Gli studi geologici sui Monti Pisani
Alla scoperta delle rocce e dei fossili del “Verrucano”
Da un punto di vista geologico, i Monti Pisani fanno parte di una catena montuosa piuttosto recente, essendosi piegata e sollevata tra 30 e 20 milioni di anni fa. Gli studi sulla loro conformazione hanno alle spalle meno di due secoli, poiché le primi ricerche sistematiche risalgono ai lavori di Paolo Savi del 1829. Il famoso naturalista pisano vi lavorò a più riprese in epoca granducale e dopo l’Unità d’Italia fino al 1864, quando aveva ormai 86 anni.
Le due impronte di un fossile dei Monti Pisani.
Fu Savi a introdurre, nel 1838, il termine di “Verrucano” per designare la successione di rocce silicee che costituisce quasi per intero il massiccio di Monte Serra, come ebbero a ricordare lo stesso Savi e Giuseppe Meneghini nel 1850: “...s’indicò col nome di formazione del Verrucano, giacché, non essendosi potuto conoscere per la mancanza di caratteri paleontologici a quale periodo si dovesse riferire, fu giudicato miglior partito designarla con un vocabolo che non potesse dar luogo a idee false, ed a tale oggetto si prescelse quello dell’anagenite di questo nome, usata presso Calci per fabbricar macine da molino”.
Savi pubblicò la prima carta geologica dei Monti Pisani nel 1832, modificandola poi a più riprese fino al 1863. Ancora nel 1843, parlando dei carboni fossili delle “maremme toscane”, Savi mostra incertezze sull’età del Verrucano, riferendolo al Giurassico in base a sue osservazioni su rocce analoghe delle Alpi Apuane. Ma nell’edizione del 1851 della carta geologica cambia idea: compare la prima datazione del Verrucano al Carbonifero, basata sul ritrovamento di piante fossili a Jano, in depositi simili a quelli dei Monti Pisani.
Per i primi fossili nel Verrucano dei Monti Pisani bisognerà però aspettare fino al 13 Novembre del 1881, quando Bernardino Lotti, ingegnere del nuovo Servizio Geologico d’Italia, annuncerà all’adunanza della Società Toscana di Scienze Naturali (costituitasi in Pisa il 12 aprile del 1874) il ritrovamento nei pressi di Calci di conchiglie fossili marine e orme di rettili terrestri di età triassica, cioè assai più recenti dell’età allora attribuita al Verrucano.
Appena un anno dopo, però, nuovi fossili (questi indubbiamente carboniferi) furono scoperti dal De Stefani, professore di Geologia dell’Università di Firenze. Lasciamo la parola a lui stesso: “Nella primavera del 1888 il dottor G. Ristori si recava nel Monte Pisano ne’ dintorni di S. Maria del Giudice e qui avea notizia di una materia carboniosa, la quale serviva ai pittori di stanza nei dintorni per tingere di nero e qualche volta a’ fabbri ferrai per bruciare... Perciò nel luglio del 1889, io e il dottor Ristori movemmo da Firenze e ci recammo sui luoghi... giunti quasi al piano della valle verso il Borgo, circa 60 passi sopra la Traina, piccolo podere di proprietà di un certo Stefani, in mezzo al viottolo vidi un pezzo di schisto arenaceo con una impronta di felce. Fu questo, con immensa nostra sorpresa e soddisfazione, il segnale della scoperta”. Col nome di “Traina” numerosi fossili carboniferi sono registrati al Museo Paleontologico di Firenze e anche al Museo di Calci. Ma dov’è questo posto, non registrato nelle carte? Con i colleghi del Museo, abbiamo rintracciato nei dintorni di S. Maria del Giudice un nipote di quello Stefani citato dal De Stefani, che ci ha mostrato la casetta del podere Traina e anche il viottolo della scoperta dei due studiosi fiorentini!
La storia delle ricerche sui Monti Pisani è piena di personaggi curiosi, talora stravaganti o misteriosi. Uno di questi è certamente Sigismondo de Bosniascki, nato a Cracovia il 31 marzo 1837, medico, patriota e fuoriuscito politico, che si era ritirato sul Monte Castellare, sopra San Giuliano, dove intorno al 1873 aveva costruito, insieme all’affascinante contessa russa Elisa di Rulikowski, letterata e poetessa, una sontuosa villa, oggi in rovina.
De Bosniascki, paleontologo dilettante e socio della Società Toscana di Scienze Naturali fino al 1916, raccolse una grande collezione di fossili vegetali carboniferi del Monte Pisano, aiutato in questo da diversi raccoglitori, tra cui quello Stefani che abbiamo già visto prima. La collezione fu venduta dai suoi eredi all’Università di Pisa nel 1932 e quello che ne resta dopo le distruzioni belliche è conservato nel nostro Museo.
De Bosniascki e De Stefani si contendevano i fossili carboniferi, l’uno per la sua collezione, l’altro per il Museo Paleontologico di Firenze. I contadini della Valle del Guappero, che cercavano fossili per rivenderli ai due studiosi, risolsero il problema con una brillante quanto semplice soluzione: ogni volta che, aprendo uno scisto, trovavano impronta e contro-impronta dello stesso fossile, vendevano l’una al fiorentino e l’altra al polacco. Per evitare problemi, fornivano anche due provenienze diverse, l’una, ad esempio, “Traína” e l’altra “Colletto” (sappiamo ora che in realtà si tratta della stessa zona). Di questo ci siamo accorti confrontando i pezzi di Firenze (raccolti da De Stefani e Ristori) con quelli che restano della Collezione de Bosniascki.
