Cosa c’è in 1 kg di verdura di agricoltura sociale?
Cosa c'è in 1 kg di verdura di agricoltura sociale, prodotta cioè dal lavoro di persone a bassa contrattualità che compiono un percorso socio-riabilitativo tramite pratiche agricole e zootecniche? L'Università di Pisa, che dal 2009 promuove il progetto "Orti ETICI", ne ha fatto una stima precisa, calcolando che 1 kg di prodotto di agricoltura sociale biologica, venduto in modo diretto ai consumatori al prezzo di mercato di 1,70 euro, assicura un margine di 0,35 euro per il progetto e consente un risparmio per le famiglie che li acquistano di 0,70 euro al kg rispetto ai normali canali di mercato.
Questi dati provengono dal lavoro di Salvatore Griffo (nella foto a sinistra), 29 anni, originario di Bovalino Marina (RC), che ha discusso una tesi nel corso di laurea magistrale in Produzioni agroalimentari e gestione degli agroecosistemi dal titolo "La co-produzione di valore economico e sociale in agricoltura sociale: il caso Orti ETICI", con relatori i professori Gianuca Brunori e Francesco Paolo Di Iacovo, correlatore la dottoressa Funghi della Cooperativa Sociale Ponte Verde. La tesi ha evidenziato il contenuto economico e sociale dei prodotti di agricoltura sociale con dati semplici, che fanno però chiarezza sull'idea di coproduzione.
Dalla tesi emerge anche che al contenuto sociale se ne sommano altri: ogni kg di verdura di agricoltura sociale realizza 6 minuti di lavoro inclusivo, la cui efficacia è superiore di quella di altri progetti, portando spesso un risparmio nell'uso dei farmaci consumati e rendendo le persone da percettori di assistenza a produttori di reddito. Infine, dal punto di vista pubblico, un kg di verdura consente il risparmio di 0,74 euro di spesa pubblica, per l'incremento di efficacia degli esiti sulle persone, ma anche per la differenza tra il costo del progetto Orti etici e altre ipotesi consuete di intervento.
Da circa dieci anni, il gruppo di economia agraria dell'Ateneo pisano coordinato dal professor Francesco Paolo Di Iacovo svolge ricerca nazionale e internazionale sul tema (http://sofar.unipi.it e http://agricolturasocialeinnovativa.wordpress.com). Tra le azioni, anche la promozione di alcuni progetti concreti come quella di Orti ETICI (www.ortietici.it) che sperimenta dal 2009 pratiche di sussidiarietà e di coproduzione di valori sociali ed economici, in una prospettiva di economia civile.
"Orti ETICI è realizzato dall'Università di Pisa sui terreni condotti a San Piero, dal Centro di ricerca interdipartimentale E. Avanzi, in collaborazione innovativa con la Cooperativa Sociale Ponte Verde e con l'Azienda Agricola Bio-Colombini – spiega Di Iacovo - L'iniziativa promuove formazione e inclusione sociale e lavorativa per persone a bassa contrattualità inviate dai servizi per le tossicodipendenze, per l'esecuzione della pena all'esterno del carcere e dal distretto di salute mentale. Da quando è nato, in accordo con la Società della Salute Zona Pisana, il progetto Orti ETICI ha formato e incluso circa 50 persone assicurando, allo stesso tempo, la produzione di cibo fresco, locale, prodotto con tecniche biologiche".
Ne hanno parlato:
Repubblica Firenze
Tirreno Pisa
StampToscana.it
Controcampus.it
Una missione spaziale per gli studenti di Ingegneria
Si sono guadagnati un posto a bordo del razzo sonda che l'Agenzia Spaziale Europea (ESA) lancerà nello spazio a Kiruna, in Svezia, a marzo 2015, dove potranno montare il loro "termosifone spaziale" da testare in condizioni di assenza di gravità. Sono i componenti del team "PHOS Project", studenti e docenti di Ingegneria dell'Università di Pisa – in collaborazione con l'Università di Bergamo – che sono stati selezionati dall'ESA per partecipare al programma REXUS/BEXUS (Rocket and Balloon Experiments for University Students). Il loro obiettivo è costruire entro dicembre un innovativo tipo di Heat Pipe, un tubo di calore in grado di funzionare solo a gravità ridotta. Il dispositivo che verrà testato raggiungerà i 100 km di altezza per poi rientrare a terra.
