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«Etiche applicate» è il nuovo volume a cura di Adriano Fabris, docente di Filosofia morale all'Università di Pisa. Il libro, edito da Carocci, offre una presentazione dettagliata delle cosiddette "etiche applicate". Si tratta di ambiti di riflessione sviluppati negli ultimi decenni, allo scopo di approfondire e regolamentare questioni dovute all'impatto delle tecnologie sulla nostra vita. Pensiamo alla bioetica, all'etica della comunicazione, all'etica dell'economia, all'etica ambientale e a vari aspetti dell'etica pubblica.

All'interno di questi macroambiti troviamo poi settori più specifici di ricerca, che discutono problemi etici riguardanti ad esempio le cure mediche o il potenziamento umano, l'attività giornalistica o l'uso delle tecnologie comunicative, l'economia globale o il mondo delle imprese, il nostro rapporto con il cibo o quello con le altre specie viventi, i temi dell'immigrazione, della disabilità, delle differenze di genere. Su questi e altri argomenti si soffermano i capitoli del libro, scritti da esperti del settore e corredati da ampia bibliografia. 

Pubblichiamo qui di seguito la premessa al volume, a firma dello stesso Adriano Fabris.

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cover etiche applicate1. La nascita delle “etiche applicate”
La presenza delle cosiddette “etiche applicate” – o “etiche speciali”, o “etiche particolari”, che dir si voglia – costituisce una delle novità nel campo della riflessione filosofica degli ultimi decenni. La filosofia, dopo aver rischiato varie volte in passato di essere autoreferenziale e quindi ininfluente nei confronti dei problemi quotidiani degli esseri umani, si occupa da qualche tempo, fra l’altro, di questioni concrete relative alle condizioni del vivere, ai modi del morire, alle varie emergenze ecologiche, ai mutamenti in atto delle relazioni economiche e sociali, e alle loro conseguenze. Lo fa attraverso una rinnovata riflessione sull’agire umano: mediante ciò che, nella sua tradizione, è chiamato “etica”. Lo fa, sia pure in forme parzialmente diverse, sia nella vecchia Europa che in ambito anglo-americano, sia cioè all’interno del cosiddetto pensiero “continentale”, sia nel contesto della cosiddetta “filosofia analitica”, incrociando a volte e ibridando i due approcci.

A costringere l’indagine filosofica a questa svolta verso la concretezza sono stati, a partire dalla seconda metà del Novecento, non solo i progressi tecnici, ma soprattutto gli sviluppi delle tecnologie. Non dicono la stessa cosa, in effetti, le parole “tecnica” e “tecnologia”. La tecnica indica ciò che prolunga e potenzia l’agire umano, restando tuttavia sotto il controllo di questo stesso agire. Si pensi al bastone utilizzato per far cadere i frutti appesi ai rami più alti di un albero, o a quegli strumenti, anche complessi, che però necessitano dell’essere umano per venire attivati e per svolgere la loro funzione (ad esempio l’orologio meccanico oppure l’automobile). Gli apparati tecnologici possiedono invece una tendenziale capacità all’autoregolazione e all’autonomia, e sono perciò in grado di subordinare alle loro procedure e alle loro funzioni lo stesso agire umano, sfuggendo al suo controllo (come nel caso dei sistemi automatici di regolazione dell’ora o dell’automobile senza guidatore). Ne consegue per l’essere umano, da un lato, uno sgravio di responsabilità, dall’altro, un crescente senso d’impotenza.

I problemi etici creati da queste trasformazioni iniziarono a emergere fin dall’Ottocento, con gli sviluppi del sistema industriale, ma i rimedi individuati facevano ancora riferimento alla possibilità di recuperare un controllo o quanto meno un senso degli avvenimenti da parte dell’essere umano. Il tentativo si espresse ad esempio sia nei termini, più diretti, del richiamo a una «volontà di potenza» (Nietzsche), intesa in senso individuale o di popolo, sia nelle forme, più mediate, della delega del controllo a uno «Spirito del mondo» (Hegel) o a un progresso collettivo (Comte, Spencer). Ma fu con le applicazioni belliche estreme delle tecnologie, e con il verificarsi di una crescente sproporzione (Anders, 2002; 2003) tra la capacità umana d’immaginare le conseguenze di un atto di distruzione e i reali effetti di esso, che s’impose con forza la necessità di riflettere non solo sui modi in cui le tecnologie stesse incidevano concretamente sui comportamenti e sulla vita degli esseri umani, ma soprattutto sullo specifico carattere e sull’autonomia dell’agire tecnologico. Ora, diveniva necessario ripensare radicalmente la stessa etica come disciplina, nella misura in cui soggetto agente non era più, soltanto, l’essere umano, più o meno supportato da strumenti tecnici, ma lo era anche, e con crescente autonomia, il dispositivo tecnologico.

Fu lo scoppio della bomba atomica – uno strumento di morte i cui effetti si potevano protrarre per generazioni, senza che fosse possibile bloccarli – a sollecitare molte di queste riflessioni in ambito filosofico. A un evento di tale portata, però, si aggiunsero gli effetti di ulteriori sviluppi scientifici e tecnologici, capaci d’incidere in altri modi sui processi della vita e della morte: anzi, in grado di contribuire alla ridefinizione stessa delle nozioni di “vita” e di “morte”. Si pensi ai protocolli di Harvard per l’accertamento della morte come morte cerebrale, che suscitarono un ampio dibattito negli Stati Uniti e non solo (Jonas, 2009). Tutto questo e molto altro contribuì alla nascita della prima disciplina che, in maniera articolata, cercò di rispondere alle sfide etiche provocate dalla nuova situazione. Mi riferisco alla bioetica.

2. Il concetto di “applicazione”
Tutto ciò ha comportato certamente un radicale cambio di paradigma nell’ambito dell’etica (o, più precisamente, della filosofia morale, intesa come riflessione sui comportamenti umani e sulla possibilità di orientarli). Tale riflessione, nella storia del pensiero, ha infatti cercato d’individuare i criteri e i principî condivisi affinché l’essere umano potesse compiere scelte buone, ha voluto chiarire che cosa certi concetti significassero – ad esempio i concetti di “bene” e “male”, di “giusto” e “ingiusto”, di “virtù” e “vizio” –, ha indicato e promosso modelli di vita che consentissero a donne e uomini di giungere alla loro piena realizzazione. Ciò è stato fatto, certamente, con stili diversi, movendo da differenti concezioni dell’agire e riferendosi a varie gerarchie di valori: ma l’obbiettivo da raggiungere – la possibilità di proporre giustificazioni valide e condivisibili per le scelte morali – restava comunque lo stesso.

