A Pisa il congresso nazionale dell’Associazione italiana Medicina del sonno
Dal 5 all'8 novembre si terrà a Pisa il XXIV congresso nazionale dell'Associazione italiana Medicina del sonno (AIMS), l'incontro annuale della comunità ipnologica italiana. L'AIMS riunisce specialisti di varie discipline mediche e non - prevalentemente neurologi, pneumologi, otorinolaringoiatri, pediatri, neuropsichiatri infantili, chirurghi maxillo-faciali, psicologi, fisiologi - impegnati nello studio clinico e nella ricerca nel settore della medicina e della fisiologia del sonno. Il tema per questa edizione del congresso - "Dalla ricerca di base alla clinica" - sottolinea la multidisciplinarietà e la trasversalità del sonno e l'importanza della collaborazione e della comunicazione tra le differenti professionalità e non solo all'interno dei singoli gruppi. Il congresso, che sarà ospitato alla Scuola Sant'Anna e all'Hotel Duomo, è presieduto dai neurologi Enrica Bonanni e Ubaldo Bonuccelli, e coordinato dai dottori Ugo Faraguna e Angelo Gemignani, docenti e ricercatori dell'Università di Pisa, nonché da Laura Palagini e Michelangelo Maestri, medici presso l'AOUP.
Le quattro giornate di convegno offriranno numerose occasioni di aggiornamento, grazie alla presenza di relatori internazionali di assoluto valore scientifico e ai numerosi "incontri con l'esperto" su temi importanti e dibattuti della medicina del sonno, legati ai complessi rapporti tra disturbi del sonno e altre condizioni fisiologiche (come la gravidanza o l'età evolutiva) o patologiche (come la cefalea o i disturbi psichici) con importanti implicazioni diagnostiche e terapeutiche. Il congresso si aprirà alla ore 10 del 5 novembre, nell'Aula Magna della Scuola Superiore Sant'Anna, con un simposio satellite internazionale aperto al pubblico. L'incontro, intitolato "11 Minutes of Sleep", vedrà come protagonisti ricercatori delle università di Bologna, Milano, Amsterdam, Oxford e Zurigo, riuniti a confrontarsi sui temi di frontiera relativi al sonno e alle sue funzioni. Alle 14.30 è prevista l'Inaugurazione del Congresso alla quale seguirà una lettura magistrale del professor Maffei, che ricorderà la figura del professor Giuseppe Moruzzi, eminente fisiologo dell'Ateneo pisano, pioniere nella ricerca di base sul sonno e fondatore della scuola pisana di neuroscienze, riconosciuta in tutto il mondo.
Numerosi simposi metteranno a confronto le esperienze locali e i differenti punti di vista su molti temi "caldi": un update sulla sindrome delle gambe senza riposo (contesto in cui molti ricercatori italiani hanno fornito un contributo importante), simposi su neurofisiologia e aspetti clinici dei disturbi del sonno nelle malattie neurodegenerative e nell'epilessia, insonnia e disturbi psicopatologici, personalizzazione del trattamento ventilatorio della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno e ventilazione non invasiva a lungo termine, opzioni chirurgiche in questo ambito, nuovi ambiti di utilizzo della melatonina, rapporti tra sonno e coscienza così come tra sonno e alimentazione. Un simposio organizzato con i tecnici di Neurofisiopatologia sarà dedicato all'aggiornamento sulla diagnosi e il trattamento della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno. Il ruolo delle innovazioni tecnologiche (tessuti intelligenti, smartphone, progettazione ergonomica) nella medicina e nello studio del sonno sarà oggetto di un ulteriore incontro.
Inoltre, all'interno del congresso si svolgerà la consegna del prestigioso "Pisa Sleep Award" giunto alla X edizione, che premia ricercatori europei che si sono particolarmente distinti nella ricerca sperimentale e clinica nella Medicina del sonno. Quest'anno il professor Parmeggiani riceverà il premio dal professor Luigi Murri alle 18 di venerdì 7 novembre, presso l'Hotel Duomo, in una cerimonia aperta al pubblico. Uno speciale simposio per i giovani ricercatori "under 35" e 4 corsi dedicati a odontoiatri, psicologi, medici del lavoro e medici di medicina generale completano il ricco programma congressuale.
