L’Università di Pisa per il Giorno della Memoria
Il professore Fabrizio Franceschini dell’Università di Pisa sarà uno degli ospiti dello speciale di Radio3 della Rai che andrà in onda da Livorno sabato 27 gennaio in occasione del Giorno della Memoria. La trasmissione sarà trasmessa in diretta dal Teatro Goldoni dalle 20.30 alle 22.30 e condotta dal direttore di Radio3 Marino Sinibaldi. Sarà una serata ricca di testimonianze e riflessioni: insieme a Fabrizio Franceschini, linguista dell’Ateneo pisano, saranno sul palco i testimoni Aldo Liscia, Pierina Rossi, Edi Bueno, Gabriele Bedarida, il presidente della Comunità ebraica livornese Vittorio Mosseri, gli storici Lucia Frattarelli Fischer, Catia Sonetti, Gabriella Puntoni e il cantautore e scrittore Simone Lenzi.
“Nel mio intervento – racconta Franceschini – mi soffermerò in particolare sul Bagitto, una varietà linguistica giudeo-italiana tipica di Livorno e attestata dalla fine del XVIII secolo, il termine viene dallo spagnolo ‘hablar bajito’, cioè ‘parlare sottovoce, in modo celato’ a significare l’idea di un linguaggio segreto, una lingua che proprio per questa sua natura diventerà anche uno strumento di opposizione velata al fascismo oltre ad costituire una forte componente identitaria per la comunità ebraica livornese”.
Le celebrazioni dell’Ateneo pisano per il Giorno della Memoria continuano quindi con un altro appuntamento organizzato dal Centro di Studi Ebraici (CISE). Venerdì 2 febbraio alle 10 a Palazzo Matteucci (Piazza Torricelli 2, Pisa) la professoressa Elisa Guida presenterà il suo libro "La strada di casa. Il ritorno in Italia dei sopravvissuti alla Shoah". Ne discuteranno con l'autrice i professori Arturo Marzano, Guri Schwarz e la direttrice del CISE Alessandra Veronese. L'appuntamento fa parte delle celebrazioni cittadine organizzate dal Comune di Pisa di concerto con associazioni, enti, scuole e università: qui tutto il programma.
Il Giorno della Memoria di quest’anno coincide con l’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali nella tenuta di San Rossore a Pisa. Proprio negli giorni scorsi in Ateneo è stato presentato il programma delle iniziative "San Rossore 1938. Per ricordare l’80° anniversario della firma delle leggi razziali" che sarà organizzato il prossimo settembre e a cui è arrivato anche il sostegno di Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
“Desidero esprimervi tutto l'apprezzamento dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per le prestigiose ed efficaci iniziative che state predisponendo – ha scritto Noemi Di Segni in una lettera all’Ateneo - Uno sforzo condiviso, che mette al centro l'inestimabile contributo dell'università italiana alla crescita del paese e alla trasmissione di responsabilità e valori. Nella città in cui il re Vittorio Emanuele III avallò l'infamia delle Leggi razziste, un impegno accademico di altissimo livello per affermare principi che l'intero paese è chiamato a difendere senza tregua davanti a nuove inquietanti minacce”.
“Contro nuove forme e nostalgici razzisti e neofascisti come quelli cui ormai quotidianamente assistiamo - conclude quindi la presidente Di Segni - è fondamentale che le nostre eccellenze nel campo dell'educazione e della formazione mettano in campo le loro migliori professionalità. L'educazione è l'unica vera speranza che abbiamo per assicurare un futuro a questo paese. Vi sono per questo grata per l'esempio che state offendo a tutto il paese”.
Dopo il successo della raccolta di capitale, SleepActa presenta il nuovo prodotto “Dormi” studiato per le farmacie
SleepActa, spin-off dell’Università di Pisa, ha concluso con successo la raccolta di capitale su un portale autorizzato dalla Consob (starsup.it). Ha infatti raggiunto l’obiettivo di 200 mila euro grazie a 55 investitori privati che hanno investito in media 4 mila euro a testa. La società può così dedicarsi allo sviluppo commerciale del nuovo prodotto “Dormi”, un servizio di monitoraggio del sonno che, grazie all’utilizzo di comodi braccialetti sensorizzati, è ideato per chi soffre di insonnia ma preferisce andare in farmacia piuttosto che in ospedale. E la sperimentazione in questo caso parte proprio da Pisa: al momento il nuovo prodotto “Dormi” è in vendita in esclusiva nella Farmacia Raimo.
La tecnologia di SleepActa è incentrata su un algoritmo basato su reti neurali artificiali. La start up è così in grado di offrire un servizio di analisi del sonno e di refertazione automatica tramite activity tracker indossabili. I dati sono raccolti 24 ore su 24 grazie a dei semplici braccialetti usati dagli appassionati di fitness. Il medico o il farmacista di riferimento devono solo abbinare il braccialetto del paziente a un computer e dopo una settimana inviare i dati a SleepActa e ottenendo così il referto via email in pochi minuti.
“Abbiamo rivoluzionato un vecchio esame, l’actigrafico, aggiornandolo al 2018 – dichiara Ugo Faraguna professore dell’Ateneo pisano e l’amministratore unico di SleepActa - la metodologia che proponiamo ha molti vantaggi: non è invasiva, consente al paziente di utilizzare il braccialetto che possiede e rende più veloce l’inquadramento da parte del medico e, con Dormi, del farmacista”.
