L’avvocata Arianna Enrichens (foto) è la nuova Consigliera di fiducia dell’Università di Pisa. Nominata dal Rettore Paolo Mancarella nel gennaio 2022 a seguito di una procedura di selezione, resterà in carica tre anni sino al 2024.
La figura della Consigliera è stata istituita per la prima in Ateneo nel 2018 su proposta del Comitato Unico di Garanzia (CUG) come importante strumento di gestione dei conflitti e di garanzia del benessere lavorativo. Tutte le persone appartenenti alla comunità universitaria possono rivolgersi alla Consigliera per ottenere supporto contro discriminazioni e molestie in applicazione del Codice Etico dell’Università di Pisa. La Consigliera, in piena autonomia e nel rispetto della riservatezza di tutte le persone coinvolte, presta la sua assistenza, consulenza e attività di ascolto a tutela di chi si ritenga vittima di discriminazioni o molestie adoperandosi per la soluzione del caso.
L’avvocata Enrichens, che succede alla collega Chiara Federici, sarà a disposizione con cadenza mensile (il 23 marzo, il 22 aprile, il 20 maggio e il 22 giugno). Per concordare un appuntamento in assoluta riservatezza è possibile scriverle a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Arianna Enrichens è iscritta all’Albo degli Avvocati di Torino dal 2009 e svolge attività di consulenza, assistenza e docenza nelle materie del diritto civile, del diritto antidiscriminatorio e delle pari opportunità e di diritto della famiglia, con particolare riferimento al tema dell’affrancamento dalla violenza di genere. E’ avvocata del Telefono Rosa di Torino e consulente civilista del Centro Antiviolenza della Città di Torino. Collabora con l’Università di Torino come docente del corso di laurea di Psicologia Criminologica e Forense e nell’ambito di progetti di ricerca. Per due mandati è stata Consigliera di Fiducia del Politecnico di Torino ed è attualmente Consigliera di Fiducia dell’Università di Parma e dell’Arpa Piemonte.
La professoressa Monica Bini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa è stata intervistata dalla rivista Nature come geoarcheologa che studia i rapporti tra popolamento e clima . Monica Bini è intervenuta a partire da una ricerca pubblicata sulla rivista “Climate of the Past” frutto di un workshop internazionale che si è svolto a Pisa nel 2019. Focus dell’articolo di Nature è il cambiamento climatico avvenuto 4200 anni fa e il suo influsso sulle civiltà dell’epoca.
“La siccità che ha colpito l’emisfero Nord e il Mediterraneo 4200 anni fa è l’archetipo dell’impatto dei cambiamenti climatici sulle società complesse – spiega Monica Bini - Ci sono evidenze che questo evento possa avere una distribuzione globale e si assiste ad esempio al “collasso” alcuni imperi in Mesopotamia”.
Tuttavia, l’impatto, la durata e le caratteristiche di questo evento climatico sono controversi e l’approfondimento della rivista “Nature” è proprio su questo tema.
“Nonostante le incertezze cronologiche, i dati che abbiamo analizzato ricostruiscono un clima caratterizzato da inverni asciutti ed estati secche – conclude Bini - e tuttavia le eccezioni a questo andamento ci indicano che i modelli climatici che considerano il Mediterraneo in maniera univoca non siano del tutto corretti, il che costituisce un’indicazione molto importante per definire gli scenari attuali”.
Un laboratorio on line per raccogliere idee e soluzioni innovative e fare di Lucca la prima smart city europea amica degli animali. L’iniziativa partita lo scorso gennaio fa parte del progetto europeo Inhabit (Inclusive Health And wellBeing in small and medium ciTies) coordinato dall’Università di Pisa in partenariato con Comune di Lucca e Lucca Crea.
Una riunione on line del laboratorio
Cinquanta partecipanti organizzati su cinque tavoli hanno disegnato i primi servizi e le soluzioni per valorizzare l’interazione tra persone e animali in settori sensibili come il supporto alla vita attiva degli anziani, il sostegno per i giovani con difficoltà di apprendimento e l’aiuto per le persone a rischio di emarginazione sociale. Nel laboratorio sono state inoltre lanciate proposte in campo economico, dall’accoglienza turistica, a nuove opportunità occupazionali per giovani imprese.