La datazione del Verrucano restò comunque un problema aperto: infinite dispute si protrassero per tutto l’800 e la prima metà del 900. Con le scarse conoscenze generali che si avevano nell’800 e poi con la chiusura provinciale della cultura geologica italiana tra le due guerre, i geologi non riuscivano a risolvere i problemi che la datazione di almeno una parte del Verrucano al Trias creava nel confronto tra i Monti Pisani e le Apuane. Quello che ne fece una fissazione per tutta la durata delle sue ricerche (dal 1894 al 1941) fu il Fucini, che arrivò al punto di “truccare” con stucchi e lacche (per farli sembrare più recenti, cioè cretacei) i fossili triassici del Verrucano, raccolti durante il taglio della strada Tobler tra Agnano e il Terminetto ed ora conservati al Museo di Calci.
Fino a tarda età, Fucini batté i Monti Pisani alla ricerca di campioni di roccia che potessero confermare le sue idee, sui quali nel 1936 pubblicò a sue spese due volumi emblematicamente intitolati Problematica Verrucana. L’ultimo lavoro del Fucini è del 1941 e porta il titolo significativo di Ultime e definitive parole sopra l’età del Verrucano tipico della Toscana. Ma l’epitaffio Fucini se l’era già scritto da solo, nel primo volume della Problematica: “Purtroppo la mia tarda età non mi consentirà, come vorrei, di intensificare da me stesso le ricerche sul M. Pisano... Chiedo ad ogni buon fine larga venia per le molte incertezze manifestate e sopra tutto se, nel cercare la spiegazione di tanti esseri astrusi, anche con la migliore buona volontà, la fantasia e l’immaginazione mi avranno indotto ad incappare, talora o di frequente, in involontari gravi o magari colossali errori”, aggiungendo a queste parole una significativa citazione dall’Orlando Furioso: “Gli è come una gran selva, ove la via conviene a forza, a chi vi va, fallire”.
Ariosto traccia l’immagine della mania amorosa di Orlando per Angelica come uno sperdimento nel labirinto d’una selva, il teatro naturale delle imprese cavalleresche; per il Fucini, il teatro della sua vita sono stati i boschi dei Monti Pisani e la sua impresa cavalleresca, ma anche la sua disperata mania, è stato il vano tentativo di dimostrare l’età cretacea del Verrucano…
Le parole del Fucini e la citazione ariostesca suonano come la fine un po’ mesta di un’epoca, quella che potremmo chiamare “la fase eroica” dell’esplorazione geologica dei Monti Pisani.
Le cose stavano ancora più o meno così negli anni ’50, quando Livio Trevisan, professore di Geologia a Pisa dal 1940, riprese in mano il problema con un metodo del tutto nuovo e moderno: mentre i precedenti studiosi erano partiti dalla descrizione di quanto osservato sul terreno per poi dedurne spiegazioni e teorie, Trevisan partiva da un modello generale, faceva delle previsioni su quello che si sarebbe dovuto vedere sul terreno e poi andava a cercarne conferma, validando così il modello… Forse vale la pena di osservare che in quelli stessi anni la geologia, ancora essenzialmente “esplicativa” fino alla metà del ‘900, si stava avviando ad entrare nel novero delle scienze predittive, divenendo a tutti gli effetti una moderna scienza sperimentale. Il lavoro di Trevisan sul Verrucano (Il Trias della Toscana e il problema del Verrucano triassico, del 1955) precede di appena 8 anni il famosissimo articolo su Nature di F.J. Vine e D.H. Matthew nel quale si sarebbero poste le basi della moderna “Tettonica della placche”!
L’idea di Trevisan era semplice: alla sommità del Verrucano si trovano sedimenti marini del Trias, al di sotto c’è il Carbonifero: mancano in mezzo quasi 100 Milioni di anni, durante i quali si è avuto lo smantellamento di una precedente catena di montagne. Quando è ricominciata la sedimentazione (nel Trias), i primi sedimenti si devono essere formati ai piedi di queste montagne e devono quindi esser stati depositi ciottolosi, come oggi si vedono allo sbocco delle valli. Il Verrucano della Verruca, quello delle macine da frantoio, corrisponde a questo ciottolame; poi si passa gradualmente a depositi costieri e marini...
Sull’intuizione di Trevisan mi misi a lavorare negli anni ’60, prima da solo, poi con Antonio Rau, dopo aver anche organizzato, nel 1965, un convegno internazionale sul Verrucano a Pisa (con escursioni in Italia, Francia e Svizzera), seguito da un altro, nel ’69, in Austria. E si giunse così ad una nuova stratigrafia del Verrucano, al nuovo studio dei molluschi marini triassici, allo studio sedimentologico e paleoambientale e infine alla nuova carta geologica del Massiccio di Monte Serra del 1974.
Migliorare la carta, cambiarla in qualche parte, fare nuove ricerche e nuove scoperte, tocca ad altri ormai e so che ci stanno lavorando… Ma c’è un vecchio progetto del Museo cui mi piacerebbe collaborare: il “Percorso geologico attrezzato” sui Monti Pisani; la successione sedimentaria del Verrucano come un viaggio nel tempo dai monti al mare. Sarebbe come guardare l’inizio della frammentazione della Pangea, cioè il primo abbozzo della geografia moderna, dall’osservatorio particolare dei Monti Pisani...
Marco Tongiorgi
conservatore onorario del Museodi Storia Naturale e del Territorio
marcoanna2003@libero.it