A partire dalla seconda metà del secolo scorso, tuttavia, tale riflessione non è più risultata sufficiente. S’impongono infatti altre urgenze con cui è necessario fare i conti. Due, in particolare, sono gli aspetti inediti che bisogna ora affrontare. Da una parte, come ho detto, l’agire umano si trova ridimensionato nella sua portata e nel suo potere di controllo da parte di quel fare che è proprio degli apparati tecnologici. Con essi, e con ciò che essi sono in grado di compiere, l’essere umano è chiamato a interagire. Dall’altra parte, poi, nella nuova situazione emergono questioni che mettono alla prova lo stesso approccio che per tradizione ha contraddistinto l’indagine filosofica. Si tratta di scenari che richiedono di venir compresi, soprattutto per quanto riguarda le mutazioni antropologiche che comportano, e che spingono anch’essi a prendere decisioni movendo da un orientamento di fondo argomentato e giustificabile.

Di fronte a tali situazioni si è cercato, ancora una volta, di far riferimento a strategie ben consolidate e ricorrenti nella storia del pensiero. Si sono riproposte e si ripropongono ancora, per esempio, tentativi di regolamentazione dettati da norme precise, come ad esempio quelle contenute nei codici deontologici. Oltre a ciò, davanti all’evidente difficoltà di affrontare questioni etiche con riferimento a principî giuridici, sono state riproposte prospettive etiche di carattere generale – ad esempio di tipo deontologico, o consequenzialista, oppure ispirate a un’etica delle virtù –, salvo poi verificare i limiti, in termini di reale efficacia, del loro approccio astratto.

È emerso allora uno scenario diverso. Problemi concreti richiedevano soluzioni concrete. Esse dovevano però essere guidate e indirizzate da principî generali. Questi principî, a loro volta, dovevano essere “applicati” alle varie situazioni e proprio in tali situazioni essere messi alla prova.

Insomma: vi erano, da una parte, l’etica “generale” e, dall’altra, le varie “etiche applicate”, chiamate ad affrontare le questioni specifiche e i dilemmi provocati dagli sviluppi tecnologici. La prima trovava attuazione concreta nelle seconde e a sua volta forniva un orientamento generale per la loro azione. Era qui in gioco un processo di carattere quasi sintetico-deduttivo. Si trattava cioè di un approccio top-down. Ma anche tale approccio, tanto più quando venne inteso in modo unilaterale, risultò insoddisfacente.

Le procedure di applicazione, infatti, si rivelarono ben presto tutt’altro che automatiche. Esse necessitavano di adattamenti, di percezione delle diverse situazioni da parte di chi le metteva in atto; richiedevano la capacità di fare i conti con l’imprevedibilità dei contesti in cui insistevano. Necessitavano, in altre parole, di ciò che i latini chiamavano “ingenium” (Gadamer, 2001). Tutto ciò non era qualcosa che poteva essere determinato in anticipo. Si tentò allora di stabilire una procedura che fosse valida in tutte le situazioni analoghe e che potesse essere seguita sia dagli esseri umani che dalle entità artificiali. La cibernetica, su questa base, propose anzi una teoria applicabile sia agli animali che alle macchine (Wiener, 1968). Ma pure tale soluzione risultò insoddisfacente, a causa della rigidità delle procedure utilizzate, tanto più se messe a confronto con un mondo in costante cambiamento.

Anche da un punto di vista più propriamente epistemologico, poi, l’approccio top-down risultò inadeguato. Nel caso delle cosiddette “etiche applicate”, infatti, non si poteva parlare di “applicazione” nel senso di un trasferimento, nei vari contesti concreti, di quei principî di fondo che l’“etica generale” era chiamata ad articolare e giustificare. Si trattava piuttosto di mettere in opera una dinamica di tipo circolare, in cui gli stessi principî generali orientavano l’agire in situazioni concrete, ed erano a loro volta verificati e adattati, legittimati e precisati proprio grazie al confronto con tali contesti.

Non stupisce quindi se, anche a seguito di queste difficoltà, in molti casi, e specialmente nella riflessione su questi temi sviluppata in ambito anglo-americano, le cosiddette “etiche applicate” sono state strettamente vincolate e circoscritte al piano della pratica concreta. Si è preferito in questi casi, cioè, favorire un approccio bottom-up, basato sull’analisi di specifici casi di studio.

Ma pure questa soluzione, dal canto suo, si è rivelata insoddisfacente. Essa consentiva infatti di proporre, al massimo, indicazioni di comportamento limitate, e valide solo per determinati gruppi o culture. Lo scopo dell’etica – quello di favorire decisioni razionali generalmente condivise – finiva in tal modo per essere eluso. Il compito di confrontare tali soluzioni fra gruppi e culture, infatti, era relegato a forme contingenti di negoziazione, quando non finiva per favorire l’esercizio della violenza.

3. La struttura di questo libro
Per la riflessione filosofica, dunque, la questione delle cosiddette “etiche applicate” è importante su più piani. Si ricollega, come abbiamo visto, al mutamento dell’idea di “agire” che si determina nel contesto contemporaneo: nella misura in cui anche gli apparati tecnologici agiscono, in una maniera più o meno autonoma, essi finiscono per limitare la portata dell’agire umano, e trasformano questo stesso agire in un interagire con le operazioni svolte da vari dispositivi, che diventano sempre più autonomi. Richiede poi che venga capito fino in fondo il mutamento di scenario che il diffondersi delle tecnologie emergenti ha comportato e continua a comportare nel nostro mondo, e soprattutto che esso sia interrogato nelle sue implicazioni etiche. Comporta infine la necessità di una riflessione più approfondita sul rapporto fra quei criteri che l’indagine filosofica vuole far valere in generale e le situazioni concrete, in costante trasformazione, che richiedono decisioni specifiche da prendere proprio in base a tali criteri.

Questo discorso risulta tuttavia ancora troppo generale e astratto. Se invece prendiamo in esame i campi di applicazione nei quali sorge concretamente una domanda di carattere etico, ci accorgiamo che essi si concentrano e possono essere raggruppati in aree ben precise. Si tratta di questioni che riguardano la stessa vita umana, oppure sue fasi cruciali, che favoriscono un suo potenziamento, che incidono sulla cura di essa, che consentono di migliorarne la qualità. Sono problemi che investono l’essere umano nella sua collocazione e interazione con contesti globali governati strutturalmente da regole ben precise e caratterizzati da una crescente capacità di autoregolamentarsi: come i mondi della comunicazione, reali o virtuali, dell’economia, a livello macro o micro, e come lo stesso ecosistema in cui ogni essere vivente si trova a operare. Sono temi che concernono le trasformazioni della sfera pubblica e la possibilità – in un contesto in cui le differenze rischiano di essere rivendicate fino al punto da condurre a esiti conflittuali – di costruire reali modelli di convivenza.

