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Hanno iniziato la loro esperienza venerdì 17 gennaio i 63 volontari, giovani dai 18 ai 29 anni, che per un anno svolgeranno il servizio civile regionale nelle diverse sedi dell'Università di Pisa. La prima giornata, al Polo Fibonacci, è stata dedicata alla formazione obbligatoria, curata dal CISP-Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace.

Gli 11 progetti di servizio civile regionale dell'Ateneo, presentati sempre dal CISP e dallo stesso gestiti e coordinati, riguardano il Sistema Museale di Ateneo, il Museo di Calci, l'Orto Botanico, il Sistema Bibliotecario di Ateneo, il Centro Linguistico di Ateneo, il Centro Avanzi, la direzione Didattica, quella Edilizia e Telecomunicazione e quella di Area medica, l'Ufficio comunicazione, i dipartimenti di Farmacia, Filologia, letteratura e linguistica, Ingegneria civile e industriale, Scienze della terra, oltre alla Fondazione Arpa. 

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Durante i prossimi mesi i giovani avranno l'opportunità di vivere, all’interno delle varie realtà universitarie, un percorso di alto valore formativo e di impegno civile, oltre che significativamente professionalizzante, come risulta dal fatto che alcuni giovani volontari, a partire dalla prima esperienza del 2015, hanno colto dopo il servizio civile e grazie a esso, delle interessanti occasioni di lavoro tuttora in essere. L'esperienza si consolida dunque come un importante punto di riferimento per la promozione di valori di impegno civile, solidarietà, partecipazione, inclusione e utilità sociale dei servizi resi dall'Ateneo. Inoltre rafforza l'impegno formativo delle giovani generazioni, potenziandone le capacità professionali e di inserimento lavorativo, con importanti ricadute sul territorio. In questo ambito il CISP si attestata come polo di riferimento nazionale nell’ambito delle attività di documentazione e studio dei processi di pace, anche in relazione al servizio civile sia regionale che nazionale.

Scoperto di recente a Pisa e esposto in via eccezionale a Palazzo Blu, a partire da sabato 11 gennaio, ecco il ritratto di Antonio Pacinotti eseguito dall’artista futurista Giacomo Balla.
Si tratta di un quadro dedicato a uno dei padri nobili dell’Università di Pisa, ritratto dal grande artista futurista con tutta probabilità intorno alla metà degli anni ’30. Il quadro, firmato dall’autore, è attualmente di proprietà dell’Università di Pisa ed è collocato nel dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni, e di esso, ad oggi inedito, non sappiamo la data esatta di esecuzione né il motivo.

Accanto al quadro sono in mostra due prototipi delle macchine di Pacinotti, che appaiono nel quadro sulla destra e dietro Pacinotti, prestati dal Museo degli Strumenti di Fisica del Sistema Museale di Ateneo, grazie all’interessamento del direttore Sergio Giudici e del dottor Claudio Luperini. La "Macchina a Gomitolo" (1873) fu presentata nel Volume XII del "Nuovo Cimento" del 1874. Pacinotti iniziò a costruire la macchina nel 1873 presso la villa di famiglia a Caloria (Pistoia) per poi concluderla a Cagliari dove era professore di Fisica sperimentale all’Università. Questa macchina era detta “a gomitolo” in quanto presentava una nuova calamita trasversale consistente in un filo conduttore (di spessore 0.5 mm, lungo circa 100m e ricoperto di seta) avvolto attorno a un cilindro di ferro pieno in maniera simile a un gomitolo di lana. Secondo Pacinotti la macchina, nonostante le sue piccole dimensioni, avrebbe potuto produrre una discreta quantità di corrente. Questa macchina partecipò alle esposizioni di Parigi del 1881 e del 1900 e a quelle di Torino del 1884 e 1898. La "Macchina ad Anello" (1902) è una delle due, simili alla macchinetta, che Pacinotti fece costruire intorno al 1902 nel Gabinetto di Fisica tecnologica di Pisa; soltanto alcuni perfezionamenti tecnici la distinguono dall’originale in cui Pacinotti fin dal 1860, con l’impiego della sua “calamita trasversale”, aveva risolto i problemi delle macchine dinamo elettriche dell’epoca, infatti la macchinetta rappresentava la prima macchina in grado di generare, economicamente e con elevato rendimento, corrente continua a tensioni di gran lunga superiori a quelle sino allora ottenute.

Antonio Pacinotti (Pisa, 17 giugno 1841 – Pisa, 25 marzo 1912), scienziato, professore universitario, universalmente noto per essere stato l’inventore della dinamo e del motore elettrico in corrente continua, è stato professore di Fisica dell’Università di Pisa dal 1881 al 1912 e Direttore del Gabinetto di Fisica tecnologica, sempre dell’Università di Pisa. Una mente eclettica ed estremamente dotata. A soli 15 anni viene ammesso a frequentare il corso di laurea in Matematiche applicate dell’Università di Pisa. Durante la sua carriera si indirizza verso la fisica e in particolare l’elettrodinamica. Nell’aprile del 1860 realizza il primo prototipo di dinano/motore in corrente continua, la ‘macchinetta’ come lui stesso la chiamò.

