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Comunicati stampa

Sabato 8 luglio, alle ore 18, in Piazza dei Cavalieri a Pisa, l’E-Team Squadra Corse dell’Università di Pisa presenterà al pubblico la nuova vettura elettrica, la prima della storia dell’Ateneo. La macchina parteciperà dal 12 al 16 luglio alla competizione di Formula SAE sul circuito di Varano de’ Melegari e dal 14 al 20 agosto correrà a Hockenheim, in Germania.

 

Programma:

- Ore 18 inizio evento

- Ore 18.15 saluto del Team Leader, Lorenzo Alibrandi

- Ore 18.30 interventi delle autorità universitarie

- Ore 19.00 intervento dei referenti di BeonD, Premium Partner per la stagione 2022/23

- Ore 19.10 presentazione macchina

- Ore 19.15 intervento di chiusura del Team Leader

 

Nuovo successo per la squadra dell’Università di Pisa alla Cyberchallenge, la competizione sulla sicurezza informatica per ragazzi e ragazze dai 16 ai 24 anni, organizzata dal Cybersecurity National Lab del CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica). La gara si è svolta lo scorso 29 giugno all’International Labour Organization (ILO) di Torino, e ha visto competere 42 squadre provenienti da tutta Italia. Dopo la vittoria conquistata nel 2020 e il terzo e quarto posto nel 2019 e 2022, gli hackers etici dell’Università di Pisa sono saliti di nuovo sul podio conquistando la medaglia di bronzo, dietro a Università di Trento (medaglia d’argento) e Roma La Sapienza (medaglia d’oro).

 

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“Ciascuna squadra - racconta Giuseppe Lettieri, docente di ingegneria informatica all’Università di Pisa e coordinatore del team - doveva difendere i propri servizi informatici e attaccare quelli degli altri. Il punteggio si basava sulla quantità di “flag” rubate agli avversari, sul numero di flag perse e sulla percentuale di tempo in cui i propri servizi erano perfettamente funzionanti (una metrica detta SLA, Service Level Agreement). Oltre ad arrivare terza nella gara, la squadra dell’Università di Pisa è stata anche quella con la miglior SLA”.

Il team premiato è composto da: Riccardo Ciucci (Ingegneria Informatica), Taulant Arapi (Ingegneria Informatica), Antonio Ciociola (Ingegneria Informatica, S. Anna), Lorenzo Coppi (Ingegneria Informatica, Università di Firenze), Luca Cordisco (Informatica).

 


Ad allenare la squadra sono stati Giuseppe Lettieri e Pericle Perazzo per Ingegneria Informatica e Anna Bernasconi e Jacopo Soldani per Informatica, oltre a diversi “tutor”, reclutati tra gli studenti delle passate edizioni. Tra essi anche i ragazzi dell’Università di Pisa che parteciperanno alla "Capture-The-Flag" di DEFCON 2023, la più importante competizione al mondo di hacking, che si terrà a Las Vegas in Agosto.

Oltre all’appuntamento oltre oceano, il TeamItaly si prepara per l’European Cyber Security Challenge (ECSC), che quest'anno si terrà dal 24 al 27 ottobre ad Hamar, in Norvegia. Nel 2024 sarà l'Italia ad ospitare la competizione europea.


Drought helps improve the quality and colour of Sangiovese grapes, the Tuscan grapevine par excellence, but only if the water stress is imposed during specific stages of ripening and according to precise intensity levels. These are the conclusions of a research study conducted by the Department of Agri-Food and Agri-Environmental Sciences at the University of Pisa published in the journal ‘Frontiers in Plant Science’, which was recently awarded the SOI-Patron Prize by the Italian Society of Horticulture.
“The results obtained showed for the first time how the combination of intensity and timing of water deficit application significantly influences the accumulation and specific profile of anthocyanins and flavonols in the berries,” explains Giacomo Palai, research fellow at the University of Pisa and first author of the study.

 

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On the right Giacomo Palai, on the left Giovanni Caruso

In particular, moderate water deficit before veraison (when the berries are still green, from June until mid-July) increases the concentration of flavonoids in the berries, whereas severe post-veraison water deficit (from mid-July through harvest) has an effect on the colour of the berries – and therefore of the wine – making them darker and closer to blue shades.