“Stiamo preparando una rete capillare di farmacie con l’obiettivo di essere presenti con ‘Dormi’ in tutto il territorio nazionale e a breve in terra straniera – conclude Faraguna - Al momento il prodotto è in vendita in esclusiva a Pisa, ma stiamo registrando ovunque un grande interesse. Nelle farmacie convenzionate sarà disponibile una lista di specialisti accreditati, che consentiranno di accedere a un percorso diagnostico e terapeutico grazie al coinvolgimento di una rete di medici del sonno esperti nel trattamento dell’insonnia e altri disturbi del sonno”.
La soluzione semplice, non invasiva e veloce di SleepActa è fondamentale per poter inquadrare correttamente i disturbi del sonno sempre più diffusi tra la popolazione. In Italia 8 milioni di persone soffrono di insonnia e il 93% non si è mai rivolto a un medico. Eppure gli italiani spendono ogni anno mezzo miliardo di euro per l’acquisto di sonniferi. Nel 66% dei casi l’insonnia si protrae per oltre un anno e il 70% delle persone assume sonniferi senza controllo medico da almeno 2 anni. Il 67% delle persone che soffrono di insonnia ha una bassa qualità della vita e i colpi di sonno alla guida causano mille morti e 120 mila feriti l’anno.
SleepActa presenta il nuovo prodotto “Dormi” studiato per le farmacie
SleepActa, spin-off dell’Università di Pisa, ha concluso con successo la raccolta di capitale su un portale autorizzato dalla Consob (starsup.it). Ha infatti raggiunto l’obiettivo di 200 mila euro grazie a 55 investitori privati che hanno investito in media 4 mila euro a testa. La società può così dedicarsi allo sviluppo commerciale del nuovo prodotto “Dormi”, un servizio di monitoraggio del sonno che, grazie all’utilizzo di comodi braccialetti sensorizzati, è ideato per chi soffre di insonnia ma preferisce andare in farmacia piuttosto che in ospedale. E la sperimentazione in questo caso parte proprio da Pisa: al momento “Dormi” è disponibile in esclusiva nella Farmacia Raimo.
La tecnologia di SleepActa è incentrata su un algoritmo basato su reti neurali artificiali. La start up è così in grado di offrire un servizio di analisi del sonno e di refertazione automatica tramite activity tracker indossabili. I dati sono raccolti 24 ore su 24 grazie a dei semplici braccialetti usati dagli appassionati di fitness. Il medico o il farmacista di riferimento devono solo abbinare il braccialetto del paziente a un computer e dopo una settimana inviare i dati a SleepActa e ottenendo così il referto via email in pochi minuti.
“Abbiamo rivoluzionato un vecchio esame, l’actigrafico, aggiornandolo al 2018 – dichiara Ugo Faraguna (foto sopra) professore dell’Ateneo pisano e l’amministratore unico di SleepActa - la metodologia che proponiamo ha molti vantaggi: non è invasiva, consente al paziente di utilizzare il braccialetto che possiede e rende più veloce l’inquadramento da parte del medico e, con Dormi, del farmacista”.
“Stiamo preparando una rete capillare di farmacie con l’obiettivo di essere presenti con ‘Dormi’ in tutto il territorio nazionale e a breve in terra straniera – conclude Faraguna - Al momento il prodotto è in vendita in esclusiva a Pisa, ma stiamo registrando ovunque un grande interesse. Nelle farmacie convenzionate sarà disponibile una lista di specialisti accreditati, che consentiranno di accedere a un percorso diagnostico e terapeutico grazie al coinvolgimento di una rete di medici del sonno esperti nel trattamento dell’insonnia e altri disturbi del sonno”.
La soluzione semplice, non invasiva e veloce di SleepActa è fondamentale per poter inquadrare correttamente i disturbi del sonno sempre più diffusi tra la popolazione. In Italia 8 milioni di persone soffrono di insonnia e il 93% non si è mai rivolto a un medico. Eppure gli italiani spendono ogni anno mezzo miliardo di euro per l’acquisto di sonniferi. Nel 66% dei casi l’insonnia si protrae per oltre un anno e il 70% delle persone assume sonniferi senza controllo medico da almeno 2 anni. Il 67% delle persone che soffrono di insonnia ha una bassa qualità della vita e i colpi di sonno alla guida causano mille morti e 120 mila feriti l’anno.
«Pensare l’Ottocento», in ricordo della professoressa Regina Pozzi
Alcuni giorni fa è scomparsa la professoressa Regina Pozzi, a lungo docente di Storia moderna all’Università di Pisa. Nata nel 1940 a Valenza, in provincia di Alessandra, la professoressa Pozzi si era laureata all’Università di Pisa come allieva della Scuola Normale, iniziando la sua carriera accademica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Ateneo pisano nel 1980. È stata direttore del dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea dal 1987 al 1990 e dal 1995 al 1998. Dal 2006 era in pensione.
Per ricordare la sua figura, pubblichiamo qui di seguito l’introduzione al volume «Pensare l’Ottocento» (Pisa University Press, 2012), a firma della professoressa Cristina Cassina, ricercatrice di Storia delle discipline politiche al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere e sua allieva. Il libro rende omaggio alla lunga carriera negli studi della professoressa Pozzi e la sua “Introduzione” restituisce un ritratto esauriente del suo pensiero scientifico, i cui tratti distintivi, come - si legge qui di seguito - furono il “genio” e l’“audacia”.