Il quadro che ne deriva è certamente articolato e plurale. E come tale dev’essere considerato, senza cedere alla tentazione di giungere a sintesi troppo affrettate e di proporre ricette astrattamente universali. Ma anche la tentazione opposta, quella di porre sullo stesso piano una molteplicità di tematiche e di prospettive senza collegamento fra loro, dev’essere ugualmente evitata. Non è metodologicamente corretta e, soprattutto, non corrisponde a ciò che l’indagine filosofica è chiamata a fare, l’idea di affrontare tali questioni – maggiormente concrete oppure più di prospettiva, legate a situazioni specifiche oppure elevate a modello per affrontare casi analoghi – come se fossero tutte di eguale complessità. E allo stesso modo una trattazione rapsodica di esse, magari dettata dalla moda del momento, non può ritenersi adeguata. Anche se vari manuali di etiche applicate adottano quest’impostazione, soprattutto nell’area anglo-americana, si tratta di un approccio che non è giustificato e che non possiamo condividere. Dobbiamo invece cercare un collegamento strutturale fra le problematiche specifiche che l’etica, nelle sue varie applicazioni e nelle sue principali aree d’interesse, è chiamata oggi ad affrontare.

In che modo abbiamo cercato di farlo in questo libro? Abbiamo in generale seguito una serie di criteri suggeritici dagli sviluppi stessi delle etiche applicate, allo scopo di collegarle fra loro e, per dir così, di “metterle in rete”. Abbiamo anzitutto evitato di dare priorità fondativa a questo o a quell’ambito disciplinare. Ciò non può essere fatto, a ben vedere, né nel caso della bioetica, che pure è l’etica applicata con una storia più lunga, né in quello dell’etica pubblica o dell’etica della comunicazione: nonostante quanto alcuni studiosi hanno sostenuto (Apel, 1992). Abbiamo invece identificato cinque aree d’indagine, poste tutte sullo stesso piano, a cui ricondurre una serie di questioni concrete. Esse sono: la bioetica, l’etica della comunicazione, l’etica economica, l’etica ambientale, l’etica pubblica.

Esse, lo ripeto, sono da considerare come aree: contenitori aperti in cui questioni a esse riconducibili per una sorta di “aria di famiglia” possono essere riportate come al loro ambito d’indagine dedicato. Non vi è spazio, qui, per un atto di sussunzione. Si ha, piuttosto, un intreccio, una sovrapposizione di questioni: questioni che, magari, si ritrovano analogamente in aree diverse e che possono essere proficuamente affrontate facendo riferimento a differenti approcci. Si pensi ad esempio ai collegamenti fra etica della cura ed etica del gender, fra la bioetica e i disability studies, fra l’etica dell’ambiente e le problematiche della giustizia intergenerazionale. Si pensi anche ai problemi propri dell’etica animale, che possono essere approfonditi non solo nel contesto dell’etica ambientale, ma anche in quello dell’etica della vita.

Lo schema che viene qui proposto, quindi, non è affatto uno schema chiuso e gerarchicamente strutturato. È piuttosto, potremmo dire, uno schema “a rete”. Le etiche applicate, cioè, non solo richiedono, come abbiamo visto, che sia attivato un rapporto circolare con quei criteri e quei principî che sono propri dell’etica generale. Esse hanno anche una relazione orizzontale e incrociata fra di loro, in quanto le stesse questioni possono, e in alcuni casi debbono, essere affrontate da prospettive diverse: comunque collegate e motivate da un comune interesse etico.

Ne consegue dunque che questo libro non pretende di fornire un quadro esaustivo e completo delle cosiddette “etiche applicate” presenti nel dibattito contemporaneo. Non sarebbe possibile: sia perché la riflessione etica sui mutamenti tecnologici e sulle loro conseguenze nei confronti delle nostre vite, delle nostre relazioni, del nostro ambiente, è anch’essa in costante trasformazione; sia perché, anche nel riconoscere e affrontare tali questioni, nel libro sono state fatte scelte ben precise, che hanno privilegiato certe questioni e lasciato sullo sfondo altre. Esso, piuttosto, vuol essere al tempo stesso una fotografia della situazione attuale e un work in progress. La fotografia presenta una situazione ben definita. Ma invita, come nel caso di quei giochi in cui il partecipante deve scoprire sempre nuove connessioni tra gli elementi raffigurati, a cercare collegamenti, incroci, sovrapposizioni tra approcci diversi.

Ciò è reso possibile, anzitutto, dal lavoro accurato degli autori e dalla ricca bibliografia da essi suggerita. Ciò è favorito, poi, dalla presenza di contributi che sono espressione di prospettive e di tradizioni filosofiche diverse, e che non si limitano solo a presentare un ambito disciplinare, ma, in molti casi, prendono posizione nei confronti di temi concreti. Ma ciò, in particolare, è inteso come un invito al lavoro del lettore e come uno stimolo a ulteriori suoi approfondimenti. Le etiche applicate sono infatti la dimostrazione della vitalità della ricerca filosofica e della sua costante apertura alle sfide del tempo.
Adriano Fabris

 

 

Premessa
La mezza maratona città di Pisa (Cetilar Pisa Half Marathon, https://www.mezzamaratonapisa.it) nasce per sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore della donazione di organi e di tessuti quale atto preliminare, e indispensabile, per la realizzazione dei trapianti d’organo e di tessuti. Non è quindi un caso che questa manifestazione sia stata concepita e realizzata a Pisa dove i trapianti di rene sono eseguiti dall’ormai lontano 1972, con l’attivazione nel 1996 delle attività di trapianto di pancreas e di fegato. Nonostante le migliaia di trapianti eseguiti nel nostro Ospedale, e il fatto che praticamente ogni novità in campo trapiantologico introdotta in Italia negli ultimi 20 anni sia stata proposta o applicata per la prima volta a Pisa, vi è la necessità di continuare a informare e sensibilizzare l’opinione pubblica. Il trapianto è infatti un tipo di intervento che non può prescindere da un atto di altruismo, consapevole e disinteressato.

In linea con la sua missione principale, la Cetilar Pisa Half Marathon ha finalità esclusivamente benefiche, è promossa dall’Associazione per Donare la Vita Onlus (http://www.perdonarelavitaonlus.it/) e realizzata dal Gruppo Podistico Leaning Tower Runners, composto a sua volta da volontari molti dei quali sanitari o ex-sanitari impegnati nel mondo dei trapianti.

Nel suo insieme la Cetilar Pisa Half Marathon, pur essendo una mezza maratona omologata rispetto a ogni standard sportivo e pur esprimendo valori atletici elevati, è realizzata con il contributo di molteplici forze del volontariato locale e con il contributo fattivo delle Istituzioni, delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate. Nessuno degli organizzatori o dei sostenitori della manifestazione ha un fine differente da quello altruistico e benefico. Forse proprio per questa ragione, lo scorso anno partecipò in qualità di testimonial Carlo Verdone, che condivise, in pieno, le finalità della Cetilar Pisa Half Marathon. Anche quest’anno sarà presente un testimonial noto al grande pubblico, che speriamo possa essere di altrettanto aiuto.