“A Lucca sono state già progettate le animabili, spazi pubblici dove facilitare le interazioni tra persone e animali, che legheranno il centro con l’acquedotto Nottolini e con il parco fluviale del Serchio – spiega il professore Francesco di Iacovo direttore del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Ateneo pisano – Questa piattaforma partecipativa ora accompagnerà tutto il progetto per disegnare soluzioni per valorizzare gli animali come risorse per accrescere la qualità della vita nelle città”.
Il team dell’Università di Pisa che ha animato il laboratorio è composto da Chiara Mariti, Massimo Rovai, Angelo Gazzano, Carlo Bibbiani, Roberta Moruzzo, Francesco Riccioli come docenti e dalle dottorande Carmen Borrelli e Giulia Granai.
L’Università di Pisa ha aderito a “Volontarie e Volontari per l’Educazione”, una iniziativa di Save the Children che ha come obiettivo il recupero degli apprendimenti e della motivazione allo studio di bambine, bambini e adolescenti, dai 9 ai 17 anni colpiti dalla crisi educativa prodotta dalla pandemia Covid-19.
Il 15 febbraio alle ore 15 l’Università di Pisa organizza un incontro informativo per gli interessati e le interessate con Giulia Consolini (Save the Children) e Enza Pellecchia (Direttrice Cisp-referente di Ateneo per il progetto). Per partecipare e ricevere il link per collegarsi occorre mandare una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro le ore 18 di venerdì 11 febbraio.
Possono diventare volontarie e volontari per l’Educazione studenti docenti e personale tecnico amministrativo delle Università. Per iniziare basta compilare il form. Per poter partecipare è necessaria una disponibilità di almeno due momenti a settimana, da 1,5 ore ciascuno (per un totale di 3 ore settimanali), nei giorni compresi tra lunedì e venerdì, di pomeriggio (nella fascia oraria 14-18). Il tutto per un periodo minimo di 3 mesi.
Tutti i volontari e le volontarie saranno supportati attraverso due iniziative formative prima di poter essere pronti a iniziare il loro percorso. La prima, da fare quando si preferisce poiché on-demand, avrà la durata di 4 ore, la seconda sarà di 2 ore in un webinar live e permetterà un confronto diretto con lo staff e si potranno fare domande sul progetto.
Per maggiori informazioni guarda il video, visita la pagina del sito di Save the Children dedicata al progetto o scrivi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
In Italia le persone a rischio di povertà alimentare sono il 22,3% dell'intera popolazione, un tasso che varia a livello regionale dal 14,6% dell’Umbria, al 29,6% dell’Abruzzo, al 18,7 % della Toscana, con elevati livelli di disuguaglianze soprattutto per quanto riguarda ortaggi, carne e pesce. Questi dati emergono da uno studio pubblicato sulla rivista Social Indicators Research firmato da Stefano Marchetti dell’Università di Pisa e Luca Secondi dell’Università della Tuscia a partire dall'Indagine sulla Spesa delle Famiglie italiane del 2017 dell'Istat.
“L’indagine – sottolinea Stefano Marchetti, professore di statistica del Dipartimento di Economia e Management – non riguarda la povertà assoluta, cioè l’impossibilità di comprare un dato paniere di beni alimentari, ma la povertà relativa, ovvero coloro che hanno una capacità di spesa per alimenti al di sotto di una certa soglia media che in Italia si attesta intorno ai 162 euro procapite, cifra che varia da regione a regione e da ricalibrare nel caso di famiglie numerose”.
Accanto a questo indice i ricercatori hanno inoltre fatto una stima dell’insicurezza alimentare degli italiani, condizione che si ha quando la quota della spesa per il cibo supera il 40% della spesa totale. Dall’analisi emerge che in Italia questa condizione riguarda il 3,6% della popolazione, circa 2 milioni di persone, con un massimo in Calabria (9,7%) e un minimo in Veneto (0,9%), Friuli (1,2%) e Toscana (1,5%).
“Destinare una quota elevata della propria spesa al solo cibo – commenta Marchetti - denuncia una difficoltà a sostenere le spese per la casa, la salute e i servizi di base necessari, mettendo le persone a rischio di esclusione sociale, questo naturalmente richiede interventi e politiche economiche volti a consentire condizioni di vita più eque e sostenibili per l'intera popolazione, specie se consideriamo che la ricerca traccia un quadro pre-pandemia e che il COVID19 potrebbe aver incrementato le disuguaglianze a livello nazionale”.
L’articolo pubblicato su Social Indicators Research fa parte di una serie di studi sulla povertà che alcuni degli statistici dell’Università di Pisa portano avanti da diversi anni, facendosi promotori e membri dal 2015 del Centro Interuniversitario di Ricerca e Servizi sulla Statistica Avanzata per lo Sviluppo Equo e Sostenibile – Camilo Dagum.