Con il progetto PHOS (Pulsating Heat Pipe Only for Space) gli studenti pisani avranno la possibilità di partecipare alle fasi progettuali, gestionali e operative di una vera missione spaziale: "Il dispositivo che verrà testato, in due configurazioni differenti, è chiamato PHP, acronimo di Pulsating Heat Pipe, un tipo di tubo di calore che funziona con un regime di circolazione pulsante – spiega Gian Marco Guidi, uno dei componenti del team – Le PHP sono caratterizzate da una grande semplicità produttiva e quindi un basso costo che determina poi un coefficiente prestazioni-costo molto alto. Durante l'esperimento verrà somministrata potenza termica in una sezione del dispositivo e sottratto in un'altra, con questa procedura si potranno determinare vari parametri funzionali in assenza di gravità. Questi dati verranno poi paragonati con quelli acquisiti con altri esperimenti eseguiti a terra".
I team selezionati dall'ESA si ritroveranno a Kiruna nel prossimo mese di marzo per la "PDR", la Preliminary Design Review, dove gli esperti di tutte le organizzazioni partecipanti valuteranno il "disegno preliminare". Il team dell'Università di Pisa è l'unico italiano a essere stato selezionato nella categoria "Rocket" dall'ESA, ramo Educational, che ogni anno offre la possibilità, agli studenti di tutte le nazioni appartenenti alla comunità europea, di partecipare al programma REXUS/BEXUS.
I componenti della squadra pisana – supportata dal dipartimento dell'Energia, dei sistemi, del territorio e delle costruzioni (DESTEC) – sono tutti studenti dei corsi di Ingegneria: Gian Marco Guidi, Federico Belfi, Giorgiomaria Cicero, Francesco Creatini, Giulia Orlandini, Nicolò Morganti, Stefano Piacquadio, Simone Fontanesi, Michele Rognini, Alessandro Frigerio e Pietro Nannipieri. I professori a supporto del progetto sono Sauro Filippeschi, Paolo di Marco e Luca Fanucci dell'Università di Pisa e Marco Marengo dell'Università di Bergamo. Inoltre gli studenti saranno affiancati dal dottor Mauro Mameli e l'ingegner Miriam Manzoni entrambi dell'Università di Bergamo.
La squadra è alla ricerca di studenti che possano collaborare anche in altri settori, come il marketing e la comunicazione. In particolare si cercano collaboratori per l'indicizzazione del sito e per la gestione dei contenuti sul web e dei social network. Per candidarsi rivolgersi a Gian Marco Guidi (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).
Smentita la teoria classica dell’ipnosi
L'ipnosi rimane nel senso comune qualcosa di un po' misterioso e inquietante. Secondo la teoria finora comunemente accettata, la risposta alle suggestioni, che caratterizza il comportamento ipnotico, è dovuta a particolari capacità di attenzione che dipenderebbero da una variazione genetica che rende meno efficace la degradazione della dopamina cerebrale. Questa teoria è stata smentita dalle ricerche effettuate da Enrica Santarcangelo e Silvano Presciuttini, del dipartimento di Ricerca Traslazionale dell'Università di Pisa, in collaborazione con ricercatori dell'Azienda Ospedaliera Pisana: "Rispetto a studi precedenti condotti su piccoli campioni - affermano Santarcangelo e Presciuttini – in un campione di 100 soggetti non abbiamo osservato una correlazione tra alta capacità di risposta alle suggestioni e presenza della variazione genetica considerata precedentemente responsabile dell'ipnotizzabilità". I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista "Frontiers in Human Neuroscience".
Contrariamente alla maggior parte dei ricercatori del campo, che da sempre si concentrano su ciò che accade nei soggetti dopo l'induzione dello stato ipnotico, il gruppo di ricerca pisano si occupa da molti anni delle differenze fisiologiche tra soggetti di alta e bassa ipnotizzabilità (un tratto cognitivo che si misura con scale) nella normale condizione di veglia. "Per noi – continuano i ricercatori pisani - è importante capire se, oltre che nella diversa capacità di accettare suggestioni, i soggetti di alta e bassa ipnotizzabilità differiscono in funzioni e comportamenti della vita quotidiana. In effetti, i nostri studi hanno dimostrato che la suscettibilità all'ipnosi è associata a una serie di differenze osservabili anche nello stato ordinario di coscienza e, in alcuni casi, in assenza di suggestioni. Le differenze riguardano l'elaborazione di informazioni sensoriali, l'efficacia dell'immaginazione, il controllo della postura, dell'andatura e dell'attività cardiaca, le risposte vascolari allo stress e al dolore e perfino lo stile della comunicazione scritta".