Alla presentazione in Rettorato sono intervenuti: il rettore Paolo Mancarella, l’assessore al Turismo del Comune, Paolo Pesciatini, il direttore medico di presidio ospedaliero dell'Aoup, Mauro Giraldi, il prorettore con delega alle attività sportive, Marco Gesi, il professor Ugo Boggi, organizzatore della manifestazione, Germano Tarantino, direttore scientifico di PharmaNutra, Giuseppe Bozzi, presidente dell'Associazione per Donare la Vita Onlus, e Daniele Meucci, testimonial dell’iniziativa. 

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Programma generale
La Cetilar Pisa Half Marathon sarà inaugurata già venerdì 12 ottobre alle ore 15 con l’apertura dell’Expo Half Marathon agli Arsenali Repubblicani. L’Expo resterà aperto il 12 fino alle ore 19 e il 13 dalle ore 9 alle 19. Presso l’Expo, aperto a tutti, i partecipanti potranno ritirare il pettorale di gara e la maglia tecnica Diadora, preparata appositamente per la manifestazione. Potranno inoltre trovare l’area massaggi gestita dal title sponsor Cetilar e numerosi altri stand con espositori del settore sportivo e non, oltre che stand di altre associazioni di volontariato.
La mattina di sabato 13 ottobre, per la prima volta, si svolgerà una marcia ludico-motoria con percorso interamente nel centro cittadino dedicata agli studenti delle scuole di Pisa per coinvolgerli nel clima solidale della Cetilar Pisa Half Marathon. Questa manifestazione aggiuntiva, denominata BlueBay Running School, sarà resa possibile grazie alla collaborazione del Provveditorato agli Studi di Pisa e sarà realizzata con il contributo di Ford-BlueBay.
La gara si svolgerà domenica 14 ottobre, con il ritrovo pre-partenza fissato all’Istituto Tecnico da Vinci in via Contessa Matilde a partire dalle ore 7. Si segnala che per gli allestimenti pre-gara via Contessa Matilde, nel tratto fra via Piave e l’incrocio con via Bonanno, sarà chiusa al traffico già dalle ore 6.
La partenza avverrà alle ore 9.30, preceduta da un’esibizione degli sbandieratori di Pisa e dal consueto cerimoniale con presentazione degli atleti di élite.

Oltre alla mezza maratona (21.097 Km), omologata FIDAL (Federazione Italiana di Atletica Leggera), sarà possibile partecipare alla mezza maratona a staffetta, competitiva, divisa in due frazioni di 11.1 e 10 Km, dedicata alla memoria di Maria Coppoletti. Sarà possibile partecipare con coppie omogenee per sesso, oppure miste. La partenza avverrà insieme a quella della mezza maratona. L’area di cambi staffetta sarà allestita in zone CEP in corrispondenza dell’incrocio fra via Pierin del Vaga e via Tiziano Vecellio. I partecipanti alla staffetta riceveranno la stessa medaglia e la stessa T-shirt tecnica riservata ai mezzomaratoneti e saranno ammessi a una classifica dedicata.
Il primo atleta pisano riceverà il trofeo “Francesco Avino”, intitolato alla memoria di un volontario della Pubblica Assistenza e che a lungo aveva prestato la sua opera anche a favore della Cetilar Pisa Half Marathon. Francesco è tragicamente scomparso in un incidente stradale alla vigilia dell’edizione 2017.
Il primo atleta trapiantato riceverà il premio “Pietro Ciccorossi”. Pietro era un medico epatologo, oltre che podista amatoriale. È tragicamente scomparso nel marzo del 2015.
Sono inoltre previsti premi per i primi studenti e dipendenti dell’Università di Pisa e per i primi dipendenti dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.

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Conferme
Per l'edizione 2018 è in primo luogo confermata la presenza di Cetilar in qualità di title sponsor, brand importante dell'azienda toscana PharmaNutra SPA, da sempre molto vicina allo sport - è main sponsor del Parma Calcio in Serie A - e al running in particolare. Confermate anche le presenze di Biancoforno, Tesorino e della Banca di Pisa e Fornacette, così come la partnership con l'Internet Festival.

È confermato il percorso: la partenza avverrà in via Contessa Matilde alle ore 9.30 davanti all’ingresso dell’Istituto Tecnico da Vinci. L’arrivo sarà in Piazza dei Miracoli, con ingresso da via Santa Maria, poco prima dell’ingresso del Museo delle Sinopie. L’arrivo del primo atleta è previsto alle ore 10.35 circa. Il tempo massimo è di 3 ore e quindi gli ultimi atleti dovrebbero giungere al traguardo verso le ore 12.30.
Dopo la partenza gli atleti attraverseranno subito la SS Aurelia, chiusa circa dalle ore 9.25 alle ore 9.45, e percorrendo il viale delle Cascine entreranno nel Parco di San Rossore. L’uscita dal Parco avverrà attraverso via delle Lenze. Giunti in area CEP si procederà in via Pierin Del Vaga, in via Tiziano Vecelio e in via dell’Argine per attraversare il Ponte del CEP e poi percorrere, prima in direzione Marina e quindi dopo un giro di boa in direzione Pisa, il viale di Marina per circa 1.2. Km in entrambe le direzioni. Imboccata via 2 Settembre, si rientrerà in città attraverso via Conte Fazio (parzialmente aperta al traffico). Si volterà quindi verso sinistra e attraversato il Ponte della Cittadella, si imboccherà Lungano Sonnino per attraversare ancora l’Arno percorrendo Ponte Solferino. Al termine di Ponte Solferino si volterà a sinistra imboccando (contromano rispetto alla direzione del traffico veicolare) Lungarno Gambacorti. All’altezza di via Mazzini il percorso volterà verso destra e proseguendo lungo via d’Azeglio si entrerà in piazza Vittorio Emanuele, per percorrere poi (contromano rispetto alla direzione del traffico veicolare) via Benedetto Croce. Giunti in Piazza Guerrazzi si volterà a sinistra per giungere, dopo aver percorso via Bovio, sul Lungarno Galilei che sarà percorso fino al Ponte di Mezzo. Attraversato il Ponte di Mezzo si volterà a sinistra in Lungarno Pacinotti (contromano rispetto alla direzione del traffico veicolare) e quindi a destra in via Curtatone e Montanara. Dopo aver attraversato Piazza dei Cavalieri si percorrerà via dei Mille e quindi si attraverserà piazza Cavallotti per girare poi a destra in via Santa Maria. Al termine di via Santa Maria si volterà a sinistra per percorrere gli ultimi 100 metri del percorso in Piazza dei Miracoli.