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Il dipinto di Giacomo Balla ritrae Pacinotti in età avanzata, al suo tavolo di lavoro e, accanto a lui, la sua invenzione più celebre, la dinamo appunto. Il quadro è ambientato nel Gabinetto di Fisica tecnologica che sorgeva in via Santa Maria n. 14, all’interno dell’Istituto di Fisica dell’Università di Pisa, nel quale egli ha ricoperto il ruolo di professore ordinario di Fisica tecnologica e meccanica sperimentale. Tra le poche informazioni che sono ad oggi disponibili sappiamo che l’opera è la fedele riproduzione pittorica di una foto del 1911, presente in una pubblicazione celebrativa del 70° compleanno di Pacinotti e per il 50° anniversario dell’invenzione della dinamo. L’aspetto celebrativo e le caratteristiche stilistiche del dipinto inducono a collocarne la realizzazione negli anni trenta, prima del 1941, anno nel quale una sua riproduzione compare, per la prima volta, nel libro Antonio Pacinotti nel primo centenario della nascita, pubblicato da Vittorio Emanuele Boccara.
Alcune informazioni storiche consentono di individuare il contesto in cui si è arrivati alla committenza dell’opera. L’edificio di via Santa Maria, sede del Gabinetto di Fisica tecnologica, era anche sede dell’appartamento dove Pacinotti nacque e visse fino alla morte. Sempre in questa sede nel 1930 venne fondato il Museo Pacinotti, con l’intento di raccogliere e conservare i cimeli che gli eredi dello scienziato avevano donato alla Scuola d’Ingegneria. Nell’elenco del lascito non compare però il quadro, così come non compare nel catalogo della ‘mostra dei cimeli pacinottiani’ allestita dal 24 maggio al 30 giugno del 1934 nell’Aula Magna dell’Università di Pisa, in occasione delle celebrazioni per il 75° anniversario dell’invenzione della dinamo. Le solenni celebrazioni si aprirono, al Teatro Verdi, con la commemorazione presieduta da Guglielmo Marconi, Presidente dell’Accademia d’Italia ed alla quale aderirono numerose personalità tra le quali Enrico Fermi, Pietro Mascagni e Filippo Tommaso Marinetti. In quella occasione, il Museo Pacinotti venne dichiarato ‘monumento nazionale’, con il Regio Decreto n. 1020 del 4 giugno 1934. In seguito, nella seconda metà del secolo scorso, i cimeli di proprietà dell’Università di Pisa, custoditi nel Museo, furono suddivisi fra vari istituti. Dalle ricerche effettuate si può ragionevolmente supporre che l’iniziativa di realizzare il dipinto sia nata nell’ambito dell’Università di Pisa a seguito della solenne celebrazione di Pacinotti del 1934. Anche l’analisi stilistica del quadro rimanda agli anni ’30, quando Balla sceglie di tornare a una figurazione tradizionale, lontana da tentazioni d’avanguardia futurista.

Eppure, nonostante il dipinto non presenti elementi stilistici che richiamino al Futurismo riesce comunque a realizzare una sintonia di spirito tra le idee di modernità e velocità e la rivoluzione tecnologica promossa dalle grandi invenzioni di cui fu autore Antonio Pacinotti. L’esposizione dell’opera a Palazzo Blu assume un particolate rilievo, proprio in concomitanza con le ultime settimane della mostra "Futurismo", e al tempo stesso consente alla città di Pisa di approfondire una pagina della sua storia, in particolare quella relativa ai legami tra arte e scienza, arte e mondo accademico poco nota e ancora tutta da svelare. Il ritratto sarà visitabile gratuitamente fino a domenica 9 febbraio.

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Alla presentazione hanno partecipato Cosimo Bracci Torsi, presidente della Fondazione Palazzo Blu; Paolo Mancarella, rettore dell'Università di Pisa; Andrea Muzzi, direttore della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Pisa e Livorno; Chiara Bodei, presidentessa del Sistema Museale di Ateneo; Elena Gigli, responsabile Archivio Gigli per l’opera di Giacomo Balla.

"Già nel 2012 - ha detto il rettore Mancarella - abbiamo ricordato Antonio Pacinotti in occasione del centenario della sua morte. Oggi, però, grazie al ritratto che gli fece Giacomo Balla e che esce per la prima volta dal nostro dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni, possiamo parlarne da un punto di vista diverso: come un incontro non certo casuale tra due giganti avvenuto, idealmente, negli anni Trenta, sul campo mai neutro della tela bianca. In questo modo possiamo far emergere una storia importante, ma ancora oggi, al di là delle periodiche celebrazioni di Pacinotti, poco nota a un grande pubblico a cui possiamo adesso raccontarla sfruttando il potere comunicativo dell’arte".

(fonte: Ufficio Stampa Fondazione Palazzo Blu)

Nella foto, da sinsitra: Bracci Torsi, Muzzi, Gigli, Mancarella e Bodei.

 

Sono stati inaugurati mercoledì 8 gennaio i corsi hands-on sugli strumenti digitali innovativi, organizzati per il secondo anno dalle professoresse Enrica Salvatori e Maria Simi, che fanno parte di un progetto speciale per la didattica on-line dell'Università di Pisa. Aperti a tutti gli interessati e in maniera gratuita agli studenti e al personale dell'Ateneo, i sette corsi andranno avanti nei mesi di gennaio e febbraio. La prima lezione dedicata al programma di composizione tipografica "LaTeX" è stata tenuta da Massimiliano Dominici, che da anni si occupa di impaginazione editoriale come freelance, e proseguirà il 15 e 28 gennaio per concludersi il 4 febbraio.