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«Per Regina Pozzi» recita il sottotitolo. Si allude, così, in punta di piedi, quasi sottovoce, alla ragione da cui muove questo volume, “pensato” per rendere omaggio alla studiosa che invita a «Pensare l’Ottocento». Un gioco di parole e un gioco di azione-reazione: riflettere sul laboratorio del diciannovesimo secolo, oggi, vuol dire riflettere anche sulla sua produzione scientifica. Che difatti è al cuore di questo volume nato, a sua volta, in due tempi. Il primo ci riporta al 18 febbraio 2010: a una giornata, organizzata a Pisa, per salutare l’attività di Regina Pozzi come docente universitaria. Molti saggi qui raccolti sono stati presentati quel giorno. Altri sono giunti in un secondo momento: ad allargare l’orizzonte dei problemi, certo, ma anche per tentare di superare un limite comune a tante iniziative editoriali nate con il medesimo intento.
I libri concepiti per rendere omaggio a una lunga carriera negli studi, voglio dire, nascono quasi sempre con un difetto: sono un poco claudicanti perché il più delle volte lacunosi. E il presente volume non fa eccezione. Pur affrontando tante questioni, esso non riesce a rendere conto di tutte le linee di ricerca aperte da Regina Pozzi. Il problema, per fortuna, ha due facce: se molte sono le domande e ancor più gli interessi, è forse possibile racchiudere tutto in un volume? Insomma, la studiosa a cui questi studi e queste ricerche sono dedicati di un tale limite non deve affatto rammaricarsi.
Così come non me ne vorrà se, invece di ricostruire cronologicamente la biografia accademica, procederò in modo disordinato e partirò da uno spunto che, se venisse dalla sua penna, potrebbe dirsi di ego-histoire: da un rilievo sul nome.
Un nome importante e molto impegnativo: Regina. non a caso i compagni di studi preferirono chiamarla Ginetta, come nel suo ambito familiare e d’origine, e così hanno continuato. Poi, con il tempo, parallelamente allo sviluppo della carriera, il nome ha ritrovato una dimensione “normale”, più consona e proporzionata al nuovo ruolo assunto in campo professionale.
Questi due modi di rivolgersi a lei ancor oggi coesistono. Lo si è visto nella giornata del 18 febbraio. Se torno con il pensiero a chi ha portato i saluti delle istituzioni (Alfonso Maurizio Iacono e Giuseppe Petralia, Salvatore Settis e Daniele Menozzi); a chi ha presieduto le sessioni (Claudio Pavone e Adriano Prosperi); ai relatori (Michele Battini, Luca Scuccimarra, Cristina Cassina, Girolamo Imbruglia, Franco Sbarberi, Pier Paolo Portinaro, Mauro Moretti, Françoise Mélonio, Lucien Jaume); e soprattutto ai molti presenti, tra cui tanti colleghi venuti anche da parecchio lontano, ciò che subito salta all’occhio è la presenza di più generazioni. Così, quel giorno, per gli uni era Ginetta, per gli altri Regina; non è un caso se anche nei saggi qui raccolti i due diversi modi ritornano. Aggiungo che io l’ho conosciuta nella seconda fase della sua carriera e, per me, è sempre stata Regina.
Anche i luoghi che hanno ospitato quella giornata molto ci dicono sul suo percorso. La prima parte presso il dipartimento di Storia, dove Regina Pozzi era entrata nel 1968 come assistente di ruolo. Nel 1980, il passaggio a professore ordinario. Nell’Istituto, poi dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea, poi dipartimento di Storia, ha svolto la maggior parte della sua attività didattica e scientifica: ha tenuto corsi di «Storia moderna» e di «Storia della Francia», di «Storia della storiografia contemporanea» e di «Storia contemporanea»; ha coordinato progetti di ricerca locali e nazionali, con il contributo finanziario dell’Ateneo, del CNR, del Ministero per l’Università e la Ricerca Scientifica. Per due volte è stata chiamata alla direzione del dipartimento, un ruolo che ha ricoperto nel triennio 1987-90 e poi dal 1994 al 1997.
La seconda parte della giornata, nella sala degli Stemmi della Scuola normale Superiore, ci porta ancora più indietro. Dopo gli studi al liceo classico di Alessandria, Regina Pozzi si trasferisce a Pisa, dove aveva vinto il concorso come allieva della classe di Lettere. Più che i singoli passaggi del corsum studiorum è utile ricordare chi furono, alla Facoltà di Lettere e Filosofia e alla Scuola normale, i suoi maestri “pisani”: Nicola Badaloni, Ottorino Bertolini, Delio Cantimori, Emilio Gabba, Arsenio Frugoni, Giovanni Miccoli, Ettore Passerin d’Entrèves, Guido Quazza, Carlo Ludovico Ragghianti, Luigi Russo. E tra tutti, Armando Saitta, a sua volta allievo di Gentile e Cantimori, il relatore della sua tesi di laurea e del diploma di perfezionamento in Normale.
Dipartimento di Storia e Scuola Normale Superiore: per chi non conoscesse Pisa, queste istituzioni distano poche centinaia di metri. Dunque una breve porzione di spazio che però, nel caso di Regina Pozzi, racchiude un bel tratto della sua carriera scientifica. La quale, per quanto attiene ai luoghi, abbraccia anche lunghi periodi trascorsi a Parigi: prima, come studentessa e perfezionanda, anche grazie alle opportunità offerte dalla Scuola Normale; poi, più volte, in qualità di professore invitato presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales. Dopo tanta Pisa, e tanta Parigi, una lunga parentesi istituzionale romana: presso il prestigioso Centro Interdisciplinare «Beniamino Segre» dell’Accademia nazionale dei Lincei, dove Regina Pozzi è stata chiamata nel triennio 1990-1993.
