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"Quando, alla fine del corso di studio, mi sono trovato a dover scegliere l'argomento per la tesi, non ho avuto dubbi: raccontare una storia, la mia. Così mi sono messo alla prova con questo tentativo di scrittura scenografica autobiografica". Con queste parole Luca Razzauti, studente affetto dalla sindrome "X fragile", ha introdotto la discussione della sua tesi al corso di laurea magistrale in Storia e forme delle arti visive, dello spettacolo e dei nuovi media. Il lavoro - dal titolo "Il percorso. Vicissitudini di una persona particolare che aspira a conquistare il diritto di vivere la propria vita" - è stato presentato lunedì 1 ottobre al Polo Piagge, davanti al relatore Maurizio Ambrosini, alla co-relatrice Elena Marcheschi e alla Commissione di laurea presieduta dalla professoressa Sandra Lischi. Erano presenti il rettore Paolo Mancarella, il delegato per la disabilità, Luca Fanucci, e Federica Gorrasi, responsabile dell'USID-Ufficio servizi per l'integrazione di studenti con disabilità, la struttura che ha accompagnato Luca lungo il cammino universitario. Alla fine Luca Razzauti ha conseguito il titolo con il massimo dei voti e la lode.

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Nella foto, da sinistra, il professor Fanucci, il rettore Mancarella e Luca davanti alla Commissione di laurea.

"Ho seguito Luca in tutto il suo percorso formativo - ha detto il rettore Paolo Mancarella - imparando ad apprezzare la forza e il coraggio con cui riesce quotidianamente a superare gli ostacoli dovuti alla sua condizione. Per me, per gli operatori che lo hanno supportato e soprattutto per tutti i giovani che affrontano, a volte con un senso di smarrimento, il percorso di studi universitario, la storia di Luca rappresenta una bellissima lezione di vita, di dignità e di determinazione. La sua carriera nella nostra Università è per tutti noi motivo di orgoglio e per questo voglio ringraziare lo staff dell'USID e la squadra di studenti tutor e compagni di studio che lo hanno accompagnato in questi anni, così come i docenti che Luca ha incontrato. Qualunque scelta possa fare ora, auguro a Luca il massimo della fortuna e tanta felicità, e lo ringrazio di cuore per quanto è riuscito a trasmetterci in tutti questi anni".

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Il momento della proclamazione.

Luca Razzauti, 31 anni, di origini livornesi, è affetto dalla sindrome "X fragile", una patologia che conferisce tratti autistici con relativa difficoltà comunicativa. Nel 2014 si è laureato in Discipline dello spettacolo e della comunicazione, sempre all'Università di Pisa, con 110 e lode. Nella sua carriera da studente è stato coadiuvato da tutor che lo hanno affiancato durante le attività didattiche e ha sostenuto gli esami in forma scritta utilizzando la "Comunicazione Facilitata Alfabetica" (CFA).

"Ancora una volta mi trovo a dover ringraziare l’Università di Pisa che mi ha permesso di conseguire questo nuovo traguardo della laurea magistrale - ha scritto Luca Razzauti - Quando ho scelto l'argomento della tesi ero titubante per il timore di scadere nella banalità. Una sensazione di inadeguatezza data dal confronto della mia semplice storia con quelle importanti di eroi antichi e moderni. Mi ha aiutato a uscire da questa incertezza (non del tutto) la riflessione sul film 'Ovosodo', di Paolo Virzì, incentrato su un personaggio antieroico per eccellenza che, nonostante tutto, esce dalla storia con una sua umanità piena di dignità".

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Un momento della discussione.

Luca ha quindi continuato che "così ho iniziato a scrivere. Nel vedere riflessa nello specchio della scrittura la mia vita, mi sono reso conto che per superare i passaggi più impervi ho dovuto attingere ad energie interiori che neppure immaginavo di possedere; ho compreso che essere parte di una comunità affettivamente ricca mi permette di guardare ad un futuro incerto e nebuloso senza perdere la speranza. La speranza di realizzare il sogno di una vita indipendente, nonostante la necessaria presenza di un tutor, fondata sullo sfruttamento della mia capacità espressiva attraverso il canale della scrittura”.