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Gli altri sei corsi, sempre di otto ore ciascuno, sono dedicati a "GIT", software di controllo versione volto alla gestione delle modifiche di qualsiasi tipologia di file (docente Angelo Maria Del Grosso, 3 e 5 febbraio); "Modellazione 3D" (docenti Niccolò Albertini e Andrea Dal Pino, 21 e 24 gennaio, 10 e 13 febbraio); "Omeka", il content manager open source per la creazione di collezioni, archivi digitali ed esposizioni online (docente Fabio Venuda, 11 e 12 febbraio); "Video digitale" (docente Francesco Andreotti, 13, 20 e 27 gennaio); "Word press: livello base", piattaforma di personal publishing e content management system open source (docente Chiara Mannari, 13 e 20 gennaio) e "Word press: livello avanzato" (docente Stefano Dei Rossi, 22 e 29 gennaio).

"Il mondo delle competenze digitali - hanno detto le professoressa Salvatori e Simi introducendo i corsi - si muove molto rapidamente. Quasi ogni mese escono nuove soluzioni tecniche e strumenti innovativi che potrebbero semplificare la vita e dare una marcia in più. I corsi hands-on promossi, prevalentemente rivolti al settore umanistico, si propongono di colmare il divario tra la formazione accademica (gli strumenti per 'conoscere') e la pratica (gli strumenti per 'fare'), fornendo utili competenze spendibili all’interno dell’università e nel mondo del lavoro".

I corsi sono aperti a tutti gli interessati fino a esaurimento dei posti, che sono limitati dalla capienza dei laboratori, e sono gratuiti per gli studenti e per il personale dell'Università. Per accedere è necessario registrarsi attraverso la piattaforma Moodle dell’area umanistica all’indirizzo: https://elearning.humnet.unipi.it/course/index.php?categoryid=152

Nella foto: l’inaugurazione del primo corso con il docente Massimiliano Dominici e la professoressa Enrica Salvatori, rispettivamente quarto e quinta da sinistra.

franco scaramuzziLutto in Ateneo per la scomparsa, lunedì 6 gennaio, del professore Franco Scaramuzzi, professore emerito dell’Università di Pisa dove ha insegnato Coltivazioni Arboree e fondato la scuola di Arboricoltura.

Nato a Ferrara nel 1926, nel corso della sua carriera il professore Scaramuzzi ha ricoperto molte cariche e ricevuto importanti onorificenze: è stato presidente dell’Accademia dei Georgofili dal 1986 al 2014 di cui poi è rimasto presidente onorario; Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana, ha ricevuto la medaglia d’oro dal Presidente della Repubblica quale “Benemerito per la Scuola e la Cultura”; è stato inoltre presidente del Comitato Nazionale per le Scienze Agrarie del CNR e rettore dell’ateneo fiorentino dal 1979 al 1991.

Ripubblichiamo di seguito una recensione del professore Giacomo Lorenzini, ordinario di Patologia Vegetale al Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali del nostro Ateneo, su "Il giovane Professore" (Campano Edizioni, Pisa, 2018), volume che Filiberto Loreti e Rolando Guerriero hanno dedicato al loro maestro Franco Scaramuzzi.

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Una carriera accademica prestigiosa, quella di Franco Scaramuzzi: professore emerito; dal 1986 al 2014 presidente dell’Accademia dei Georgofili, di cui è ora presidente onorario; insignito di medaglia d’oro dal Presidente della Repubblica quale “Benemerito per la Scuola e la Cultura”; Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana; per molti anni presidente del Comitato Nazionale per le Scienze Agrarie del CNR; rettore dell’ateneo fiorentino dal 1979 al 1991.

Ma prima di trasferirsi a Firenze, il prof. Scaramuzzi ha insegnato Coltivazioni Arboree per una dozzina di anni alla Facoltà di Agraria di Pisa, dove ha fondato una scuola di Arboricoltura, ricca di risultati anche in campo internazionale e che oggi rappresenta uno dei settori di eccellenza del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali. Due dei suoi allievi del tempo, poi divenuti ordinari a Pisa, il Prof. Filiberto Loreti (recentemente scomparso) e il Prof. Rolando Guerriero (non certo agli esordi come scrittore di prosa – quante volte ha già messo su carta i ricordi della sua infanzia, e rievocato mestieri e civiltà, ormai scomparse), hanno voluto dedicare al loro “Maestro di vita e di scienza” un agile volumetto nel quale ripercorrono, con appassionata nostalgia, una puntigliosa ricostruzione degli anni trascorsi insieme, loro giovani e promettenti collaboratori fiduciosi nel futuro, Lui già scienziato di chiara fama. Il volume è una miniera di aneddoti, piccole cronache, avventurose peripezie e descrizioni dettagliate di un mondo rurale ormai scomparso, appartenente a un’epoca distante nel tempo e nei modi di vivere, con autentici ‘acquarelli’, che inevitabilmente richiamano alla mente i racconti maremmani di Renato Fucini, altro studente di Agraria a Pisa. Il mondo rurale (e non solo quello) era in profonda trasformazione e le aspettative dal mondo della ricerca erano enormi.

