Numero 16 - Editoriale
Giugno 2006
Il mondo corre alla velocità del jet in una vertigine di fatti e avvenimenti di cui siamo tempestivamente informati dai monitor di televisioni e computer. Con gli occhi fissi su queste scatole dei sogni siamo portati a credere che tutto sia sotto controllo, e il ministro dei temporali e dei cataclismi si sentirà autorizzato ad annunciare sul canale satellitare che non ci sono motivi di preoccupazione, perché tutto, ma proprio tutto, è costantemente “monitorato”. Sarà, ma non ci sentiamo per niente tranquilli; il cruscante che è in noi si rivolta di fronte a un neologismo tanto brutto. Monitor è parola latina, non inglese, e vuol dire “il consigliere”, non “il controllore”. E allora ci lasciamo consigliare dagli amici del Museo di Calci, che hanno allestito una bellissima esposizione per ricordarci che il mondo in realtà non si è mai sognato di correre, ed ha sempre ignorato tutti i nostri affanni. La nuova sezione del Museo, dedicata alla storia del territorio dei Monti Pisani negli ultimi cinquecento milioni di anni, è stata intitolata “Ritorno al Passato”, con evidente allusione alla romanzesca macchina del tempo di H. G. Wells. Ad essere puntigliosi ci sarebbe da eccepire nella scelta del titolo, perché, a ben vedere, l’allestimento ci parla di un passato che non abbiamo mai conosciuto, neanche come specie; è vero però che lo abbiamo frequentato tante volte con l’immaginazione.
Un tempo non riuscivamo a pensarlo così remoto, e neppure così vario nei sui lenti, ma incessanti cambiamenti. Il fatto è che non prestavamo attenzione ai segni del tempo. Preferivamo credere che i fossili nascosti nelle pieghe della terra fossero bizzarri scherzi della natura. La risposta, del resto, sembrava lì, a portata di mano, nel racconto della Genesi. Per Bossuet, precettore di Luigi XIV e autore di una famosa cronologia, tutto aveva avuto inizio circa 6000 anni fa. Altri erano ancora più precisi. Usher, un arcivescovo anglicano, ci fornì persino la data e l’ora: le nove del mattino del 23 ottobre del 4004 a.c. Il mondo ai suoi albori era perfetto, non conosceva asperità, ma poi la malizia dell’uomo aveva rovinato l’incanto, e quel che ne era rimasto, dopo che le acque del Diluvio si erano ritirate, era un ambiente devastato, un maestoso e irregolare accumulo di detriti. Poi vennero i primi dubbi. Il grande libro della terra sembrava raccontare tutta un’altra storia, molto più antica della storia dell’uomo. Difficile dire di quanto, perché, come fu fatto notare, a memoria di rosa non è mai morto il giardiniere. E allora, messa da parte la Bibbia, si cominciò a pensare che la chiave di quell’antico passato fosse nel presente. Charles Lyell pubblicò i suoi Principles of Geology nel 1830, rendendo di senso comune un’idea semplicissima, e rivoluzionaria: le leggi naturali operarono nei tempi più remoti esattamente come operano oggi; non c’era bisogno di un intervento sovrannaturale per spiegarsi la conformazione della terra; bastava accordare al mondo un po’ più tempo di quanto non gli accordassero i teologi.
E allora, niente Diluvio? Niente cataclismi? Ma sì, anche quelli. Neppure il gradualista più arrabbiato avrebbe il coraggio di negare i molti eventi traumatici che hanno segnato la storia della terra, è solo che non c’è proprio più bisogno di pensare alla collera divina per farsene una ragione. In qualche caso basta mettere insieme un pool di economisti e ingegneri. Lo abbiamo letto non molto tempo fa sui giornali: in Cina è stata finalmente inaugurata la grande diga delle tre gole sul fiume Yangtze, la grande Muraglia del XXI secolo. Un territorio di dimensioni enormi è stato sommerso dalle acque, oltre un milione di contadini sono stati evacuati. L’unica, magra, consolazione, è che il governo cinese ha saputo organizzarsi un po’ meglio di Noé.
La Redazione