Per maggiori informazioni e per avere accesso al programma completo: www.sonnomed.it
Convegno su 'Immigrazione e politiche di accoglienza'
Si terrà venerdì 7 novembre, dalle ore 10 al Polo Piagge dell'Università di Pisa, il convegno su "Immigrazione e politiche di accoglienza: implicazioni giuridiche, sociali ed economiche", organizzato dalla Pisa University Press. L'incontro, realizzato con la collaborazione della Scuola Superiore Avvocatura (Fondazione Consiglio Nazionale Forense) sarà un'occasione di confronto tra alcuni dei massimi esperti e delle personalità più impegnate sul tema dell'immigrazione, questione complessa e di strettissima attualità.
Al tavolo dei relatori, coordinati dall'avvocato David Cerri della Scuola Superiore dell'Avvocatura, interverranno:
- L'onorevole Khalid Chaouki, membro della Commissione Esteri e presidente della Commissione Cultura dell'Assemblea Parlamentare dell'Unione per il Mediterraneo
- Il professor Roberto Zaccaria, già presidente della RAI e parlamentare per più legislature, che attualmente ricopre la carica di presidente del Consiglio Italiano per i Rifugiati
- L'avvocato Monica Gazzola, responsabile del Progetto Lampedusa della Scuola Superiore dell'Avvocatura
- Il professor Emanuele Rossi e la dottoressa Francesca Biondi Dal Monte, della Scuola Sant'Anna
- Il professor Pierluigi Consorti, direttore del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell'Università di Pisa.
Nell'occasione sarà presentata la ricca produzione editoriale di Pisa University Press attinente al tema dell'incontro.
Enrico VII morì per l’arsenico usato come rimedio alla sua malattia
Non fu avvelenato dai suoi nemici, né morì a causa della malaria: la morte di Enrico VII fu causata dagli effetti collaterali della cura a cui l'imperatore si sottoponeva per l'antrace (o carbonchio), la malattia contratta probabilmente da uno dei suoi cavalli e che prevedeva la somministrazione terapeutica di piccole dosi di arsenico. Dopo un'accurata e meticolosa ricerca, Francesco Mallegni, docente dell'Università di Pisa e direttore del Museo archeologico dell'Uomo di Viareggio, ha risolto il mistero che per sette secoli ha accompagnato la morte dell'imperatore avvenuta nel 1313 a Buonconvento.
Il professor Mallegni ha potuto condurre le sue analisi sulle spoglie di Enrico VII grazie a un'operazione coordinata dall'Opera primaziale pisana che alla fine del 2013 – a 700 anni dalla morte dell'imperatore - ha permesso di riesumare i resti ossei del sovrano conservati nel Duomo di Pisa, per rilievi antropologici e patologici: «Da circa un anno, Enrico VII soffriva di antrace – spiega Mallegni – una malattia che lo aveva attaccato durante l'assedio di Firenze e lo aveva costretto a ritirarsi a Pisa, città ghibellina da lui molto amata. Di lì era partito per l'impresa napoletana contro il riottoso e infedele Roberto d'Angiò seguendo la via Francigena, ma il male inesorabile, con grandi sofferenze, lo fece soccombere nei pressi di Siena».
La malattia si era manifestata con una piaga al ginocchio e l'infezione fu causata molto probabilmente da un cavallo malato che, con la pecora, è il vettore principale di diffusione di questa infezione batterica: «Le fonti contemporanee alla vita e alla morte di Enrico VII parlano di una malattia ben precisa, l'antrace, che lo aveva colpito agli arti inferiori e aveva fatto il suo decorso di solito rapidissimo, rallentato però dalle cure a base di unguenti all'arsenico, l'unico che poteva tenere "a bada" il malanno, ben sapendo, i medici curanti, che un eccesso poteva portare all'avvelenamento e alla morte».