 


“Water stress as a tool to manage phenolic concentration,” Palai continues, “is very important especially for Sangiovese in Tuscany, which is often a bit too pale. Wines produced in this way, on the other hand, have a more intense colour and higher phenol concentrations, which brings them closer to the standards of international vine varieties”.
Palai’s study is part of a broader research activity conducted at Precision Fruit Growing Lab, coordinated by Prof. Giovanni Caruso, and at the Viticulture and Oenology Research Laboratory, coordinated by Prof. Claudio D’Onofrio.
“In recent years, Italian viticulture has been experiencing a period of strong pressure due to climate change, with less rainfall and longer drought periods that jeopardize the quality of grapes, especially in the areas that are best suited to this variety,” says Giovanni Caruso. “In this context, the development of specific irrigation treatments and protocols to manage water deficits are essential tools to maintain and increase grape quality, exploiting and turning potentially critical conditions into positive drivers.”

 

 

La siccità aiuta a migliorare la qualità e il colore delle uve di Sangiovese, vitigno toscano per eccellenza, ma solo se lo stress idrico è imposto in alcune fasi specifiche della maturazione e secondo precise intensità. La notizia arriva da una ricerca condotta al Dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Agro-Ambientali dell’Università di Pisa pubblicata sulla rivista “Frontiers in Plant Science” che ha recentemente ricevuto il Premio SOI-Patron dalla Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana.

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A destra Giacomo Palai, a sinistra Giovanni Caruso


“I risultati ottenuti hanno evidenziato per la prima volta come la combinazione fra intensità e momento di applicazione del deficit idrico influenzi significativamente l’accumulo e il profilo specifico di antociani e flavonoli nelle uve”, spiega Giacomo Palai, assegnista di ricerca dell’Ateneo pisano e primo autore dello studio.
In particolare, un moderato deficit idrico prima dell’invaiatura (quando l’acino è ancora verde, da giugno sino a metà luglio) aumenta la quantità di flavonoidi nell’uva, mentre un severo stress idrico post-invaiatura (da metà luglio sino alla raccolta) influenza la colorazione degli acini, e quindi del vino, redendoli più scuri e vicini alle tonalità del blu.


“Lo stress idrico come strumento per gestire il contenuto fenolico – continua Palai - è molto importante soprattutto per il Sangiovese in Toscana che spesso risulta un po’ troppo scarico, in questo modo invece si ottengono vini con colore e fenoli più importanti, simili agli standard dei vitigni internazionali”.
Lo studio di Palai fa parte di una più ampia attività di ricerca condotta presso il Precision Fruit Growing Lab, coordinato dal professore Giovanni Caruso e presso il Laboratorio di ricerche viticole ed enologiche, coordinato dal professore Claudio D’Onofrio.
“Negli ultimi anni la viticoltura nazionale sta vivendo un periodo di forte pressione dovuto ai cambiamenti climatici con minori precipitazioni e periodi di siccità più lunghi che mettono a rischio la qualità delle uve soprattutto nelle aree maggiormente vocate – dice Giovanni Caruso - In questo contesto, lo sviluppo dell’irrigazione di precisione e di specifici protocolli per gestire il deficit idrico sono strumenti essenziali per mantenere e aumentare la qualità delle uve, sfruttando e volgendo in positivo condizioni potenzialmente critiche”.

 

 

A common language and collaboration to meet the challenges of new technologies. University and enterprise are forming a new alliance thanks to Planet 4, the European project coordinated by the University of Pisa. It has been activated since the end of 2020 to bridge the gap between scientific research on Artificial Intelligence (AI) and Machine Learning (ML) and its industrial application, as an enabling technology for the industry 4.0.

The results of this ambitious project are potentially directed at an audience of around 20 million small and medium-sized enterprises - as many as there are in the European Union, which is lagging behind in adopting modern digital 4.0 technologies.

"The industry 4.0 model requires European small and medium-sized enterprises to deal with technological progress more decisively if they want to maintain their competitiveness on the global market," explains Daniele Mazzei, associate professor at the Department of Computing Science at the University of Pisa and team leader of the project. "We worked with Planet4, first and foremost, to improve communication between the academic world and small and medium-sized European enterprises in the field of new technologies, creating a proper Esperanto in the industry 4.0. This is a new form of collaboration between university and business that represents an evolution of the traditional technology transfer. The new model reveals in a timely manner the company's need to adapt to the 4.0 tool, providing them with the best technologies. Thanks to an operational procedure consisting of three fundamental steps: identification of the challenge, research phase and solution proposal.

