Ippolito Rosellini e la nascita
dell’egittologia
La spedizione franco-toscana in Egitto tra 1828 e 1829
Ricostruiti nella mostra “Lungo il Nilo. Ippolito Rosellini e la Spedizione Franco-Toscana in Egitto (1828-1829)”, i quindici mesi trascorsi dal gruppo di archeologi, architetti, disegnatori e naturalisti tra Alessandria e Abu Simbel emergono in tutta la loro importanza. Il patrimonio documentario recuperato in un clima di amichevole reciprocità con il gruppo francese guidato da Jean-Francois Champollion e gli anni di studio che Rosellini gli dedicò sono infatti alla base dell’Egittologia. Ippolito e i sei membri toscani della Spedizione, con una determinazione pari solo alla consapevolezza di essere quasi gli iniziatori di una nuova scienza, riuscirono a copiare oltre 1300 disegni e migliaia di geroglifici oggi conservati, con migliaia di altre carte e appunti inediti relativi a quell’impresa, alla Biblioteca Universitaria, mentre un progetto di digitalizzazione provvederà a divulgarli anche on line. L’articolo che segue è tratto dal saggio introduttivo al catalogo della mostra pubblicato dall’editrice Giunti.
Nel 1824 Ippolito Rosellini, appena ventiquattrenne, viene nominato professore di Lingue orientali nell’ateneo pisano, dopo essersi laureato lì nel 1821 e aver perfezionato lo studio dell’ebraico e delle altre lingue semitiche a Bologna, sotto la guida del celebre poliglotta Cardinale Giuseppe Mezzofanti. Proprio in quell’anno è apparso il Precis du système hiéroglyphique des anciens Egyptiens di Jean-François Champollion, con cui lo scopritore della chiave di lettura del sistema geroglifico espone diffusamente la sua geniale teoria, in precedenza comunicata al mondo scientifico tramite la Lettre à M. Dacier relative à l’alphabet des hiéroglyphes phonetiques nel 1822. L’accoglienza dell’opera in Italia è controversa ma il giovanissimo professore ne è subito conquistato e si schiera tra i suoi sostenitori: alla fine del 1825, esce sul “Nuovo Giornale dei Letterati” di Pisa una sua esposizione della teoria di Champollion (Il sistema geroglifico del Signor Cavaliere Champollion il minore, dichiarato ed esposto alla intelligenza di tutti), che lo stesso francese commenterà favorevolmente di lì a poco, nella primavera del 1826, con bonaria ironia verso gli italiani (“l’Italia aveva bisogno di questo per capirvi qualcosa. La pigrizia natia [in italiano nel testo] gli impedisce di leggere un grosso volume…!”), ma stima e simpatia nei confronti di Rosellini, “excellent coeur” e “tête bien meublée” (lettera al fratello da Livorno, 7 aprile 1826: Hartleben 1909, I, 308). L’incontro tra i due studiosi è infatti nel frattempo avvenuto, forse per iniziativa autonoma del giovane ammiratore toscano accorso a conoscerlo a Livorno, dove Champollion esamina la collezione del console inglese in Egitto Henry Salt, appena giuntavi, o forse - come suggerisce il Gabrieli (1925, ix-x) - presentati l’uno all’altro dallo stesso Granduca a Firenze.
Sta di fatto che una lettera di Rosellini all’amico Ungarelli in data 27 agosto 1825 (Gabrieli 1926), riferisce inequivocabilmente delle visite collezione Salt a Livorno. Non erano del resto i soli ad aggirarsi tra sarcofagi, stele e mummie nei magazzini livornesi, all’epoca assai frequentati dagli appassionati di Egitto ed antichità: una lettera inedita scritta a Rosellini dal diplomatico, storico e orientalista austriaco Joseph von Hammer Purgstall, datata “Vienna, 25 novembre 1825” e acquistata di recente insieme a molte altre dalla Biblioteca Universitaria di Pisa, gli ricorda appunto un loro fugace incontro “nel magazzino del Sig. Santoni con tutti li oggetti di antichità egiziane intorno”. In questa singolare cornice, nel corso del 1826, quando Champollion torna a Livorno per l’acquisto della collezione Salt per la Francia, il rapporto con il giovane professore pisano va cementandosi, a mano a mano perdendo i connotati della relazione maestro-allievo e acquisendo gli accenti di un’amicizia leale e profonda da ambedue le parti. Se in Champollion si può talvolta intuire una certa condiscendenza, è, come nota Robert Hari (1982, 75), quella dell’uomo maturo nei confronti del più giovane (dieci anni, infatti, li separano) piuttosto che quella del maestro. “Maestro” egli fu tuttavia sempre per Rosellini, che orgogliosamente lo proclamava, mai disconoscendo il debito enorme di gratitudine nei suoi confronti. Le sue lettere all’amico Ungarelli non nascondono la consapevolezza della fortuna toccatagli di poter trattenersi “tre o quattro giorni della settimana con quel sommo, tra tanta copia di preziosi monumenti…”( lettera del 19 marzo 1826, Gabrieli 1926).