La ricerca ha fatto luce anche sul rituale funerario a cui fu sottoposto il cadavere del sovrano durante il trasporto a Pisa, dove Enrico VII aveva espresso il desiderio di riposare per sempre: «Le spoglie del sovrano – aggiunge Mallegni – sono risultate alquanto deteriorate non solo dal passare del tempo, ma dal trattamento che fu riservato al suo cadavere prima della sepoltura. Il corpo fu allontanato da Buonconvento su una lettiga sotto le sembianze camuffate di un ancora vivente per non far sapere della sua morte. Il fetore che emanava il cadavere, unito al lezzo della piaga che lo aveva tormentato per un anno, consigliò una sosta a Paganico dove, secondo le costumanze dell'epoca, più che altro germaniche, gli fu tagliata la testa. Il corpo fu poi bollito nell'acqua – e non nel vino come riportavano alcune fonti - e in seguito letteralmente spolpato e lo scheletro fu bruciato su di una pira. Abbiamo inoltre stabilito che il cranio è stato bollito a parte rispetto al resto del cadavere, dopo la decapitazione, perché la concentrazione dell'arsenico è più forte che nelle altre ossa; questo tipo di veleno si concentra infatti soprattutto nei capelli».
Grazie alle analisi antropologiche, il professor Mallegni ha potuto ricostruire il cranio e il calco di Enrico VII, le cui sembianze non si discostano da quelle riportate nelle fonti storiche: «L'imperatore era descritto come un uomo dal volto gradevole, con naso sottile e appuntito e dalla bocca ben formata, e la ricostruzione fisiognomica realizzata dallo scultore Gabriele Mallegni non se ne discosta. Le fonti parlano anche di un tic nervoso all'occhio sinistro: questo particolare, unito a un quasi certo bruxismo - il digrignamento involontario dei denti - fanno pensare a un uomo forse tormentato, sebbene le fonti ne parlino come un sovrano calmo e uso a parlare poco».
La ricerca ha poi svelato altri particolari su Enrico VII: il sovrano era un uomo alto (1.78 m), mentre le cronache italiane dell'epoca lo definivano di statura quasi media e snello, forse per dimagrimento dovuto alla malattia. Dallo studio antropologico dei resti inoltre, gli arti inferiori risultano assai più robusti dei superiori, caratteristica che prova che il sovrano andava a cavallo forse già da bambino.
Il professor Mallegni ha condotto le sue analisi con la collaborazione del Centro Ricerche e Servizi Ambientali (CRSA) di Ravenna, mentre per la parte storica si è avvalso del supporto di Maurizio Vaglini, direttore del Centro Interregionale per la Documentazione Bibliografica e Archivistica Biomedica dell'Arte Sanitaria di Roma.
Dall’Università di Pisa arriva un metodo “total green” per conciare le pelli
Nel mondo della lavorazione delle pelli arriva una piccola rivoluzione "green": grazie a uno studio condotto dai ricercatori del dipartimento di Chimica e chimica industriale dell'Università di Pisa, in collaborazione con il Polo tecnologico conciario (POTECO), è stato brevettato un processo conciario innovativo che prevede l'utilizzo di agenti chimici "metal free" in grado di garantire un basso impatto ambientale e, allo stesso tempo, prospettive di crescita e innovazione per il territorio.
Il brevetto apre nuovi scenari nel panorama dei concianti ottenibili da materie prime rinnovabili, proponendo una nuova classe di agenti non tossici e biodegradabili. Infatti sono state sperimentate con ottimi risultati molecole innovative facilmente ottenibili direttamente da biomasse presenti sul territorio. L'innovativo sistema di concia rende così possibile l'ottenimento di un prodotto finito con caratteristiche estetiche e funzionali ottimali, rispettando l'ecosistema e garantendo la massima sostenibilità ambientale ed economica.
La ricerca applicata è stata condotta presso i laboratori del Polo Tecnologico Conciario, diretto da Domenico Castiello, e presso i laboratori del gruppo di ricerca della professoressa Anna Maria Raspolli Galletti del dipartimento di Chimica e chimica industriale dell'Università di Pisa: «Oltre all'assoluta novità delle molecole concianti proposte, finora mai prese in considerazione da alcun gruppo di ricerca industriale o accademico nel mondo, il grande punto di forza di questa invenzione è rappresentato dalla loro assenza di tossicità e dalla possibilità di usare esclusivamente materie prime rinnovabili – spiega la professoressa Raspolli - I materiali di partenza sono infatti disponibili nel territorio toscano, sono a basso costo o addirittura scarti agro-alimentari, e il processo di conversione studiato risulta ambientalmente ed economicamente sostenibile».