Planet4 has developed two strategic tools for the future of the European industry 4.0, which satisfy requirements of varying complexity. Planet4 results will be presented at the project's final conference on 2nd October in Pisa.

The first tool is Planet4 Taxonomy Explorer, a kind of “search engine” for Industry 4.0 and its requirements, which allows companies to identify from academic and corporate sources possible solutions to their own needs. They can browse through solutions, already adopted by others to solve similar problems, and then develop them independently. To date, this “taxonomy” already includes 32 business challenges/needs and 147 enabling technologies.

 

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The group of the University of Pisa that coordinates the Planet4 project. Clockwise from top: Daniele Mazzei (team leader), Riccardo Amadio, Roberto Figliè and Daniele Atzeni

 

Challenge & Solution Template is the second tool developed by the project inspired by Apple's Challenge-Based Learning. It allows a greater customisation of solutions. The template guides the company through pre-established stages that range from the definition of the challenge and the business context to the identification of the technological solutions, which are needed to achieve the initial goals within the planned timeframe. These stages pass through an assessment of technical and economic-managerial feasibility, for the best solution to be adopted.

As part of the Planet4 model, universities have been asked to offer proper training to European SMEs in the new technologies. This training is aimed at both students, who will be the workers of the future and will need to know how to use 4.0 technologies, and at the business world, so that they can make fully informed decisions.

In addition to the University of Pisa (Coordinator), Planet4 also includes: Panepistemioypole Ioanninon (Greece); Elecnor Sa (Spain); Viesoji Istaiga Kauno Mokslo Ir Technologiju Parkas (Lithuania); Zerynth SpA (Italy and spinoff of UniPi); Bobst Bielefeld Gmbh (Germany); Ohs Engineering Gmbh (Germany); Exquisite Srl (Romania); Universitat Ramon Llull Fundacio (Spain); Politechnika Rzeszowska Im Ignacego Lukasiewicza Prz (Poland); Valuedo Srl (Italy). Launched on 1st November 2020, the project will end on 31st October 2023.

La fertilità del suolo e i sistemi agricoli delle aree aride e semiaride del Mediterraneo sono al centro del progetto di ricerca europeo SHARInG-MeD “Soil Health and Agriculture Resilience through an Integrated Geographical information systems of Mediterranean Drylands”, coordinato dall’Università di Pisa e finanziato nell’ambito del Programma PRIMA con un budget totale di 4,1 milioni di euro, di cui circa 1 milione destinato all’Ateneo pisano. Con responsabile scientifico Sergio Saia (nella foro in basso), professore associato di Agronomia e Coltivazioni Erbacee presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie, SHARInG-MeD ha una durata di tre anni e ha l’obiettivo di promuovere la qualità dei suoli e la resilienza dei sistemi agricoli nelle aree aride e semiaride del Mediterraneo attraverso uno studio integrato a scala geografica di una vasta gamma di indicatori di fertilità e bontà agronomica dei sistemi e dei territori.

In SHARInG-MeD sono coinvolti partner da tutto il Mediterraneo con una grande varietà di competenze, dalla nematologia (Marocco) all’entomologia e qualità ambientale (Algeria), dalla Scienza del Suolo (Tunisia), alla microbiologia del suolo (Spagna), all’uso dei microrganismi promotori della crescita vegetale, applicazione di materiali organici al suolo e agricoltura conservativa (Italia, Croazia e Turchia), alla modellistica del suolo e agricoltura di precisione (Francia, Grecia, Croazia), alla qualità del suolo ed emissioni di gas serra (Francia).

“Il partenariato campionerà suoli da ambienti diversificati, in usi del suolo diversi ma prossimali, e li analizzerà per una pluralità di variabili già incluse nel database LUCAS del Joint Research Center della Commissione Europea, con cui collaborerà attivamente – spiega il professor Saia. Tra le variabili misurate a scala di campione, appezzamento e territorio sono incluse le caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche del suolo, le emissioni potenziali in gas serra, gli impatti economici e ambientali dell’uso del suolo e della sua gestione e i dati telerilevati. Con tali informazioni, verranno proposti modelli di gestione per salvaguardare gli aspetti socio-economici e ambientali”.

