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Roberto PedrinelliLa pandemia Covid-19 in Italia ha fatto registrare una riduzione del 48,4% dei ricoveri per infarto miocardico acuto. Il dato arriva da una ricerca appena pubblicata sull’European Heart Journal che ha analizzato il numero dei ricoveri nelle unità di terapia intensiva coronarica di 54 strutture cardiologiche universitarie italiane associate nel “CCU (Coronary Care Unit) Academy Investigator Group” per la settimana dal 12 al 19 marzo 2020 paragonandoli a quelli della stessa settimana dell’anno precedente.

Il professore Roberto Pedrinelli (foto a destra), Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell'Apparato Cardiovascolare e membro del Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica dell’Università di Pisa, è uno degli autori dello studio coordinato dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC) del cui consiglio direttivo il professore Pedrinelli stesso fa parte.

Secondo lo studio, la riduzione di ricoveri è stata pressoché uniforme al livello geografico fra nord (-52,1%), centro (-59,3%) e sud (-52,1%). In numeri assoluti i ricoveri sono passati da 618 (di cui 176 donne e 442 uomini) a 319 (di 76 donne e 243 uomini) e la mortalità è quasi raddoppiata, passando da 17 a 31 casi.

“I ricoveri per infarto miocardico acuto sono stati significativamente ridotti durante la pandemia di COVID-19 in tutta Italia, con un parallelo aumento della mortalità e dei tassi di complicanze - commenta Roberto Pedrinelli – e questo rappresenta costituisce un grave problema sociale, che richiede attenzione da parte delle comunità scientifiche e sanitarie e delle agenzie di regolamentazione pubbliche”.

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Riferimento all’articolo scientifico:
Reduction of hospitalizations for myocardial infarction in Italy in the COVID-19 era. De Rosa S, Spaccarotella C, Basso C, Calabrò MP, Curcio A, Filardi PP, Mancone M, Mercuro G, Muscoli S, Nodari S, Pedrinelli R, Sinagra G, Indolfi C; Società Italiana di Cardiologia and the CCU Academy investigators group. Eur Heart J. 2020 May 15:ehaa409. doi: 10.1093/eurheartj/ehaa409.

La pandemia Covid-19 in Italia ha fatto registrare una riduzione del 48,4% dei ricoveri per infarto miocardico acuto. Il dato arriva da una ricerca appena pubblicata sull’European Heart Journal che ha analizzato il numero dei ricoveri nelle unità di terapia intensiva coronarica di 54 strutture cardiologiche universitarie italiane associate nel “CCU (Coronary Care Unit) Academy Investigator Group” per la settimana dal 12 al 19 marzo 2020 paragonandoli a quelli della stessa settimana dell’anno precedente.

Il professore Roberto Pedrinelli, Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell'Apparato Cardiovascolare e membro del Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica dell’Università di Pisa, è uno degli autori dello studio coordinato dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC) del cui consiglio direttivo il professore Pedrinelli stesso fa parte.
Secondo lo studio, la riduzione di ricoveri è stata pressoché uniforme al livello geografico fra nord (-52,1%), centro (-59,3%) e sud (-52,1%). In numeri assoluti i ricoveri sono passati da 618 (di cui 176 donne e 442 uomini) a 319 (di 76 donne e 243 uomini) e la mortalità è quasi raddoppiata, passando da 17 a 31 casi.
“I ricoveri per infarto miocardico acuto sono stati significativamente ridotti durante la pandemia di COVID-19 in tutta Italia, con un parallelo aumento della mortalità e dei tassi di complicanze - commenta Roberto Pedrinelli – e questo rappresenta costituisce un grave problema sociale, che richiede attenzione da parte delle comunità scientifiche e sanitarie e delle agenzie di regolamentazione pubbliche”.

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Riferimento all’articolo scientifico

Reduction of hospitalizations for myocardial infarction in Italy in the COVID-19 era. De Rosa S, Spaccarotella C, Basso C, Calabrò MP, Curcio A, Filardi PP, Mancone M, Mercuro G, Muscoli S, Nodari S, Pedrinelli R, Sinagra G, Indolfi C; Società Italiana di Cardiologia and the CCU Academy investigators group. Eur Heart J. 2020 May 15:ehaa409. doi: 10.1093/eurheartj/ehaa409.