Sicuramente questa scoperta non avrebbe potuto aver luogo senza la stretta sinergia tra l'Università di Pisa e POTECO, e si è avvalsa delle grandi competenze e delle apparecchiature specifiche disponibili presso i laboratori di Castelfranco: «Questa collaborazione – conclude la professoressa Raspolli - ci ha permesso di trasformare un'idea progettuale in un risultato concreto che può avere un importante impatto sul settore conciario accelerandone il progresso verso processi e prodotti totalmente eco-sostenibili ed al tempo stesso offre valide opportunità formative nel settore della chimica conciaria a laureandi e borsisti della nostra Università».
Eletto il nuovo presidente del Consiglio degli studenti
Si chiama Lorenzo Guastalli, ha 23 anni ed è il nuovo presidente del Consiglio degli studenti dell'Università di Pisa. Lorenzo è stato eletto nella seduta di insediamento del 4 novembre, viene dalla lista Sinistra per e rimarrà in carica per il mandato biennale 2014-2016. Il Consiglio è composto da 40 studenti, tra cui i rappresentanti studenteschi negli organi di Governo dell'Ateneo (Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione) e del Diritto allo Studio Universitario (Consiglio territoriale degli studenti per il controllo della qualità dell'ARDSU), nonché nel Comitato di Gestione degli impianti sportivi universitari (CUS), a cui si devono aggiungere i rappresentanti dei sei settori culturali in cui sono raggruppati i dipartimenti dell'Ateneo.
Lorenzo Guastalli è iscritto al primo anno del corso di laurea magistrale in Ingegneria edile e delle costruzioni civili, viene da Piombino e ha alle spalle già alcune esperienze nel mondo dell'associazionismo e della rappresentanza studentesca. Nel corso della seduta sono stati eletti anche i due vicepresidenti: il primo è Marco Conti, iscritto al corso di laurea triennale in Scienze naturali e ambientali, il secondo è Francesca Agelli, iscritta al corso di laurea triennale in Economia aziendale. Inoltre, sono stati costituiti i quattro gruppi consiliari, Sinistra per, Universitas, Listamina, Eigenlab-Exploit.
La prima seduta del Consiglio degli studenti si è aperta con un intervento del rettore Massimo Augello che, dopo aver tracciato una breve quadro delle politiche più significative che l'Ateneo sta conducendo, ha espresso i saluti di benvenuto e di buon lavoro a tutti i componenti dell'organismo studentesco, di cui ha riconosciuto la valenza di rappresentanza di tutta la comunità studentesca universitaria pisana, in costante aumento a fronte di un quadro nazionale caratterizzato dalla diminuzione generale di iscritti all'università. A seguire anche Rosalba Tognetti, prorettore per gli Studenti e il Diritto allo studio, ha portato i propri saluti, rinnovando il rapporto di collaborazione che ha caratterizzato anche i precedenti quattro anni a fianco dell'organismo studentesco.
Medioevo volgare germanico
Si svolgerà sabato 8 novembre, alle ore 11 al Palazzo dei Congressi, l'incontro "Scribe et impera: voci di re, eroi e chierici dalle pagine del Medioevo". L'iniziativa, organizzata dalla Pisa University Press nell'ambito del "Pisa Book Festival", vedrà la partecipazione dei professori Marco Battaglia e Luca Crescenzi, dell'Università di Pisa, e della professoressa Monika Pelz, della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici.
L'incontro sarà anche l'occasione per presentare il libro del professor Marco Battaglia su Medioevo volgare germanico, un saggio che raccoglie e introduce i principali documenti e i relativi generi letterari delle singole tradizioni linguistiche del Medioevo germanico, a partire dalla più antica traduzione biblica fino agli esempi più raffinati del patrimonio letterario poetico e prosastico.