Sono confermati anche i percorsi delle marce ludico-motorie con possibili distanze di 4, 7 e 15 Km. I tracciati di 7 e 15 Km percorreranno anche il camminamento delle mura storiche di Pisa, grazie alla collaborazione con Coopculture. La partecipazione alle marce ludico-motorie, per le quali non è prevista una classifica individuale ma un premio di partecipazione per tutti, non è soggetta alle norme mediche che si applicano alle gare. Il costo dell’iscrizione è di 3 euro, per i partecipanti al Trofeo delle tre Province, e di 3.5 euro per gli altri.

Novità
L’edizione 2018 ha anche alcune importanti novità. In primo luogo la marcia ludico-motoria per gli studenti delle scuole di Pisa (BlueBay Running School) e la staffetta di 11.1+10 Km.
Sarà inoltre presente quale sponsor tecnico Diadora, con una maglia tecnica personalizzata che sarà consegnata a ognuno degli iscritti alle distanze competitive.
Per la prima volta ci sarà una radio ufficiale, Radio Bruno, che offrirà ai partecipanti un servizio di intrattenimento, aiutando anche a veicolare il messaggio solidale della manifestazione.

Video di presentazione
Daniele Meucci è da sempre il principale Testimonial dell’Associazione per Donare la Vita Onlus e della mezza maratona di Pisa. Anche quest’anno ha voluto assicurare il suo supporto prestandosi per la realizzazione del video di presentazione della gara. Una sua foto è stata scelta anche come immagine simbolo.
Daniele Meucci, dopo un periodo di stop a causa dell’infortunio che non gli ha consentito di difendere il titolo continentale di maratona a Berlino, ha ripreso gli allenamenti ed è atteso al via il 14 ottobre.

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Atleti di èlite
Al via ci sarà un gruppo di atleti, sia maschile che femminile, di alto livello. Oltre a Daniele Meucci, saranno presenti Stefano La Rosa e Johannes Chiappinelli che saranno impegnati in una staffetta in rappresentanza del GS Carabinieri. Senza venire meno alle proprie finalità, e quindi non corrispondendo ingaggi e mantenendo un monte premi limitato, il Comitato Organizzatore è riuscito ad assicurarsi le prestazioni di atleti stranieri (inclusi Kenioti ed Etiopi) che manterranno il tradizionale elevato standard della Cetilar Pisa Half Marathon.
Si ricorda che nel 2008 Daniele Meucci stabilì proprio a Pisa la miglior prestazione annuale di un atleta Italiano e che i record sia maschile (2013 Daniele Meucci: 01:02:46) che femminile (2013 Janat Hanane: 01:12:09) rappresentano standard cronometrici di altissimo livello.

Ringraziamenti
Il Comitato Organizzatore desidera ringraziare tutte le istituzioni coinvolte nel progetto, a partire dall'Università, dal Comune, dalla Prefettura, dalla Questura, da tutte le Forze di Polizia, dall’Esercito. Ringrazia inoltre i volontari che fra il 12 ed il 14 ottobre renderanno possibile l’insieme di iniziative che compongono la Cetilar Pisa Half Marathon.

IRCCS Fondazione Stella Maris Logo newcopia copyGiornata Mondiale per la paralisi cerebrale: a Pisa un rapporto di collaborazione tra specialisti, istituzioni e famiglie. È quanto avvenuto nel corso del partecipatissimo incontro avvenuto oggi a Calambrone sul tema “Migliorare la qualità della vita per la persona con paralisi cerebrale” organizzato dalle Associazioni Coordinamento dei Caregivers ed EppursiMuove ASD con la collaborazione del IRCCS Fondazione Stella Maris. Il loro invito è stato raccolto dagli specialisti del settore, dagli operatori socio-sanitari, dai rappresentanti della politica e delle famiglie per offrire ai partecipanti un'occasione di conoscenza e approfondimento sui bisogni della persona con paralisi cerebrale infantile (PCI) in età pediatrica e adulta.

Nel convegno si è fatto il punto su come la ricerca e la realtà assistenziale, sociale e riabilitativa possano dare sempre più possibilità alla persone con paralisi cerebrale e al loro progetto di vita. All’iniziativa hanno partecipato Paolo Mancarella, rettore dell’Università di Pisa, Gianna Gambaccini, assessore del Comune di Pisa con deleghe alle Politiche sociali e alla Cooperazione con la rete dei servizi sanitari territoriali, Antonio Mazzeo, presidente della Commissione Costa Toscana del Consiglio Regionale e per la Stella Maris, Giuliano Maffei, presidente e Giovanni Cioni, direttore scientifico. Con loro erano presenti le rappresentanti delle famiglie Antonietta Scognamiglio e Stefania Bargagna.

La paralisi cerebrale in Italia coinvolge 100 mila tra adulti e bambini, mentre nel mondo sono milioni le persone che ne soffrono. Sono disturbi neurologici causati da lesioni del sistema nervoso centrale insorti prima o durante il parto, e colpiscono aree cerebrali che presiedono alle funzioni della postura e del movimento e tattili, quindi il cammino, la prensione, a cui spesso di associano forme di epilessia, disturbi sensoriali, cognitivi, del linguaggio. Il 25% circa dei bambini che ne è affetto ha una disabilità grave, 1 su 4 soffre di forme epilettiche, 1 su 3 non riesce a camminare, 1 su 4 non può parlare e 1 su 10 ha gravi disturbi visivi. Nel mondo sono milioni le persone con questi disturbi, solo in Italia dicevano all’inizio se ne calcolano 100.000, e ancor oggi ogni anno nel nostro paese più di 1.000 nuove persone manifestano questi disordini. Nei Paesi a sistemi sanitari più avanzati ne sono colpiti 2-3 neonati ogni 1.000 nati vivi, proporzione che nei Paesi poveri si triplica e quadruplica. Numeri che danno l’idea dell’impatto che questi disturbi hanno sulle famiglie e sulla società. In paesi con buon sistema socio-sanitario è stato calcolato che le cure e l’assistenza di una persone con questi disordini hanno un costo annuo di oltre 70.000 euro.

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Il contesto italiano ed europeo delle cure alle persone con paralisi cerebrale infantile purtroppo non è confortante. Una inchiesta condotta nel 2017 in tutti i paesi europei dalla European Academy of Childhood Disability (la Società scientifica europea che si occupa di questo disturbo) ha evidenziato come in Europa e anche in Italia, si registri un netto peggioramento dalla qualità e quantità delle cure offerti ai bambini e agli adulti con paralisi cerebrali, anche a causa della crisi economica. Una recentissima pubblicazione ha messo questi dati molto allarmanti a disposizione di esperti, politici e largo pubblico (*Horridge et al. European Academy of Childhood Disability. Austerity and families with disabled children: a European survey. Dev Med Child Neurol. 2018).

