Enrico Fermi, fisico sperimentale
Avventurarsi in un percorso che tracci l’attività sperimentale di Enrico Fermi vuol dire incontrare numerose scoperte, invenzioni, misure, idee, molte delle quali hanno contribuito a caratterizzare il mondo come lo vediamo oggi, anche a distanza di decenni. E per un fisico che ha lasciato segni altrettanto indelebili in molti campi della fisica teorica, questo fatto è semplicemente straordinario. Non un’analisi per aree di ricerca omogenee, ma un semplice racconto, quasi una cronaca, un diario su oltre 30 anni di lavoro, credo che più di ogni altro metodo possa assicurare una sufficiente comprensione dell’eredità che Fermi ha lasciato alla Scienza e alla Società.
Fermi e ‘i conti (esercizi) alla Fermi’
Come divertente ed utile premessa, ecco un esempio di come Fermi insegnava ai suoi allievi, tra il serio ed il faceto, ad affrontare semplici ma difficoltosi problemi, quasi da uomo della strada; ma anche da scienziato, ottimo conoscitore della statistica!
“Quanti sono gli accordatori di pianoforte nell’area di Chicago?” (R.: 125)
Questo è un tipico esempio di ‘conti alla Fermi’, nel quale con semplici stime, senso critico, un po’ di logica e di buon senso, si arriva a stimare il valore di grandezze apparentemente non accessibili.
Vediamo come funziona nel caso degli ‘accordatori di pianoforti di Chicago (negli anni ‘50!)’: la zona di Chicago ha circa 5.000.000 di abitanti; in ogni casa, a Chicago, in media, vivono due persone; possiamo stimare, anche in base alla propria esperienza, che in una casa su venti vi sia un pianoforte; un pianoforte viene accordato in media una volta all’anno; il tempo per accordare un pianoforte è di circa due ore; un accordatore lavora setteotto ore al giorno, cinque giorni a settimana, e, forse, 45–50 settimane all’anno. Eseguendo semplici operazioni, si ottiene la risposta annunciata.
Questo approccio alle osservazioni sperimentali fatto con stime, anche approssimative, rappresenta un’originale costante nel lavoro di Fermi.
In molte occasioni, egli era solito stimare il risultato previsto per valutare se valeva la pena eseguire un certo esperimento. E, viceversa, decidere se un modello era sufficientemente buono, magari da migliorare, oppure era da respingere in base a delle misure, anche preliminari. Ed è un metodo che ha delle solide basi statistiche che permettono di prevederne il successo.
1920 – Pisa: Laboratorio del III anno di Fisica
Fermi, studente dell’Istituto di Fisica e allievo della Scuola Normale, inizia a frequentare il laboratorio di spettroscopia
assieme a Franco Rasetti e Nello Carrara. Le sue vaste ed esclusive conoscenze sulla fisica moderna, convincono il Direttore
professor Puccianti a lasciare liberi questi ‘ragazzi’ di frequentare il laboratorio.
Costruiscono rudimentali apparati sperimentali per esplorare il mondo atomico alla ricerca di risposte per validare o falsificare la nuova teoria, la Meccanica quantistica, proposta da Bohr e da Sommerfeld.
Erano questi i ‘ragazzi’ di Piazza Torricelli?
La Storia aveva in serbo un destino differente.
1922 – Pisa, tesi di laurea: diffrazione di raggi X
Nel marzo del ‘22, prepara la tesi di laurea, sperimentale, sulle immagini di diffrazione dei raggi X prodotte da cristalli
curvi. Lavoro pionieristico ma senza particolare originalità.
Dopo la discussione della tesi presso l’Università che gli conferisce la laurea in Fisica, discute una relazione per la Scuola Normale su argomenti di Astrofisica teorica (teoria delle probabilità applicata allo studio delle comete).
1924 – Roma, Leida: interazione ionizzante tra elettroni ed atomi.
Tra i molti argomenti che affronta in questo periodo, soprattutto di carattere teorico, costruisce un modello, per analogia
con l’interazione di un fotone con l’atomo che rimane ionizzato, sull’effetto ionizzante di elettroni energetici che urtano
con atomi: è la base del funzionamento dei rivelatori di particelle a gas, dal Geiger (1913) alle moderne Microgap Gas
Chamber (1998).