Il Ministero della Salute ha finanziato le Università di Pisa e Genova per ricerche sui metodi sostitutivi alla sperimentazione animale con circa 106mila euro per Ateneo.
“La scelta del Ministero - spiega la professoressa Arti Ahluwalia dell’Università di Pisa - ha premiato due istituzioni che da anni hanno a cuore e si occupano di questi temi. Proprio per questo nel 2017 abbiamo fondato il Centro 3R, di cui sono referente assieme alla collega Anna Maria Bassi di Genova. 3R sta proprio per Reduction, Replacement, Refinement, ossia riduzione, raffinamento e sostituzione della sperimentazione animale”.
Il sistema DALI (Dynamic model of the ALveolar Interface) composto da due bioreattori collegati con un circuito fluidico in grado di replicare il flusso sanguigno e con regolatori elettropneumatici che consentono la deformazione della membrana per replicare i movimenti respiratori. I bioreattori possono anche essere interfacciati con generatori di aerosol e sensorizzati per misurare la deposizione di nanoparticelle dall'aerosol
In particolare, il progetto pisano si focalizzerà sullo sviluppo di un “naso hi-tech”, saranno quindi realizzati un modello in vitro avanzato di un polmone e un modello di nano-dosimetria in-silico. I due dispositivi potranno quindi di sostituire una serie di test di inalazione forzata attualmente eseguiti su animali per valutare il rischio di nanomateriali industriali.Il modello in vitro sarà costituito da un bioreattore capace di simulare l’ambiente dinamico dell’alveolo polmonare combinando diverse azioni, nello specifico inspirazione, espirazione, flusso sanguigno e deposizione di aerosol su una membrana biomimetica contenente cellule della parete alveolare umana. Verrà, inoltre, sviluppata un’interfaccia grafica per nano-dosimetria in-silico, che consentirà di predire la dose effettiva percepita di nanomateriali industriali dalle cellule alveolari.
Lavoreranno al progetto i giovani ricercatori del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, sede operativa e legale del Centro 3R, del Dipartimento di Farmacia e Centro di Ricerca E. Piaggio afferenti al Centro3R.
Il progetto dell’Ateneo genovese ha invece come obiettivo quello di ottimizzare l’attendibilità di una piattaforma in vitro multicellulare basata su cellule di origine umana, al fine di studiare, in modo sempre più veritiero, le basi molecolari del glaucoma primario ad angolo aperto (POAG), una patologia a oggi incurabile e che porta alla cecità. La piattaforma millifluidica completerà un modello 3D dinamico di cellule di trabecolato umano, precedentemente allestito, attraverso l’inserimento di cellule retinali ganglionari (RGC) di origine umana, ottenute da cellule staminali pluripotenti. Entrambi i tipi cellulari rivestono un ruolo chiave nella degenerazione glaucomatosa: la degenerazione del trabecolato nel POAG sottende lo stadio prodromico, mentre la morte delle RGC la degenerazione ultima che determina cecità irreversibile.
Il progetto sarà svolto da ricercatori del Dipartimento di Medicina Sperimentale e del Dipartimento di Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Ambiente e della Vita, afferenti al Centro 3R.
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L’Università di Pisa ha consegnato un premio di 1900 euro alla 4^ G del Parentucelli-Arzelà di Sarzana, cifra che sarà al destinata alle esercitazioni e alle attività laboratoriali dell’istituto. La classe è risultata vincitrice di un concorso di idee per l’organizzazione di una giornata di studio sulla sostenibilità agro-zootecnica che si è svolta a Pisa lo scorso 17 dicembre con il titolo “Sistemi agro-zootecnici sostenibili in zona montana”.
La classe premiata durante la giornata di studio a Pisa
L’iniziativa rientra nei Piani di orientamento e tutorato (POT_10) dell’Università di Pisa riservati agli studenti e alle studentesse delle quarte e quinte ed ha coinvolto la professoressa Lucia Guidi come responsabile e il professore Marcello Mele direttore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali. All’evento ha partecipato anche il Prorettore alla Didattica, professore Marco Abate e il prorettore agli studenti, professore Rossano Massai.