Pubblichiamo di seguito un estratto dell'Introduzione al volume scritta dal docente di Filologia germanica.
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L'epoca che intercorre tra la crisi del ruolo ordinatore e universalistico di Roma cantato da Virgilio e Orazio (ancora latamente presente nella benedizione papale «Urbi et orbi»), fino alla cosiddetta Rinascenza carolingia, è stata a lungo interpretata come il periodo di massima crisi della cultura europea (i 'secoli bui', secondo un giudizio derogatorio dell'Umanesimo italiano). Questa interpretazione, legittima quanto parziale, evidentemente non percepiva o negava che la crisi di quella cultura (soprattutto nella sua forma scritta) era il risultato di un lento ma epocale processo di trasformazione, in senso centrifugo, di nuove energie propulsive e istanze economiche, politiche e sociali. Tale trasformazione interessò da vicino anche la sfera religiosa e quella culturale, unificandone certi ambiti specifici e introducendo le premesse per l'egemonia secolare della prima sulla seconda.
Questo preambolo aiuta a comprendere che lo sviluppo di uno statuto letterario germanico durante l'Alto Medioevo rappresentò una conquista culturale mediata, come in altri casi, dalla cristianizzazione e dalle relative necessità liturgiche, dottrinarie ed esegetiche. Considerato che la conversione degli agglomerati germanici ebbe luogo lungo un processo durato quasi un millennio, non stupisce che il diverso grado di maturazione e integrazione delle élite barbariche nell'universo dottrinario e culturale della Chiesa - erede di molti valori della cultura greco-romana - si tradusse in una altrettanto lenta percezione della dignità dei propri volgari in funzione di lingua scritta, la cui forma richiedeva l'acquisizione di una coscienza 'alfabetica' e di forme 'scrittorie' locali ancora inedite.
'Scrivere' significò per secoli scrivere 'in latino', coerentemente con la natura dei primi testi liturgici e dottrinari in circolazione e come confermato dalla storia di questo verbo in tutte le lingue germaniche tranne l'inglese. Ma anche nel caso di opere a carattere storico-leggendario, imperniate sulla rievocazione di antiche gesta dei vari agglomerati germanici e sulla legittimazione ex-post delle relative monarchie (le cosiddette Historiae), la lingua restò il latino - ancora fino ai Gesta Danorum del diacono danese Saxo 'Grammaticus' (inizi sec. XIII).
La nascita di fenomeni letterari con un livello minimo di frequenza restò a lungo confinata ad ambiti istituzionali, giuridici, notarili e religiosi, tra i quali i volgari iniziarono a far breccia sotto forma di strumenti interpretativi d'immediata utilità, come le glosse esplicative di concetti o termini non immediatamente comprensibili...
È dunque comprensibile come il concetto di 'letterature' germaniche contempli un processo di riorganizzazione culturale a più livelli, un fenomeno lungamente dominato dalla casualità e da un carattere periferico dipendenti dalla maggiore o minore contiguità con centri di formazione spirituale. Si trattava in questo caso di agglomerati monastici e di sezioni didattiche o scuole episcopali, luoghi deputati alla formazione e all'istruzione teologica e liturgica di un personale ecclesiastico, nei quali si crearono le condizioni per una consapevole riflessione linguistica sui volgari come strumento letterario e come veicolo di ricezione e rielaborazione di una cultura memoriale in profonda evoluzione, alla luce dei nuovi ideali religiosi.
...I capitoli che seguono offrono una sintesi generale dei principali e più antichi documenti letterari vergati in una lingua germanica, da quella attestata per prima, il gotico, fino a quelle più tarde, il frisone e il norreno. In questo senso vengono raccolti e presentati, con commenti talora succinti, i frutti dell'integrazione delle antiche culture memoriali germaniche con la tradizione letteraria in latino – sia essa classica, biblica o medioevale – allo scopo di fornire agli studenti un panorama di riferimento immediato e nella speranza di suscitare il desiderio di ulteriori approfondimenti.
