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La più antica rivista scientifica al mondo "Philosophical transactions of the Royal Society" nata nel 1665 ha pubblicato un numero monografico su intelligenza artificiale e analisi matematica applicate al monitoraggio del sistema cardiovascolare. A curarlo è stato Gaetano Valenza (foto) bioingegnere del Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione e del Centro di Ricerca “E Piaggio” dell’Università di Pisa.

Valenza, 36 anni, guida il Neuro-cardiovascular intelligence Lab dell’Ateneo pisano e negli ultimi 10 anni ha contribuito alla ricerca in questo campo con oltre 250 pubblicazioni scientifiche e diversi progetti Europei.
“Studiamo il cuore – spiega Valenza - non tanto come una "macchina che pompa sangue", ma come un sistema con connessioni neurali anatomicamente connesse al cervello che influenza i nostri stati cognitivi, emotivi e psicosomatici”.

In particolare, il numero della rivista appena uscito evidenzia le sfide e opportunità offerte dagli strumenti computazionali avanzati per l’analisi dei dati biometrici prodotti da sensori sempre più diffusi, come ad esempio smartphone e smartwatch. In questo contesto, appare della massima importanza orientare la ricerca e le comunità industriali fornendo linee guida e indicazioni per un corretto uso di sfruttamento di questi progressi tecnologici emergenti.

gaetano_valenza.pngLa più antica rivista scientifica al mondo "Philosophical transactions of the Royal Society" nata nel 1665 ha pubblicato un numero monografico su intelligenza artificiale e analisi matematica applicate al monitoraggio del sistema cardiovascolare. A curarlo è stato Gaetano Valenza (foto) bioingegnere del Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione e del Centro di Ricerca “E Piaggio” dell’Università di Pisa.

Valenza, 36 anni, guida il Neuro-cardiovascular intelligence Lab dell’Ateneo pisano e negli ultimi 10 anni ha contribuito alla ricerca in questo campo con oltre 250 pubblicazioni scientifiche e diversi progetti Europei.
“Studiamo il cuore – spiega Valenza - non tanto come una "macchina che pompa sangue", ma come un sistema con connessioni neurali anatomicamente connesse al cervello che influenza i nostri stati cognitivi, emotivi e psicosomatici”.

In particolare, il numero della rivista appena uscito evidenzia le sfide e opportunità offerte dagli strumenti computazionali avanzati per l’analisi dei dati biometrici prodotti da sensori sempre più diffusi, come ad esempio smartphone e smartwatch. In questo contesto, appare della massima importanza orientare la ricerca e le comunità industriali fornendo linee guida e indicazioni per un corretto uso di sfruttamento di questi progressi tecnologici emergenti.

Foto Blasucci 5.JPGL’Ateneo ricorda Luigi Blasucci, tra i più importanti studiosi di letteratura italiana, autore di saggi fondamentali su Leopardi, Dante, Ariosto, Montale. Scomparso a Pisa il 29 ottobre 2021 all’età di 97 anni, Blasucci era stato studente dell’Università di Pisa come allievo della Scuola Normale. Dopo la laurea, in Ateneo ha ricoperto la cattedra di Lingua e letteratura italiana nella Facoltà di Lingue dal 1966 al 1975 e di Letteratura italiana nella Facoltà di Lettere dal 1968 al 1982. Dal 1983 al 1996 ha insegnato Letteratura italiana alla Scuola Normale Superiore, di cui era professore emerito dal 1999.

Di seguito il ricordo della professoressa Carla Benedetti, ordinario di Letteratura italiana contemporanea del Dipartimanto di Filologia, Letteratura e Linguistica del nostro Ateneo.

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Luigi Blasucci, Gino per gli amici, è venuto a mancare venerdì scorso all’età di 97 anni. Per il mondo della cultura, per la nostra università, dove ha insegnato Letteratura italiana dal 1966 al 1982, per la Scuola Normale dove fu poi chiamato a ricoprire la cattedra che fu di Gianfranco Contini, per molti colleghi, alcuni dei quali sono stati suoi allievi, e per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di frequentarlo, di godere della sua conversazione e della sua amicizia, è un grande lutto.