L’“allievo” e il “maestro” non mancano però di scambiarsi ruoli e lezioni, come il pisano ricorderà anni dopo al solito Ungarelli (lettera 25 agosto 1841, Gabrieli 1926), senza impropriamente insuperbirsene: “io gli davo esercizi d’ebraico e ricevevo da lui con doppia usura l’insegnamento del copto, nel quale per l’innanzi avevo capito poco o niente”. La modestia innata di Rosellini - che poco gli valse allora, in un mondo pur meno avvezzo di quello odierno al potere dell’auto-glorificazione - è tuttavia osservata e apprezzata da Champollion, che con ammirazione commenterà al Granduca la capacità del professore toscano di rimettersi nei panni di allievo per puro amore della scienza, “atto di modestia ben meritorio e di cui si sentono assai di rado capaci dotti in tocco e toga, o coloro che, come lui, abbiano già dato prova di sé.” (lettera da Bologna del 5 ottobre 1826). Per il “professore-allievo” il Granduca creerà in quello stesso 1826, presso l’Università di Pisa, l’insegnamento di Egittologia, primo in Europa e nel mondo. Prima del rientro in Francia del decifratore, Rosellini ottiene dal Granduca il congedo dal lavoro all’Università per accompagnarlo nel viaggio da Firenze a Roma e poi a Napoli, alla ricerca di antichità, sia quelle egiziane di cui abbondano le collezioni italiane che quelle italiche. Di questo viaggio restano nel Fondo Rosellini alcuni taccuini inediti (Ms. BUP 297, G, D ed E), su cui per prima ha portato l’attenzione degli studiosi Edda Bresciani (Bresciani 1982, 101-141), e altri fogli sparsi di appunti, rimasti inediti e negletti ma spesso interessanti, come, ad esempio, le copie dell’“Obelisco di Benevento. Ricomposto da vari pezzi che ne formano due ivi esistenti. Napoli. Nell’agosto del 1826.”, otto fogli (Ms. BUP, 283 cc. 64-71), con copia delle varie facce e traduzioni del testo geroglifico, in parte in italiano, in parte in francese. È forse questo primo viaggio comune, alla ricerca di antichità egiziane su cui provare la nuova scienza, che riporta in vita e riempie di nuovi più concreti contenuti l’antico sogno del francese: un viaggio in Egitto, sulle orme della Commissione napoleonica, ma questa volta in possesso delle chiavi per liberare dal loro silenzio monumenti, statue, stele. Da lungo tempo egli vagheggia quell’idea, che il fratello maggiore Jacques (Champollion-Figeac) ha finora liquidato sbrigativamente: “Andare a cercare pietre in Egitto è faccenda dei Caillaud e dell’altra gente con gambe buone e stomaco buono” (Bresciani 2000, 26). D’ora in poi sarà un sogno perseguito in due. In Rosellini e nel Granduca di Toscana il francese troverà due formidabili alleati e dovrà a loro se la Spedizione diverrà infine realtà. Come primo passo verso la realizzazione dell’impresa, Rosellini chiede ed ottiene dal Granduca un nuovo congedo di un anno per recarsi a perfezionare a Parigi la propria “éducation orientale” (Hartleben 1909, I, 365). Una divertente minuta a due mani, per metà scritta da Champollion, per metà da Rosellini, appartenente al nuovo lotto acquistato di recente dalla Biblioteca Universitaria di Pisa (Ms. BUP 294.3, fasc.6.3), mostra la prima stesura di una ben nota lettera al Granduca, in teoria opera del solo Champollion, che illustra al principe toscano i progressi dell’amico (lettera del 3 marzo 1827: Hartleben 1909, I, 414-416). A Parigi Rosellini, non solo studente per l’occasione, assiste anche Champollion nella catalogazione del materiale egiziano del Louvre. Il 1827 è nella vita di Rosellini denso di eventi ed emozioni: mentre la progettazione della Spedizione prende forme sempre più definite, il volubile e focoso Ippolito, pronto ad infiammarsi per mille donne- come lo stesso Champollion descrive in più occasioni e, in particolare, in una delle lettere alla poetessa livornese