“Queste attività finalizzate alla scelta del cammino post diploma – ha detto Lucia Guidi – e ad intraprendere rapporti con le scuole medie superiori importanti nella fase di orientamento della scelta del percorso universitario”
Oltre al Parentucelli-Arzelà, le altre scuole che hanno partecipato sono state il Santoni di Pisa, il “Carrara- Nottolini-Busdraghi” di Lucca e l’Anzilotti di Pescia (PT). Agli studenti in occasione del Convegno è stata consegnata anche una targa premio.
In una vasca dell’Acquario di Livorno è stata installata una rete costituita da una bioplastica in grado di degradarsi in acqua salata, e che verrà usata per realizzare impianti di riforestazione della Posidonia oceanica, una pianta essenziale per l’ossigenazione dell’ecosistema marino.
Il risultato deriva da una collaborazione tra A.S.A. SpA (Azienda Servizi Ambientali SpA), il Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa (DICI), Francesco Cinelli, già docente di Ecologia Marina e Scienza Subacquea all’Università di Pisa, BioISPRA, l’Acquario di Livorno e l’azienda tessile Coatyarn Srl.
“I supporti proposti per la riforestazione dei fondali - spiega Maurizia Seggiani, docente di Fondamenti Chimici delle Tecnologie al DICI - hanno un grande impatto ambientale, perché costituiti da reti di ferro rivestite con monofilamenti di polipropilene che causano la dispersione in mare di microplastiche e la morte delle specie marine che vi rimangono intrappolate. Il nostro gruppo di ricerca ha individuato e testato una bioplastica, il PBSA (polibutilene succinato-co-adipato), usato in diverse applicazioni in sostituzione di plastiche tradizionali ma mai fino ad ora per applicazioni di restauro marino. Dal PBSA è stata ricavata una rete con proprietà meccaniche adeguate a contenere le talee di piccole piante di Posidonia, e in grado di biodegradarsi in un paio d’anni, il tempo necessario alla pianta per mettere radici”.
La rete per la messa a terra delle piante è stata realizzata grazie alla collaborazione con Coatyarn Srl, azienda leader nel settore tessile specializzata nella produzione di filati rivestiti ad alto contenuto tecnologico, e il primo prototipo è stato posato all’acquario di Livorno assieme ad alcune talee di Posidonia per verificarne l’efficacia nel trattenere le piantine al suolo per il tempo necessario al loro radicamento.
Il prossimo passo, previsto nella primavera 2022, sarà un test in mare aperto, in prossimità dell’Isola D’Elba, dove le praterie di Posidonia sono minacciate dagli impianti di dissalazione del mare a osmosi inversa, che rilasciano acqua ipersalina mal tollerata dalla pianta, rendendo necessarie operazioni di trapianto.
“Le potenzialità di impiego delle reti in bioplastica sono molto ampie - conclude Maurizia Seggiani - per esempio nell’itticoltura, o nei cosiddetti “orti marini. Inoltre, le reti possono anche essere usate sulla terraferma, per esempio per consolidare frane e scarpate con un materiale in grado di biodegradarsi in quell'ambiente una volta che ha svolto la sua funzione”.
Se c’è troppo sole le piante si proteggono grazie a speciali proteine che agiscono come “interruttori” per accendere e spegnere specifiche interazioni tra molecole. La caratterizzazione di questo meccanismo che consente alle piante di sopravvivere a diverse condizioni di luce arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e nato dalla collaborazione delle Università di Pisa e di Ginevra.
“Capire le strategie con le quali le piante riescono a proteggersi dall’eccessiva luce è importante per la nostra comprensione del mondo che ci circonda, ma non è solo questo e infatti comprendere le loro strategie di adattamento è estremamente importante per riuscire ad aumentare la produttività delle colture”, spiega la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa, che assieme al professor Francesco Luigi Gervasio dell’Università di Ginevra ha coordinato lo studio.
“La proteina che abbiamo studiato è presente nel fotosistema della piante ed ha il compito di raccogliere la luce solare e trasferire l’energia assorbita ad altre proteine, che portano avanti il processo fotosintetico”, racconta Edoardo Cignoni, dottorando dell’Università di Pisa, “per far questo contiene degli aggregati di molecole, clorofille e carotenoidi, che sono i principali protagonisti nella cattura della luce. Le nostre simulazioni di dinamica molecolare insieme ai calcoli quantomeccanici hanno mostrato come i moti della proteina riescono a controllare i processi fotoprotettivi, accendendo e spegnendo specifiche interazioni tra le molecole”.