Fermi è pioniere in un campo al quale da Pisa arriveranno geniali innovazioni, negli anni Cinquanta, con il lavoro del professor Adriano Gozzini sui rivelatori di raggi cosmici.
E poi, ancora, negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, a Pisa verranno ideati nuovi, fondamentali strumenti, con lo sviluppo di rivelatori innovativi, utilizzati nei principali esperimenti di Fisica delle particelle: rivelatori a gas, tracciatori al silicio, calorimetri a liquido nobile.
1925 – Firenze: spettroscopia a microonde Viene chiamato a Firenze e vi ritrova l’amico Rasetti, con il quale comincia ad allestire un laboratorio per fare misure di spettroscopia molecolare utilizzando la radiazione e.m. nell’intervallo delle microonde.
Costruiscono bobine, rivelatori, circuiti elettrici, sempre dopo aver fatto dei conti, approssimativi, certo, ma in grado di portare ad apparati funzionanti.
1927 – Roma: laboratorio di spettroscopia
Arrivato all’Istituto di Fisica, a Roma, nel ‘26 e fino al ‘31, Fermi su incarico del direttore Corbino mette su un moderno
laboratorio di spettroscopia atomica e molecolare, basandosi sull’esperienza di Rasetti e di nuovi giovani che vengono
reclutati a questo scopo: Amaldi, Segrè, Pontecorvo.
1929 – Roma: laboratorio di via Panisperna
Fermi decide di abbandonare la Fisica atomica e dedica gli sforzi del suo gruppo allo studio del nucleo. Rasetti e Segrè
vanno ad acquisire esperienza sulle tecniche di rivelazione frequentando i migliori laboratori europei.
1931 – Roma: Congresso Internazionale di Fisica Nucleare
In questo Congresso si delineano le nuove linee di ricerca sperimentale nello studio del nucleo atomico. L’impulso decisivo
verrà con le scoperte del 1932 del neutrone (Chadwick) che rivoluzionano le ipotesi sul modello del nucleo dell’atomo:
non più elettroni e protoni, ma protoni e neutroni. Il nucleo diventa la nuova frontiera della ricerca in Fisica della materia.
1934 – Roma: studi sulla radioattività artificiale
Con la scoperta della radioattività artificiale indotta da particelle alfa (carica ++) fatta nel gennaio del ‘34 da Irene Curie e
Frederic Joliot, si apre la sperimentazione sulla stabilità del nucleo. Fermi, Rasetti e il loro gruppo decidono di cambiare
tecnica: utilizzeranno neutroni che possono avvicinarsi al nucleo senza dover incontrare la repulsione coulombiana che
invece limita l’utilizzo di particelle alfa. Costruiscono una camera a nebbia, diffrattometri per raggi gamma e contatori
Geiger–Mueller per potenziare il loro laboratorio. È un clamoroso successo: nel giro di alcuni mesi vengono sottoposti a
bombardamento con neutroni tutti gli elementi della scala di Mendeleev, e verranno prodotti oltre la metà degli isotopi
radioattivi scoperti nel mondo.
Nell’estate del ‘34 conclusero il loro lavoro bombardando il torio (90) e l’uranio (92), ultimo elemento conosciuto. Osservarono ancora radioattività che fu spiegata, pur con molti dubbi, con la creazione di nuovi elementi della scala, detti ‘transuranici’. Fermi non ne era convinto; ma la notizia trapelò diffondendosi nel mondo, dove in altri laboratori fu confermata: esperio ed ausonio (dai nomi di antiche popolazioni italiche), se vennero accolti come una grande novità, per Fermi rappresentarono un cruccio in quanto non fu mai sicuro della interpretazione dei risultati sperimentali.
In realtà avevano scoperto la fissione dell’uranio indotta da neutroni con 4–5 anni di anticipo. Ma non se ne accorsero.
1934. 20 ottobre – Roma, via Panisperna
Fermi si accorge degli strani risultati che si ottengono dal bombardamento dell’argento con neutroni. Le misure sono instabili,
non si riescono a riprodurre, cambiano in continuazione. Sembra addirittura che esse dipendano dal supporto (tavolo di legno o di marmo!) sul quale viene posto l’apparato sperimentale. Ed in parte così è. La presenza di materiale ricco di nuclei leggeri, come l’idrogeno, rallenta i neutroni che ‘diventano più grandi’. È il 20 ottobre e Fermi fa la scoperta che lo
porterà al Premio Nobel.
