del sito.

La fase islamica è attestata da una piccola moschea nei pressi della laguna e da un insediamento su uno degli speroni rocciosi che chiudono naturalmente il porto.

I materiali
L’importante ruolo svolto da Sumhuram come punto di transito nei grandi traffici per mare è dimostrato dalla quantità di oggetti di importazione che vi sono stati trovati. Numerosi contenitori da trasporto, come le anfore, testimoniano che il sito fu un luogo di transito e di consumo dei beni importati, così come la ceramiche orientali – soprattutto invetriate – e le ceramiche fini da mensa, come la terra sigillata italica e le sue produzioni orientali, o la rouletted ware indiana e le sue imitazioni asiatiche. La presenza di varie tipologie di vasellame (da trasporto e immagazzinamento ma anche da tavola e da cucina) e di oggetti come la statua di divinità indiana possono indicare che alcune comunità straniere risiedessero, almeno temporaneamente, in città. Le iscrizioni in lingua Tamil rinvenute su recipienti ceramici nel corso degli ultimi scavi potrebbero confermare questa ipotesi di lavoro.

La grande quantità di utensili in pietra e di bronzo, così come gli scarti della lavorazione del ferro e la presenza di fornaci e crogiuoli, indicano l’esistenza in città di laboratori produttivi.

La scoperta di numerosi oggetti d’arte, tra cui la serie di incensieri rinvenuti nelle ultime campagne, e di splendidi coperchi in conchiglia che non trovano confronti nelle produzioni contemporanee, fa supporre, parallelamente, l’esistenza di una fiorente produzione locale e di un artigianato locale di grande interesse.

Sumhuram, il tempio di Sin

Sumhuram, il tempio di Sin

Il lavoro portato avanti dalla Missione Italiana in Oman ha sempre mirato ad avere un carattere fortemente multidisciplinare. Per questo, fin dai primi anni, la IMTO si è avvalsa di collaborazioni nazionali ed internazionali al fine di indagare le molteplici problematiche connesse con lo scavo archeologico.

Studi ambientali sull’ecosistema antico e moderno, geologici sul territorio, archeometrici sugli impasti ceramici e sui materiali da costruzione (intonaci e mattone crudi) sono stati affiancati da studi chimici sui contenuti organici rinvenuti in diversi tipi di recipienti (bitume, resine), metallografici e metallotecnici sulle monete, sui manufatti in metallo e sugli scarti di lavorazione. Una lettura contestuale delle fonti, atta a riconsiderare il ruolo svolto da Sumhram negli scambi commerciali nell’antichità, è attualmente in corso grazie ad un finanziamento del Ministero dell’Universitą e della Ricerca (PRIN).

Un progetto di restauro e consolidamento dei comparti murari che si svolge parallelamente al progredire delle ricerche archeologiche è in corso da alcuni anni.

È stata recentemente completata la realizzazione di un parco archeologico sull’intero territorio di Khor Rori, con strumenti divulgativi per i visitatori.

Alessandra Avanzini e Alexia Pavan
avanzini@sta.unipi.it
a.pavan@sta.unipi.it