Angelica Palli (Bresciani 1978, lettera n. 15 del 10 maggio 1827) - trova infine l’amore della vita nella figlia del celebre compositore Luigi Cherubini, Zenobia, di cinque anni più giovane di lui. Le pagine di un album di dediche della giovane donna, rilegato in 7 marocchino con le iniziali in oro sulla copertina, conservano l’“addio all’amabilissima” di uno spasimante deluso, “poeta solamente in questa occasione”, datato 31 maggio 1827, forse data ufficiale dell’annuncio del fidanzamento con il più fortunato rivale pisano. Bruciando le tappe e superando l’opposizione di Cherubini padre, grazie all’appoggio della madre di Zenobia e di Gioacchino Rossini, i due giovani si sposano a Parigi il 30 ottobre del 1827. Nel frattempo, nel luglio di quello stesso anno il progetto della Spedizione è stato sottoposto all’approvazione del Granduca di Toscana. Il piano messo a punto dai due studiosi e presentato ai rispettivi governi prevede che la Spedizione riporti dall’Egitto una serie di disegni esatti dei bassorilievi storici presenti sui maggiori monumenti, completi di iscrizioni, e, inoltre, una “scelta di veramente preziosi monumenti, che qualche escavazione eseguita con intelligenza potrà fornire a grandissimo schiarimento di punti storici… Queste escavazioni si faranno eseguire dal sig. Champollion e dal profess. Rosellini in quei luoghi che possano giudicarsi i più opportuni; ciascuno a conto del proprio Governo, su terreno estratto a sorte. A chiunque de’ due avvenga di trovare un qualche monumento di molto interesse, dovrà comunicarne all’altro esatta copia, affinché, per ciò che riguarda lo studio, l’utile sia comune.” (Gabrieli 1925, 188). I comuni obiettivi - scientifici e materiali - sono dunque delineati già con visione assolutamente moderna del valore storico-archeologico e non solo antiquario degli oggetti da procurare ai rispettivi governi e su una base di totale parità delle due Commissioni. La risposta favorevole del Granduca arriva tramite il suo ministro degli Interni, Neri Corsini, il 1 settembre del 1827: Rosellini sarà a capo di una Commissione Toscana, da lui guidata, che si unirà alla francese diretta da Champollion, “per fare eseguire i disegni dei monumenti egiziani finora sconosciuti o non illustrati e per lo scavo di quelli tuttora sepolti in Egitto onde arricchire i Musei dello Stato.” La partenza è vista come imminente, entro l’anno. Ma le cose in realtà non procedono con lo stesso trascinante slancio in Francia, dove Champollion ha trovato un’accoglienza assai meno entusiastica, molte riserve e ostacoli di varia natura, ideologica, politica e finanziaria. Il 20 novembre (e non alla fine d’agosto come indicato in Hartleben 1909, 418: si veda Bresciani 2008, 162) egli è costretto a scrivere un’imbarazzata lettera al Granduca, in cui, accanto all’espressione della sua immensa riconoscenza al principe toscano per aver esaudito tutti i suoi desideri adottando il progetto della Spedizione, deve al contempo pregarlo di rimandare l’impresa al luglio successivo. La spedizione in Egitto, per la parte francese, è in effetti decisa solo il 26 aprile 1828, grazie alle mutate circostanze politiche e all’avvicendarsi nelle alte cariche governative di uomini favorevoli a Champollion. La “mossa rapida e sicura del Granduca” certo pesa sulla decisione infine positiva di Carlo X (Gabrieli 1925, xviii) ma ancora, all’ultimo momento, un sussulto di nazionalismo del re, deciso a finanziare solo un’iniziativa esclusivamente francese, sembra nuovamente mettere in discussione tutto. La straordinaria lealtà e determinazione di Champollion sono qui decisive: in caso di eliminazione della Toscana, egli rinunzierà al progetto (Hartleben 1909, II, v). Ed è così che alfine il principio della spedizione congiunta si afferma e l’impresa si avvia.