Questa tessitura di rapporti, di scambi e di esperienze, umane e culturali, si è ri essa nell’occasione del 18 febbraio. Che ha riunito, per Regina, studiosi provenienti dalle università di Parigi, Torino, Siena, Macerata, Napoli e, naturalmente, Pisa. Per dare conto del suo lavoro, hanno preso la parola francesi e italiani, studiosi di storia moderna e di storia contemporanea, di storia del pensiero politico e di storia della storiografia. Quasi a ricordare, di contro alla tendenza a uniformare le strutture della ricerca (tendenza, questa, che, contrariamente al secolo a cui Regina più si è consacrata, si potrebbe a ragione dire “stupida”), come e quanto sia invece fecondo, se non necessario, il dialogo tra diversi ambiti disciplinari.
Venendo al volume, ho detto che gran parte dei saggi sono stati presentati nel corso della giornata a lei dedicata. I primi due, che formano una sezione a sé, si confrontano con il tema delle sue domande storiografiche, delle scelte da lei compiute, di un modo tutto suo di guardare al lungo ottocento: mi riferisco ai lavori di Michele Battini, che a lungo dialoga con Regina attraverso il variegato prisma delle culture post-illuministiche; e di Françoise Mélonio, autrice di uno schizzo sintetico, penetrante e intuitivo. Nella seconda sezione sono invece raccolti contributi che si soffermano su nodi specifici dei suoi interessi. Tutti affrontano, in modo diretto o indiretto, uno o più cantieri aperti dalle sue molteplici ricerche. Ma forse è il caso di dire di più: tornano a lavorare i temi – antipolitica, scientismo, la nuova storia, il pensiero della decadenza, i molti volti e i mille dilemmi del liberalismo – e soprattutto gli autori a lei più cari, nel senso che maggiormente l’hanno sollecitata nel suo percorso: in particolare Guizot, Tocqueville, Taine, Renan.
Sarebbe riduttivo rendere conto del contenuto e del significato di questi saggi. Ancor più difficile entrare nei vuoti e nelle assenze di cui dicevo in apertura. Mi viene in mente, tra quelle macroscopiche, l’assenza di Thierry e della questione del pensiero razziale (a parte un breve richiamo nel lavoro di Battini); soprattutto il discorso, complesso, articolato, ripreso in più momenti e sotto varie forme (“regina”, tra queste, la recensione), sulla rivoluzione francese. La bibliografia che segue, forse non del tutto completa, è utile per orientarsi anche in questa parte della sua produzione.
Torno allora al suo modo di lavorare. Non intendo però pronunciarmi sul metodo storiografico di Regina Pozzi. Prendendomi un certo rischio, ho invece da proporre una notazione non del tutto estranea all’ordine, per così dire, morale (non saprei in quale altro modo definirlo). Se guardo al suo percorso scientifico, vedo brillare anche una punta di audacia (non d’imprudenza). Perché, inutile negarlo, ce n’è voluta una bella dose per andare a sollevare i veli della storia politica alla fine degli anni Settanta. Sì, certo, l’acuto sguardo dell’osservatrice straniera, Françoise Mélonio, rileva che gli studi politici nel nostro paese vantavano, allora, una tradizione più consolidata. Ma è necessario aggiungere che Regina Pozzi, quel velo, lo ha sollevato in tempi in cui anche da noi imperava quella che si definiva storia sociale. Ed è in quella particolare stagione che, da storica, attraverso ricerche di storia della storiografia, ha additato i nodi della politica ai colleghi della disciplina. Ha perorato una causa che, in quel momento, non sembrava certo vincente. Una certa audacia occorre pure per resistere a certi imperativi accademici: le pubblicazioni mostrano che più che la quantità, venuta poi a ruota, Regina ha perseguito la qualità e, in questa, lo scavo profondo; del resto, il suo frequente ritorno a certi autori, interrogati ogni volta da prospettive nuove e diverse, così come la messa a tema di categorie e concetti particolarmente pregnanti, risponde e – in qualche modo – enuncia un preciso progetto culturale, coltivato con perspicacia e infaticabile curiosità. Così come, nel confronto scientifico, non si è certo tirata indietro quando c’era da battagliare; ne ricordo bene un esempio, a un colloquio a Cérisy, in Francia: ripensandoci, c’è voluto un coraggio da leonessa a suggerire tratti proto-fascisti nel pensiero di Auguste Comte nel corso di un’importante riunione di appassionati “comtisti”.
«L’audacia» scrisse Goethe «ha del genio, del potere, della magia». A me sembra che nel percorso scientifico di Regina Pozzi queste cose ci siano tutte. Dell’audacia ho già detto. Del genio può offrire un’idea, certo molto parziale, anche questo volume; più che oggi, però, è questo un lato che si potrà valutare meglio nel tempo. Alle responsabilità del potere, intendo quello accademico, non si è sottratta; l’ha esercitato con intelligenza e fermezza fin dalla sua nomina, ancora molto giovane, a professore ordinario.
Quanto alla magia, che dire? Perché molte sono le forme che essa può assumere: quantomeno la forma della professione docente e quella di una prosa “intrigante”, ma anche quella che nasce da domande profonde, mai di moda, mai banali. Nel suo percorso, però, la magia è apparsa anche in altra veste. I testi – bellissimi – con cui Regina Pozzi si è confrontata nel corso del suo lavoro, sono infatti testi ricchi di insidie. Il tempo da lei studiato, non a caso, è anche detto il tempo dei profeti: è l’età degli “incantatori” e dei mages romantiques. Ebbene, alla magia di quelle seduzioni lei sa opporre la solidità di un lucido progetto intellettuale, qui riassunto nella formula «Pensare l’Ottocento». Sicché a me sembra che se hanno cantato, le sirene, di fronte a Regina hanno cantato invano.