Una risposta concreta alle persone con paralisi cerebrale arriva dagli studi compiuti nel mondo per migliorare la loro qualità di vita. Purtroppo in questo campo c’è chi per soldi semina illusioni e false speranze, dando origine a quegli incresciosi fenomeni che sono i viaggi della speranza in lontani e “miracolosi” centri asiatici, dell’ex-Europa orientale o anche americani. La Stella Maris da anni è impegnata a fianco delle famiglie e dei bambini. Nell’Istituto di Calambrone molti sono i servizi a loro disposizione. Nelle sue Unità operative infatti gli specialisti di Stella Maris definiscono la diagnosi e approfondiscono il profilo funzionale con la formulazione del progetto riabilitativo e del programma terapeutico, progettano e validano i presidi protesici e ortesici e in caso di necessità terapia specifiche per la spasticità, la diagnosi e terapia dei disturbi associati come la disfagia, i disturbi visivi, o l’epilessia ed effettuano il trattamento successivo agli interventi di chirurgia funzionale. L’individuazione dei neonati a rischio di sviluppare questa patologia e la diagnosi precoce effettuata nei primissimi mesi di vita, consente di avviare un intervento precoce che ha come principali obiettivi quelli di minimizzare le difficoltà di sviluppo e l’emergenza di disabilità motorie, cognitive, socio-emozionali. Il razionale scientifico su cui si basa è il potenziamento della plasticità cerebrale, ossia la capacità del SNC (sistema nervoso centrale) di modificare la propria struttura e funzione in risposta all’ interazione tra i geni, le esperienze e gli stimoli ambientali (arricchimento ambientale). Sul fronte scientifico l’IRCCS Stella Maris nei propri laboratori e in collaborazione con l’Università di Pisa, l’Istituto di Neuroscienze di Fisiologia Clinica del CNR neurofisiologia e l’Istituto di Biorobotica, ha condotto e sta continuamente aprendo nuovi studi per terapie avanzate, in grado di prevenire e curare il danno cerebrale precoce e le paralisi cerebrali.

Proprio nel corso dell’incontro sono state presentate le ricerche più promettenti. Studi e collaborazioni che hanno permesso l’apertura proprio in queste settimane presso la Stella Maris del Centro terapie innovative nella paralisi cerebrale dove sono già iniziati e verranno sperimentati un numero sempre più grande di protocolli innovativi di trattamento dei bambini con paralisi cerebrale, specie i più piccoli, sviluppati attraverso finanziamenti nazionali e internazionali, e facenti parte a diversi progetti multicentrici internazionali in corso od in attivazione a breve.

Punto cruciale della terapia è mettere sempre la famiglia al centro del trattamento e una presa in carico precoce multidisciplinare psicologica e psicomotoria che promuova e sostenga la genitorialità, migliorando la qualità della vita dei bambini e delle loro famiglie. Proprio recentemente sono stati avviati - primi in Italia - studi sulla qualità della vita della persona con paralisi cerebrale, la qualità della vita è infatti, molto più del recupero funzionale l’obbiettivo vero dell’intervento. La Stella Maris per la paralisi cerebrale infantile, come per tutte le disabilità del neurosviluppo di cui si occupa (le disabilità intellettive, per lo più associate a malattie genetiche, l’autismo, le malattie neuromuscolari, i disturbi psichiatrici e molte altre) accanto alla ricerca e all’assistenza, svolge grazie e insieme all’Università di Pisa, un grande lavoro di formazione degli operatori, medici, terapisti, psicologi e altri, attraverso i corsi universitari che da molti anni anno sede presso l’Istituto (scuola di specializzazione in neuropsichiatria infantile, tra le più antiche d’Italia, corso per terapisti dell’età evolutiva e altre). Una sinergia con l’Università di Pisa che rende la nostra città polo internazionale di riferimento per questo disturbo, nella formazione oltre alla ricerca e l’assistenza. Nel luglio 2019 una Summer School dell’Università di Pisa, organizzata insieme alla Stella Maris e alla European Academy of Childhood Disability (la società scientifica europea che si occupa di questo disturbo) formerà giovani provenienti da tutto il mondo alla ricerca sulla paralisi cerebrale, attraverso l’opera di moltissimi docenti anche internazionali.

Etica e futuro. Oggi grande spazio è stato dato anche al tema etico, legato alla disabilità. La centralità della persona è il messaggio che da anni attraversa la letteratura e la legislazione in merito alla disabilità (ne sono un esempio la Convenzione ONU, il Piano per la salute, il Piano di indirizzo per riabilitazione e la classificazione ICF). Far diventare le persone colpite da paralisi cerebrale davvero protagonisti della propria vita. È questo il traguardo a cui oggi si tende. Una persona malata o disabile troppo spesso è un “oggetto del percorso assistenziale”. È necessario un cambio di paradigma per farla diventare un soggetto attivo. Un terreno ancora colmo di domande. È possibile una condivisione del piano riabilitativo quando il bambino ha gravi deficit comunicativi e cognitivi? Siamo certi che alla domanda di cura si risponda sempre in modo congruo e scientificamente valido? E poi la risposta è uniforme ed equa nei vari territori? Si tiene conto della prospettiva lifespan delle disabilità dello sviluppo?
(Fonte: Ufficio stampa Stella Maris)

Una prestigiosa collana internazionale di studi sul Medio Regno (2000-1550 a.C.) edita dalla Golden House Publications con sede a Londra è ora disponibile gratuitamente sul portale di Egittologia dell’Università di Pisa. L’iniziativa è nata su impulso di Gianluca Miniaci, docente dell’Ateneo pisano nonché supervisore scientifico della stessa collana: ecco il link per scaricare i libri.



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“Middle Kingdom Studies, una collana nata tre anni fa da una mia idea, è già diventata una realtà ben affermata nel panorama scientifico, poiché si occupa di un periodo, il Medio Regno (2000-1550 a.C.), poco trattato a livello di ricerca nel campo dell’egittologia”, racconta Gianluca Miniaci.

La collaborazione con l’editore inglese è stata ufficializzata nei mesi scorsi con la firma di un accordo con il dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell'Ateneo.

“Dal mio arrivo all’Università Pisa nel 2016 mi sono mosso affinché la Golden House Publications, una delle case editrici più note nell'ambito scientifico internazionale dell'egittologia, si aprisse verso l'opensource ed in particolare verso il green opensource – conclude Miniaci – ora grazie a questo accordo i volumi saranno online e fruibili gratuitamente a partire da due anni dalla data di pubblicazione del cartaceo”.