Le ricadute cliniche di queste ricerche possono essere importanti. Conoscere il grado di ipnotizzabilità di un paziente, e quindi alcune sue caratteristiche fisiologiche, consente, ad esempio, di mettere a punto terapie neuroriabilitative personalizzate, di controllare il dolore con la sola attività cognitiva e di affinare la prognosi cardiovascolare. "È un campo di ricerca molto fecondo – conclude Enrica Santarcangelo – Sarebbe bello riuscire a fare di Pisa l'Ateneo che promuove ricerca multidisciplinare sull'ipnotizzabilità, perché siamo gli unici ricercatori nel mondo coinvolti nello studio sistematico di questo argomento. Purtroppo la scarsità di risorse pubbliche ci penalizza moltissimo. D'altra parte quale colosso farmaceutico finanzierebbe una ricerca che può individuare terapie efficaci che non richiedono l'uso di farmaci?".
Un incontro per discutere del futuro dei corsi di laurea in Medicina Veterinaria
Giovedì 30 gennaio, alle ore 10.15, nell'Aula Magna del dipartimento di Scienze Veterinarie (in Viale delle Piagge 2), si terrà una tavola rotonda dal titolo "Ipotesi per un nuovo corso di laurea in Medicina Veterinaria". L'incontro è organizzato dalla Società Italiana delle Scienze Veterinarie (SISVet) e dalla Conferenza dei Direttori dei Dipartimenti Universitari Veterinari. Dopo i saluti del rettore dell'Università di Pisa Massimo Augello, interverranno Romano Marabelli, capo del Dipartimento della sanità pubblica veterinaria, della sicurezza alimentare e degli organi collegiali per la tutela della salute del Ministero della Salute, Gaetano Penocchio, presidente della FNOVI - Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani, Massimo Castagnaro dell'ANVUR, Gaetano Oliva, docente dell'Università di Napoli, Attilio Corradi, della Conferenza dei Direttori.
L'incontro nasce a seguito dell'iniziativa dell'ex ministro dell'Università Francesco Profumo, proseguita poi dal ministro Maria Chiara Carrozza, che con il decreto del 25 marzo 2013, istituì un gruppo di lavoro di cui fa parte la professoressa Daniela Gianfaldoni, ordinario della nostra Università e direttore del dipartimento di Scienze Veterinarie. Il gruppo di lavoro ha il mandato di svolgere un'attività di monitoraggio sull'offerta formativa e sulla distribuzione geografica dei corsi di laurea in Medicina Veterinaria al fine di formulare proposte per il miglioramento della distribuzione del carico didattico, l'individuazione di metodi maggiormente efficaci di rilevazione della domanda di medici veterinari sul territorio e dell'efficienza dei processi formativi.
Scoperta in Italia una nuova specie di fiore
Ha un colore fra il viola e il blu ed è diffusa nel Nord Italia, nelle prealpi Bresciane e in altre aree lombarde e trentine. Si tratta di Campanula martinii, appena scoperta e così chiamata in onore di Fabrizio Martini, noto studioso della flora delle Alpi. La ricerca che documenta il ritrovamento è stata recentemente pubblicata sulla rivista internazionale "Phytotaxa" ed è stato condotta per alcuni anni da Lorenzo Peruzzi, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e da Nico Cellinese dell'Università della Florida, una delle massime esperte della filogenesi della famiglia Campanulaceae, insieme ai botanici del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino e del Museo Civico di Scienze Naturali di Brescia. "Nonostante quello che si potrebbe pensare - ha spiegato Lorenzo Peruzzi – può capitare anche in Italia (e non solo ai tropici) di scoprire nuove specie di piante e l'indipendenza della Campanula martinii rispetto alle altre specie affini è stata comprovata da un dettagliato studio morfologico, cariologico e molecolare".