In parallelo, tecniche di agricoltura conservativa e altre tecniche per il miglioramento del suolo verranno studiate in prove di campo sperimentali e presso aziende e di queste verrà valutato l’impatto economico e ambientale. Infine, il turnover dell’azoto dalle piante agli insetti (una fondamentale componente del suolo e del ciclo degli elementi) al suolo e quindi nuovamente alle piante verrà studiato in dispositivi controllati con traccianti isotopici.

Le strategie di campionamento saranno inoltre condotte sia in accordo alle metodologie del JRC, che campiona dal 2009 con cadenza quadriennale i suoli europei, sia con il progetto H2020 Soil4Africa, focalizzato sui suoli africani, consentendo quindi di poter strutturare procedure di armonizzazione dei database al fine di poter valutare in maniera coerente la qualità dei suoli del Mediterraneo. Nel progetto, verranno intessuti anche rapporti con studenti di istituti superiori, produttori, policy makers e consumatori, onde fornire consapevolezza dell’importanza della tutela ambientale e del suolo, con speciale riferimento all’agricoltura.

Venerdì 7 luglio è prevista una sessione aperta online per la presentazione del progetto a cui è possibile iscriversi qui: https://tinyurl.com/SharingMed7Jul.

Per chi inizia una dieta chetogenica, lo stress principale è anche e soprattutto identitario, ci si sente meno italiani. La notizia arriva da uno studio del professor Matteo Corciolani del dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa, pubblicato sul Journal of Business Research. La ricerca ha analizzato le emozioni e i comportamenti dei consumatori, che per motivi di salute che vanno dall’emicrania al sovrappeso, adottano – sotto controllo medico – questo regime alimentare basato soprattutto sui grassi. L’effetto è di spaesamento, anche rispetto al contesto sociale e famigliare: sembra impossibile poter mangiare abbandonando la dieta mediterranea e rinunciare a cibi come pasta, pane e pizza.

“Nelle diete chetogeniche il grosso cambiamento è nel consumo dei carboidrati, che occupano una percentuale bassissima, solitamente meno di 50 grammi al giorno – spiega Matteo Corciolani- Questo implica una rivoluzione nel modo di mangiare, soprattutto per noi italiani, visto che in altri paesi, meno abituati ad esempio ai nostri primi piatti, il cambiamento è avvertito e vissuto in modo molto meno traumatico”.

La ricerca del professor Corciolani si è basata su una impressionante mole di dati proveniente dall’attività degli utenti del gruppo Facebook Chetogenesi, in totale circa 900 pagine di contenuti monitorati – con l’autorizzazione dei moderatori della community – per sette anni, a cui si sono aggiunte interviste più approfondite a dieci componenti del gruppo e una analisi di contesto sui media attraverso la banca data LexisNexis, che comprende i principali giornali e periodici italiani anche on line.

In particolare, le interazioni su Facebook hanno rivelato il ruolo fondamentale della componente emotiva con l’affiorare di tre sentimenti: la tristezza nel dover abbandonare cibi amati, l’ansia legata alla paura che la dieta chetogenica in realtà non sia sana per la quantità di grassi da assumere, e per ultimo anche la rabbia, magari perché qualche volta i risultati sperati tardano ad arrivare. Partendo da questi presupposti il focus dell’indagine si è quindi concentrato su come il successo e il proseguimento della dieta passi attraverso la trasformazione di questi sentimenti da negativi a positivi.

“E’ il sostegno degli altri, in questo caso della comunità virtuale di Facebook, la chiave di questo cambiamento – sottolinea Corciolani – perché soprattutto aiuta il processo psicologico di reframing, cioè l’inquadrare in modo diverso e maggiormente positivo ciò che ci accade”.