Per la prima volta, la robotica e l’opera si fondono e danno vita alla “Robot opera”, dove cantanti lirici e il robot umanoide Face, sviluppato al Centro di ricerca “Enrico Piaggio” dell’Università di Pisa si sono divisi la scena, conquistando l’esigente pubblico di uno dei templi della lirica italiana, quello del “Gran teatro Giacomo Puccini”, a Torre del Lago, in Versilia, a due passi dalla villa dove il maestro trovò l’ispirazione per alcune delle due arie più famose. Quella andata in scena sabato 29 settembre, nell’ambito del Festival internazionale della robotica di Pisa, è stata un’opera da doppio debutto, sia per la presenza di Face, sia per “Dr. Streben” – questo il titolo della “Robot Opera”, mai rappresentata in precedenza, su musiche del maestro compositore Girolamo Deraco. La platea è stata conquistata da questa insolita commistione tra ricerca tecnologica, applicata a una delle espressioni artistiche italiane per eccellenza, e lirica, da questi continui rimandi a tradizione, anche per lo svolgersi della vicenda, e innovazione.

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La “Robot opera da camera, per soprano, tenore, baritono, robot ed ensemble” – questo il nome completo, con il termine “robot” mai entrato finora in un titolo lirico – è andata alla ricerca di nuovi linguaggi e di espressioni innovative, senza dimenticare il ruolo fondamentale delle persone. L’opera con Face al centro della scena non si sarebbe realizzata senza l’apporto di cantanti e musicisti. La “Robot Opera” è nata da un’alleanza stretta tra Festival della robotica, dal direttore organizzativo Franco Mosca in particolare, con la Fondazione Festival Pucciniano e con “Cluster”, associazione di compositori e musicisti contemporanei lucchesi, diretta da Girolamo Deraco, autore delle musiche, insieme a Vincenzo Reale, che ha curato il libretto. L’ “opera robotica” che ne è risultata si è rivelata in linea con la tradizione lirica e con l’innovazione offerta dai risultati della ricerca scientifica condotta ai massimi livelli, come quella del Centro di ricerca “Enrico Piaggio” dell’Università di Pisa. In sala Danilo De Rossi, ordinario di Bioingegneria Elettronica e Informatica dell’Università di Pisa e creatore di “Face”, l’umanoide capace di interagire in maniera empatica con le persone attraverso una forma di comunicazione non verbale.

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Attraverso sensori posizionati sulla testa, Face orienta lo sguardo verso l’interlocutore umano, ne analizza le espressioni facciali e la gestualità e ne inferisce lo stato emotivo. Sulla base dello stato mentale, Face inizia una comunicazione non verbale attraverso espressioni facciali, sguardi e ammiccamenti, per stabilire un dialogo empatico. La struttura del volto del robot comprende 32 micromotori, posti tra l’epidermide e la struttura ossea che, in modo analogo ai muscoli facciali, permettono di controllare ogni minimo movimento del viso e generare un’ enorme quantità di espressioni anche molto complesse. Face è utilizzato anche come strumento per lo sviluppo di modelli di intelligenza artificiale e per approfondire l’interazione sociale e affettiva tra uomo e robot.

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Il libretto della “Robot opera” è stato quindi pensato anche per Face e per narrare la vicenda di uno scienziato, il Dr. Streben che, lentamente, finisce per innamorarsi della creatura che ricorda la sua amata e scomparsa Galatea. Ma consapevole del fatto che Face (Umy nella “robot Opera”) non potrà diventare una donna, decide di trasformarsi lui stesso in un Cyborg, grazie a Mexos, una sorta di esoscheletro collegato al computer. La “fusione” avrà effetto e il drone, immobile sul palco dall’inizio, inquadrerà la mano di Umy e quella dello scienziato che si uniscono, proprio come avviene nel “Giudizio universale” di Michelangelo.