Cristina Cassina
Selezione pubblica specifica, 1 posto cat. C, presso la Direzione Edilizia e Telecomunicazione, riservato ai soggetti disabili di cui alla legge n. 68-99 - scad. 19/02
Didattica e tecnologia
Dal 18 al 20 gennaio a Bologna si è svolto "Futura", un evento organizzato da Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) per fare il punto sui primi dueanni del Piano Nazionale Scuola Digitale e rilanciare le politiche per l’innovazione del sistema educativo. Fra i partecipanti ai lavori c'era anche Andriano Fabris, ordinario di Filosofia morale al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, che in questi anni è stato consulente del MIUR per il Piano Nazionale Scuola Digitale sul tema dell'etica delle tecnologie, con particolare riferimento al loro utilizzo in ambito didattico.
Pubblichiamo di seguito un suo breve intervento.
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In che modo l’utilizzo dei dispositivi tecnologici può contribuire all’apprendimento nel caso delle giovani generazioni? Lo può fare per tutte le discipline? Lo può fare qualunque sia l’età degli studenti? Sono domande che da tempo interessano non solo gli studiosi dell’educazione, ma anzitutto gli insegnanti.
Le risposte che a tali domande sono state fornite, in vari paesi del mondo, risultano talvolta diverse fra loro. Comune, però, è la consapevolezza che sia necessario affrontare il problema. Ecco perché il MIUR ha istituito un gruppo di lavoro che ha individuato alcune linee guida sull’argomento. Ho fatto parte di questo gruppo – composto da scienziati, filosofi, pedagogisti, insegnanti, ricercatori – e ho contribuito a redigere il “decalogo” che è stato presentato lo scorso fine settimana.
Di che cosa si tratta? Il punto di partenza è dato dalla constatazione che gli strumenti tecnologici non sono semplicemente dei mezzi di comunicazione, ma costituiscono le chiavi d’accesso a un ambiente che è caratterizzato da una grande attrattività, che incide in maniera profonda nelle vite degli studenti e che non può essere semplicemente rigettato o messo in concorrenza rispetto all’ambiente formativo. La competizione, infatti, sarebbe già perduta in partenza.
Perciò è necessario pensare a una didattica che includa, non già che escluda l’utilizzo dei devices tecnologici, e che se ne serva. Dev’essere perseguita cioè una vera e propria integrazione del loro uso nel contesto della formazione. La questione centrale, però, riguarda come dev’essere concepita e realizzata questa inclusione. Ci dev’essere infatti un punto di equilibrio tra le esigenze dell’apprendimento e le opportunità a cui danno accesso gli apparati tecnologici. Si tratta di opportunità che hanno di solito risvolti ludici o commerciali. L’apprendimento è certo altra cosa. Proprio perciò è necessario distinguere un uso pubblico e un uso personale degli strumenti digitali, e regolamentarli in maniera adeguata e condivisa.
Su questi punti il dibattito si sta oggi sviluppando. Ed è un bene: perché sarebbe non solo illusorio, ma proprio sbagliato, assumere nei confronti delle tecnologie un atteggiamento proibizionistico. Sarebbe come, di fronte all’esistenza di disturbi alimentari, costringere tutti al digiuno, invece che educare a corrette forme di nutrizione.
Adriano Fabris
"San Rossore 1938", a settembre una serie di iniziative per ricordare gli 80 anni dalla firma delle leggi razziali
Il 5 settembre del 1938, nella tenuta di San Rossore a Pisa, il re Vittorio Emanuele III appose la firma al primo provvedimento in difesa della razza: il “Regio decreto n. 1381 - Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Iniziò con questo atto la discriminazione delle persone di razza ebraica da parte dello Stato italiano, che nel giro di qualche anno portò alla persecuzione, alla deportazione e allo sterminio di quasi 8.000 ebrei (ai quali vanno aggiunti circa 2.000 deportati dai possedimenti), dei quali solo 826 riuscirono a sopravvivere.
Le università italiane furono coinvolte e, spesso, complici di questo processo. Solo nell'Ateneo di Pisa furono espulsi venti docenti e quasi trecento studenti e fu impedita l’iscrizione degli studenti ebrei negli anni successivi al 1938.
La consapevolezza di tutto ciò ha spinto l'Università di Pisa, insieme con la Scuola Normale Superiore e la Scuola Superiore Sant'Anna, a ricordare quel periodo oscuro con una serie di iniziative che si svolgeranno nel prossimo mese di settembre, nell'80° anniversario della firma delle leggi razziali a San Rossore, volte a trasferire memoria e consapevolezza di questo orrore alle generazioni a venire e a rendere omaggio e risarcimento alla memoria di coloro che ne furono vittime.
In prossimità del Giorno della Memoria del 27 gennaio, le tre istituzioni universitarie hanno illustrato il programma di massima degli appuntamenti, che stanno definendo in collaborazione con il Comune di Pisa, la Regione Toscana, le Comunità ebraiche nazionali e locali, il Provveditorato agli studi di Pisa, la RAI, l'Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (Istoreco) e la Fondazione Palazzo Blu. Alla presentazione, che si è tenuta lunedì 22 gennaio a Palazzo alla Giornata, sono intervenuti la prorettrice vicaria dell'Università di Pisa, Nicoletta De Francesco, e la delegata dell’Ateneo per la comunicazione e la diffusione della cultura, Sandra Lischi, il rettore della Scuola Superiore Sant'Anna, Pierdomenico Perata, la storica contemporanea Ilaria Pavan, in rappresentanza della Scuola Normale Superiore, il sindaco Marco Filippeschi, il presidente della Comunità ebraica pisana, Maurizio Gabbrielli, lo storico dell'Università di Pisa, Michele Battini.