Kelemen faggiJanos Kelemen (a sinistra nella foto) e Pierpaolo Faggi (a destra nella foto) sono i vincitori del premio internazionale «Galileo Galilei» 2018 promosso dai Rotary club italiani, uno dei riconoscimenti culturali più importanti d'Europa e punto di riferimento per la promozione della cultura italiana, che dal 2006 viene conferito anche a studiosi italiani che si siano distinti nelle scienze fisiche, mediche, geografiche, dell'ingegneria, della terra, chimiche, agrarie e biologiche.

Il 57mo premio Galilei «è stato attribuito all'unanimità della giuria (presieduta dal presidente della Fondazione premio Galilei, Antonio Pieretti, e composta dagli specialisti italiani della materia Giuseppe Santillo, Giannino Di Tommaso e Mauro Visentin) all'ungherese Janos Kelemen, professore emerito dell'Università Elte di Budapest, per il suo contributo alla Storia del pensiero italiano».

Al padovano Pierpaolo Faggi, professore di geografia umana all'Università di Padova, è andato il premio per la scienza, giunto alla 13ma edizione dedicata alle scienze geografiche, assegnato dalla giuria composta dagli specialisti stranieri della materia Jean Pierre Lozato Giotart, Jean Louis Moretti e Pere Salve Tomas (presidente di giuria anche in questo caso Antonio Pieretti).

La cerimonia di premiazione si è svolta sabato 6 ottobre nell'aula magna dell'ateneo pisano: erano presenti la prorettrice vicaria Nicoletta De Francesco, il presidente della Fondazione premio «Galileo Galilei» dei Rotary club italiani, Marco Mancini, e l’assessore comunale all’Urbanistica Massimo Dringoli, in rappresentanza del Comune di Pisa. 


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Da sinistra: Janos Kelemen, Pierpaolo Faggi, Marco Mancini, Nicoletta De Francesco, Massimo Dringoli subito dopo la premiazione.


Le ricerche di Janos Kelemen si incentrano prevalentemente sulla filosofia del linguaggio e la storia della filosofia e della letteratura italiana con particolare riguardo a Dante e al pensiero italiano nel Novecento. La giuria del premio «Galilei« ha scelto il professore «per i suoi eccellenti meriti nel campo della ricerca e della diffusione del pensiero italiano in Ungheria e della cultura ungherese in Italia, cui ha contribuito in maniera determinante anche nella sua qualità di direttore dell'Accademia di Ungheria a Roma, di direttore del dipartimento di Italianistica dell'Università di Szeged, di socio fondatore e presidente della Società Dantesca Ungherese».

Pierpaolo Faggi vanta un curriculum ricchissimo sia nel campo ricerca empirica sia nel campo «terreno», infatti si presenta come «camminatore geografo». Un lavoro che è grande passione, come dimostrano i numerosi libri e articoli scientifici pubblicati in Europa, in particolare in Italia e Francia, e nel Nord America. Tra questi, si possono segnalare i suoi studi e azioni in Africa, specialmente in Senegal e Burkina Faso. Durante quasi quarant'anni, Pier Paolo Faggi ha dimostrato grande attenzione per la natura e per le popolazioni locali.

L’Università di Pisa conferma il proprio impegno nell’ambito della cooperazione internazionale per la salute e lo sviluppo. Grazie all’accordo sottoscritto lo scorso dicembre tra Unipi, Medici con l'Africa CUAMM e Fondazione Arpa, quattro studenti del sesto anno di Medicina sono appena partiti per l’Angola nell’ambito della missione umanitaria di Medici con l’Africa CUAMM. Gli studenti pisani Beniamino Bortoli, Marco Favilli, Federica Mei e Debora Tognarelli effettueranno un periodo di tirocinio nell'ospedale di Chiulo, nei mesi di ottobre e novembre.

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I quattro studenti con il rettore Paolo Mancarella e il professor Emanuele Cigna.


La struttura sanitaria, gestita dai medici di CUAMM, è situata nel profondo sud dell'Angola ed è il punto di riferimento di un’ampia regione, essendo l’unica unità sanitaria di 2° livello presente nella parte settentrionale della Provincia del Cunene, unico presidio dotato di sala operatoria in cui si possa eseguire il taglio cesareo.

Dal 2012 l’ospedale di Chiulo e il suo territorio di riferimento sono stati coinvolti nel programma del Cuamm “Prima le mamme e i bambini”, un’iniziativa che mira a garantire l’accesso gratuito al parto sicuro, alla cura del neonato e, in una successiva fase (2017-2021), alla generale tutela della salute della mamma e del neonato lungo i primi suoi 1000 giorni di vita, con un’attenzione particolare alla nutrizione della gravida e del bambino fino ai 2 anni.

Prima di partire gli studenti, accompagnati dal professor Emanuele Cigna, hanno fatto visita al rettore Paolo Mancarella e al prorettore alla Cooperazione e relazioni internazionali Francesco Marcelloni dai quali hanno ricevuto, a nome dell’intera istituzione universitaria, l’augurio di vivere una ricca esperienza in Africa, che possa formarli dal punto di vista umane e già qualificarli sul lato professionale, rappresentando al meglio l'Università di Pisa nel mondo.

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Gli studenti con il prorettore Francesco Marcelloni e il professor Emanuele Cigna.

copertina libro"Farfalle e uragani. Complessità: la teoria che governa il mondo" (Hoepli 2018) è l'ultimo libro del professore Walter Grassi, docente di Fisica tecnica all'Università di Pisa.

Pubblichiamo di seguito la prefazione del volume a firma di Roberto Vacca, ingegnere e matematico divulgatore, e la premessa dell'autore.

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Prefazione

Questo è un libro importante. Walter Grassi è un fisico-tecnico e, certo, i lettori che hanno discrete conoscenze di fisica e di matematica ne godranno i frutti con una certa facilità. Però Grassi si rivolge a un pubblico più vasto.

Molti di noi sanno qualcosa di fisica, meteorologia, economia, finanza, energia e psicologia. Ne parliamo anche senza essere esperti e usiamo termini di cui conosciamo il significato, spesso a livello superficiale. Non siamo in grado di esprimere la genesi e le applicazioni. Non padroneggiamo gli strumenti necessari. Ricordiamo i nomi di autori importanti in vari campi, ma talora conosciamo le loro opere solo per aver letto citazioni o recensioni. Mi limito qui a ricordare i nomi di autori (di cui Grassi fornisce bibliografia) che dovrebbe conoscere chi voglia capire meglio il mondo in cui viviamo. Laplace, Pareto, Volterra, Zipf, Lotka, Prigogine, Mandelbrot sono i nomi a me più cari – e Grassi parla anche di molti altri.

Gli argomenti del libro sono: sistemi, complessità, interazioni, caos, processi di crescita e declino, retroazione (feedback) e altro. In poche pagine Grassi non offre trattati su tutti questi argomenti, ma li approfondisce fino a risvegliare la curiosità del lettore e, magari, fino a fargli prendere consapevolezza di non saperne abbastanza. È un’opera utile.