“L’opera è la forma d’arte più complessa che esista – ha sottolineato il direttore organizzativo del Festival internazionale della robotica, Franco Mosca – perché include tutte le altre forme e le plasma attraverso la forza della musica. Da oggi, per la prima volta nella storia, anche un robot umanoide è stato protagonista in scena. Questo evento ha rappresentato un ulteriore passo in avanti, sia per l’arte sia per la ricerca scientifica”.

La “robot opera” ha ricevuto il sostegno di Fondazione Banca del Monte di Lucca, Banca Versilia Lunigiana e Garfagnana (BVLG), Teatro del Giglio, Club Unesco Lucca, Ambasciata Messicana, Città di Viareggio, Kedrion, Fondazione Italia – Giappone, Antica Norcineria, Congreso de la Naciòn – Centro Cultural de la Republica CABILDO. La “robot opera” ha visto il contributo dei soci musicisti di “Cluster”, Lorenzo Cominelli, Roberto Garofalo, Paolo Mirabelli, dei cantanti Marco Mustaro, Maria Elena Romanazzi, Lorenzo Martinuzzi, dell’ Etymos Ensemble: Francesco Carmignani, Emanuele Gaggini, David Whitwell, Fabio Fabellini, Diego Desole, Alberto Gatti, Lorenzo Ballerini, Eduardo Caballero e del pianista preparatore Massimo Salotti. A dirigere l’ensemble ci ha pensato Diego Sánchez Haase, video e scenografie di Lorenzo Vignando per la regia di Cataldo Russo.

elezioni consiglio ordineSi sono svolte nei giorni 25, 26 e 27 settembre 2018 le elezioni per il rinnovo dei 5 componenti interni del Consiglio di Amministrazione dell’Università di Pisa (4 docenti e 1 tecnico-amministrativo) e quelle per il rinnovo dei componenti delle quattordici commissioni scientifiche d’area.

Per il CdA, sono stati eletti, per la parte docente, i professori Anna Maria Raspolli Galletti, Alberto Gargani, Sandro Paci e Giovanni Cioni. Per il personale tecnico-amministrativo è stato confermato Andrea Lapi. Il dettaglio dei risultati è visibile a questo link.

Negli stessi giorni si sono svolte le elezioni per il rinnovo dei rappresentanti del personale per la sicurezza nell'Ateneo (R.L.S.): i 4 rappresentanti del personale docente eletti sono Elisabetta Orlandini, Anna De Falco, Annalaura Carducci e Cristina Nali; i 6 del personale tecnico-amministrativo sono Sandro Scatena, Stefania Sartini, Adriana Ciurli, Rossana Pesi, Davide Lorenzi e Stefano Carafiglia. Il dettaglio dei risultati è visibile a questo link.

Si è svolta giovedì 27 settembre la cerimonia di consegna dei diplomi del master internazionale dell'Università di Pisa in “Management of Heath, Safety, Environment & Quality Systems” (HSE&Q), giunto quest'anno alla decima edizione. Gli allievi che hanno concluso il percorso formativo sono stati 21, provenienti da dieci paesi: oltre che dall'Italia, da Congo, Egitto, Ghana, Indonesia, Kazakhstan, Libia, Nigeria, Tunisia e Turkmenistan. In totale, nelle dieci edizioni del master si sono diplomati quasi 200 allievi di 15 diverse nazioni.

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Alla cerimonia sono intervenuti il rettore Paolo Mancarella, rappresentanti del Gruppo ENI e di ENI Corporate University, che è main sponsor dell’iniziativa, oltre alla direzione scientifica espressione del dipartimento di Ingegneria civile e industriale e al Consorzio Universitario Quinn che ne cura l’organizzazione.

Nel suo saluto, in inglese, il rettore ha espresso "vivo apprezzamento per la consolidata collaborazione tra l’Ateneo di Pisa e l'ENI, che permette attraverso il master HSE&Q di formare esperti qualificati con un elevato livello di conoscenze tecniche e con la capacità di essere competitivi in uno scenario internazionale in continuo e rapido mutamento".