Toccante e altamente significativa è stata poi la testimonianza di Guido Cava, presidente emerito della Comunità ebraica pisana, che oggi ha 88 anni e che nel settembre del 1938 aveva 8 anni. "Mio padre - ha ricordato - si presentò a casa e disse a me e mio fratello Enrico che dall'indomani non saremmo più potuti andare a scuola. Alle nostre domande, non seppe rispondere. Non poteva spiegare una cosa inspiegabile e borbottò solo 'perché non si può più'".
Il programma di iniziative su "San Rossore 1938. Per ricordare l’80° anniversario della firma delle leggi razziali", che è in attesa dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, si aprirà il 5 settembre con la Cerimonia del ricordo nei luoghi della firma a San Rossore e proseguirà secondo il calendario seguente:
Cerimonia del ricordo: Il 5 settembre nella tenuta di San Rossore.
Attività di divulgazione per gli studenti: Nell’Ateneo e nelle scuole del territorio attività d’incontro, confronto e divulgazione.
Mostra “Ebrei in Toscana XX e XXI secolo”: A cura di Istoreco e Scuola Normale Superiore in collaborazione con il Comune di Pisa http://www.istorecolivorno.it/mostre/ebrei-in-toscana-1915-2015
Convegno: “Tendenze e sviluppi della storiografia internazionale sull’antisemitismo e sulla Shoah”: Il 20 e 21 settembre Convegno internazionale con il contributo di storici da: Pisa, Torino, Chicago, Edinburgo, Cambridge, Gerusalemme, Providence, Parigi e altre.
Ciclo di film e spettacoli nella sede della mostra, in teatro e in strada sui temi dell’antisemitismo e della Shoah.
Ciclo di incontri con la cittadinanza: Varie sedi
Anche Internet Festival e il Festival della Robotica ospiteranno attività inerenti l’anniversario.
In ricordo degli studenti e dei docenti allontanati dall’università a causa delle leggi è prevista un’iniziativa specifica e la collocazione di testimonianze di memoria perenne.
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Note storiche e intenzioni degli organizzatori
In un luogo a due passi da noi – la tenuta di San Rossore - iniziò il calvario degli ebrei italiani. Fu lì, infatti, che il 5 settembre del 1938, Vittorio Emanuele III firmò il primo provvedimento in difesa della razza: “Regio decreto n. 1381 - Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Era la concretizzazione di un’intenzione annunciata già nel ‘37 da un libello di Paolo Orano, “Gli ebrei in Italia”, il primo atto di una campagna di discredito e falsità che comprese anche la ristampa e la diffusione di un testo, già noto come clamoroso falso storico: “I protocolli degli Savi Anziani di Sion”. Le leggi dovevano trovare il loro humus nel favore dell’opinione pubblica.
Il decreto di quella prima firma fu poi integrato con quello sulla scuola che promuoveva “la necessità assoluta e urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana” allontanando tutti i docenti e gli studenti ebrei. Dopo aver disegnato il profilo burocratico dell’appartenente alla razza ebraica, si vietarono matrimoni misti, si cancellarono gli ebrei dagli impieghi pubblici, dalle aziende partecipate, dall’esercito, dalle banche. Successivamente, sempre a San Rossore, altre firme, nel ‘39, nel ‘40, nel ‘42, in cui gli ebrei venivano, come in un crescendo, impediti dall’esercitare professioni, e si completò l’azione di spoliazione dei loro beni e immobili. La conseguenza estrema delle leggi di quegli anni furono la deportazione e lo sterminio.
Nel nostro paese (che vide nascere campi di concentramento e smistamento: Calvari, Bagno a Ripoli, Bagni di Lucca, Tonezza, Forlì, Fossoli, San Sabba), in nome di quelle leggi, furono organizzati rastrellamenti che talvolta culminarono in stragi sul posto, come sul lago Maggiore, 54 morti, o in deportazioni: dal cuneese, da Merano, dal ghetto di Roma dove, la comunità, dopo aver accettato l’imposizione di una taglia che fu consegnata, dall’alba al tramonto del 16 ottobre ‘43, subì il più organizzato rastrellamento mai visto con la deportazione di più di 1.000 persone. Come per un segno del destino, sempre a Pisa, si chiuse questa infame parentesi con uno degli atti più feroci e gratuiti che, nell’agosto del ‘44, vide l’eccidio di Giuseppe Pardo Roques e degli undici ospiti della sua abitazione in via Sant’Andrea. Tra gli ebrei italiani vittime dell’Olocausto 615 erano toscani.
Le università italiane furono coinvolte e, spesso, complici di tutto questo. Solo nel nostro Ateneo furono espulsi venti docenti e quasi trecento studenti e fu impedita l’iscrizione degli studenti ebrei negli anni successivi al ’38. Le iniziative che l’Ateneo, con la collaborazione della Scuola Normale e della Scuola Sant’Anna, intraprende oggi, sono anelli di una catena di messaggi fra la storia, la memoria e l’oggi. Si torna a Pisa 80 anni dopo non solo perché qui furono siglati i decreti, ma perché il sistema universitario pisano, nel campo, per molti aspetti, un’eccellenza internazionale, ritiene di dovere guidare un'azione di risarcimento coinvolgendo tutti gli atenei d'Italia, offrendo i risultati della ricerca internazionale sul tema e molte altre iniziative di divulgazioni per trasferire memoria e consapevolezza alle generazioni future.