È Il grande quadro eseguito dal pittore della Spedizione Giuseppe Angelelli al rientro dall’Egitto, dal 1834 al 1836, oggi al Museo Egizio di Firenze, mostra francesi e toscani a Tebe, tra le rovine del tempio di Luxor, dinanzi alle loro tende drappeggiate tra le antiche pietre. Esso sembra fissare la Spedizione in uno scenario e un tempo precisi, collocabili nel marzo 1829, quando le due missioni lavoravano a Luxor (Betrò 2000, 88-92) e il naturalista Raddi ancora non aveva lasciato Tebe per dirigersi verso il Basso Egitto. Ma in realtà piccole incongruenze mostrano che si tratta di uno spazio e tempo ideali: Angelelli scelse una cornice maestosa e appropriata per posizionarvi i protagonisti principali della Spedizione - in un certo senso i “veterani” - e, allo stesso modo, alludere, con dettagli mirati, agli eventi più significativi occorsi nel viaggio, riuniti in un unico momento. Al centro sono i due capi, Champollion seduto e Rosellini in piedi, alla sua destra, con in mano un foglio che dipinge una delle scene della battaglia di Kadesh - il faraone che afferra un nemico per il braccio - incorniciata da colonne di geroglifici. I due direttori indossano il nizam, veste d’ordinanza da poco prescritta dal pascià e adottata volentieri e con disinvoltura da gran parte di loro. Al centro, tra loro, l’ingegnere Gaetano Rosellini, zio di Ippolito, architetto per le due missioni, La sinistra del grande quadro è occupata dai vari membri delle due Commissioni: è agevolmente identificabile l’anziano Raddi, vestito all’europea, con la bella capigliatura bianca e l’espressione assorta, seduto con un fiore di loto in mano; il disegnatore Duchesne, che lasciò la Spedizione nel luglio del 1829, è rappresentato in primo piano con i “lunghi mustacchi neri spioventi”, semi-sdraiato e addossato a un mucchio di cuscini, con a lato i colori per dipingere, da una parte, e una tela con un paesaggio di rovine (File) e palme, dall’altro. Di lui, come degli altri colleghi francesi rappresentati nel quadro (Bertin, Lehoux, Nestor l’Hôte), si conservano a Roma, presso la Biblioteca di Archeologia e Storia delle Arti, notevoli bozzetti di ritratti fatti dallo stesso Angelelli (Tosi 2000, 262, 266-69). Dei francesi mancano l’architetto Bibent, costretto per motivi di salute ad abbandonare quasi subito l’impresa, e il “volontario” Lenormant, a sua volta tornato in patria all’inizio del 1829. Sono invece presenti tutti i toscani. La già citata lettera del ministro Neri Corsini del 1827 aveva assegnato a Rosellini tre disegnatori: il senese Alessandro Ricci, medico - come tale doveva anche operare per la Spedizione - dotato di gran talento artistico, già sperimentato negli anni di viaggio trascorsi in Egitto, Sinai, Nubia e Sennar (il testo del suo giornale di viaggio, perso, trovato, riperso, è stato infine ritrovato nel corso del progetto); l’ingegnere Gaetano Rosellini, zio di Ippolito, di soli quattro anni più anziano del nipote; e “un terzo disegnatore da scegliersi tra i migliori allievi di questa Accademia di Belle Arti”. La scelta cadde appunto su Giuseppe Angelelli (Tosi 2000, 256-269). Il governo toscano aveva stabilito inoltre che alla Commissione fosse “aggiunto in qualità di naturalista Giuseppe Raddi”, già Conservatore del Museo di Fisica e Storia naturale, botanico illustre, che nel 1817, all’età di 47 anni, aveva accompagnato la principessa Leopoldina d’Austria nel suo viaggio in Brasile, quale promessa sposa dell’imperatore di quel paese, Don Pedro di Braganza. Lo studioso aveva riportato in patria da quel viaggio circa 4000 campioni di piante e altrettante migliaia di semi, insetti e preparati zoologici, dando un contributo alla conoscenza della flora e fauna brasiliane ancora oggi fondamentale. Egli si riprometteva certamente una raccolta copiosa anche dalla Spedizione in Egitto: in effetti, la lista delle sue cose sbarcate a Livorno, conservata tra le carte Rosellini, enumera un buon numero di casse con minerali, legni, pelli di uccelli, frutti, semi e piante secche (Tomei-Amadei 2010). Non toccherà però allo scienziato fiorentino il loro studio: colto da una violenta infezione intestinale in Egitto, Raddi infatti si ammalò e morì prima di rivedere l’Italia, sull’isola di Rodi. L’assistente Felice Galastri era stato assai presto sostituito con Carlo Bolano. Una posizione particolare