Marco Battaglia
docente di Filologia germanica
La falsa teoria del clima impazzito
Teorie pseudo scientifiche, ipotesi non verificate, falsità vere e proprie. Nel suo ultimo libro, "La falsa teoria del clima impazzito" (Felici editore, 2014), Sergio Pinna, professore ordinario di Geografia dell'Università di Pisa, confuta con decisione, sulla base dei dati disponibili, la teoria della cosiddetta "estremizzazione del clima", un'idea ormai molto comune fra la gente, nei media e anche in buona parte degli ambienti scientifici.
«L'unico cambiamento certo che può essere documentato è un aumento della temperatura media della Terra di circa 0,8 gradi centigradi dalla metà dell'Ottocento ad oggi», spiega Sergio Pinna, aggiungendo che: «l'idea diffusa da alcuni decenni che il global warming abbia a sua volta provocato un'estremizzazione dei fenomeni climatici è una teoria che poggia su presupposti molto generici e che soprattutto si scontra con i dati disponibili; oltretutto, le informazioni che provengono dalla climatologia storica ci dicono che negli ultimi mille anni gli eventi estremi sono stati molto più frequenti nei periodi freddi piuttosto che in quelli caldi».
Il libro del professore dell'Ateneo pisano è composto da una parte iniziale ed una finale di carattere generale, mentre il contenuto dei capitoli centrali è di tipo più tecnico, visto che vi si analizzano singoli aspetti del clima: entità del riscaldamento recente, tornado e uragani, intensità delle precipitazioni, ondate di calore estivo, variabilità climatica e meteorologica.
«Il problema – sottolinea Sergio Pinna – è riportare il dibattito sui cambiamenti climatici in un piano veramente scientifico e quindi partire dai dati certi, anche se da questo punto di vista non mancano dei problemi strutturali, soprattutto per l'Italia». Il riferimento è ad esempio alla mancanza nel nostro Paese di un vero e proprio servizio meteo-climatico nazionale: quello dell'aeronautica militare non ha una tradizione di studi di climatologia descrittiva ed inoltre gestisce le statistiche solo di un centinaio di stazioni misura, mentre per definire il quadro climatico del nostro territorio ne sarebbero necessarie migliaia. In questa situazione, è poi da considerarsi in modo decisamente negativo l'abolizione negli anni '90 del Servizio Idrografico nazionale, che ha portato alla nascita di uffici regionali del tutto scollegati fra loro, rendendo così impossibile la raccolta di quella grande mole di dati pluviometrici e termometrici come precedentemente poteva avvenire.
«Nel mio libro – conclude Sergio Pinna – riporto diversi esempi di assurde informazioni, spesso proposte da cosiddetti "esperti"; si possono ricordare in proposito le affermazioni sulle piogge in Toscana, per le quali si è data per certa una triplicazione dell'intensità negli ultimi 20-25 anni rispetto al periodo precedente: una teoria del tutto falsa, come si può facilmente verificare con un'analisi statistica delle serie meteorologiche disponibili nell'archivio online del Servizio Idrologico della Toscana».
Il premio AISSA 2014 a Giovanni Benelli
Come di consuetudine, l'Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie (AISSA) ha selezionato il vincitore del Premio AISSA 2014 per la migliore tesi di dottorato di ricerca discussa nel precedente anno accademico. Nell'ambito scientifico-disciplinare "Protezione delle piante" il Premio AISSA 2014 è stato attribuito a Giovanni Benelli, 27 anni, ricercatore del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell'Università di Pisa.
Benelli ha condotto il suo dottorato di ricerca presso la scuola di dottorato in Scienze agrarie e veterinarie (Università di Pisa e Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa), ed è stato premiato per la sua tesi, intitolata "Visual and olfactory cues perceived during reproductive behaviour by the fruit flies parasitoid Psyttalia concolor (Hymenoptera: Braconidae)", focalizzata sul controllo eco-compatibile dei Ditteri Tefritidi, noti anche come mosche della frutta, mediante agenti di controllo biologico. I risultati contenuti nella tesi dottorale di Benelli sono stati oggetto di pubblicazione in 9 articoli su riviste internazionali con impact factor. La premiazione avrà luogo il 6 novembre 2014 a Sassari, in occasione del XII Convegno AISSA.