Il 26 ottobre del 1935 viene presentata richiesta di brevetto a nome di tutti i membri del Gruppo.
«I neutroni, per urti multipli contro nuclei di idrogeno, perdono rapidamente la propria energia. È plausibile che la sezione d’urto neutrone–protone cresca al calare dell’energia e può quindi pensarsi che dopo alcuni urti i neutroni vengano a muoversi in modo analogo alle molecole diffondentisi in un gas, eventualmente riducendosi fino ad avere solo l’energia cinetica competente all’agitazione termica. Si formerebbe così intorno alla sorgente qualcosa di simile a una soluzione di neutroni nell’acqua o nella paraffina.»
1938 – Roma: richiesta di finanziamenti
Fermi, nella richiesta di finanziamenti che presenta alle autorità italiane, mette in evidenza due aspetti: uno tecnico, e cioè
la necessità di costruire nuovi acceleratori di particelle, come stavano facendo negli USA, allo scopo di avere a disposizione
fasci di neutroni più intensi, in quanto le sorgenti radioattive avevano dei limiti intrinseci (bassa intensità).
Il secondo riguarda le applicazioni della radioattività artificiale:
«Un altro importante campo di studi, per il quale si hanno già promettentissimi inizi, è l’applicazione di sostanze radioattive artificiali quali indicatori per l’analisi di reazioni chimiche.
Non meno importanti si prospettano le applicazioni nel campo biologico e medico. Tale importanza è stata riconosciuta in vari paesi nei quali le ricerche sulla radioattività artificiale sono largamente sovvenzionate da istituzioni mediche. Alcune applicazioni riguardano le sostituzioni delle sostanze radioattive a quelle naturali per gli usi terapeutici.»
Chi sa come si lavora in un moderno ospedale sa quale aiuto venga oggi dal sapiente utilizzo di sostanze radioattive, naturali e artificiali, nella diagnostica e nella terapia.
Enrico Fermi riceve il Premio Nobel a Stoccolma nel 1938
1938 – Stoccolma: la consegna del Nobel
Il 10 dicembre riceve il Premio Nobel, a 37 anni, ‘per la scoperta di numerosi elementi radioattivi e del meccanismo di
rallentamento dei neutroni’.
Da Stoccolma Fermi passa in Inghilterra e da lì si imbarca sulla Motonave Franconia; sta andando negli USA per un periodo di studio su invito della Columbia University. Sa bene che sta lasciando l’Italia per sempre. Ma sa anche che ormai lascia ben poco. Il suo gruppo si è disperso, anche a seguito del clima razzista creato e alimentato dal governo in Italia, che gli ha anche negato i mezzi per proseguire le sue ricerche.
1939 – New York: laboratorio della Columbia University
Appena arrivato a New York, Fermi inizia subito a lavorare nei laboratori della Columbia con Leo Szilard allo studio della fissione dell’uranio, come era stato osservato per la prima volta a Berlino da Otto Hahn e Fritz Strassmann (e correttamente interpretato da Lise Meitner, esule in Inghilterra), studio pubblicato proprio mentre Fermi era in viaggio verso l’America. Il 25 gennaio osservava per la prima
volta i risultati della fissione provocata da neutroni lenti. Si trattava ora di costruire un modello che prevedesse quantitativamente
i risultati degli esperimenti. Fermi ha l’intuizione che nello sconvolgimento del nucleo seguito alla fissione si possa
liberare uno o più neutroni e che questi possano essere usati per indurre la fissione di altri nuclei.
È l’idea base della pila atomica e della bomba A.
1942 – Chicago: la prima pila atomica “Il navigatore italiano è appena sbarcato nel nuovo mondo” Arthur Compton.
Nel laboratorio allestito sotto le tribune dello stadio di Chicago, in mezzo alla città, Fermi ha condotto in porto la realizzazione della prima pila atomica: ha liberato una parte dell’energia racchiusa nel nucleo dell’uranio. Ma ha anche prodotto Plutonio 239, necessario per produrre un secondo tipo di bomba A.