tra le due Spedizioni occupa Salvador Cherubini, figlio del noto compositore e dunque cognato di Rosellini. Come la sorella, egli è francese per nascita ed educazione, italiano per le origini paterne; nei resoconti dell’epoca compare a tutti gli effetti come pittore della missione francese, nel Giornale della Spedizione lo si dice membro dell’équipe francese ma “per prestar opera alle due Spedizioni”; gli studi successivi riprendono quest’ultima affermazione e lo citano come membro comune alle due spedizioni. Rosellini, nella lettera inviata al Granduca il 29 dicembre 1829 (originale nell’Archivio Centrale di Stato a Praga: Bresciani 2008, 162; copia dello stesso Rosellini nel Copialettere della Spedizione a Pisa), dice di lui: “unitosi spontaneamente alle due Spedizioni, e gli originali del quale fu convenuto dover appartenere alla Spedizione Toscana”. Ma una frase di Champollion nella sua lettera al fratello del 18 luglio 1828 (Hartleben 1909, 10) spiega la strana incertezza creatasi a suo proposito: egli infatti prega il fratello, in procinto di scrivere l’articolo con l’annuncio della partenza della Spedizione, di non dimenticare “di includere Salvador Cherubini nel numero dei disegnatori assegnati alla spedizione francese: è Rosellini che paga le spese del suo viaggio ma Salvador ha interesse ad essere citato tra i miei disegnatori francesi …”. Dunque, Cherubini è a tutti gli effetti il settimo membro della Spedizione Toscana, spesato da Rosellini stesso, che generosamente si presta, per amore del fratello dell’amata Zenobia, non solo a farlo risultare parte dei francesi ma anche a lasciarlo lavorare per loro in molte occasioni (il che diverrà poi necessario anche per gli altri disegnatori toscani, dopo le partenze di Bibent, Lenormant, Duchesne). La destra del quadro è invece dedicata agli egiziani con cui francesi e toscani lavorano: la maestosa figura dello Sheikh Awad e uno dei capi degli operai “loro accennano i luoghi più prossimi da esplorarsi”, secondo l’antica interpretazione della scena (Saltini 1866, 34; Gabrieli 1925, lvii). È suggestivo pensare che, in realtà, Angelelli volesse qui rappresentare un avvenimento preciso: la scoperta di una delle tombe intatte rinvenute nel corso degli scavi ordinati per conto della Spedizione nella necropoli tebana e annunziata loro quando erano al lavoro a Luxor. Almeno due tombe non saccheggiate furono trovate dai loro scavatori nel corso del marzo 1829, una l’11 e l’altra il 15. Il secondo ritrovamento, più ricco, comunicato loro a Luxor dal reis Abu Sakkarah, fu narrato da Rosellini diffusamente e con grande vivacità drammatica nei Monumenti Civili e, soprattutto, nella Sesta lettera ai Colleghi, oltre che, brevemente, nel Giornale. Dopo una perigliosa discesa nel sepolcro, in una notte ventosa di luna piena, Rosellini e gli altri furono “i primi a turbare il silenzio e le tenebre che da tanti e tanti secoli regnavano in quella stanza della morte.” Al debole chiarore della lampade, si trovarono ad osservare quattro sarcofagi antropoidi: le “quattro facce, grandi e dipinte di un colore giallastro” sembravano immerse in un sonno profondo, lontano dall’orrore della morte, “ma era in quel sonno qualchecosa d’eterno”. Gli oggetti del corredo, accanto ad essi disposti, sono oggi in parte al Museo Egizio di Firenze, come stabilito nel permesso accordato dal pascià. Alcuni potrebbero essere tra quelli rappresentati nel quadro per terra, accanto allo Sheikh e dinanzi ai due capi della Spedizione, Ma tra essi si riconosce anche lo specchio con custodia appartenuto a Tjesraperet, la nutrice della figlia del faraone Taharka, della XXV dinastia, la cui tomba, anch’essa intatta, fu rinvenuta solo a maggio. Questo induce a pensare che Angelelli attinga qui al ricordo della notizia ricevuta a Luxor - uno dei primi entusiasmanti ritrovamenti - ma vi aggiunga dettagli desunti da altri memorabili eventi, evocando in questo modo gli scavi eseguiti in Egitto e i loro frutti portati al Granduca. Lasciamo la Spedizione qui dove la immortalò Angelelli, senza seguirla nel lungo itinerario che la portò, partita da Tolone il 21 luglio 1828 e giunta ad Alessandria il 18 agosto 1828, a percorrere in quindici mesi di viaggio l’Egitto e la Nubia fino a Wadi Halfa, alla II cataratta del Nilo. I disegni e i manoscritti prescelti per la seconda