È Maria Antonella Galanti, docente di Didattica e pedagogia speciale al dipartimento di Civiltà e forme del sapere, la protagonista della terza puntata di “L’UniPi racconta”, la nuova trasmissione realizzata da 50Canale con la collaborazione dell’Ateneo. In onda venerdì 29 maggio alle ore 17 e in replica domenica 31 alle ore 10, con una durata di circa mezz’ora, la professoressa approfondisce gli aspetti educativi e psicologici legati al periodo di emergenza sanitaria.

La trasmissione proseguirà poi a cadenza settimanale e affronterà in questo primo ciclo la storia dell’Orto e Museo Botanico (Lorenzo Peruzzi, 5 e 6 giugno), la situazione dei musei in questa difficile fase (Antonella Gioli, 12 e 13 giugno) e le tecnologie quantistiche, tempo e spazio (Marilù Chiofalo, 19 e 20 giugno).

“Le parole che usiamo parlando, scrivendo, online” è il titolo dell’incontro che si tiene venerdì 29 maggio, dalle ore 18, nell’ambito del progetto “Pensiamo insieme il futuro”, in cui quattro docenti dell’Università di Pisa dialogano con i giovani e con tutti gli interessati su temi di rilievo per la società.

Al dibattito, a cui si può partecipare dal sito del progetto, intervengono i professori Adriano Fabris di Filosofia morale, che fa da moderatore, Roberta Bracciale di Sociologia dei media, Fabrizio Franceschini di Linguistica italiana, e Veronica Neri di Etica della comunicazione pubblicitaria.

Dalle ore 18 la diretta può essere seguita anche su YouTube e sul canale Facebook dell’Ateneo.

Come cambiano i linguaggi che usiamo per esprimerci? Come mutano le parole e i modi di dire a seconda delle circostanze, degli strumenti utilizzati, delle relazioni?
L’incontro è un’occasione per riflettere su questi temi tenendo conto dei vari ambienti comunicativi, offline e online, in cui quotidianamente ci muoviamo, e delle diverse forme di linguaggio in cui siamo immersi (ad esempio: il linguaggio della politica, quello della pubblicità, il linguaggio della confidenza, quello degli esperti e così via). Sono approfonditi anche usi e abusi delle parole che usiamo (le parole inappropriate, l’attenzione per il linguaggio di genere, lo hate speech). Il tutto nella consapevolezza che meglio sappiamo esprimerci, meglio siamo in grado di abitare il nostro mondo.

È Maria Antonella Galanti, docente di Didattica e pedagogia speciale al dipartimento di Civiltà e forme del sapere, la protagonista della terza puntata di “L’UniPi racconta”, la nuova trasmissione realizzata da 50Canale con la collaborazione dell’Ateneo. In onda venerdì 29 maggio alle ore 17 e in replica sabato 30 alle ore 10, con una durata di circa mezz’ora, la professoressa approfondisce gli aspetti educativi e psicologici legati al periodo di emergenza sanitaria.

La trasmissione proseguirà poi a cadenza settimanale e affronterà in questo primo ciclo la storia dell’Orto e Museo Botanico (Lorenzo Peruzzi, 5 e 6 giugno), la situazione dei musei in questa difficile fase (Antonella Gioli, 12 e 13 giugno) e le tecnologie quantistiche, tempo e spazio (Marilù Chiofalo, 19 e 20 giugno).

“Le parole che usiamo parlando, scrivendo, online” è il titolo dell’incontro che si tiene venerdì 29 maggio, dalle ore 18, nell’ambito del progetto “Pensiamo insieme il futuro”, in cui quattro docenti dell’Università di Pisa dialogano con i giovani e con tutti gli interessati su temi di rilievo per la società. Al dibattito, a cui si può partecipare dal sito del progetto (http://pensiamoilfuturo.unipi.it/), intervengono i professori Adriano Fabris di Filosofia morale, che fa da moderatore, Roberta Bracciale di Sociologia dei media, Fabrizio Franceschini di Linguistica italiana, e Veronica Neri di Etica della comunicazione pubblicitaria.