Blasucci non è stato solamente un grande studioso della tradizione poetica italiana (Dante, Ariosto, Leopardi e Montale sono gli autori da lui più studiati e più amati), ma anche un incomparabile maestro che con la sua originalità di approccio ha lasciato un segno profondo in studenti e allievi di diverse generazioni. Anche quando non si era più studenti, la sua competenza, il suo intuito e la sua franchezza ci facevano spesso ricorrere a lui per consigli e persino per giudizi sui nostri lavori.

Aveva del grande studioso di letteratura la sensibilità testuale, il fiuto, il rigore filologico, l’acume critico, per nulla invece la pesantezza accademica. Le sue lezioni e le sue conferenze affascinavano, riuscivano a dare a chi lo ascoltava il piacere della scoperta, lo stesso piacere che doveva aver provato lui stesso nel farla. Credo che non vi sia un altro studioso meno ripetitivo di lui: ogni suo saggio, ogni sua pagina è sobria, densa, chiara, originale e sempre necessaria. Odiava le fumoserie e le variazioni infinite. Aveva il dono sia dell’esploratore che osserva da vicino territori che si credono erroneamente già tutti noti, sia quello della sintesi lapidaria, memorabile, raggiungibile solo in volo. Ricordo una sua osservazione sulle due figure centrali dell’Ottocento italiano: “Manzoni, a differenza di Leopardi, se ne infischia degli spazi interstellari. Per lui, e per i credenti come lui, tutta la realtà si riduce all’anima, al rapporto di questa con Dio.  Si direbbe che le cascate del Niagara per lui non abbiano senso: laddove Leopardi rimaneva in prima istanza affascinato da cose del genere…”

Nove anni fa, in un’intervista, esordì così: “Parlo volentieri degli argomenti su cui posso avere da dire qualcosa, ma vorrei evitare l’aspetto ‘promozionale’ dell’intervista. Non ritengo di essere così interessante che chi legge debba preoccuparsi di me, della mia formazione e cose simili”. Così, nel rispetto della sua sobrietà, ecco una sua breve scheda biobibliografica.

Dalla Puglia, dove era nato, arrivò a Pisa appena finito il liceo come allievo della Scuola normale.  Qui ebbe come professori Luigi Russo, Mario Fubini  e il giovane Gianfranco Contini. Ha insegnato per diversi anni nei Licei di Volterra, San Miniato e Pisa prima di arrivare all’insegnamento universitario. Ricordava spesso quell’esperienza pedagogica nella scuola come un momento felice e esaltante. I suoi studenti, ormai anziani, ancora lo ricordano e lo hanno festeggiato in diverse occasioni. È stato membro del comitato scientifico del Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati fin dalla sua costituzione. Tra i suoi libri Letture e saggi danteschi (2014),  Sulla struttura metrica del “Furioso” e altri studi ariosteschi (2014), Leopardi e i segnali dell’infinito (1985), I tempi dei «Canti». Nuovi studi leopardiani (1996), Gli oggetti di Montale (2002), La svolta dell’idillio e altre pagine leopardiane (2017). Nel 2014, gli è stato conferito a Torre del Greco il Premio Nazionale “La Ginestra”, per i suoi contributi imprescindibili nell’ambito degli studi leopardiani degli ultimi cinquant’anni. L’ultimo suo lavoro, molto atteso, è il commento ai Canti di Leopardi, di cui è uscito il primo volume nel 2019 nella collana della Fondazione Bembo, presso l’editore Guanda. Il secondo e ultimo volume uscirà a breve, purtroppo postumo.

Carla Benedetti

 

Uno studio dell’Università di Pisa, in collaborazione con Università di Padova e EPFL (Svizzera), riscrive una delle leggi fondamentali della biologia, la legge di Kleiber

Uno studio pubblicato di recente sulla rivista PNAS consente un avanzamento deciso negli studi sul metabolismo degli esseri viventi, con ricadute importantissime in campi che vanno dalla medicina personalizzata fino alla gestione delle risorse di un dato ambiente per il sostegno alimentare dei suoi abitanti, un tema che da anni sta occupando istituzioni nazionali e internazionali per l’obiettivo “fame zero” dell’Agenda 2030.