L’ammirazione degli autori per il protagonista è palese: “Le sue frasi correvano diritte sul bersaglio come frecce lucenti”, affermano, ricordandone le non comuni doti didattiche, con la costante ricerca di metodi innovativi di comunicazione (cominciò a registrare le lezioni; citava gli articoli più recenti e le ricerche in corso e introdusse e rinnovava sistematicamente le diapositive a colori!), il ricorso a esempi pratici calati nel concreto, supportato da una gestualità coinvolgente. Indimenticabili le lezioni sui sistemi di potatura basate sull’analisi di fedelissimi modelli in miniatura costruiti ad hoc con filo metallico. Non meraviglia il fatto che, seguendo il richiamo di quelle parole, molti Suoi studenti abbiano intrapreso con successo la strada della carriera accademica in vari settori della orto-floro-frutticoltura, e in questo Scaramuzzi si è rivelato anche un eccellente talent scout.

Ma è soprattutto nel campo della ricerca che vanno individuate le innate doti manageriali di Franco Scaramuzzi. Libero docente a 28 anni, tre anni dopo giunge a Pisa come Professore incaricato e nel 1959 (33 anni) diviene Ordinario: ecco il motivo dell’appellativo “giovane Professore” che dà il titolo all’opera. L’Istituto del quale prende possesso è ben poca cosa; in pratica partiva da zero, con qualche stanza, un paio di unità di personale e niente risorse economiche e mezzi operativi. I tempi erano duri: per gli spostamenti in campagna veniva utilizzato uno scassato furgoncino appartenente al padre di Guerriero, commerciante, il quale non recuperava neppure i costi del carburante.

L’entusiasmo, il carisma e le energie non mancavano, ed ecco che inizia una veloce e travolgente attività alla caccia di fondi, di collegamenti con il mondo produttivo e con le istituzioni locali e nazionali, di missioni scientifiche in mezzo mondo (sempre accompagnato da due macchine fotografiche, una Rolley e una Laica), in cerca di novità, idee, materiali genetici da testare. Gli studenti presto si fanno attrarre dal calore umano, dalla passione profonda e contagiosa e dalla disponibilità di Scaramuzzi e affollano i laboratori oramai avviati, per le loro tesi, rigorosamente di carattere applicativo. Cominciano a sorgere le aziende e gli impianti sperimentali, che alla fine del percorso pisano saranno parecchie decine (gli autori parlano di “impero sperimentale”, che superava le trenta unità di personale), in diverse aree pedoclimatiche, per lo più concesse gratuitamente dai proprietari, desiderosi di seguire in diretta l’evoluzione delle tecniche e di godere in anteprima dei risultati del miglioramento genetico.

Particolare attenzione viene rivolta alla Maremma toscana, che per caratteristiche climatiche e vocazione agronomica ha (meglio, aveva; meglio ancora, avrebbe avuto) le carte in regola per divenire un vero paradiso della frutticoltura. Ma le cose non sono andate esattamente per il verso giusto, ma questa è un’altra storia. Scaramuzzi, vero anticipatore degli eventi, spinge verso la meccanizzazione delle operazioni colturali (la manodopera era sempre meno disponibile e più cara, i conti non tornavano), che necessitavano profonde revisioni, a cominciare dalle forme di allevamento e dalle tecniche di potatura.

La perfetta conoscenza dei principi fisiologici che regolano lo sviluppo delle piante arboree consentiva al Professore di proporre soluzioni tecniche che talvolta sfidavano lo scetticismo di colleghi e agricoltori ancorati a schemi di lavoro superati: è questo il caso delle accese contrapposizioni in merito alle soluzioni per il recupero degli olivi martoriati dalle gelate, per i quali la ceduazione si rivelava la proposta vincente. Altro settore di interesse era il vivaismo olivicolo del pesciatino, nell’ambito del quale si doveva confrontare con pratiche empiriche (e improprie) portate avanti con spirito acritico dagli operatori, i quali dovettero ammettere la correttezza delle Sue idee e i vantaggi pratici che derivavano dall’adozione delle proposte da Lui tenacemente sollecitate.

Il miglioramento genetico e la selezione clonale della vite costituiscono un altro esempio della lungimiranza di Scaramuzzi, il quale ha ben presto individuato nella certificazione sanitaria del materiale di impianto un fattore strategico per il successo della coltura, in questo certamente istruito dal fratello Giovanni, docente di Patologia vegetale e vero pioniere della Virologia in campo nazionale (allorquando le virosi erano considerate una specie di stregoneria).

Le capacità gestionali di Scaramuzzi sono ben rappresentate dalla realizzazione di una iniziativa scientifica epocale: l’organizzazione di un lungo ciclo di seminari su tutti gli aspetti della viticoltura che portarono a Pisa i massimi esponenti della ricerca in campo internazionale e dettero vita a una collana editoriale che rappresenta tuttora un punto di riferimento per molti versi ancora attuale.