Foto 1: da sinistra, Maurizio Gabbrielli, Marco Filippeschi, Guido Cava, Nicoletta De Francesco, Pierdomenico Perata, Ilaria Pavan, Sandra Lischi.
Foto 2: l’abbraccio tra la professoressa De Francesco e Guido Cava.
'San Rossore 1938', Pisa ricorda gli 80 anni dalla firma delle leggi razziali
Il 5 settembre del 1938, nella tenuta di San Rossore a Pisa, il re Vittorio Emanuele III appose la firma al primo provvedimento in difesa della razza: il “Regio decreto n. 1381 - Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Iniziò con questo atto la discriminazione delle persone di razza ebraica da parte dello Stato italiano, che nel giro di qualche anno portò alla persecuzione, alla deportazione e allo sterminio di quasi 8.000 ebrei (ai quali vanno aggiunti circa 2.000 deportati dai possedimenti), dei quali solo 826 riuscirono a sopravvivere. Le università italiane furono coinvolte e, spesso, complici di questo processo. Solo nell'Ateneo di Pisa furono espulsi venti docenti e quasi trecento studenti e fu impedita l’iscrizione degli studenti ebrei negli anni successivi al 1938.
La consapevolezza di tutto ciò ha spinto l'Università di Pisa, insieme con la Scuola Normale Superiore e la Scuola Superiore Sant'Anna, a ricordare quel periodo oscuro con una serie di iniziative che si svolgeranno nel prossimo mese di settembre, nell'80° anniversario della firma delle leggi razziali a San Rossore, volte a trasferire memoria e consapevolezza di questo orrore alle generazioni a venire e a rendere omaggio e risarcimento alla memoria di coloro che ne furono vittime.
In prossimità del Giorno della Memoria del 27 gennaio, le tre istituzioni universitarie hanno illustrato il programma di massima degli appuntamenti, che stanno definendo in collaborazione con il Comune di Pisa, la Regione Toscana, le Comunità ebraiche nazionali e locali, il Provveditorato agli studi di Pisa, la RAI, l'Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (Istoreco) di Livorno e la Fondazione Palazzo Blu. Alla presentazione, che si è tenuta lunedì 22 gennaio a Palazzo alla Giornata, sono intervenuti la prorettrice vicaria dell'Università di Pisa, Nicoletta De Francesco, e la delegata dell’Ateneo per la comunicazione e la diffusione della cultura, Sandra Lischi, il rettore della Scuola Superiore Sant'Anna, Pierdomenico Perata, la storica contemporanea Ilaria Pavan, in rappresentanza della Scuola Normale Superiore, il sindaco Marco Filippeschi, il presidente della Comunità ebraica pisana, Maurizio Gabbrielli, lo storico dell'Università di Pisa, Michele Battini.
Toccante e altamente significativa è stata poi la testimonianza di Guido Cava, presidente emerito della Comunità ebraica pisana, che oggi ha 88 anni e che nel settembre del 1938 aveva 8 anni. "Mio padre - ha ricordato - si presentò a casa e disse a me e mio fratello Enrico che dall'indomani non saremmo più potuti andare a scuola. Alle nostre domande, non seppe rispondere. Non poteva spiegare una cosa inspiegabile e borbottò solo 'perché non si può più'".
Il programma di iniziative su "San Rossore 1938. Per ricordare l’80° anniversario della firma delle leggi razziali", che è in attesa dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, si aprirà il 5 settembre con la Cerimonia del ricordo nei luoghi della firma a San Rossore e proseguirà secondo il calendario seguente:
Cerimonia del ricordo: Il 5 settembre nella tenuta di San Rossore.
Attività di divulgazione per gli studenti: Nell’Ateneo e nelle scuole del territorio attività d’incontro, confronto e divulgazione.
Mostra “Ebrei in Toscana XX e XXI secolo”: A cura di Istoreco Livorno e Scuola Normale Superiore in collaborazione con il Comune di Pisa.
Convegno: “Tendenze e sviluppi della storiografia internazionale sull’antisemitismo e sulla Shoah”: Il 20 e 21 settembre Convegno internazionale con il contributo di storici da: Pisa, Torino, Chicago, Edinburgo, Cambridge, Gerusalemme, Providence, Parigi e altre.
Ciclo di film e spettacoli nella sede della mostra, in teatro e in strada sui temi dell’antisemitismo e della Shoah.
Ciclo di incontri con la cittadinanza: Varie sedi
Anche l'Internet Festival e il Festival della Robotica ospiteranno attività inerenti l’anniversario.
In ricordo degli studenti e dei docenti allontanati dall’università a causa delle leggi è prevista un’iniziativa specifica e la collocazione di testimonianze di memoria perenne.
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Note storiche e intenzioni degli organizzatori
In un luogo a due passi da noi – la tenuta di San Rossore - iniziò il calvario degli ebrei italiani. Fu lì, infatti, che il 5 settembre del 1938, Vittorio Emanuele III firmò il primo provvedimento in difesa della razza: “Regio decreto n. 1381 - Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Era la concretizzazione di un’intenzione annunciata già nel ‘37 da un libello di Paolo Orano, “Gli ebrei in Italia”, il primo atto di una campagna di discredito e falsità che comprese anche la ristampa e la diffusione di un testo, già noto come clamoroso falso storico: “I protocolli degli Savi Anziani di Sion”. Le leggi dovevano trovare il loro humus nel favore dell’opinione pubblica.