Il team di ricerca della professoressa Arti Ahluwalia, docente di bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e direttrice del Centro di Ricerca “E. Piaggio” dell’Ateneo pisano, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Padova e di EPFL (la Scuola politecnica federale di Losanna), ha dimostrato che la legge di Kleiber, una delle leggi fondamentali più note delle biologia, non è assoluta, ma varia a seconda di come è composta la popolazione di individui che prendiamo in considerazione.

“La legge di Kleiber mette in relazione la massa di un individuo con il suo metabolismo – spiega la professoressa Ahluwalia – Fino ad ora è stata considerata una legge fissa: per ogni specie, dal topo alla balena, il metabolismo è proporzionale alla massa elevata alla potenza di ¾. La legge mostra che via via che un organismo si accresce il suo metabolismo e la durata della sua vita si modificano a velocità prevedibile, per l’effetto combinato della variazione della superficie corporea e della velocità sanguigna. La formula della legge è importantissima, e serve per esempio per calcolare il fabbisogno metabolico di un individuo, oppure stimare il dosaggio corretto per gli esseri umani di un medicinale che è stato testato sui topi. Quello che abbiamo dimostrato è che, quando una specie viene rappresentata non come una media tramite un inesistente “individuo standard”, come è stato fatto fino ad ora, ma come una popolazione in cui ogni soggetto è diverso dall’altro, la legge non è più un assoluto, ma il suo esponente varia. Non è detto quindi che la quantità di un farmaco testato su un topo possa essere tradotta tramite la legge di Kleiber in una quantità idonea per tutti gli esseri umani, perché nella realtà un individuo “medio” sufficientemente rappresentativo della sua specie non esiste”.

Il team di ricerca coordinato dalla professoressa, composto da Chiara Magliaro (ricercatrice), Francesco Biagini ed Ermes Botte (studenti di dottorato), ha sviluppato un modello computazionale di una popolazione umana tramite organoidi e sferoidi, cioè colture tridimensionali in-vitro di cellule di organi con caratteristiche strutturali e biochimiche che li fanno funzionare come il corrispettivo organo umano. Come in ogni popolazione, gli individui presentavano una grande variabilità relativamente ai paramenti di massa e metabolismo. Il risultato di questo studio è che la relazione tra i due parametri (e cioè tra la grandezza dell’individuo e il consumo di risorse) non è più una singola formula uguale per tutti, ma una curva statistica. Ciascun individuo occupa un punto della curva, e cioè avrà un determinato rapporto tra massa e metabolismo, diverso da quello di un alto individuo, ma sempre messo in relazione dalla legge di Kleiber. Per “mappare” la quantità di farmaco sperimentata su organoide, per esempio, sul suo analogo umano è necessario sapere in quale punto della curva si trovano entrambi, altrimenti non è detto che l’organoide possa costituire un buon modello dell’azione del farmaco.

“Il valore predittivo dei modelli in-vitro aumenta se essi rispettano le medesime leggi di scala dei loro analoghi naturali – prosegue la professoressa Ahluwalia - e in questo caso ci sono serviti per andare più a fondo nella conoscenza delle leggi che governano tutti gli esseri viventi, dimostrando che la comprensione dei meccanismi che governano il nostro corpo richiede il considerarci non come individui isolati, ma come parte di una comunità di individui, che interagisce con il proprio ambiente”.

Le ricadute dello studio

Le ricadute di questo studio sono molte, e vanno a toccare temi molto attuali al momento: oltre al campo della medicina personalizzata, in cui si tende a modellare non più individui standard, ma i singoli pazienti, con le loro caratteristiche specifiche, una seconda implicazione estremamente importante riguarda l’uso delle risorse ambientali per il sostentamento di una popolazione.

“Una delle scoperte che abbiamo fatto, e su cui continueremo a lavorare – conclude la professoressa- è che se una popolazione di individui di una specie è sufficientemente varia, allora l’esponente della legge di Kleiber tende a diminuire, e cioè per il sostentamento di quella popolazione servono meno risorse. La variabilità, quindi, potrebbe essere davvero la chiave per un uso ottimale delle risorse di un ambiente. Una seconda linea di ricerca molto importante e che svilupperemo riguarda poi l’interazione di una comunità di individui con il proprio ambiente: in vista dei cambiamenti che ci aspettano nei prossimi anni è infatti necessario andare a investigare cosa succede in presenza di variabilità di alcuni parametri ambientali, come per esempio un rialzo delle temperature.

