Turchia, la città di Mopsuestia
Posta all’estremità sud–orientale della costa anatolica e di fronte all’isola di Cipro, nella Turchia centro–meridionale, la Cilicia Piana è una delle regioni più significative, e più definite geograficamente, del Mediterraneo orientale. Nella regione, oggi denominata Çukurova, sotto gli auspici dell’Università di Pisa, è in corso dal 2000 una ricerca storico–archeologica integrata diretta da Giovanni Salmeri (Università di Pisa, dipartimento di Scienze storiche del mondo antico) e Anna Lucia D’Agata (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma). L’area indagata ricade all’interno della fertile pianura alluvionale del fiume Ceyhan (antico Pyramos) ed è delimitata a nord dalla catena del Tauro e a sud–est dalle alture del Misis Dag. Scopo iniziale dell’indagine è stato quello di contribuire allo studio dei processi di “ellenizzazione” nella regione tra il XIV e il IV secolo a.C., processi che per varietà e articolazione cronologica sembrano rappresentare un caso esemplare nell’ambito del Mediterraneo orientale.
La ricognizione archeologica nella Cilicia Piana
Negli anni 1930 e 1951 la Cilicia Piana è stata oggetto di due importanti ricognizioni archeologiche condotte, rispettivamente, da Einar Gjerstad e Veronica Seton–Williams. Sulla base dei loro risultati e di quelli degli scavi condotti a Tarso nei medesimi decenni da Hetty Goldman, si è formata la communis opinio che la regione fosse stata il punto d’arrivo di un movimento di tipo coloniale originato in area egea nella prima metà del XII secolo a.C., in concomitanza con la dissoluzione dell’impero ittita, e poi rinnovatosi tra VIII e VII secolo a.C., quando la Cilicia Piana rientrava nella sfera d’influenza dell’impero assiro. Allo scopo di accertare la presenza e la consistenza di materiali di derivazione egea⁄greca nell’area in questione il Progetto Cilicia ha preso
le mosse dalla ricognizione di siti – solo in parte già noti dalla letteratura archeologica – e dallo studio dei materiali
raccolti nelle ricognizioni di Gjerstad e Seton–Wiliams, conservati gli uni al Medelhavsmuseet di Stoccolma, gli altri al Museo Archeologico di Adana.
Veduta satellitare della Cilicia, di Cipro e del Levante settentrionale, con indicazione dell’area indagata dal Progetto Cilicia a sud–est di Adana
Dalla ricerca effettuata nell’ambito del Progetto Cilicia è emerso che nei secoli finali del II millennio a.C. le relazioni tra la Cilicia e l’area egea non si sono esplicate, nella regione anatolica, secondo un modello unico. Al di fuori di Tarso e Mersin, infatti, materiale di derivazione egea è presente, ma in quantità estremamente limitate, e tale dato appare di per sé di grande interesse perché contraddice l’idea di una consistente e diffusa occupazione egeo–micenea in Cilicia nel XII secolo a.C.
Per quanto riguarda il I millennio a.C. sembra che si possa escludere per la Cilicia un fenomeno coloniale greco, assimilabile a quello che si può ricostruire per l’Occidente. Sulla base, tra l’altro, di ricerche effettuate sulla ceramica rinvenuta negli scavi dell’antica Isso (Kinet Höyük), sul golfo di Alessandretta, condotti da Marie–Henriette Gates (Bilkent University, Ankara), i materiali Tardo Geometrici (e più tardi) da altre località della regione, che fino a qualche anno fa erano definiti come importazioni greco–orientali, sono oggi da considerare in gran parte di produzione locale, indicativa di processi di acculturazione più che di veri e propri insediamenti di Greci.
L’inizio di un reale processo di ellenizzazione della Cilicia si può invece fare risalire alla fine del IV secolo a.C., cioè ai decenni successivi alla spedizione di Alessandro, e sembra attribuibile anche in questo caso a dinamiche di interazione e acculturazione piuttosto che all’arrivo di consistenti nuclei di parlanti greco.
In altri termini la storia della Cilicia e dei suoi rapporti con il resto del Mediterraneo deve essere riscritta, e a tal fine, per indirizzare la ricerca ad un livello di definizione microregionale, dal 2003 l’indagine sul campo si è concentrata intorno al più significativo dei siti individuati nell’area di competenza, ovvero Misis, posto in posizione dominante sulla riva destra del fiume Ceyhan, e senza confronti, per vastità e complessità, nella regione.
Misis. Il fiume Ceyhan dall’Acropoli
L’indagine a Misis e nel suo territorio
L’area della città antica – che è da identificare con Mopsuestia⁄Seleucia sul Piramo e ammonta a circa 40 ettari – si estende su due colline adiacenti, risulta in larga parta occupata dal moderno villaggio di Misis ed è contraddistinta dalla presenza di consistenti rovine che vanno dall’età romana a quella ottomana (teatro, stadio, mura, basiliche, caravanserraglio).