L’Università di Pisa ricorda Bruno Barsella
È mancato ieri, il 23 gennaio 2014, Bruno Barsella, assistente ordinario del Dipartimento di Fisica "E. Fermi" dell'Università di Pisa dal 1968 al 2002. Bruno Barsella si era laureato in Fisica e Astrofisica nel 1957 all'Università di Pisa come allievo della Scuola Normale Superiore e una volta entrato in Ateneo aveva svolto le sue ricerche nel campo dell'Astronomia e dell'Astrofisica
Oltre alla sua attività accademica amici e colleghi lo ricordano per il suo impegno in materia di divulgazione scientifica e per la sua passione per le orchidee spontanee che lo ha portato a diventare una figura di primo piano del Gruppo Italiano per la Ricerca sulle Orchidee Spontanee (GIROS) sin dalla nascita dell'associazione.
I funerali di Bruno Barsella si svolgeranno sabato 25 gennaio alle ore 11.30 alla Pubblica Assistenza di Pisa.
Obesità e disturbi bipolari: dimostrato un collegamento specifico fra le due patologie
C'è un collegamento specifico fra l'obesità e i disturbi bipolari. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista internazionale "Journal of Affective Disorder" firmato da quattro ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell'Ateneo pisano, Giulia Vannucchi, Cristina Toni, Icro Maremmani e Giulio Perugi.
La ricerca è stata condotta su un campione nazionale composto da 571 soggetti seguiti in regime ambulatoriale per un episodio depressivo maggiore. L'obesità era definita, in linea con la letteratura scientifica attuale, sulla base di un indice di massa corporea (Body Mass Index o BMI) superiore a 30, calcolato come peso in Kg diviso per il quadrato dell'altezza espresso in metri (Kg/h2).
"I nostri risultati – ha spiegato Giulio Perugi - hanno consentito di evidenziare non solo come la presenza di disturbi dell'umore sia associata a un incremento del rischio di obesità, ma soprattutto che c'è un legame specifico tra incremento del BMI ed i disturbi dello spettro bipolare".
Il disturbo bipolare è infatti risultato più frequente fra gli obesi (31.4% rispetto al 19.0%dei non obesi) ed inoltre è emerso che la presenza di bipolarità era correlata con il grado di obesità: i pazienti con un BMI tra 30 e 35 avevano infatti una prevalenza di disturbo bipolare del 27.4%, in confronto al 41.7% dei soggetti con un BMI maggiore di 35.
"Mostrando come l'obesità sia associata a disturbi dello spettro bipolare – ha concluso Giulio Perugi - i dati della nostra ricerca sono in linea con l'ipotesi secondo cui in molti casi l'obesità potrebbe essere il risultato di comportamenti di abuso, una vera e propria forma di 'addiction'. Uno screening sistematico per il rilievo di sintomi ipomaniacali (anche attenuati) e di comportamenti di abuso verso il cibo, specialmente in alcune fasi come l'adolescenza, potrebbe avere un effetto preventivo sull'insorgenza di alcune forme di obesità al pari di quanto si verifica per lo sviluppo di alcune forme tossicodipendenza".
Passi avanti nella mappatura del genoma del girasole
Un team internazionale di ricercatori sta lavorando alla mappatura del genoma del girasole e uno dei contributi fondamentali per arrivare al traguardo è arrivato dall'Università di Pisa grazie a Lucia Natali, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali che ha coordinato il gruppo di genetica molecolare. Lo studio, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista internazionale "BMC Genomics", è stato condotto in collaborazione con i ricercatori dell'Università della British Columbia di Vancouver, della Università del Colorado e dell'Istituto di Genomica Applicata di Udine e ha permesso di produrre un database di sequenze ripetute (SUNREP) che sarà utilizzato per decifrare la sequenza del genoma di girasole, una volta che questa sarà completata dal consorzio internazionale guidato dal professore Loren Rieseberg della Università canadese della British Columbia.
"Il girasole ha un genoma molto grande, stimato in 3,3 miliardi di nucleotidi poco più grande di quello dell'uomo – ha spiegato Lucia Natali – e le nostre analisi, hanno dimostrato che oltre l'80% del genoma di questa specie (oltre 2,5 miliardi di nucleotidi) è costituito da decine di migliaia di copie di sequenze che hanno una origine comune ai retrovirus e che si sono accumulate nel corso dell'evoluzione".
Il sequenziamento dei genomi delle piante coltivate è importante perché consente di decifrare i meccanismi che ne regolano lo sviluppo e la produttività. Per il girasole, i tratti genetici più utili da decifrare sono il contenuto in olio del seme, i meccanismi che regolano la fioritura e la dormienza dei semi, la produzione di biomassa e la resistenza a malattie e a carenza idrica.