Attualmente, Benelli svolge la sua attività di ricerca come assegnista di ricerca presso il dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell'Università di Pisa, dove si occupa di ecologia comportamentale di organismi utili in lotta biologica, con particolare riferimento al ruolo evolutivo dell'aggressività e all'apprendimento di stimoli visivi e olfattivi in contesti riproduttivi. Nel complesso, la sua attività ha portato alla pubblicazione di oltre 70 articoli, di cui 55 su riviste internazionali.
Arriva un metodo 'total green' per conciare le pelli
Nel mondo della lavorazione delle pelli arriva una piccola rivoluzione "green": grazie a uno studio condotto dai ricercatori del dipartimento di Chimica e chimica industriale dell'Università di Pisa, in collaborazione con il Polo tecnologico conciario (POTECO), è stato brevettato un processo conciario innovativo che prevede l'utilizzo di agenti chimici "metal free" in grado di garantire un basso impatto ambientale e, allo stesso tempo, prospettive di crescita e innovazione per il territorio.
Il brevetto apre nuovi scenari nel panorama dei concianti ottenibili da materie prime rinnovabili, proponendo una nuova classe di agenti non tossici e biodegradabili. Infatti sono state sperimentate con ottimi risultati molecole innovative facilmente ottenibili direttamente da biomasse presenti sul territorio. L'innovativo sistema di concia rende così possibile l'ottenimento di un prodotto finito con caratteristiche estetiche e funzionali ottimali, rispettando l'ecosistema e garantendo la massima sostenibilità ambientale ed economica.
La ricerca applicata è stata condotta presso i laboratori del Polo Tecnologico Conciario, diretto da Domenico Castiello, e presso i laboratori del gruppo di ricerca della professoressa Anna Maria Raspolli Galletti del dipartimento di Chimica e chimica industriale dell'Università di Pisa: «Oltre all'assoluta novità delle molecole concianti proposte, finora mai prese in considerazione da alcun gruppo di ricerca industriale o accademico nel mondo, il grande punto di forza di questa invenzione è rappresentato dalla loro assenza di tossicità e dalla possibilità di usare esclusivamente materie prime rinnovabili – spiega la professoressa Raspolli - I materiali di partenza sono infatti disponibili nel territorio toscano, sono a basso costo o addirittura scarti agro-alimentari, e il processo di conversione studiato risulta ambientalmente ed economicamente sostenibile. ».
Sicuramente questa scoperta non avrebbe potuto aver luogo senza la stretta sinergia tra l'Università di Pisa e POTECO, e si è avvalsa delle grandi competenze e delle apparecchiature specifiche disponibili presso i laboratori di Castelfranco: «Questa collaborazione – conclude la professoressa Raspolli - ci ha permesso di trasformare un'idea progettuale in un risultato concreto che può avere un importante impatto sul settore conciario accelerandone il progresso verso processi e prodotti totalmente eco-sostenibili ed al tempo stesso offre valide opportunità formative nel settore della chimica conciaria a laureandi e borsisti della nostra Università».
Ne hanno parlato:
Nazione Pontedera
Tirreno Pisa
Tirreno.it
PisaToday.it
gonews.it
Greenreport
GreenBiz.it
BioEcoGeo.it
Enrico VII morì per l’arsenico usato come rimedio alla sua malattia
Non fu avvelenato dai suoi nemici, né morì a causa della malaria: la morte di Enrico VII fu causata dagli effetti collaterali della cura a cui l'imperatore si sottoponeva per l'antrace (o carbonchio), la malattia contratta probabilmente da uno dei suoi cavalli e che prevedeva la somministrazione terapeutica di piccole dosi di arsenico. Dopo un'accurata e meticolosa ricerca, Francesco Mallegni, docente dell'Università di Pisa e direttore del Museo archeologico dell'Uomo di Viareggio, ha risolto il mistero che per sette secoli ha accompagnato la morte dell'imperatore avvenuta nel 1313 a Buonconvento.