sezione della mostra permettono indirettamente di seguirne alcune delle tappe principali: Giza, Saqqara, Menfi, Beni Hasan, Tebe, File, la Nubia. Il frutto di quel viaggio fu una massa enorme di documenti: note, copie di testi geroglifici, disegni (Pesante 2010). A questa documentazione, fondamentale per la nascita della moderna egittologia, vanno aggiunte le 76 casse di antichità portate da Rosellini al Granduca (Guidotti 2010), le collezioni minori a Pisa (Silvano 2010) e quelle di Champollion per il governo francese. Nella già citata lettera che sintetizza i risultati dell’impresa, scritta al Granduca al rientro, nella forzata pausa della quarantena nel lazzaretto di Livorno, lo studioso così sintetizza in termini di risultati concreti il lavoro svolto: “Risulta dalla presente nota che i Disegni originali fatti dagli individui componenti la Spedizione Toscana sono in N. di 896 e quelli della spedizione francese dei quali si posseggono le copie 429”, dunque un numero totale di 1325 disegni. R aggiunge a pié di pagina che “I Francesi posseggono vicendevolmente le copie dei nostri originali.” Accanto ai disegni, l’elenco di Rosellini cita “Quattordici volumi manoscritti d’iscrizioni geroglifiche, osservazioni, sbozzi e note prese ai monumenti dell’Egitto e della Nubia”, come si è già detto corrispondenti a quelli, per lo più inediti, conservati insieme ai disegni nella Biblioteca Universitaria di Pisa. Disegni e note furono vicendevolmente scambiati tra i membri delle due commissioni, un fatto che Rosellini ribadisce in diversi punti della sua opera, e, con maggior dettagli, nell’Avviso dell’Autore premesso al testo del primo tomo dei Monumenti Storici, nel 1832. Egli ricorda qui che le due Spedizioni operarono “con uguale comunità di mezzi e di lavori”, secondo il principio enunciato nell’accordo ufficiale, ottenendo perciò “due raccolte di disegni e di note comprendenti ciascuna le cose medesime”, che i due capi si comunicavano sui luoghi stessi e a vicenda giorno per giorno erano copiate. Tuttavia, egli dice, per varie ragioni i toscani produssero un portafoglio di disegni più ricco di scene storiche e “civili”, che i francesi non fecero in tempo a copiare tutto. Rosellini aggiunge - dettaglio assai interessante - che “ai disegni di Stato Civile va congiunto un grosso volume di note, ch’io presi nelle innumerabili tombe della Necropoli di Tebe”. Tali note - continua - costituiscono una raccolta ulteriore rispetto a tutte quelle che giornalmente si scambiavano “e da quel mio volume lo Champollion estrasse poi con miglior agio quelle cose che gli sembrarono più interessanti”. In occasione della decisione presa con Champollion di pubblicare in comune l’opera, annunziata nel manifesto francese-italiano pubblicato a Parigi nel 1831 presso Firmin-Didot, l’amplissima materia fu suddivisa tra i due studiosi: Champollion avrebbe trattato i “Monumenti Storici”, Rosellini quelli “Civili” (arti e mestieri, vita quotidiana); per la religione, a Champollion spettavano dei e astronomia, mentre Rosellini si sarebbe occupato del culto e delle cerimonie funerarie. In quell’occasione egli inviò a Parigi, per completare la documentazione, i disegni mancanti ai francesi, con l’eccezione di centocinquanta appartenenti alla materia “civile”, che secondo l’accordo spettava a lui. Tra i disegni originali conservati a Pisa, diversi recano, accanto alla firma dell’autore toscano, la dicitura “copiò da” seguita dal nome del disegnatore francese, ad attestazione degli scambi comuni menzionati da Rosellini; così pure, tra quelli pubblicati nell’opera parallela francese, edita postuma dal fratello maggiore di Champollion, numerosi sono quelli a firma dei toscani. Come è noto, le cose andarono diversamente e la pubblicazione comune non andò in porto: gli indugi di Champollion, il quale attendeva di ultimare la sua Grammaire Égyptienne da premettere all’opera, e le pressioni esercitate su Rosellini dal Granduca, impaziente invece di veder pubblicati i frutti della Spedizione che aveva finanziato, costrinsero lo studioso pisano a dare alle stampe da solo un primo fascicolo dei Monumenti. Poco prima che questo fosse pubblicato Champollion morì, il 4 marzo del 1832. Sulle spalle di Rosellini, rimasto suo unico continuatore ed erede spirituale, ricadde il peso dell’intera pubblicazione del materiale.