Arti orizUno studio pubblicato di recente sulla rivista PNAS consente un avanzamento deciso negli studi sul metabolismo degli esseri viventi, con ricadute importantissime in campi che vanno dalla medicina personalizzata fino alla gestione delle risorse di un dato ambiente per il sostegno alimentare dei suoi abitanti, un tema che da anni sta occupando istituzioni nazionali e internazionali per l’obiettivo “fame zero” dell’Agenda 2030.

Il team di ricerca della professoressa Arti Ahluwalia, docente di bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e direttrice del Centro di Ricerca “E. Piaggio” dell’Ateneo pisano, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Padova e di EPFL (la Scuola politecnica federale di Losanna), ha dimostrato che la legge di Kleiber, una delle leggi fondamentali più note delle biologia, non è assoluta, ma varia a seconda di come è composta la popolazione di individui che prendiamo in considerazione.

“La legge di Kleiber mette in relazione la massa di un individuo con il suo metabolismo – spiega la professoressa Ahluwalia – Fino ad ora è stata considerata una legge fissa: per ogni specie, dal topo alla balena, il metabolismo è proporzionale alla massa elevata alla potenza di ¾. La legge mostra che via via che un organismo si accresce il suo metabolismo e la durata della sua vita si modificano a velocità prevedibile, per l’effetto combinato della variazione della superficie corporea e della velocità sanguigna. La formula della legge è importantissima, e serve per esempio per calcolare il fabbisogno metabolico di un individuo, oppure stimare il dosaggio corretto per gli esseri umani di un medicinale che è stato testato sui topi. Quello che abbiamo dimostrato è che, quando una specie viene rappresentata non come una media tramite un inesistente “individuo standard”, come è stato fatto fino ad ora, ma come una popolazione in cui ogni soggetto è diverso dall’altro, la legge non è più un assoluto, ma il suo esponente varia. Non è detto quindi che la quantità di un farmaco testato su un topo possa essere tradotta tramite la legge di Kleiber in una quantità idonea per tutti gli esseri umani, perché nella realtà un individuo “medio” sufficientemente rappresentativo della sua specie non esiste”.

Il team di ricerca coordinato dalla professoressa, composto da Chiara Magliaro (ricercatrice), Francesco Biagini ed Ermes Botte (studenti di dottorato), ha sviluppato un modello computazionale di una popolazione umana tramite organoidi e sferoidi, cioè colture tridimensionali in-vitro di cellule di organi con caratteristiche strutturali e biochimiche che li fanno funzionare come il corrispettivo organo umano. Come in ogni popolazione, gli individui presentavano una grande variabilità relativamente ai paramenti di massa e metabolismo. Il risultato di questo studio è che la relazione tra i due parametri (e cioè tra la grandezza dell’individuo e il consumo di risorse) non è più una singola formula uguale per tutti, ma una curva statistica. Ciascun individuo occupa un punto della curva, e cioè avrà un determinato rapporto tra massa e metabolismo, diverso da quello di un alto individuo, ma sempre messo in relazione dalla legge di Kleiber. Per “mappare” la quantità di farmaco sperimentata su organoide, per esempio, sul suo analogo umano è necessario sapere in quale punto della curva si trovano entrambi, altrimenti non è detto che l’organoide possa costituire un buon modello dell’azione del farmaco.

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“Il valore predittivo dei modelli in-vitro aumenta se essi rispettano le medesime leggi di scala dei loro analoghi naturali – prosegue la professoressa Ahluwalia -  e in questo caso ci sono serviti per andare più a fondo nella conoscenza delle leggi che governano tutti gli esseri viventi, dimostrando che la comprensione dei meccanismi che governano il nostro corpo richiede il considerarci non come individui isolati, ma come parte di una comunità di individui, che interagisce con il proprio ambiente”.

