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Si è guadagnato la copertina della prestigiosa rivista “Cancers” l’articolo scientifico nato dalla collaborazione tra il gruppo dell’Università di Pisa guidato da Luca Morelli, professore associato di Chirurgia generale e l’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS). Si tratta di una attenta analisi, con l’aggiunta di nuovi dati, rivolta ad approfondire una delle più recenti e interessanti strade nel campo dello studio dei tumori: il ruolo svolto dai prioni nello sviluppo del cancro e nella sua diffusione.

I prioni avevano avuto un momento di grande notorietà a cavallo del millennio perché una loro forma alterata (PrPsc) è responsabile del morbo di Creutzfeldt-Jakob (la “mucca pazza”). La scoperta era valsa all’americano Stanley Prusiner il Nobel per la medicina nel 1997. Ora l’attenzione si sta spostando, come evidenzia la “review” realizzata dall’Università di Pisa e dal Neuromed, sulla presenza di queste proteine in alcuni tipi di tumore, documentando anche un possibile ruolo nella genesi e nella aggressività biologica del cancro. Si parla soprattutto di tumori del sistema nervoso centrale, come il glioblastoma multiforme, ma recentemente sono emerse evidenze anche per quanto riguarda tumori dell’apparato gastrointestinale, del seno, della prostata e del pancreas, per citarne solo alcuni.

“I prioni – dice Francesco Fornai, professore ordinario di Anatomia dell’Università di Pisa e Responsabile dell’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento del Neuromed – sono proteine naturalmente presenti nelle nostre cellule, essenziali per la regolazione di molte attività. Nel caso della mucca pazza sappiamo che queste proteine possono assumere forme anomale il cui accumulo causa la malattia. Nel campo dei tumori, invece, il nostro gruppo di ricerca aveva evidenziato, in un lavoro pubblicato sulla rivista Journal of Pancreatology, come le proteine prioniche siano correlate alla malattia anche quando, pur conservano la conformazione fisiologica, quindi normali nella forma, sono iperespresse (cioè l’informazione contenuta nel DNA viene trascritta esageratamente, causando una produzione eccessiva)”.

Ciò che l’articolo di Cancers aggiunge è l’osservazione di una maggiore espressione anche della forma “misfolded” (PrPsc), alterata strutturalmente, della proteina prionica. “Anzi continua Fornai - l’iperproduzione di quest’ultima risulta essere ancora più marcata rispetto a quella della forma cosiddetta normale (PrPc). Si tratta di un passo in avanti nell’avvicinare la biologia dei tumori neurotropi, cioè caratterizzati da spiccata capacità di diffondersi attraverso il sistema nervoso, alla biologia delle malattie da prioni”.

In questo quadro, la presenza di quantità anomale di prioni nelle cellule tumorali indurrebbe una maggiore invasività, una più alta probabilità di ricadute e una maggiore resistenza alla chemioterapia, soprattutto per le cellule cancerose staminali, quelle che andranno a formare le metastasi.

“Pensiamo – conclude Fornai - che le proteine prioniche possano rappresentare un promettente punto di attacco per terapie innovative rivolte a limitare la capacità proliferativa delle cellule tumorali. Allo stesso tempo, potranno rappresentare un marcatore per seguire i pazienti dopo l’asportazione di un tumore, in modo da individuare rapidamente la possibilità che si stiano formando metastasi e diffusione al sistema nervoso”.

Ryskalin, Larisa; Biagioni, Francesca; Busceti, Carla L.; Giambelluca, Maria A.; Morelli, Luca; Frati, Alessandro; Fornai, Francesco. 2021. "The Role of Cellular Prion Protein in Promoting Stemness and Differentiation in Cancer" Cancers 13, no. 2: 170.
DOI: https://doi.org/10.3390/cancers13020170

copertina_cancers.jpgSi è guadagnato la copertina della prestigiosa rivista “Cancers” l’articolo scientifico nato dalla collaborazione tra il gruppo dell’Università di Pisa guidato da Luca Morelli, professore associato di Chirurgia generale e l’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS). Si tratta di una attenta analisi, con l’aggiunta di nuovi dati, rivolta ad approfondire una delle più recenti e interessanti strade nel campo dello studio dei tumori: il ruolo svolto dai prioni nello sviluppo del cancro e nella sua diffusione.

I prioni avevano avuto un momento di grande notorietà a cavallo del millennio perché una loro forma alterata (PrPsc) è responsabile del morbo di Creutzfeldt-Jakob (la “mucca pazza”). La scoperta era valsa all’americano Stanley Prusiner il Nobel per la medicina nel 1997. Ora l’attenzione si sta spostando, come evidenzia la “review” realizzata dall’Università di Pisa e dal Neuromed, sulla presenza di queste proteine in alcuni tipi di tumore, documentando anche un possibile ruolo nella genesi e nella aggressività biologica del cancro. Si parla soprattutto di tumori del sistema nervoso centrale, come il glioblastoma multiforme, ma recentemente sono emerse evidenze anche per quanto riguarda tumori dell’apparato gastrointestinale, del seno, della prostata e del pancreas, per citarne solo alcuni.