Sul piano professionale il “giovane Professore” incita i collaboratori a lavorare in gruppo e valorizzare il loro spirito di curiosità; convoca periodiche riunioni, nel corso delle quali i pregi (e i difetti) dei singoli vengono messi in luce attraverso la discussione dei risultati ottenuti e delle proposte operative. Soddisfazione per i meritevoli, incitamento e incoraggiamento (e magari qualche affettuoso rimprovero) per una prova andata male. Efficienza, rigore e serietà, ma mai viene a mancare l’aspetto umano, sempre rispettoso dei problemi di natura personale che inevitabilmente coinvolgono prima o poi qualcuno che ci è vicino. E non mancavano i momenti collegiali: leggendo le pagine che descrivono minuziosamente i riti preparatori dell’”inferno degli spiedi” si percepisce nettamente il profumo e il sapore della carne che arrostiva a fuoco lento nella macchia grossetana: era l’occasione rituale per ringraziare tutti per l’impegno profuso, ma anche per nuovi incontri, nuove relazioni sociali, nuove idee.

Il volume è anche una raccolta organica di ritratti di personaggi che a vario titolo erano coinvolti nelle attività sperimentali (lungo è l’indice dei nomi): di ognuno si tratteggia qualche particolare fisico o umano, si evidenziano le caratteristiche personali, si evocano episodi e aneddoti. Avventurose le trasferte verso le aree sperimentali, con strade impervie e mezzi di trasporto sgangherati e soste ristoratrici in bar e trattorie, nelle quali si innescano rapporti interpersonali sulla cui evoluzione viene lasciato spazio alla fantasia del lettore. A proposito di veicoli: Scaramuzzi riesce ben presto ad acquistare un pulmino nuovo di zecca per il trasporto di persone e materiali, ma sottopone i collaboratori a una sorta di esame suppletivo di patente per essere rassicurato sulle loro capacità di guida (“il furgone non ha muso, lo sterzo è sensibilissimo…”).

Il finale del volume è a sorpresa: vengono riprodotte una quindicina di ‘tavole’ disegnate con inchiostro di china da un tecnico di laboratorio particolarmente dotato nella grafica: con spirito satirico e dissacratorio vengono immortalate le disavventure grandi e piccole che avevano accompagnato la nascita e la crescita dell’Istituto di Coltivazioni Arboree. Scaramuzzi apprezzò l’idea e fece riprodurre a proprie spese la raccolta per donarne una copia a tutti i collaboratori.

Indubbiamente siamo in presenza di un esemplare documento d’epoca, di un periodo tanto lontano e così diverso, nel quale emergono i valori e il senso di una seppur piccola comunità, caratterizzata da reciproca stima e amicizia e spirito di collaborazione: i risultati non sono mancati e sono visibili ancora oggi.

Giacomo Lorenzini

Mancarella PaoloSono rimasto molto stupito che il 2020 a Pisa sia iniziato con la cancellazione di un simbolo. Nulla più di questo è infatti la rimozione repentina dell’edicola della legalità. Non sono qui a discutere, e probabilmente non spetta neppure a me, come si combatte la mafia, ma da cittadino e Rettore so che per buona parte della comunità pisana e studentesca quel manufatto, inserito nel progetto di Libera, era un ricordo quotidiano della vittoria dello Stato sulle mafie. Per la città quell’edicola infatti era divenuta dal 2014 un simbolo di giustizia e di riscatto, come testimoniato dai tanti messaggi e disegni esposti proprio lì ad opera di bambini e ragazzi delle scuole del territorio. Nel maggio scorso, in occasione del conferimento della laurea honoris causa a Don Luigi Ciotti, mi ero recato personalmente insieme a lui proprio davanti all’edicola e insieme avevamo auspicato che quel simbolo così importante per Pisa non venisse rimosso prima di aver trovato una nuova collocazione. Confido che l’Amministrazione Comunale sia disponibile a riaprire quanto prima il dialogo iniziato allora con Libera e con la comunità tutta per trovare una soluzione sulla base di una progettualità condivisa.

Paolo Mancarella
Rettore Università di Pisa

È stato presentato mercoledì 18 dicembre nell’atrio di Palazzo Vitelli, alla presenza del rettore Paolo Mancarella, il calendario ufficiale 2020 dell'Università di Pisa, realizzato con le 12 immagini che sono state selezionate nell'ambito del concorso fotografico “Scatto matto! Racconta la tua Università", riservato agli studenti dell'Ateneo.

Il calendario, che sarà distribuito al personale dell'Ateneo, è nato da un'idea di Francesco Giorgelli, membro del Comitato Unico di garanzia e responsabile Cultura del Centro Ricreativo Dipendenti Universitari, idea subito raccolta dall’Ateneo. La proposta, con il coordinamento dell'Ufficio comunicazione e la collaborazione della Pisa University Press, è stata sviluppata attraverso il concorso fotografico a premi "Scatto matto!", che ha avuto come tema l'illustrazione e l'interpretazione dei vari aspetti della vita dell'Ateneo, visti anche in rapporto con il contesto cittadino e il territorio pisano. Al concorso, aperto tra luglio e ottobre, hanno partecipato 268 candidati con più di 700 fotografie.