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Nella foto in alto: gli allievi del master.
Nella foto in basso: il rettore Paolo Mancarella e il professor Leonardo Tognotti, direttore del dipartimento di Ingegneria civile e industriale.

world rankings 2019Per il secondo anno consecutivo l’Università di Pisa scala posizioni nella classifica internazionale degli atenei pubblicata dal Times Higher Education, piazzandosi tra il 301° e il 350° posto su un totale di oltre 1250 università selezionate tra le più prestigiose al mondo. Rispetto all'edizione dello scorso anno, l'Ateneo pisano guadagna una cinquantina di posizioni salendo quindi in una fascia più alta.

A livello italiano, l'Ateneo pisano si classifica nella fascia tra 8° e 11° posto, insieme a Milano, Napoli "Federico II" e Politecnico di Milano, su un totale di 43 istituzioni censite, recuperando quattro posizioni rispetto all’anno precedente e confermandosi al primo posto tra le università generaliste in Toscana.

Il piazzamento dell’università di Pisa è in buona parte dovuto all’impatto della ricerca, che vede l'Ateneo nel 20% della top mondiale per quanto riguarda le citazioni ricevute dagli articoli scientifici pubblicati dai propri ricercatori.

"Il ranking del Times Higher Education - ha commentato il rettore Paolo Mancarella - vede la nostra Università ancora in crescita rispetto allo scorso anno, già molto positivo, e ci conferma nella ristretta élite delle migliori università italiane. Se escludiamo le scuole e i politecnici, che per dimensioni e mission sono difficilmente comparabili con grandi università generaliste come la nostra, il nostro Ateneo è infatti tra le prime 5 o 6 migliori istituzioni accademiche in Italia, con la capacità di coniugare l'elevato standard della sua ricerca con una formazione di qualità rivolta a quasi 50 mila studenti. Mi piace pensare che questo risultato sia dovuto anche alle politiche di sostegno alla ricerca messe in atto in questi primi due anni di mandato".

A team of scientists from the Yale School of Medicine and the Department of Biology at the University of Pisa has identified a specific stem cell population, known as neuroepithelial stem cells, which have proved to be particularly effective in the repair in animal models of spinal cord injury.  The experiment demonstrated that these cells are able to integrate within the damaged tissue, extend processes by a few centimeters after the transplant and offer motor and functional recovery in the animals subjected to the treatment. Furthermore, as the laboratory tests show, recovery is proportionate to the extent of the injury: if, for example, the spinal cord damage is not higher than 25%, there is a significant improvement in the use of the lower limbs within two months.

“Thanks to this study, it has been demonstrated for the first time that the anatomical origin of stem cells is of vital importance to the success of transplants,” explains Marco Onorati, a researcher from the University of Pisa and one of the first authors of the study published in the “Nature Communications” journal.  

In fact, while similar in vitro, the neural stem cells which have the same origin as the recipient tissue (in this case the spinal cord) turned out to be much more efficient than those with a diverse origin (for example derived from the brain) at re-establishing connections with the damaged area and guaranteeing the formation of new neuronal circuits.

“Not all stem cells have the same potential,” concludes Marco Onorati, “and the knowledge we now have, thanks to this study on neuroepithelial stem cells and how they react in the case of spinal cord injury, could prove to be useful for future research.”

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Neuroepithelial stem cells (in green) transplanted into the animal model of spinal cord injury (in red)

Within the field of the study, Marco Onorati, a researcher from the Unit of Cell and Developmental Biology from the Department of Biology, directed the part dealing with the derivation and characterization of the human neuroepithelial stem cells and their differentiation into mature neurons in order to study their function in vitro. The study was coordinated by Professor Steve Strittmatter from the Yale School of Medicine. The other first co-authors of the research are Maria Teresa Dell’Anno (who is at present continuing her research on stem cells in the neurological field at the Fondazione Pisana per la Scienza) and Xingxing Wang.