Le ricadute dello studio
Le ricadute di questo studio sono molte, e vanno a toccare temi molto attuali al momento: oltre al campo della medicina personalizzata, in cui si tende a modellare non più individui standard, ma i singoli pazienti, con le loro caratteristiche specifiche, una seconda implicazione estremamente importante riguarda l’uso delle risorse ambientali per il sostentamento di una popolazione.

“Una delle scoperte che abbiamo fatto, e su cui continueremo a lavorare – conclude la professoressa- è che se una popolazione di individui di una specie è sufficientemente varia, allora l’esponente della legge di Kleiber tende a diminuire, e cioè per il sostentamento di quella popolazione servono meno risorse. La variabilità, quindi, potrebbe essere davvero la chiave per un uso ottimale delle risorse di un ambiente. Una seconda linea di ricerca molto importante e che svilupperemo riguarda poi l’interazione di una comunità di individui con il proprio ambiente: in vista dei cambiamenti che ci aspettano nei prossimi anni è infatti necessario andare a investigare cosa succede in presenza di variabilità di alcuni parametri ambientali, come per esempio un rialzo delle temperature.

Martedi 26 ottobre si è svolta la finale dell’hackathon del Contamination Lab Pisa dell'Università di Pisa intitolato quest’anno "Food&Mobility&DigitalTransf". L'iniziativa è stata promossa nell'ambito del progetto europeo EUAcceL, che vede l'Ateneo pisano collaborare con altre prestigiose università europee sui temi dell'educazione all'imprenditorialità e della business innovation. 

L’evento, che si è tenuto in presenza presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali e in streaming su Microsoft Teams, è stato la conclusione di percorso è iniziato il 18 ottobre:40 studenti hanno incontrato in una sessione online 4 imprenditori e manager: Francesca Cupelli di Terre dell'Etruria, Stefano Berti del Distretto Rurale della Val di Cecina, Giorgio Dalsasso della Piana del Cibo di Lucca e Pierpaolo Lorieri della Federazione delle Strade del Vino e dei Sapori della Toscana. 

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Gli operatori del territorio hanno lanciato 4 sfide sui temi della tracciabilità e sicurezza alimentare, della mobilità e relazione tra città e campagna, dello spreco alimentare e del turismo nelle aree rurali

Gli studenti, seguendo un percorso di Design Thinking guidato dall'espertaSonia Massari (Università Roma Tre e "The Fork Organization) e lavorando inteam multidisciplinari hanno elaborato soluzioni per queste sfide che sono poi state affinate e presentate durante il giorno della finale.

La giuria, composta da Andrea Di Benedetto (Presidente Polo Tecnologico Navacchio), Matteo Demartini (Program Manager –FoodTech Accelerator), Marco Locatelli (Direttore Ente Terre Regionali) e Paolo Storchi (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia AgrariA) hanno decretato i quattro team vincitori per ogni sfida, scelti tra i dodici in gara.

Ad aggiudicarsi la competizione sono stati: Teamballo (composto da Matteo Giorgi, Emanuele Torrisi, Lorenzo Scarpelli); Dietro Casa (composto da Jacopo Bandoni, Alice Ghivizzani; Alessandro Civolani; Francesca Cozzani; Marco Russo); Sassa (composto da Samuele Anselmi e Samantha Scrivere); I Viaggiatori (composto da Hui Li, Peng Chen; Yuze Lei; Yuqing Wu; Yuncong Chen). Una nota di merito della giuria è andata al team lombriCOMPOSTiera, vincitore del Contamination Lab Pisa 2021 e composto da Ludovica Bigozzi, Donato Politanò e Irene Ventura.

Sfoglia la foto gallery: 



I vincitori avranno la possibilità di proseguire il percorso di formazione del Contamination Lab nel 2022 e fin da subito potranno condividere le loro idee con gruppi di studenti degli altri atenei europei, supervisionati da esperti dello European Institute of Innovation and Technology. Il progetto è stato recentemente finanziato dalla 
Commissione Europea grazie al lavoro dei docenti e ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali, del Dipartimento di Scienze Veterinarie e del Centro di Ricerche Agro-ambientali "Enrico Avanzi"

"Si tratta di una grande opportunità per i nostri studenti: toccare con mano le problematiche delle imprese e delle comunità delle aree rurali, mentre si studiano e si propongono soluzioni per rispondere alle sfide dello sviluppo sostenibile insieme a colleghi di tutta Europa in un modo interattivo" sostiene il coordinatore del progetto per l'Università di Pisa, prof. Alessio Cavicchi.