Dalle ore 18 la diretta può essere seguita anche su YouTube e sul canale Facebook dell’Ateneo.

Come cambiano i linguaggi che usiamo per esprimerci? Come mutano le parole e i modi di dire a seconda delle circostanze, degli strumenti utilizzati, delle relazioni?

L’incontro è un’occasione per riflettere su questi temi tenendo conto dei vari ambienti comunicativi, offline e online, in cui quotidianamente ci muoviamo, e delle diverse forme di linguaggio in cui siamo immersi (ad esempio: il linguaggio della politica, quello della pubblicità, il linguaggio della confidenza, quello degli esperti e così via). Sono approfonditi anche usi e abusi delle parole che usiamo (le parole inappropriate, l’attenzione per il linguaggio di genere, lo hate speech). Il tutto nella consapevolezza che meglio sappiamo esprimerci, meglio siamo in grado di abitare il nostro mondo.

La Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa si è resa protagonista di una nuova scoperta che riscrive la storia della famiglia dei Medici di Firenze. Nel 2012 è stata condotta dall’equipe pisana la riesumazione dei resti di Giovanni dalle Bande Nere (1498-1526) e di sua moglie Maria Salviati (1499-1543), sepolti nelle Cappelle Medicee di San Lorenzo a Firenze. Lo studio dello scheletro di Maria Salviati ha rivelato i segni inequivocabili della sifilide venerea nella sua fase terziaria: sono ad esempio evidenti le lesioni sifilitiche sull’osso frontale del cranio.

La diagnosi è una novità assoluta nella storia delle malattie dell’illustre casato: dai documenti del tempo non risulta infatti che Maria soffrisse di sifilide, una malattia ben conosciuta dai medici del Rinascimento, ma che non le fu mai esplicitamente diagnosticata. Sappiamo invece che la stessa nobildonna rifuggiva le visite approfondite dei dottori, quasi a tenere nascosta per pudicizia le manifestazioni più eclatanti del male che la tormentava.

Maria probabilmente venne infettata dal marito, il celebre Giovanni dalle Bande Nere, che aveva una vita sessuale sregolata, ricca di frequentazioni con prostitute, in un’epoca in cui il male venereo serpeggiava tra le cortigiane e tra chi conduceva il mestiere delle armi. Dopo la scoperta delle Americhe, infatti, la sifilide fece la propria comparsa in Europa con una violenza di manifestazioni cliniche e una virulenza che si attenuerà solo dopo la metà del ’500.

Di sifilide si ammalarono persone di tutti i ceti sociali, e moltissimi aristocratici furono colpiti dal “mal francese”, come era anche chiamata in Italia la terribile malattia. “La scoperta della sifilide di Maria Salviati arricchisce la storia della famiglia Medici di un dato finora sconosciuto, mostrando tutte le potenzialità della ricerca paleopatologica in campo storico-medico”, afferma Valentina Giuffra, direttore della Divisione di Paleopatologia dell’Ateneo pisano.

Lo studio è stato pubblicato sul numero di giugno della prestigiosa rivista “EmergingInfectiousDiseases” del Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta, ed è stato ritenuto così interessante da guadagnare la copertina del periodico scientifico. Gli autori sono Antonio Fornaciari, Raffaele Gaeta, Simona Minozzi e Valentina Giuffra.

La sifilide costituisce oggi una malattia infettiva riemergente, pericolosamente in espansione anche nel mondo occidentale a causa della scarsa attenzione alla prevenzione e alla protezione nei rapporti sessuali. Antonio Fornaciari, primo autore del lavoro, spiega: “La scoperta della sifilide di Maria Salviati permette di approfondire l’impatto sociale e culturale della sifilide sulla società rinascimentale. Una malattia che non era considerata con imbarazzo per gli uomini, era invece socialmente stigmatizzata per le donne e considerata sintomo di dissolutezza morale. La malattia di Maria Salviati, anche fosse stata diagnosticata, non poteva essere divulgata. In un momento storico così delicato, in cui Cosimo I in cerca di legittimazione politica stava gettando le basi del Granducato di Toscana, non poteva passare il messaggio che la madre del futuro granduca fosse malata di sifilide”.

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