 



 

Un team di scienziati della Yale School of Medicine e del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa ha individuato una particolare popolazione di cellule staminali, dette neuroepiteliali, che si sono rivelate particolarmente efficaci nel riparare le lesioni al midollo spinale. La sperimentazione condotta su modelli animali ha mostrato che queste particolari cellule sono in grado di integrarsi nel tessuto danneggiato, estendere prolungamenti per alcuni centimetri dopo il trapianto e fornire un recupero motorio e funzionale. Inoltre, come hanno evidenziato i test di laboratorio, il recupero è proporzionale all’entità alla lesione: se ad esempio il danno al midollo spinale non supera il 25%, c’è un miglioramento significativo nell’uso degli arti inferiori entro due mesi.

“Per la prima volta, grazie a questo studio è stato quindi dimostrato che l’origine anatomica delle cellule staminali ha una importanza cruciale per il successo del trapianto”, spiega Marco Onorati, ricercatore dell’Unità di Biologia Cellulare e dello Sviluppo del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano, e fra i primi autori dello studio pubblicato sulla rivista Nature Communications.

Infatti, per quanto simili in vitro, le cellule staminali neuronali che hanno un’origine analoga a quella del tessuto ricevente (in questo caso il midollo spinale) si sono rivelate molto più efficienti di quelle con una diversa derivazione (ad esempio provenienti dal cervello) nel ripristinare le connessioni del midollo lesionato e garantire la formazione di nuovi circuiti neuronali.

 

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Cellule staminali neuroepiteliali (in verde) trapiantate nel modello animale di midollo spinale lesionato (in rosso)

“Non tutte le cellule staminali hanno quindi le stesse potenzialità – conclude Marco Onorati – e quello che ora sappiamo grazie a questo studio sulle cellule staminali neuroepiteliali e su come agiscono nel caso di lesione al midollo spinale può rivelarsi utile per indirizzare il futuro della ricerca”.

Lo ricerca pubblicata su “Nature Communications” è stata coordinata dal professore Steve Strittmatter della Yale School of Medicine. In particolare, Marco Onorati ha guidato la parte sulla derivazione e la caratterizzazione delle cellule staminali neuroepiteliali umane e il loro differenziamento verso neuroni maturi per studiarne la funzione in vitro. Oltre a lui, gli altri primi coautori dell’articolo sono due ricercatori della Yale School of Medicine, Maria Teresa Dell’Anno (che adesso continua i suoi studi sulle cellule staminali in ambito neurologico presso la Fondazione Pisana per la Scienza) e Xingxing Wang.
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Riferimenti all’articolo scientifico:
Dell'Anno MT, Wang X, Onorati M (e altri), “Human neuroepithelial stem cell regional specificity enables spinal cord repair through a relay circuit”, Nature Communications



 

È stato assegnato ad Antonio Brogi, Andrea Canciani e Jacopo Soldani il “Best Paper Award” per il miglior contributo presentato alla settima edizione del congresso “European Conference on Service-Oriented and Cloud Computing”, che si è svolto a Como dal 12 al 14 settembre. Antonio Brogi è professore ordinario al dipartimento di Informatica e coordinatore del gruppo di ricerca in Service-Oriented, Cloud e Fog Computing (SOCC); Andrea Canciani e Jacopo Soldani sono ricercatori post-doc dello stesso dipartimento e membri del gruppo di ricerca SOCC.

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Il contributo premiato, intitolato “True Concurrent Management of Multi-Component Applications”, fornisce un primo approccio in grado di automatizzare l’installazione e la gestione di applicazioni multi-component su più piattaforme cloud, considerando che i vari componenti che formano tali applicazioni possano evolvere in modo autonomo e asincrono. Il premio, sponsorizzato dalla “International Federation for Information Processing”, è stato assegnato dai comitati di organizzazione e di programma, che hanno riconosciuto l’originalità e l’importanza delle soluzioni proposte dai ricercatori dell'Ateneo pisano.

C’è tempo sino al 7 ottobre per votare e far vincere SaveMyBike, unico progetto italiano in lizza per RegioStars 2018, un premio assegnato alle migliori iniziative realizzate dalle regioni europee.

Selezionato tra 102 candidature, SaveMyBike punta a incentivare l’uso delle biciclette in città e a prevenire i furti. Per votarlo basta andare a questo link, il progetto vincitore verrà premiato l’8 ottobre durante “La settimana delle regioni e delle città”.