Saggi di scavo vi furono effettuati negli anni Cinquanta del secolo scorso dall’archeologo tedesco Theodor Bossert: in particolare, nel 1956, fu messo in luce un importante gruppo di mosaici, tra cui primeggia una raffigurazione dell’arca di Noè. Pubblicati poco
più di un decennio dopo da Ludwig Budde, i mosaici che erano parte di una basilica tardo antica, delle cui strutture non resta traccia, sono oggi visibili all’interno di una struttura museale.
Del centro di Misis, oggi largamente occupato da un villaggio moderno, il Progetto Cilicia ha avviato la ricognizione e il rilievo sistematico con l’esplorazione soprattutto dei pianori prospicienti il fiume e delle dorsali. Ciò ha consentito di localizzare numerosi siti con resti di frequentazione a partire dal Neolitico, e fino all’epoca ottomana.
Museo di Adana. Dettaglio di fregio–architrave, forse da Mopsuestia. Fine II–inizi III secolo d.C
Nel corso della campagna del 2004, sul pendio occidentale della collina dell’acropoli (Misis 37), in corrispondenza di alcune aree escavate dagli abitanti del luogo per l’asporto di fango finalizzato alla costruzione di forni e tetti, sono stati individuati alcuni tratti di sezioni esposte che conservavano i resti di livelli di frequentazione antica databili ad età neolitica e calcolitica. Si tratta dei più antichi resti di frequentazione umana finora provenienti dall’area di Misis, e più in generale, dalla Cilicia Piana. Il significativo spessore di tali strati, la notevole qualità della ceramica e la quantità degli strumenti in ossidiana stanno inoltre ad indicare che il sito ha svolto un ruolo importante nella piana del Ceyhan tra il VII e il V millennio a.C.
Per quanto riguarda le epoche successive, di particolare consistenza è la frequentazione della media età del Ferro (IX–VIII secolo a.C.), una fase durante la quale a Misis si registra una vera e propria esplosione insediamentale. Ceramica relativa a questa fase è sparsa su tutta l’area indagata ed essa va riferita a un grosso nucleo abitato che si estendeva per lo meno fino alle colline a ovest della così detta acropoli. La sezione esposta individuata a Misis 3 relativa a una struttura abitativa documenta la coesistenza di numerose classi ceramiche molte delle quali – è il caso della black–on red, della bichrome ware, della white painted – trovano confronto in coeve produzioni cipriote, e a una prima osservazione sembrano in larga parte attribuibili a manifattura locale. Il programma di indagine archeometrica in corso consentirà di individuare con certezza produzioni locali e produzioni importate. Quello però che si può notare fin d’ora è che l’alta percentuale di ceramica dipinta individuata a Misis e nel suo territorio consente di confrontare l’area, per il IX e l’VIII secolo a.C., con quella di Tarso, ad ovest, e Kinet Höyük, ad est. Misis dunque rientra nell’ambito della koiné ceramica formatasi tra Cipro e la Cilicia, che nel periodo in questione va da Silifke a Kinet e si traduce in una produzione ceramica di massa apparentemente molto omogenea stilisticamente. Tale circostanza consente di affermare che in questa fase Misis, nonostante non sia sul mare, è un centro il cui comportamento è assimilabile a quello dei centri costieri della regione. La presenza del fiume, e la sua centralità all’interno della Cilicia Piana, rendono del resto certi del fatto che Misis fosse un importante nodo viario in grado di recepire influenze esterne ma probabilmente anche in grado di smistarle nel territorio circostante.
Misis. Resti di una torre del circuito murario sull’Acropoli
La stessa cosa si può dire per l’epoca romana e la tarda antichità, come si desume oltre che dalle rovine ancora in vista, anche dalla quantità e dalla qualità della ceramica raccolta. I monumenti oggetto d’attenzione sono stati in particolar modo il teatro, lo stadio e le mura. Del teatro, che appare databile tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C., nella campagna del 2008 sono stati individuati, nel Museo di Adana, importanti resti della decorazione architettonica. Dello stadio, invece, che è collocato all’esterno delle mura cittadine ed è oggi occupato da un agrumeto, è stato possibile ricostruire l’andamento della curva di fondo, e sulla base del rinvenimento di numerosi frammenti di marmo bianco di differente spessore si è potuto ipotizzare il rivestimento delle strutture murarie dell’edificio in questo materiale.