Nell'occasione sono stati premiati i 12 autori delle foto vincitrici, ognuno dei quali riceverà una somma di 500 euro a titolo di rimborso per l'opera di creatività prestata. Gli studenti, selezionati da una Commissione presieduta dalla professoressa Sandra Lischi, delegata per la Comunicazione e la Diffusione della Cultura, e il titolo indicato per l'opera sono: Daniele Andreozzi, Alla fine del tunnel; Sofia Ballati, Il futuro a portata di mano; Eugeniu Caminschi, Facendo pratica; Giulia Foli, Leggi te stesso; Myriam Iannotta, Dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza; Vittorio Lami, Pietà universitaria; Federico Mara, Accendiamo i riflettori; Giorgia Masi, Le distrazioni del viaggio; Sara Salaris, Il cerchio della Sapienza; Serena Toninelli, Il tragitto più bello; Emilia Ventura, 50 sfumature di green; Francesco Zigliotto, Sole e pioggia al Dipartimento di Matematica.

"Questo concorso - ha commentato il rettore Paolo Mancarella - ci ha dato l’opportunità di rileggere e (ri)conoscere la nostra Università attraverso lo sguardo di chi la vive più intensamente: voi studenti. Ma questa piccola competizione è stata anche il nostro modo di invitarvi a creare, con le immagini, nuove relazioni tra l’Ateneo, la città e il suo territorio, al fine di rinnovare quel senso di appartenenza che vi lega alla realtà che avete intorno".

Le 12 immagini premiate resteranno esposte nell'atrio di Palazzo Vitelli per tutto il periodo natalizio.

L'Università di Pisa e il Comune di Lerici consolidano e sviluppano i rapporti di reciproca collaborazione attraverso la firma di una convenzione quadro che riguarda i principali temi di comune interesse, dall’ambiente all’urbanistica, dall’archeologia al turismo culturale e scientifico e, in generale, a tutti gli aspetti culturali che caratterizzano il territorio lericino nelle sue specificità ed eccellenza. L'accordo è stato presentato nella sede del comune ligure, alla presenza del presidente della Regione Giovanni Toti, del sindaco Leonardo Paoletti e del prorettore per i Rapporti con gli enti del territorio, Marco Gesi.

La convenzione, che avrà durata triennale, si riferisce in particolare allo svolgimento di attività formative sul territorio e alla valorizzazione del territorio, anche attraverso attività convegnistica, di studio e di promozione del patrimonio culturale della città di Lerici. Su queste tematiche, il Comune si impegna a favorire le attività di didattica, ricerca e formazione svolte dall’Università, anche attraverso l’attivazione di tirocini da svolgersi nelle proprie strutture e in quelle di enti controllati o partecipati e la messa a disposizione di spazi e personale per lo svolgimento di giornate di orientamento allo studio universitario organizzate dall’Ateneo pisano. Con successivi accordi attuativi saranno determinate le specifiche modalità per lo svolgimento di tali attività. L'accordo prevede infine l'individuazione di alcuni referenti, che per l’Università sono lo stesso prorettore Marco Gesi e il professor Daniele Dalli, docente del dipartimento di Economia e management, e per il Comune di Lerici il sindaco Leonardo Paoletti, la professoressa Nadia Olivero e il dottor Roberto Bagnoli.

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Tra i primi atti concreti della partnership ci potrebbe essere il master in "Management degli ecosistemi territoriali e marittimi", che ha per oggetto lo sviluppo del territorio e la preparazione di profili professionali che si occupino di valorizzarne le risorse, le "materie prime" fisiche e culturali, aiutando imprese e istituzioni a creare nuove iniziative e a migliorare quelle esistenti in ambito economico.

"Da accordi come quello con il Comune di Lerici - ha detto il professor Gesi - passa la nascita, anche a livello locale, di un’economia competitiva, dinamica e basata sulla conoscenza, la ricerca e l’innovazione. Elementi fondamentali per creare lavoro e coesione sociale che stanno alla base di una crescita sostenibile. Qui e altrove. L'Università di Pisa, oggi, si sta predisponendo a questo cambiamento di passo. Lo facciamo condividendo con i territori un metodo di lavoro, basato su un approccio multidisciplinare, le nostre eccellenze e, in prospettiva futura, la nostra conoscenza relativa a temi chiave come quelli dell’ambiente, dell’urbanistica, dell’archeologia, della storia, del turismo culturale e scientifico. Un modo per allargare sempre di più quella 'cittadinanza scientifica' che va di pari passo con il concetto di 'cittadinanza attiva', permettendo ai cittadini di affacciarsi in maniera consapevole e informata a scelte che li coinvolgeranno sempre di più su temi di carattere scientifico e tecnologico. Ringrazio a nome mio e dell’Università che rappresento, il sindaco e i rappresentanti del Comune di Lerici per la lungimiranza che hanno dimostrato nel voler intraprendere questo cammino".

Nella foto, da sinistra: Gesi, Toti, Olivero, Dalli e Paoletti.

Il 12 dicembre del 1969, alle 16:37, una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana, a Milano. Le vittime furono 17 e i feriti 88. Per l'Italia fu "il giorno dell'innocenza perduta", in cui fu posto un brusco stop al sogno del '68 e si dette avvio alla cosiddetta "Strategia della tensione", una serie di attentati terroristici e stragisti, brutali e sotterranei, che negli anni successivi colpirono semplici cittadini inermi.

A cinquant'anni di distanza, con alle spalle numerosi processi dagli esiti incerti, la strage di Piazza Fontana resta ancor oggi uno dei casi più controversi dell'Italia Repubblicana e uno degli episodi che più hanno segnato la storia contemporanea del nostro Paese. Per questo l'Università di Pisa intende ricordare questo anniversario pubblicando un intervento a firma della dottoressa Caterina Di Pasquale, ricercatrice del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, che parte dal recente convegno su "Generazioni, Trauma e Memorie: dai massacri in guerra alle stragi in tempo di Pace”.