Il decreto di quella prima firma fu poi integrato con quello sulla scuola che promuoveva “la necessità assoluta e urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana” allontanando tutti i docenti e gli studenti ebrei. Dopo aver disegnato il profilo burocratico dell’appartenente alla razza ebraica, si vietarono matrimoni misti, si cancellarono gli ebrei dagli impieghi pubblici, dalle aziende partecipate, dall’esercito, dalle banche. Successivamente, sempre a San Rossore, altre firme, nel ‘39, nel ‘40, nel ‘42, in cui gli ebrei venivano, come in un crescendo, impediti dall’esercitare professioni, e si completò l’azione di spoliazione dei loro beni e immobili. La conseguenza estrema delle leggi di quegli anni furono la deportazione e lo sterminio.
Nel nostro paese (che vide nascere campi di concentramento e smistamento: Calvari, Bagno a Ripoli, Bagni di Lucca, Tonezza, Forlì, Fossoli, San Sabba), in nome di quelle leggi, furono organizzati rastrellamenti che talvolta culminarono in stragi sul posto, come sul lago Maggiore, 54 morti, o in deportazioni: dal cuneese, da Merano, dal ghetto di Roma dove, la comunità, dopo aver accettato l’imposizione di una taglia che fu consegnata, dall’alba al tramonto del 16 ottobre ‘43, subì il più organizzato rastrellamento mai visto con la deportazione di più di 1.000 persone. Come per un segno del destino, sempre a Pisa, si chiuse questa infame parentesi con uno degli atti più feroci e gratuiti che, nell’agosto del ‘44, vide l’eccidio di Giuseppe Pardo Roques e degli undici ospiti della sua abitazione in via Sant’Andrea. Tra gli ebrei italiani vittime dell’Olocausto 615 erano toscani.
Le università italiane furono coinvolte e, spesso, complici di tutto questo. Solo nel nostro Ateneo furono espulsi venti docenti e quasi trecento studenti e fu impedita l’iscrizione degli studenti ebrei negli anni successivi al ’38. Le iniziative che l’Ateneo, con la collaborazione della Scuola Normale e della Scuola Sant’Anna, intraprende oggi, sono anelli di una catena di messaggi fra la storia, la memoria e l’oggi. Si torna a Pisa 80 anni dopo non solo perché qui furono siglati i decreti, ma perché il sistema universitario pisano, nel campo, per molti aspetti, un’eccellenza internazionale, ritiene di dovere guidare un'azione di risarcimento coinvolgendo tutti gli atenei d'Italia, offrendo i risultati della ricerca internazionale sul tema e molte altre iniziative di divulgazioni per trasferire memoria e consapevolezza alle generazioni future.
Foto in alto: da sinistra, Maurizio Gabbrielli, Marco Filippeschi, Guido Cava, Nicoletta De Francesco, Pierdomenico Perata, Ilaria Pavan, Sandra Lischi.
Foto in basso: l’abbraccio tra la professoressa Nicoletta De Francesco e Guido Cava.
INVITO STAMPA: Presentazione del programma di iniziative per ricordare l'80° anniversario della firma delle leggi razziali a San Rossore
In prossimità del Giorno della Memoria, l'Università di Pisa con la Scuola Normale Superiore e la Scuola Superiore Sant'Anna - in collaborazione con Comune di Pisa, Regione Toscana, Comunità ebraiche nazionali e locali, Provveditorato agli studi di Pisa, RAI, Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (Istoreco) e Fondazione Palazzo Blu - illustrano il programma di iniziative per ricordare, a settembre 2018, l'80° anniversario della firma delle leggi razziali a San Rossore.
Alla presentazione, che si terrà lunedì 22 gennaio alle ore 12,30 nella Sala dei Mappamondi del Palazzo alla Giornata, interverranno il rettore dell'Università di Pisa, Paolo Mancarella, il direttore della Scuola Normale Superiore, Vincenzo Barone, il rettore della Scuola Superiore Sant'Anna, Pierdomenico Perata, il sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, il presidente della Comunità ebraica pisana, Maurizio Gabbrielli, lo storico dell'Università di Pisa, Michele Battini.
Porterà la sua testimonianza Guido Cava, presidente emerito della Comunità ebraica pisana, che nel 1938 aveva otto anni.
Diritto di voto all'estero per studenti in mobilità internazionale
Si ricorda agli studenti coinvolti in programmi di mobilità che comportano la loro permanenza all’estero per un periodo superiore a 3 mesi (che includa la data della consultazione elettorale), che la legge 6 maggio 2015, n. 52, consente di esercitare il diritto di voto per corrispondenza. Questa possibilità è prevista anche per i loro familiari conviventi.
A tal fine, i suddetti elettori possono formulare al comune di iscrizione elettorale un’espressa opzione per il voto per corrispondenza nella circoscrizione Estero – (valida per un’unica consultazione) che deve pervenire al comune entro e non oltre il trentaduesimo giorno antecedente la data di svolgimento della consultazione, e cioè, nel caso delle elezioni politiche del 4 marzo, entro il 31 gennaio 2018 (art. 4 bis, comma 2, della legge n. 459/2001, modificato dall’art. 6, comma 2, della legge n. 165/2017).
Il modulo per l’espressione di tale opzione, recante le modalità di invio del modulo stesso è scaricabile al link
http://elezioni.interno.it/contenuti/report/Mod_Opzione_Voto_Elezioni_Politiche_2018_vers_07Accessibile.pdf