Per quanto riguarda le mura tardo antiche e medioevali, il loro rilievo è stato ultimano nel 2008. L’impresa è stata particolarmente complessa perché dopo essere state in rovina per secoli – almeno a partire dal XIII secolo, quando nel 1212 Wilbrand di Oldenburg le vide in pessimo stato (murum [...] antiquitate corrosum) – negli anni Settanta del secolo scorso furono soggette ad un opera di demolizione su vasta scala. L’individuazione sul terreno dei resti della cinta muraria, l’identificazione delle fasi costruttive e la loro datazione ha presentato dunque non poche difficoltà, ed è stata ulteriormente complicata dall’intricata storia di Mopsuestia nei secoli compresi tra il VI e il XIII. La città fu infatti oggetto di numerosi assedi e passò più volte di mano: dai Bizantini agli Arabi e ai Turchi, e poi ai Crociati di Tancredi e agli Armeni. Fondamentali per l’indagine del sistema delle mura sono state le torri, che hanno maggiormente resistito all’opera di demolizione, e che identificate sul terreno in più di una ventina hanno consentito di ricostruire un circuito che sulla riva destra del Ceyhan si snoda per circa 4 chilometri.
Museo di Misis. Dettaglio del mosaico con l’arca di Noè da una basilica tardo antica
Sulla riva sinistra del Ceyhan nel corso della campagna del 2007 è stato studiato e rilevato il caravanserraglio ottomano la cui edificazione, con l’aiuto di un’iscrizione, si può datare al 1661. Per quanto riguarda il materiale adoperato per la costruzione dell’edificio, sulla base delle misure dei blocchi se ne può ipotizzare la provenienza dalle mura, mentre alcuni frammenti architettonici di pregio, riusati soprattutto nella facciata nord, appaiono far parte della decorazione del teatro. La pianta del caravanserraglio, molto semplice, presenta una corte quadrata al centro con distribuzione simmetrica degli ambienti ai lati. Le entrate sono collocate sul lato nord e sul lato sud dell’edificio.
A partire dalla campagna del 2002 anche il territorio adiacente a Misis, in particolare nell’area a sud dell’abitatato, ha cominciato ad essere esplorato sistematicamente. Tra i risultati della ricerca va segnalata la diversità di modelli insediativi per le diverse epoche accertata tra l’area lungo il corso del Ceyhan e quella sui fianchi del Misis Dag. Ma il dato più significativo è costituito dall’identificazione, lungo il corso del Ceyhan, di numerosi tepe mai registrati finora, e dei quali restano ormai solo deboli tracce, perché spianati negli ultimi dieci anni a seguito del rapido sviluppo agricolo della regione. È il caso del sito individuato a Cevheri Bucak, il quale è oggi occupato da un agrumeto: in esso però fino a dieci anni fa si ergeva un tepe la cui fase di insediamento principale si può datare alla media età del Bronzo, e appare essere stata caratterizzata da standard di vita relativamente alti, come mostrano la qualità del materiale ceramico e la presenza di gettoni (tokens) fittili adoperati per qualche forma di calcolo.
Misis. Un forno moderno costruito in argilla e appoggiato ad un tratto delle mura antiche
Per la valorizzazione di Misis
Come si è già detto l’area della città antica è in larga parte occupata dal moderno villaggio di Misis abitato da rifugiati arrivati negli ultimi decenni dalla Turchia orientale e insediatisi tra le rovine di un precedente villaggio distrutto da
un evento sismico negli anni Cinquanta del secolo scorso e subito abbandonato. Tale circostanza rende il luogo del tutto speciale. La vita del villaggio di Misis come succedeva in molti siti del Mediterraneo agli inizi del secolo scorso sembra essersi fermata e si svolge in simbiosi
con le rovine: le nuove case vengono costruite con materiali (colonne, iscrizioni, blocchi) recuperati dai monumenti antichi, i bambini del villaggio giocano tra le rovine del teatro e delle mura, resti di case distrutte da terremoti sono visibili come in una grande sequenza stratigrafica orizzontale accanto alle nuove costruzioni.
Il centro, in altre parole, presenta caratteristiche non solo archeologiche o storiche, ma anche antropologiche del tutto eccezionali. Al fine allora di garantire la sopravvivenza dei monumenti antichi e allo stesso tempo consentire agli abitanti del villaggio di continuare a vivere nell’area, il Progetto Cilicia si propone di studiare un piano di valorizzazione che, integrando le varie esigenze, faccia sì che il luogo possa essere fruito agevolmente a livelli differenziati (abitanti, turisti, ricercatori, operatori culturali).
Giovanni Salmeri e Anna Lucia D’Agata
salmeri@sta.unipi.it
anna.dagata@cnr.it
Per gli anni 2000–2006 i resoconti relativi alla ricognizione archeologica condotta in Cililia sono apparsi, sotto i nomi di G. Salmeri, A.L. D’Agata et al. e con il titolo “Cilicia Survey 2000” etc., sugli atti del Simposio organizzato annualmente dal Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica Turca per la presentazione dei lavori delle spedizioni archeologiche operanti nel paese (Arastirma Sonuçlari Toplantisi 19–25, 2001–2007).