“E per tornare alla questione dell’italianità – continua Corciolani - ecco allora che intervengono altri modi di vedersi e, per esempio, c’è chi scrive che di fronte a un ritrovato benessere fisico, pizza e pasta non sono poi così importanti, sino a mettere in dubbio lo status di superiorità della dieta mediterranea. Grazie a questo cambiamento di prospettiva, le emozioni positive, quali la gioia di controllare più efficacemente i propri sintomi, l’affetto per le molte altre persone con cui si condivide lo stesso percorso, o la sorpresa dovuta alla scoperta di nuovi accostamenti alimentari, diventano sempre più frequenti, fino a sostituire progressivamente quelle negative avvertite all’inizio del percorso ”.

 

Per chi inizia una dieta chetogenica, lo stress principale è anche e soprattutto identitario, ci si sente meno italiani. La notizia arriva da uno studio del professor Matteo Corciolani del dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa, pubblicato sul Journal of Business Research. La ricerca ha analizzato le emozioni e i comportamenti dei consumatori, che per motivi di salute che vanno dall’emicrania al sovrappeso, adottano – sotto controllo medico – questo regime alimentare basato soprattutto sui grassi. L’effetto è di spaesamento, anche rispetto al contesto sociale e famigliare: sembra impossibile poter mangiare abbandonando la dieta mediterranea e rinunciare a cibi come pasta, pane e pizza.

“Nelle diete chetogeniche il grosso cambiamento è nel consumo dei carboidrati, che occupano una percentuale bassissima, solitamente meno di 50 grammi al giorno – spiega Matteo Corciolani- Questo implica una rivoluzione nel modo di mangiare, soprattutto per noi italiani, visto che in altri paesi, meno abituati ad esempio ai nostri primi piatti, il cambiamento è avvertito e vissuto in modo molto meno traumatico”.

 

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La ricerca del professor Corciolani si è basata su una impressionante mole di dati proveniente dall’attività degli utenti del gruppo Facebook Chetogenesi, in totale circa 900 pagine di contenuti monitorati – con l’autorizzazione dei moderatori della community – per sette anni, a cui si sono aggiunte interviste più approfondite a dieci componenti del gruppo e una analisi di contesto sui media attraverso la banca data LexisNexis, che comprende i principali giornali e periodici italiani anche on line.

In particolare, le interazioni su Facebook hanno rivelato il ruolo fondamentale della componente emotiva con l’affiorare di tre sentimenti: la tristezza nel dover abbandonare cibi amati, l’ansia legata alla paura che la dieta chetogenica in realtà non sia sana per la quantità di grassi da assumere, e per ultimo anche la rabbia, magari perché qualche volta i risultati sperati tardano ad arrivare. Partendo da questi presupposti il focus dell’indagine si è quindi concentrato su come il successo e il proseguimento della dieta passi attraverso la trasformazione di questi sentimenti da negativi a positivi.

E’ il sostegno degli altri, in questo caso della comunità virtuale di Facebook, la chiave di questo cambiamento – sottolinea Corciolani – perché soprattutto aiuta il processo psicologico di reframing, cioè l’inquadrare in modo diverso e maggiormente positivo ciò che ci accade”.

“E per tornare alla questione dell’italianità – continua Corciolani - ecco allora che intervengono altri modi di vedersi e, per esempio, c’è chi scrive che di fronte a un ritrovato benessere fisico, pizza e pasta non sono poi così importanti, sino a mettere in dubbio lo status di superiorità della dieta mediterranea. Grazie a questo cambiamento di prospettiva, le emozioni positive, quali la gioia di controllare più efficacemente i propri sintomi, l’affetto per le molte altre persone con cui si condivide lo stesso percorso, o la sorpresa dovuta alla scoperta di nuovi accostamenti alimentari, diventano sempre più frequenti, fino a sostituire progressivamente quelle negative avvertite all’inizio del percorso ”.

 

For Italian people starting a ketogenic diet, the main stress is above all their identity, they feel less Italian. The news comes from a study by Professor Matteo Corciolani of the University of Pisa - Department of Economics and Management, published in the Journal of Business Research. The research analysed the emotions and behaviour of people, who for various health reasons ranging from migraines to obesity, adopt this dietary regime mainly based on fats, under medical supervision. The effect is disorientation from their social and family context as it seems impossible to eat while abandoning the Mediterranean diet and giving up foods such as pasta, bread and pizza.
“In ketogenic diets, the big change is the consumption of carbohydrates, which occupy a very low percentage, usually roughly less than 50 grams a day,” explains Matteo Corciolani, “This implies a revolution in eating habits, especially for Italians. Whilst in other countries, where there are not so many pasta dishes the change is felt and experienced much less traumatically”.