Nelle motivazioni scientifiche che diedero impulso all’impresa domina, già in Champollion e poi nel suo compagno toscano, la fortissima consapevolezza di come la decifrazione dei geroglifici segnasse uno spartiacque fondamentale tra quanto realizzato in precedenza e quanto la Spedizione avrebbe fatto e fece. Laddove i descrittori precedenti altro non potevano che riprodurre luoghi e monumenti con la massima fedeltà possibile, essi invece avevano in mano le chiavi per interpretarli, per dare alla scienza le “notizie ordinate e certe di storia politica, civile e religio (Monumenti del Culto, 1844, 6-7). Proprio questa auto-consapevolezza dètta gli intenti del viaggio, le modalità del lavoro e dei metodi adottati, e, infine, l’organizzazione del materiale in Monumenti Storici, Civili e del Culto, presente nell’opera di Rosellini ma, come si è detto, già stabilita per la mancata edizione comune. La Spedizione non vuole infatti ripetere “ciò che fu fatto sì splendidamente nella grande opera francese Description de l’Égypte”, dove fu rappresentata e descritta l’architettura dei monumenti visti dalla Prima cataratta del Nilo al mare: “neglette le illustrazioni topografiche e architettoniche”, già così ben fatte dalla spedizione di Bonaparte, essa si dedica con precisione filologica alla copia delle iscrizioni e delle scene e alla loro traduzione e interpretazione, possibile grazie alla “nuova scienza geroglifica”. Sono in effetti poche le piante, gli alzati e le sezioni presenti nei disegni della Spedizione, ancor meno quelli pubblicati: e tuttavia sappiamo dal Giornale di Gaetano Rosellini (Barni 1992) quante misurazioni e piante gli furono affidate - e non solo sul nuovo - proprio nell’intento di confrontare e verificare ciò che già la Description aveva riportato. La lista dei disegni della Spedizione, allegata alla lettera al Granduca del 29 dicembre 1829 nell’originale conservato a Praga, nemmeno cita tutti i disegni architettonici fatti da Gaetano, come prova inequivocabilmente un dossier di abbozzi, misure e piante completate, pervenuto alla Biblioteca Universitaria nel 1942 e appartenuto allo zio di Rosellini. Colpisce viceversa - più nei toscani che nei francesi, a dire il vero - il rigore filologico nella riproduzione delle scene sui monumenti, l’attenzione alla presenza di lacune, l’asciuttezza rigorosa del tratto, che non cede a tentazioni di integrazioni o abbellimenti soggettivi. Nuova, rispetto alla Description, è anche l’estensione del viaggio - e dunque della documentazione - alla Nubia, fino alla II cataratta.