Il gruppo di ricerca della professoressa Benedetta Mennucci (MoLECoLab) si studia, attraverso modelli computazionali multiscala, la risposta di sistemi biologici alla luce. Il lavoro della professoressa Mennucci è finanziato dal progetto European Research Council (ERC) Advanced Grant LIFETimeS.
Allo studio hanno inoltre partecipato il dottor Lorenzo Cupellini dell’Università di Pisa, Margherita Lapillo, all’epoca post-doc nel gruppo della professoressa Mennucci, e Silvia Acosta-Gutiérrez, all’epoca post-doc nel gruppo del professor Gervasio.
La professoressa Carla Benedetti del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica è l'autrice del saggio "La letteratura ci salverà dall’estinzione" (Einaudi, 2021) di cui pubblichiamo alcuni estratti dal capitolo primo "Gli acrobati del tempo".
Il volume vuole stimolare un radicale cambiamento di rotta di fronte ai rischi dell’Antropocene. Per questo è necessario, afferma l'autrice, mettersi nei panni di chi vivrà dopo di noi, farsi cioè "acrobati del tempo". Ma non è cosí semplice. C’è resistenza a guardare lontano nel futuro. L’empatia scatta per i viventi di oggi, non per quelli che devono ancora nascere. Occorre una metamorfosi. E cosa c’è di piú potente della parola per mutare il nostro modo di ragionare e di sentire? Le opere del presente e del passato, da Omero a Amitav Ghosh, formano un campo di forze capace di liberare energie che portano in un’altra direzione. Dove l’economia, il diritto e la politica continuano a fallire, forse la letteratura e la filosofia potranno salvarci dall’estinzione.
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Mettersi nei panni degli uomini che vivranno dopo di noi è un processo cognitivo ed emotivo piú complicato di quanto si potrebbe pensare. Solo pochi «acrobati del tempo» ci riescono. L’espressione è del filosofo ebreo tedesco Günther Anders, che nel 1989 scriveva:
Oggi, a parte due o tre “acrobati del tempo”, non c’è nessuno che sia capace di mettersi nei panni di chi sarà domani (per non parlare di quelli che domani non ci saranno piú), e di anticipare il loro sguardo verso il passato (e quindi anche verso il nostro oggi)
La frase potrà sembrare un po’ sibillina sul momento, ma diventa chiarissima non appena si pensa a quanto sta accadendo nei nostri anni. I danni irreversibili che i viventi di oggi stanno procurando all’ambiente e che verranno pagati dalle generazioni piú giovani, e ancor piú da quelle che devono ancora nascere, sono ormai noti. Eppure si continua a immettere quantità proibitive di CO2 nell’atmosfera, a usare combustibili fossili, a consumare indiscriminatamente risorse non rigenerabili. La prima convenzione quadro sui cambiamenti climatici proposta dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite risale al 1992. Da piú di due decenni le autorità di ogni Paese, gli apparati militari e di sicurezza sono a conoscenza della gravità dei rischi ambientali a cui stiamo andando incontro, con grande anticipo sulla consapevolezza pubblica. Eppure chi avrebbe potuto prendere decisioni per fermare questo processo non lo ha fatto, e ancora oggi le contromisure possibili stentano a essere messe al primo posto nell’elenco delle priorità dei governi mondiali. Evidentemente gli uomini di oggi non sono in grado di farsi acrobati del tempo, di mettersi nei panni di chi si troverà, in un futuro assai prossimo, a vivere su un pianeta dal clima sconvolto, dove scarseggiano l’acqua, il cibo e l’energia […]
I viventi di oggi – o una parte di essi, poiché non siamo tutti responsabili in egual misura – stanno alterando la biosfera, intaccando le riserve del pianeta accumulate in miliardi di anni, stanno consumando i ghiacci polari, le foreste, il petrolio, sterminando la fauna, la flora, condannando cosí a una terribile agonia le generazioni future. La storia dell’umanità è disseminata di sterminî e ferocie. Ma non era mai successo prima d’ora che la violenza genocida si esercitasse sui viventi di domani. Questa è in assoluto la novità piú “disumana” del nostro tempo, che rende ancora piú atroce e intollerabile l’inerzia di oggi, ciò che non viene fatto finché si sarebbe ancora in tempo. Non basterebbe forse questo pensiero a smuovere tutti i nostri simili e suscitare in loro il senso dell’intollerabilità di ciò che stanno provocando? Eppure non è cosí semplice.
Qualcosa li blocca e impedisce loro di provare un sentimento empatico che pure sembrerebbe cosí primario.
Carla Benedetti