 

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Professor Corciolani’s analysis was based on an impressive amount of data from the activity of the Facebook group “Chetogenesi” users. Around 900 pages of content has been monitored for seven years - with the authorisation of the community’s moderators - to which were added in-depth interviews with ten members of the group. On top of that, a media contextual analysis through the LexisNexis database, which includes the main Italian newspapers and periodicals online was added. In particular, the interactions on Facebook revealed the fundamental role of the emotional component by analysing three feelings: sadness of giving up loved foods, anxiety linked to the fear that the ketogenic diet is actually unhealthy, due to the amount of fats to be consumed, and lastly also anger due to the fact that sometimes the desired outcomes arrive slowly. Starting from these assumptions, the research focused on how success and continuation of diet transform these negative feelings into positive ones.

"The support of other people, such as that of the Facebook virtual community, is the key to this change,’ Corciolani concludes, ‘because above all it helps the psychological process of reframing, i.e., framing what happens to us in a different and more positive way. Coming back to the issue of Italian-ness, in the face of rediscovered physical well-being, pizza and pasta are not so important, to the point of questioning the superiority status of the Mediterranean diet. From this point of view, positive emotions such as the joy of controlling one’s symptoms more effectively, the affection for the other people with whom we share the same experience or the surprise due to the discovery of new food combinations, become more and more frequent, up to replacing the negative emotions we felt at the beginning of the diet’.

 

sharing medSoil fertility and agricultural systems in the arid and semi-arid areas of the Mediterranean are the main focus of the European research project SHARInG-MeD “Soil Health and Agriculture Resilience through an Integrated Geographical information systems of Mediterranean Drylands, coordinated by the University of Pisa and financed by  the PRIMA Programme with a total budget of 4.1 million euros, of which about 1 million is earmarked for the University of Pisa. The project’s chief scientific officer is Sergio Saia, associate professor of Agronomy and Herbaceous Cultivation at the Department of Veterinary Sciences.  The project will run for three years and it aims to promote soil quality and the resilience of agricultural systems in the drylands and semi-arid areas of the Mediterranean regions through an integrated study on a geographical scale of a wide range of indicators of soil fertility and agricultural health of systems and of territories.

Partners from all over the Mediterranean are involved in “SHARInG-MeD” with a wide variety of expertise, from nematology (Morocco) to entomology and environmental quality (Algeria), from soil science (Tunisia) to soil microbiology (Spain), from the use of plant growth-promoting microorganisms, application of organic materials to soil and conservation agriculture (Italy, Croatia and Turkey), to soil modelling and precision agriculture (France, Greece, Croatia), to soil quality and greenhouse gas emissions (France).

sergio saia"The partnership will sample soils from several environments, in different but similar land uses, analysing them for a variety of variables that are already included in the LUCAS database of the European Commission Joint Research Centre, with which it will actively collaborate," explains Professor Saia. The variables measured include chemical, physical and biological soil characteristics, potential greenhouse gas emissions, economic and environmental impacts of the soil use and its management, and remote sensing data. With this information, management models will be proposed to safeguard socio-economic and environmental aspects”.

In parallel, conservation agriculture and other soil improving practises will be studied in the field experiments and on farms, so that their economic and environmental impact will be assessed. Finally, nitrogen cycle conversion from plants to insects (a fundamental component of the soil and element cycle) to the soil and then back to the plants will be studied in controlled devices with isotopic tracers.

Sampling strategies will also be conducted both in accordance with the methodologies of the JRC, which has been sampling European soils every four years since 2009 and with the H2020 project Soil4Africa, which focuses on African soils, to enable the database harmonisation for coherently assessing the quality of Mediterranean soils. The project will also be in collaboration with high school students, producers, policy makers and consumers, in order to provide awareness of the importance of environmental and soil protection, with special reference to agriculture.

An open online session for the project presentation is scheduled on Friday, 7th July, register online at: https://tinyurl.com/SharingMed7Jul//tinyurl.com/SharingMed7Jul.

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