SaveMyBike è coordinato da Tages, società cooperativa pisana che opera nel campo della pianificazione e progettazione dei sistemi di mobilità e trasporto delle persone e delle merci, e vi parteciapno il Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa, il Polo Universitario Sistemi Logistici di Livorno e le aziende Geosolutions sas e NewGOO srl.

 

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Il team del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione che ha sviluppato il sistema, da sinistra a destra Ing. Andrea Michel, Prof. Paolo Nepa, Ing. Vittorio Franchina.


"Il sistema per rintracciare le biciclette – spiega Paolo Nepa, del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa – si compone di sensori che vengono installati sul veicolo e operano più o meno come il Telepass, e di una app, che si chiama GOOD_GO, tramite la quale i cittadini possono caricare la foto della propria bici e denunciarne il furto. Quando un ausiliare del traffico o un vigile, mediante un lettore portatile dei tag, ritrova una bici rubata, il suo cellulare manda l'avviso di ritrovamento al legittimo proprietario mediante la app”.

“La app GOOD_GO – aggiunge Massimiliano Petri, di Tages, che coordina il progetto (nella foto a destra, a Strasburgo dopo la cerimonia per i progetti finalisti)– serve anche a incentivare buone pratiche sulla mobilità: installandola sul proprio telefono i cittadini possono avere informazioni sulla mobilità sostenibile, come la percentuale di riduzione del rischio vascolare, l’abbattimento di Pm10, di traffico veicolare, e perfino il risparmio in termini di costi ogni volta che usano la bici. Inoltre possono partecipare a un gioco sociale che premia con diversi incentivi i comportamenti ecologicamente più sostenibili, in modo da sostituire sempre di più l’uso dell'auto con quello delle due ruote”.

 

Un gruppo di ricercatori ha riorganizzato e classificato sulla base degli effetti collaterali e del meccanismo di azione una classe di farmaci molto utilizzata in diversi disturbi psichiatrici, come schizofrenia e disturbo bipolare, con l’obiettivo di migliorare e personalizzare le terapie. I medicinali studiati soni stati i cosiddetti antipsicotici “atipici”, farmaci di seconda generazione nati per ovviare agli effetti indesiderati di tipo motorio (come parkinsonismo o discinesie tardive) degli antipsicotici “classici” o “tipici”. Lo studio, durato tre anni e finanziato dalla Fondazione Arpa, è stato condotto dalle università di Pisa e dell’Aquila e dal Queen Mary University di Londra; i risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista “Pharmacology & Therapeutics”.


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Il gruppo di ricerca Unipi, in alto da sinistra, Stefano Aringhieri, Marco Carli, Valeria Verdesca, Shiva Kolachalam e Marco Scarselli.


“Come si è visto dopo la loro introduzione – spiega il professore Marco Scarselli dell’Università di Pisa - gli antipsicotici atipici hanno dimostrato di essere molto eterogenei e in numerosi casi si sono presentati effetti collaterali di tipo motorio. Per questi motivi, la comunità scientifica ha posto seri dubbi sull'uso della distinzione tra antipsicotici atipici e tipici”.

La proposta avanzata nello studio è stata quindi quella di suddividere questa classe di farmaci in tre livelli diversi: dal meno atipico, il Risperidone, che infatti ha proprietà farmacologiche talvolta simili agli antipsicotici tipici, alla Clozapina, il più atipico fra tutti. Nel mezzo gli altri farmaci con proprietà cliniche intermedie, suggerendo la presenza di uno spettro continuo dell'atipia all'interno di questa classe farmacologica.

“Questa nuova classificazione che potrà portare ad un miglioramento delle terapie in uso e ad una più accurata personalizzazione delle cure – conclude Marco Scarselli - si correla anche con il profilo recettoriale di questi farmaci dove al primo livello di atipia (lievemente atipico) corrisponde un’attività limitata su alcuni target molecolari, mentre al terzo livello (completamente atipico) corrisponde un’attività recettoriale più estesa e più complessa”.

 

 

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