Roberto Vacca
Ingegnere e matematico divulgatore

 

Premessa

Ogni libro nasce dal desiderio di comunicare e condividere con altri le proprie idee e sensazioni. Lo si può fare in molti modi a seconda dei temi trattati e di chi si vuole coinvolgere. I più facili da attrarre sono i curiosi, quelle persone, cioè, che si guardano intorno con la voglia di capire la realtà che li circonda.

Questo testo non pretende certo di dare risposte, ma di stuzzicare la curiosità sull’argomento della complessità in modo che, almeno, se ne conosca l’esistenza.

Fatto questo, esiste, per chi fosse interessato, una miriade di possibilità di approfondimento nei settori più disparati: dalla biologia, alla medicina, alla fisica, all’economia, alle scienze sociali, alla geologia.
Perché un essere vivente deve scambiare energia e materia con l’ambiente circostante per essere tale? Qual è l’importanza delle interazioni, sia interne sia con il mondo esterno? Che cosa significa che le irreversibilità sono origine di ordine? Quanto sono lunghi i confini fra nazioni? Come mai i fenomeni più diversi sono governati da leggi dello stesso tipo?

Tutto ciò è discusso nel libro, insieme ad altro ancora.

Walter Grassi

Un fegato artificiale miniaturizzato, costruito con chip microfluidici in silicio per i test farmacologici, ha finalmente dimostrato che i mini organi artificiali possono essere considerati modelli sperimentali attendibili, aprendo la strada a una possibile eliminazione dell’uso di cavie animali. Lo studio è stato pubblicato su Advanced Functional Materials e condotto dal team di ricerca di Giuseppe Barillaro del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa, con la collaborazione del gruppo di Nico Voelcker della Monash University.

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Humans-on-chip mostra come passare dall’organo alla sua “astrazione” funzionale fino al chip che lo mima. 

“La novità di questo modello di organo – spiega Barillaro – è che si compone di strutture tridimensionali che hanno la dimensione effettiva delle cellule epatiche e che sono disposte in modo da replicare anche architettonicamente l’organizzazione del fegato nel lobulo epatico. Negli esseri umani, le cellule epatiche sono disposte in cordoni collocati tra le vene (sonusoidi) che entrano nel lobulo. La diposizione delle cellule in cordoni permette di riprodurre negli organi artificiali alcune funzioni fondamentali del fegato, come la detossificazione e il mantenimento dell’omeostasi”.

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L’organo-chip e lo stesso organo con la simulazione del flusso sanguigno.

Replicare questa struttura è stato possibile grazie all’uso di nanotecnologie simili a quelle usate per i circuiti integrati. Le strutture così costruite vengono alimentate con un sistema microfluidico. “Quello che abbiamo dimostrato – prosegue Barillaro – è che le strutture così composte riescono a mantenere l’attività e le caratteristiche della cellula più a lungo rispetto a quanto non accada con una normale coltura, un mese invece che una settimana, e creare condizioni fisiologiche molto simili a quelle del corpo umano. Questo permette test farmacologici a medio termine, con la conseguenza di poter ridurre l’uso di cavie animali. Replicando in modo sempre più accurato la struttura del lobulo epatico potremo arrivare a effettuare test farmacologici con risultati ancora più attendibili e vicini a quelli ottenuti sull’uomo, e anche ricreare su chip alcune tra le più importanti funzionalità del fegato per andare verso una medicina personalizzata”.

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La struttura degli epatiti vista con il microscopio confocale.

Al momento gli organi-chip hanno destato l’interesse sia dell’Europa che degli Stati Uniti, che hanno avviato la creazione di uno Humanchip, ovvero la riproduzione di diversi organi chip, che poi verranno messi in connessione tra loro per riprodurre la fisiologia umana. Questo renderà possibile testare farmaci su un organo specifico, ma anche controllarne l’impatto sugli altri. In Europa al momento è ai primi passi la costruzione di una flagship sugli organi chip, che includerebbe non solo partner accademici, ma aziende interessate a portare avanti i risultati della sperimentazione.

Si è svolto all’Università di Pisa l’1 e 2 ottobre il kick-off meeting del progetto ULISSE, Understanding, Learning and Improving Soft Skills for Employability che l’Università di Pisa si è aggiudicato nell’ambito della Call 2018 – KA203 - Erasmus+ “Strategic Partnerships for Higher Education”. 

“Il progetto – dichiara il professor Rossano Massai, delegato di Ateneo al Job Placement – è stato presentato dall’Unità Career Service della Direzione Servizi per la Didattica e l’Internazionalizzazione con l’obiettivo di analizzare e sviluppare le competenze più importanti per il mondo del lavoro al fine di favorire l’inserimento professionale dei laureati”.

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Responsabile scientifico è il professor Gualtiero Fantoni del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale. 
"ULISSE – sostiene il professor Fantoni – ha una componente di ricerca che mira a gettare luce sulla definizione di “soft skill” con l’obiettivo di delimitare i confini di ciò che viene considerato “soft” e ciò che non lo è, chiarendo la vera natura delle diverse competenze. La prima fase del progetto consisterà in un’analisi, condotta con tecniche di text mining, delle informazioni su annunci di lavoro disponibili presso i Career Service delle Università partner, ma anche in letteratura e in database esterni. Ciò consentirà di analizzare in maniera puntuale le competenze trasversali maggiormente richieste dalle aziende e di progettare su tale base delle attività formative specifiche che consentiranno di implementare queste competenze.

ULISSE con un punteggio di 91,5/100 è stato uno dei 16 progetti selezionati a livello nazionale su 64 candidature. L’Università avrà il ruolo di capofila di un partenariato che include l’Università Miguel Hernandez di Elche (Spagna), il Politecnico di Porto (Portogallo), l’Università Latvijas (Lettonia), e l’azienda spin-off dell’Ateneo Errequadro. Il budget del progetto è pari a € 384.639.

marchio unipi 900x600 biancoIl rettore dell’Università di Pisa, Paolo Mancarella, dopo aver preso visione delle 26 slides presentate dal professor Alessandro Strumia al Cern in data 28 settembre scorso, intitolate “Theory Gender Talk”, cui seguivano numerose denunce di violazione dei valori fondamentali della comunità universitaria, ritenendo queste ultime fondate, ha provveduto all’apertura del procedimento etico avverso Strumia, trasmettendo tutta la documentazione in merito alla Commissione etica dell’Ateneo.

La Commissione procederà ad esaminare il comportamento tenuto, valutando se del caso di investire anche il Collegio di disciplina per verificare eventuali ulteriori violazioni delle norme che devono guidare la condotta dei professori universitari.

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