È proprio la capacità di tradurre e comprendere gli innumerevoli testi geroglifici copiati a consentire un’organizzazione del materiale non puramente topografica, e delineare - già con sicurezza sorprendente per noi egittologi di due secoli dopo - quella prima sintesi dell’antica civiltà egiziana che, partendo dalla ricostruzione della cronologia egiziana, come griglia necessaria in cui disporre i documenti raccolti, procedeva descrivendone i vari aspetti della vita quotidiana, pubblica e privata, e si cimentava infine con l’analisi del pensiero religioso e delle concezioni funerarie. Se il lavoro della Spedizione in Egitto fu comune e comune la stesura delle note, al solo Rosellini va riconosciuta l’opera immane di elaborazione di quelle note, confluita nei nove volumi di testo (un totale di 3300 pagine in 8°) che servirono da “illustrazione” alle tavole dei Monumenti. Come egli stesso disse, commentando sobriamente l’edizione francese postuma dei Monuments, che il fratello di Champollion aveva gelosamente rivendicato a sé solo, altro non potendo dunque che limitarsi a riprodurre i disegni e le note comuni, “la natura di questo lavoro… esiste nei manoscritti lasciati dal(lo) Champollion e nei medesimi che da me si posseggono, come esiste un edifizio nelle pietre che traggonsi dalla cava.” (“Avviso dell’Autore”, Monumenti Storici, Testo, Tomo I). È ancora toccante e al tempo stesso sorprendente leggere oggi le pagine che Rosellini pose ad appendice dell’ultimo fascicolo dei Monumenti Civili, intitolate “Del metodo adottato in trattare la nuova scienza archeologica egiziana, specialmente rispetto alla filologia”. Toccante perché lo studioso, guardando indietro all’opera compiuta, rivive e fa vivere il dolore terribile in cui lo precipitò la morte precoce dell’amico e, dopo il dolore, l’angoscioso sbigottimento nel dover occuparsi lui della metà che “Champollion condotto avrebbe con profitto inestimabile della scienza”. La morte del Decifratore, infatti, “per irreparabile sventura di questi importanti studi” lo aveva colto prima che mettesse mano allo studio dei monumenti raccolti. Dinanzi a tale schiacciante responsabilità Rosellini provò un sentimento di profonda inadeguatezza e indegnità. Solo il senso del dovere nei confronti del Granduca e degli stessi preziosissimi documenti raccolti, che in quel momento egli solo, come unico continuatore della scienza geroglifica del Maestro, avrebbe potuto decrittare e mettere a frutto, lo sostenne nel gigantesco compito. E tuttavia è al tempo stesso stupefacente come egli, in dodici anni di lavoro estenuante, fosse infine riuscito a dominare l’immensa mole di dati raccolti, ed ammirevole la straordinaria modernità del pensiero e del metodo con cui Rosellini tessé insieme archeologia (nel senso più ampio del termine) e filologia nella ricostruzione storica. Rosellini pagò a caro prezzo personale il compimento dell’opera dei Monumenti e la sua pubblicazione, in termini di salute e di finanze: il Granduca, misteriosamente stanco di quell’Egitto che 13 tanto lo aveva appassionato, sembrò divenire nel tempo indifferente e lontano, limitandosi a far anticipare dal Governo una parte della somma necessaria, che lo studioso dovette comunque rimborsare in seguito, finanziando dunque con i propri mezzi la magnifica opera; il fratello di Champollion, Jacques, continuò ad opporgli una malevolenza mai sopita e acuita dopo la morte del Decifratore, agitandogli contro maldicenze e false accuse; perfino l’ambiente ecclesiastico scagliò contro Rosellini velenose insinuazioni con un libello anonimo (Botti 1949, 8-9). Con ironia egli commentò all’amico Ungarelli la situazione: le accuse di Parigi gli davano coraggio essendo “un ameno compenso alle persecuzioni di Roma” (Gabrieli 1926, 26) .
Ciò nonostante, la sua opera fu riconosciuta dai contemporanei quale una pietra miliare nella storia della nascente Egittologia, come attesta il ricco carteggio conservato a Pisa con le personalità di maggior rilievo nello scenario culturale internazionale dell’epoca: Alexander von Humboldt, Jomard, Wilkinson, Leemans, Lepsius e molti altri. Dei Monumenti Richard Karl Lepsius, che a Pisa ne fu allievo, nella sua celebre Lettre à M. le Professeur H. Rosellini sur l’alphabet hiéroglyphique del 1837 disse: “(la Grammaire égyptienne dello Champollion) sarà per sempre l’opera fondamentale della filologia egiziana, così come la descrizione dei Monumenti dell’Egitto e della Nubia lo sarà per l’archeologia egiziana intesa nel senso più ampio del termine”.
Marilina Betrò
docente di Egittologia
betro@sta.unipi.it
Bibliografia
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