Leggi l'intervento del rettore Paolo Mancarella in apertura di convegno.

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“La percezione della gravità di un avvenimento non del tutto chiaro, la paura per i propri padri, la difficoltà nell’avere notizie, la certezza della loro morte e il riconoscimento dei loro corpi, o meglio di quello che resta. E poi il giorno del funerale, il 15 dicembre, quando la città si ferma, il silenzio scende e l’eco dei passi fatti per raggiungere le bare rimbomba sul selciato”: queste sono solo alcune delle immagini-ricordo trasmesse da Carlo Arnoldi e da Paolo Silva, Presidente e Vicepresidente della Associazione Familiari Vittime Piazza Fontana 12 dicembre 1969 in occasione del convegno organizzato a Pisa il 18 ottobre scorso da Caterina Di Pasquale, Fabio Dei e Luca Baldissara.

Il convegno intitolato “Generazioni, Trauma e Memorie: dai massacri in guerra alle stragi in tempo di Pace” è nato con l’obiettivo di celebrare il cinquantesimo anniversario creando un momento dialogico tra società civile, associazionismo, istituzioni, mondo della ricerca e della accademia. Le parole-chiave sulle quali discutere sono tre: generazioni, memoria e trauma. L’iniziativa è stata impreziosita dalla testimonianza del Rettore Paolo Maria Mancarella, che nei saluti di apertura ha contribuito a celebrare il cinquantesimo anniversario di Piazza Fontana a partire dalle memorie private, dal suo ricordo della strage e dal ruolo che Piazza Fontana ha avuto nella sua formazione.

Senza voler isolare il ricordo delle vittime della Banca della Agricoltura dalla realtà storica, culturale e sociale del secondo dopoguerra, il convegno ha cercato di connettere alcuni casi di memorie conflittuali ed emblematiche come quelle che caratterizzano le comunità di Sant’Anna di Stazzema, Montesole, Bologna e Milano. Relatrici e relatori della mattina sono in tutto quattro, Caterina Di Pasquale, Andrea Ventura, Toni Rovatti e Lia Luchetti.

I casi di studio selezionati testimoniano una stagione di studi piuttosto feconda, che ha caratterizzato positivamente l’ateneo pisano, il dipartimento Civiltà e Forme del Sapere (ex Facoltà di Storia e Filosofia), i cdl di Storia e civiltà e Scienze per la Pace, le cattedre di Antropologia Culturale e di Storia Contemporanea. Il pomeriggio il numero dei relatori e delle relatrici è aumentato. Intorno al tavolo della Aula Magna Storica del Palazzo della Sapienza si è realizzato un acceso confronto tra associazionismo e comunità accademica. Sono state affrontate alcune questioni come il ruolo della società civile, della televisione, del cinema e dell’industria culturale, la funzione del diritto, della ricerca e delle istituzioni pubbliche nel descrivere i fenomeni storici, culturali e sociali di violenza collettiva, nell’analizzare le conseguenze sulle comunità dei crimini perpetrati in guerra e in pace, nel trasmettere il portato storico e simbolico di tali eventi. 

Dopo un pomeriggio intenso, il convegno si è chiuso con la promessa di non ricordare solo in occasione degli anniversari importanti, ma di continuare a riflettere insieme a partire da nodi complicati e complessi, quali per esempio quello che unisce le memorie tragiche alle verità (testimoniale, narrativa, culturale, storica e giuridica) e al desiderio di riconoscimento e giustizia. Su questo tema i presenti rilanciano l’idea di non interrompere il dialogo avviato, organizzando nuovi tavoli di lavoro e discussione a partire dal 2020.

Caterina Di Pasquale
ricercatrice del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Il professor Adriano Fabris, ordinario di Filosofia morale all'Università di Pisa, è stato nominato coordinatore del gruppo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che si occuperà di educazione alla cittadinanza digitale. Il gruppo, di cui fanno parte anche tre dirigenti tecnici del Miur, porterà il suo contributo all'elaborazione delle linee guida per l'insegnamento dell'educazione civica nelle scuole dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, oltre a fornire indicazioni per quanto riguarda i licei, gli istituti tecnici e professionali.

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Per arrivare alla definizione delle linee guida, il Miur si avvarrà delle proposte avanzate in modo coordinato da un Comitato internazionale di esperti e da un Comitato tecnico-scientifico articolato in tre sottocomitati competenti per ognuna delle macroaree individuate, che dovranno concludere i propri lavori entro giugno 2020. Del Comitato internazionale fanno parte studiosi quali Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale; Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends di Washington; Luciano Floridi, professore di Filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford; Enrico Giovannini, professore di Statistica economica all’Università di Roma “Tor Vergata”; Gunter Pauli, membro del Consiglio della Fondazione della "Science and Faith" Foundation della Santa Sede; Kate Pickett, professore di Epidemiologia all'Università di Berkeley; Kate Raworth, senior visiting research associate all’Università di Oxford; Jeffrey Sachs, direttore del Earth Institute alla Columbia University.