Il prof. Gianluca Brunori, docente di Politiche Alimentari: "Si tratta di un percorso iniziato da qualche anno grazie a partenariati e progetti europei e finalizzato a comprendere le dinamiche legate all'innovazione nelle aree rurali: non solo da un punto di vista tecnologico, ma anche sociale ed economico" 

L’Hackaton 2021 del Contamination Lab Pisa - ha dichiarato il prof. Leonardo Bertini, Chief del CLab Pisa - prosegue ed estende l’esperienza positiva della prima edizione tenutasi nel 2020. I risultati molto interessanti ottenuti e l’entusiasmo dei ragazzi partecipanti confermano la validità dell’iniziativa, che si intende proseguire anche il prossimo anno, possibilmente con il coinvolgimento di altri settori di interesse. 

Tutte le informazioni sull'evento sono disponibili sulla pagina: http://contaminationlab.unipi.it/conthackt-foodmobilitydigital/.

Lo spettro autistico è caratterizzato da una forte eterogeneità, con sintomi e disfunzioni a livello neurologico di diversa gravità e impatto. Ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell’Università di Pisa, hanno individuato una forma di autismo causata da una specifica alterazione neuronale: la presenza di un eccessivo numero di sinapsi nella corteccia cerebrale. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Communications, potrà guidare lo sviluppo di futuri trattamenti farmacologici mirati a ripristinare queste alterazioni.

Il gruppo di ricerca vede coinvolti Alessandro Gozzi, Coordinatore del Centro di Neuroscienze e Sistemi Cognitivi (CNCS) di IIT a Rovereto, Michael Lombardo, ricercatore senior di IIT, e il Prof. Massimo Pasqualetti dell’Università di Pisa. Gozzi e Lombardo conducono le proprie ricerche sul cervello anche grazie a finanziamenti da parte dell’European Research Council (ERC).


Nello specifico i ricercatori hanno individuato una disfunzione che riguarda i neuroni di un’area cerebrale deputata alla comunicazione, i quali presentano un eccessivo numero di sinapsi, ovvero quelle microscopiche protuberanze che servono per inviare e ricevere segnali tra neuroni.

L’osservazione di modelli animali tramite risonanza magnetica ha mostrato che questa alterazione è associata a un malfunzionamento del meccanismo molecolare della proteina mTOR, responsabile della regolazione e produzione di sinapsi, e potenziale target per trattamenti farmacologici. A conferma del ruolo chiave di questa proteina, i ricercatori hanno dimostrato che quando la sua attività viene inibita farmacologicamente, il numero di sinapsi ritorna a livelli fisiologici, ristabilendo completamente la corretta funzionalità dei circuiti coinvolti


“Questo lavoro si inserisce negli studi sul cervello e le malattie del neurosviluppo che conduciamo nel nostro Centro di ricerca a Rovereto - dichiara Alessandro Gozzi - Esso rappresenta una tessera importante per decodificare il mosaico rappresentato dall’autismo, che è appunto un insieme eterogeneo di disturbi e cause. La sfida è identificare tutti i tasselli del mosaico mancanti, così da permettere la futura messa appunto di terapie di precisione mirate a specifici sottotipi di autismo”.

A partire da questi risultati i ricercatori sono riusciti a fare un ulteriore passo avanti e identificare fra chi è affetto da disturbi dello spettro autistico, coloro che hanno questa specifica forma. A questo scopo, i ricercatori hanno confrontato i loro dati con quelli provenienti da banche dati di risonanza magnetica cerebrale di persone con autismo. Attraverso l’uso di sistemi di intelligenza artificiale, il confronto ha evidenziato in un sottogruppo di pazienti disfunzioni di connettività cerebrale simili a quelle riscontrate nei modelli murini e contemporaneamente analisi genetiche hanno rivelato una anomalia della proteina mTOR.