In particolare il gruppo pisano, che ha condotto lo studio nell'ambito di un progetto di ricerca di interesse nazionale finanziato dal MIUR e coordinato dalla stessa Lucia Natali, ha utilizzato delle tecniche innovative di sequenziamento di DNA e di RNA ad elevato parallelismo (Next Generation Sequencing) che permettono di ottenere rapidamente un altissimo numero di sequenze a costi relativamente bassi e offrono un mezzo estremamente potente per affrontare l'analisi dei genomi e del loro funzionamento.
Figure della Memoria, Momenti della Storia
L'Università di Pisa dà il via agli gli appuntamenti dedicati alla Giornata della Memoria. Il 22 gennaio alle 16.00 nell'Aula Magna del Dipartimento di Filologia, Letteratura, Linguistica (piazza Torricelli 2, Pisa) si svolgerà l'incontro "Figure della Memoria, Momenti della Storia". L'iniziativa, aperto al pubblico, è organizzata dall'Ateneo pisano e dal Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici (Cise). Dopo i saluti istituzionali di Maria Antonella Galanti, Prorettore al territorio dell'Università di Pisa, Marco Tulli, Direttore Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica e Alessandra Veronese, Direttore del Cise, seguirà una lettura di testi sulla persecuzione e la Shoah recitati da Francesca Censi. Il programma continua quindi con due interventi: Paolo Pezzino, professore dell'Università di Pisa, parlerà di antisemitismo e leggi razziali in Italia mentre Amedeo Osti Guerrazzi, dell'Istituto Storico Germanico di Roma, terrà una conferenza dal titolo "16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma". Il pomeriggio si conclude quindi con una performance dedicata a Etty Hillesum, scrittrice olandese di origine ebraica morta ad Auschwitz nel 1943. La drammaturgia dello spettacolo "Ricordando con musica e parole. La voce di Etty. Dai diari di Etty Hillesum" è di Agostino Cerrai, le musiche sono di Stefano Perfetti che accompagnerà al pianoforte Silvia Pagnin come voce recitante.
Arriva da Pisa una nuova speranza per la cura del diabete di tipo 2
Arriva dall'Università e dall'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa una nuova speranza per la cura del diabete di tipo 2, quello più diffuso, che colpisce il 90% dei circa tre milioni e mezzo di individui in Italia e dei quattrocento milioni nel mondo che soffrono di questa malattia. Uno studio condotto dai ricercatori pisani - che sarà pubblicato a febbraio sulla prestigiosa rivista internazionale "Diabetologia", che lo ha anche selezionato tra quelli di maggior rilievo del numero - dimostra infatti che la ridotta quantità di insulina nel diabete di tipo 2 sembra essere dovuta non solo alla morte delle cellule beta, come generalmente ritenuto, ma soprattutto al fatto che molte di tali cellule, pur vive, non riescono a produrre l'insulina, con conseguente aumento delle concentrazioni di glucosio nel sangue e sviluppo del diabete.
"Questa ricerca - sintetizza il professor Piero Marchetti, che ha coordinato il gruppo di lavoro composto da numerosi ricercatori e clinici - può modificare il nostro modo di pensare alle cause del diabete di tipo 2, aprendo le porte a nuove possibilità di prevenzione e cura della malattia. Finora le ricerche hanno generalmente osservato che, in questa forma di diabete, molte cellule beta del pancreas (quelle che producono insulina) appaiono non più presenti, e si è sempre ritenuto che così fosse in quanto tali cellule erano morte. Nei nostri laboratori, applicando tecniche più approfondite, quali la microscopia elettronica e la valutazione diretta della secrezione di insulina, abbiamo evidenziato che molte delle cellule beta che sembravano morte - e quindi perse per sempre - sono in realtà vive, anche se incapaci di funzionare normalmente".
La scoperta appare di particolare interesse perché al momento, pur essendo molti i farmaci a disposizione per la cura del diabete, i risultati della terapia sono ancora parziali. "Alla luce dello studio - conclude il professor Marchetti - potremo riuscire a capire quali sono i meccanismi molecolari che causano il cattivo funzionamento delle cellule beta e, dunque, ottimizzare le terapie, in modo da ripristinare la normale produzione di insulina, e così prevenire, curare e forse guarire il diabete di tipo 2".