Il professor Mallegni ha potuto condurre le sue analisi sulle spoglie di Enrico VII grazie a un'operazione coordinata dall'Opera primaziale pisana che alla fine del 2013 – a 700 anni dalla morte dell'imperatore - ha permesso di riesumare i resti ossei del sovrano conservati nel Duomo di Pisa, per rilievi antropologici e patologici: «Da circa un anno, Enrico VII soffriva di antrace – spiega Mallegni – una malattia che lo aveva attaccato durante l'assedio di Firenze e lo aveva costretto a ritirarsi a Pisa, città ghibellina da lui molto amata. Di lì era partito per l'impresa napoletana contro il riottoso e infedele Roberto d'Angiò seguendo la via Francigena, ma il male inesorabile, con grandi sofferenze, lo fece soccombere nei pressi di Siena».
La malattia si era manifestata con una piaga al ginocchio e l'infezione fu causata molto probabilmente da un cavallo malato che, con la pecora, è il vettore principale di diffusione di questa infezione batterica: «Le fonti contemporanee alla vita e alla morte di Enrico VII parlano di una malattia ben precisa, l'antrace, che lo aveva colpito agli arti inferiori e aveva fatto il suo decorso di solito rapidissimo, rallentato però dalle cure a base di unguenti all'arsenico, l'unico che poteva tenere "a bada" il malanno, ben sapendo, i medici curanti, che un eccesso poteva portare all'avvelenamento e alla morte».
Il rituale funerario
La ricerca ha fatto luce anche sul rituale funerario a cui fu sottoposto il cadavere del sovrano durante il trasporto a Pisa, dove Enrico VII aveva espresso il desiderio di riposare per sempre: «Le spoglie del sovrano – aggiunge Mallegni – sono risultate alquanto deteriorate non solo dal passare del tempo, ma dal trattamento che fu riservato al suo cadavere prima della sepoltura. Il corpo fu allontanato da Buonconvento su una lettiga sotto le sembianze camuffate di un ancora vivente per non far sapere della sua morte. Il fetore che emanava il cadavere, unito al lezzo della piaga che lo aveva tormentato per un anno, consigliò una sosta a Paganico dove, secondo le costumanze dell'epoca, più che altro germaniche, gli fu tagliata la testa. Il corpo fu poi bollito nell'acqua – e non nel vino come riportavano alcune fonti - e in seguito letteralmente spolpato e lo scheletro fu bruciato su di una pira. Abbiamo inoltre stabilito che il cranio è stato bollito a parte rispetto al resto del cadavere, dopo la decapitazione, perché la concentrazione dell'arsenico è più forte che nelle altre ossa; questo tipo di veleno si concentra infatti soprattutto nei capelli».
La ricostruzione del volto
Grazie alle analisi antropologiche, il professor Mallegni ha potuto ricostruire il cranio e il calco di Enrico VII, le cui sembianze non si discostano da quelle riportate nelle fonti storiche: «L'imperatore era descritto come un uomo dal volto gradevole, con naso sottile e appuntito e dalla bocca ben formata, e la ricostruzione fisiognomica realizzata dallo scultore Gabriele Mallegni non se ne discosta. Le fonti parlano anche di un tic nervoso all'occhio sinistro: questo particolare, unito a un quasi certo bruxismo - il digrignamento involontario dei denti - fanno pensare a un uomo forse tormentato, sebbene le fonti ne parlino come un sovrano calmo e uso a parlare poco».
La ricerca ha poi svelato altri particolari su Enrico VII: il sovrano era un uomo alto (1.78 m), mentre le cronache italiane dell'epoca lo definivano di statura quasi media e snello, forse per dimagrimento dovuto alla malattia. Dallo studio antropologico dei resti inoltre, gli arti inferiori risultano assai più robusti dei superiori, caratteristica che prova che il sovrano andava a cavallo forse già da bambino.
Il professor Mallegni ha condotto le sue analisi con la collaborazione del Centro Ricerche e Servizi Ambientali (CRSA) di Ravenna, mentre per la parte storica si è avvalso del supporto di Maurizio Vaglini, direttore del Centro Interregionale per la Documentazione Bibliografica e Archivistica Biomedica dell'Arte Sanitaria di Roma.
Ne hanno parlato:
QN
La Stampa
Corriere Fiorentino
Gazzetta Parma
Panorama.it
Tirreno Pisa
Nazione Pisa