“Con questo studio – conclude Pasqualetti - si dimostra ancora una volta quanto sia fondamentale affiancare alla ricerca clinica modelli avanzati per lo studio del funzionamento del nostro cervello, sia per capire quali alterazioni molecolari e cellulari possono essere all’origine della patologia, che per testare su questi stessi modelli farmaci sperimentali o interventi terapeutici che potrebbero ridimensionare se non addirittura eliminare le alterazioni cellulari osservate nella condizione patologica”.





 

 

Lo spettro autistico è caratterizzato da una forte eterogeneità, con sintomi e disfunzioni a livello neurologico di diversa gravità e impatto. Ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell’Università di Pisa, hanno individuato una forma di autismo causata da una specifica alterazione neuronale: la presenza di un eccessivo numero di sinapsi nella corteccia cerebrale. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Communications, potrà guidare lo sviluppo di futuri trattamenti farmacologici mirati a ripristinare queste alterazioni.

Il gruppo di ricerca vede coinvolti Alessandro Gozzi, Coordinatore del Centro di Neuroscienze e Sistemi Cognitivi (CNCS) di IIT a Rovereto, Michael Lombardo, ricercatore senior di IIT, e il Prof. Massimo Pasqualetti dell’Università di Pisa. Gozzi e Lombardo conducono le proprie ricerche sul cervello anche grazie a finanziamenti da parte dell’European Research Council (ERC).

 

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In questa immagine la porzione di un neurone in cui si possono osservare le sinapsi evidenziate da una fluorescenza verde e la corrispondente ricostruzione tridimensionale ha permesso ai ricercatori di quantificare il numero di sinapsi nelle aree con iperattività neuronale


Nello specifico i ricercatori hanno individuato una disfunzione che riguarda i neuroni di un’area cerebrale deputata alla comunicazione, i quali presentano un eccessivo numero di sinapsi, ovvero quelle microscopiche protuberanze che servono per inviare e ricevere segnali tra neuroni.

L’osservazione di modelli animali tramite risonanza magnetica ha mostrato che questa alterazione è associata a un malfunzionamento del meccanismo molecolare della proteina mTOR, responsabile della regolazione e produzione di sinapsi, e potenziale target per trattamenti farmacologici. A conferma del ruolo chiave di questa proteina, i ricercatori hanno dimostrato che quando la sua attività viene inibita farmacologicamente, il numero di sinapsi ritorna a livelli fisiologici, ristabilendo completamente la corretta funzionalità dei circuiti coinvolti.

 

Da sinistra: Noemi Barsotti (assegnista Unipi) e Alice Bertero (former PhD Unipi adesso Research Scientist Associate at The University of Texas at San Antonio) e Massimo Pasqualetti

“Questo lavoro si inserisce negli studi sul cervello e le malattie del neurosviluppo che conduciamo nel nostro Centro di ricerca a Rovereto - dichiara Alessandro Gozzi - Esso rappresenta una tessera importante per decodificare il mosaico rappresentato dall’autismo, che è appunto un insieme eterogeneo di disturbi e cause. La sfida è identificare tutti i tasselli del mosaico mancanti, così da permettere la futura messa appunto di terapie di precisione mirate a specifici sottotipi di autismo”.

A partire da questi risultati i ricercatori sono riusciti a fare un ulteriore passo avanti e identificare fra chi è affetto da disturbi dello spettro autistico, coloro che hanno questa specifica forma. A questo scopo, i ricercatori hanno confrontato i loro dati con quelli provenienti da banche dati di risonanza magnetica cerebrale di persone con autismo. Attraverso l’uso di sistemi di intelligenza artificiale, il confronto ha evidenziato in un sottogruppo di pazienti disfunzioni di connettività cerebrale simili a quelle riscontrate nei modelli murini e contemporaneamente analisi genetiche hanno rivelato una anomalia della proteina mTOR.

“Con questo studio – conclude Pasqualetti - si dimostra ancora una volta quanto sia fondamentale affiancare alla ricerca clinica modelli avanzati per lo studio del funzionamento del nostro cervello, sia per capire quali alterazioni molecolari e cellulari possono essere all’origine della patologia, che per testare su questi stessi modelli farmaci sperimentali o interventi terapeutici che potrebbero ridimensionare se non addirittura eliminare le alterazioni cellulari osservate nella condizione patologica”.





 

 

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