Nel periodo di Los Alamos, Fermi dirige il Dipartimento F (F per Fermi!), creato ad hoc per dare un supporto a tutti gli altri gruppi di ricerca nei vari settori. Fin dal primo momento, Fermi utilizzò la pila come sorgente di neutroni molto intensa per studi di purezza della grafite, necessaria come assorbitore.
Anche in un problema tecnico come quello di scegliere il sistema di raffreddamento per il reattore di potenza utilizzato per produrre plutonio, Fermi suggerì il sistema che poi venne scelto, sostenendo i suoi argomenti con calcoli approssimati, e tuttavia, corretti e convincenti: raffreddamento ad acqua, rispetto a quello a elio gassoso proposto dagli ingegneri o a bismuto fuso, proposto da Szilard.
1943 – 1944 - Argonne: studi di fisica dello stato solido
Nei due anni successivi, Fermi utilizzò la fonte di neutroni per studiare il loro comportamento nell’interazione con la
materia: dalle prime osservazioni della riflessione e diffrazione di neutroni nasce un nuovo campo di ricerca, l’ottica neutronica.
1944 – Hanford: primo reattore di potenza
Fermi fu chiamato ad assistere alla prima accensione, che avvenne con successo, anche se dopo alcune ore il reattore cominciò a ‘spegnersi’. Fermi ipotizzò la presenza di un ‘veleno’ che prodotto nella reazione, induceva una perdita di neutroni
portando alla inibizione della reazione a catena. Solo dopo molti giorni fu trovato un eccesso di Xenon–135 (vita media
9.4 ore) che aveva una elevata sezione d’urto per cattura dei neutroni. Realizzato un sistema di filtraggio, il problema fu
risolto.
1945, luglio – Alamogordo: prima esplosione atomica
Fermi assiste all’esplosione, e riesce a stimare il valore dell’energia liberata mediante l’osservazione dello spostamento
di pezzetti di carta lasciati cadere sul pavimento. Un’ora dopo, è tra coloro che si recano sul punto dell’esplosione a prelevare campioni di terreno per studiarne la radioattività creatasi a causa dell’esplosione nucleare.
1945, Agosto – Hiroshima e Nagasaki
Le prime esplosioni atomiche della storia, su centri densamente popolati, possono essere anche considerate drammaticamente due esperimenti dai quali sono state raccolte una sterminata quantità di informazioni. Soprattutto sugli effetti delle radiazioni ad alte dosi sull’uomo.
Per fortuna, sono state anche le ultime, forse anche per quanto si è potuto imparare da quei tragici avvenimenti.
1952-1954 – Chicago: gli ultimi studi
Come sempre, attratto da strumenti nuovi, Fermi, dopo aver preso confidenza con i programmi di calcolo, utilizzando i primi
rudimentali e già rivoluzionari calcolatori elettronici, si dedica ad un problema originale: i sistemi fisici non lineari. Nel
1953 inizia il calcolo di come evolve un sistema (unidimensionale) di 64 particelle tra le quali si esercita una forza con una
componente non lineare. Problema che varrà ancora considerato ‘nuovo’ dopo venti, trent’anni.
Conclusione
Forse questa è l’ultima eredità di Fermi. Ancora una nuova frontiera, uno spiraglio verso l’ignoto, e tuttavia, intravista anche attraverso la sua capacità di fare i conti ‘alla Fermi’. O di farli eseguire alle nuove
macchine, i calcolatori elettronici.
Conti, stime che gli avevano permesso, nel 1923, a commento della nuova teoria di Einstein, la Relatività generale, di fare la seguente affermazione (August Kopff, Hoepli 1923): La relazione tra massa ed energia ci porta senz’altro a delle cifre grandiose. Per esempio, se si riuscisse a mettere in libertà l’energia contenuta in un grammo di materia si otterrebbe un’energia maggiore di quella sviluppata in tre anni dal lavoro continuo di un motore di mille cavalli (inutili i commenti). Si dirà con ragione che non appare possibile che, in un prossimo avvenire, si trovi il modo di mettere in libertà queste enormi quantità di energia, cosa del resto che non si può che augurarsi, perché l’esplosione di una così spaventosa quantità di energia avrebbe come primo effetto di ridurre in pezzi il fisico che avesse la disgrazia di trovare il modo di produrla.
Il giovane fisico Enrico Fermi aveva 22 anni.
Marco Maria Massai
Idocente di Laboratorio di Fisica
massai@pi.infn.it