I sottocomitati si occuperanno di "Costituzione, Istituzioni dello Stato italiano dell’Unione Europea e degli organismi internazionali; storia della bandiera e dell’inno nazionale" (coordinatrice la professoressa Paola Marsocci dell'Università “La Sapienza” di Roma); di "Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile" (coordinatore il professor Leonardo Becchetti dell'Università degli Studi di Tor Vergata di Roma) e appunto di "Educazione alla cittadinanza digitale" con coordinatore il professor Adriano Fabris.

L'Università di Pisa, che è stata tra i primi Atenei italiani ad avere istituito l'Ufficio Servizi per l’Integrazione di studenti con Disabilità (USID), è stata protagonista alla celebrazione del ventennale della Legge 17 del 28 gennaio 1999 che si è tenuta venerdì 6 dicembre a Roma alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quella legge, stabilendo una serie di misure per facilitare la frequenza delle persone con disabilità ai corsi universitari, ha inteso garantire il diritto allo studio per tutti mediante l’accesso ai livelli più elevati di istruzione. Ha inoltre previsto l’istituzione del ruolo di delegato del rettore con funzioni di coordinamento, monitoraggio e supporto delle iniziative concernenti l’integrazione degli studenti con disabilità e a tale scopo ha destinato un’apposita quota del Fondo di Finanziamento Ordinario.

Grazie all’impegno dei delegati, dei docenti e del personale tecnico amministrativo, oltre che di moltissimi studenti, un numero crescente di persone con disabilità ha potuto frequentare e portare a termine gli studi universitari e inserirsi nel mondo lavorativo e professionale, contribuendo attivamente con le proprie capacità alla vita economica, sociale, culturale e politica del nostro Paese. Ogni anno, solo all’Università di Pisa, si laureano circa 25-30 studenti con disabilità nei settori più svariati e nell’anno accademico 2019/2020 sono 903 gli studenti iscritti con disabilità.

La giornata su "Università, disabilità, inclusione. Vent'anni dalla legge 17/1999: tra passato e futuro" ha inteso valorizzare l’esperienza maturata nel corso degli anni attraverso la voce dei protagonisti, promuovere il confronto fra i principali attori coinvolti, con i quali gettare le basi di un rinnovato impegno per il futuro nella prospettiva indicata dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

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In apertura della mattinata Lorenzo Nizzi Vassalle, insieme a Ewelina Adamczyk dell'Università Roma Tre e a Federico Pleitavino dell'Università di Genova, ha portato la sua testimonianza (leggi il testo) di studente sordomuto dalla nascita che si è laureato in Lettere all'Università di Pisa con il massimo dei voti e la lode. Luca Razzauti, ragazzo affetto dalla Sindrome dell'X Fragile che ha conseguito la laurea triennale e poi quella magistrale in Lettere (vedi il video della testimonianza), e Massimo Tenaglia, ragazzo ipovedente che si è laureato in Ingegneria elettronica (vedi il video della testimonianza), sono stati i protagonisti di due video in cui hanno raccontato il loro percorso di studi all'Università di Pisa e ricordato il supporto ricevuto dall'USID. I video sono stati realizzati dall'Ufficio comunicazione e da MediaEventi.

Sempre in mattinata il rettore Paolo Mancarella - che ha ricoperto tra 1999 e 2016 la funzione di delegato alle funzioni di coordinamento, monitoraggio e supporto di tutte le iniziative concernenti l’integrazione degli studenti portatori di handicap e che tra 2009 e 2015 è stato anche presidente della Conferenza nazionale universitaria dei delegati disabilità (CNUDD) - è intervenuto con la sua testimonianza sulle origini della CNUDD.

"Una delle caratteristiche che contraddistingue la CNUDD – ha ricordato il professor Mancarella – è che tutte le iniziative sono dettate solo dal bisogno di condividere, di costruire, di progredire assieme: nessun interesse e nessuna ambizione di carattere personale, nessuna voglia di emergere o di primeggiare, solo desiderio di dare e di ricevere, tutti alla pari, docenti delegati e personale non docente dei servizi disabilità". Il rettore ha quindi ringraziato le collaboratrici e i collaboratori dei servizi disabilità di ateneo, che svolgono un ruolo fondamentale, e "le nostre studentesse e i nostri studenti con disabilità, parte di quel 'giacimento di risorse' che ricordava il Presidente Mattarella: le loro storie rappresentano per tutti noi delle bellissime lezioni di vita, di dignità, di determinazione e ci mantengono vivi quell’entusiasmo e quella voglia di crescere e di migliorare che avevamo vent’anni fa e ci ha portati sin qui".

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L'attuale delegato, il professor Luca Fanucci, ha partecipato infine al panel pomeridiano di approfondimento con una relazione dal titolo "Innovazione didattica e ICT", in cui ha presentato il cammino svolto e i traguardi raggiunti dalla CNUDD in questo ambito e soprattutto ha tracciato delle possibili traiettorie di sviluppo e di crescita complessiva per le università.

"L'idea - ha aggiunto il professor Fanucci - è quella di condividere buone prassi, idee e strumenti ICT per strutturare un ambiente di apprendimento inclusivo in cui ogni attività presentata al suo interno sia pienamente accessibile e fruibile per tutti, anche per studenti e studentesse con disabilità, con disturbi specifici dell’apprendimento e in generale con bisogni specifici".

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