“I prioni – dice Francesco Fornai, professore ordinario di Anatomia dell’Università di Pisa e Responsabile dell’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento del Neuromed – sono proteine naturalmente presenti nelle nostre cellule, essenziali per la regolazione di molte attività. Nel caso della mucca pazza sappiamo che queste proteine possono assumere forme anomale il cui accumulo causa la malattia. Nel campo dei tumori, invece, il nostro gruppo di ricerca aveva evidenziato, in un lavoro pubblicato sulla rivista Journal of Pancreatology, come le proteine prioniche siano correlate alla malattia anche quando, pur conservano la conformazione fisiologica, quindi normali nella forma, sono iperespresse (cioè l’informazione contenuta nel DNA viene trascritta esageratamente, causando una produzione eccessiva)”.

Ciò che l’articolo di Cancers aggiunge è l’osservazione di una maggiore espressione anche della forma “misfolded” (PrPsc), alterata strutturalmente, della proteina prionica. “Anzi continua Fornai - l’iperproduzione di quest’ultima risulta essere ancora più marcata rispetto a quella della forma cosiddetta normale (PrPc). Si tratta di un passo in avanti nell’avvicinare la biologia dei tumori neurotropi, cioè caratterizzati da spiccata capacità di diffondersi attraverso il sistema nervoso, alla biologia delle malattie da prioni”.

In questo quadro, la presenza di quantità anomale di prioni nelle cellule tumorali indurrebbe una maggiore invasività, una più alta probabilità di ricadute e una maggiore resistenza alla chemioterapia, soprattutto per le cellule cancerose staminali, quelle che andranno a formare le metastasi.

“Pensiamo – conclude Fornai - che le proteine prioniche possano rappresentare un promettente punto di attacco per terapie innovative rivolte a limitare la capacità proliferativa delle cellule tumorali. Allo stesso tempo, potranno rappresentare un marcatore per seguire i pazienti dopo l’asportazione di un tumore, in modo da individuare rapidamente la possibilità che si stiano formando metastasi e diffusione al sistema nervoso”.

 

Robot che si muovono facilmente in ambienti naturali, in grado di camminare su superfici sabbiose e su sentieri scoscesi e rocciosi, con il compito di monitorare foreste, praterie, dune e montagne minacciate dal surriscaldamento globale e dall’inquinamento. Nei prossimi tre anni l’Università di Pisa coordinerà il progetto “Natural Intelligence for Robotic Monitoring of Habitats” (NI), finanziato dall’Unione Europea con un budget totale di tre milioni di euro (di cui uno destinato all’Ateneo pisano), il cui obiettivo è proprio quello di sviluppare sistemi robotici capaci di “uscire” dai laboratori e muoversi in habitat naturali. Responsabile del progetto è Manolo Garabini, ricercatore del Centro di Ricerca “E. Piaggio” e del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, che guiderà un consorzio di partner internazionali. Con lui collaborano all’Università di Pisa Franco Angelini e Riccardo Mengacci, rispettivamente post doc e dottorando in Robotics.
“Il progetto NI mira a sviluppare nuovi sistemi in grado di sfruttare un corpo basato su tecnologie soft robotiche in grado di adattarsi ad ambienti non strutturati – spiega Garabini - A questi corpi speciali, verranno affiancati dei nuovi algoritmi che costituiranno la mente dei robot. L’obiettivo di questi algoritmi sarà molteplice: da un lato faciliteranno la locomozione, rendendola energeticamente più efficiente, più robusta a disturbi e a terreni irregolari e permettendo anche movimenti più ardui, quali salti dinamici o camminare su sentieri ripidi; dall’altro lato, questi nuovi algoritmi renderanno i robot in grado di svolgere in modo (parzialmente) autonomo la missione preposta, ovvero permettendo di muoversi liberamente nell’ambiente, di rimediare a eventuali cadute, e anche di identificare e catalogare le varie specie tipiche degli ambienti naturali sotto analisi”.
Nell’ambito del progetto saranno anche redatte delle linee guida per il monitoraggio ambientale mediante l’utilizzo di sistemi robotici, con lo scopo ultimo di includere queste teologie nei Manuali per il monitoraggio di specie e habitat di interesse comunitario in Italia (Direttiva 92/43/CEE). “Le nuove tecnologie sviluppate da NI permetteranno di facilitare e rafforzare la salvaguardia ambientale, rendendo l’Unione Europea leader mondiale nel settore – conclude Garabini – In aggiunta a ciò, le nuove tecnologie potranno essere applicate anche in altri settori, come quello agroalimentare o quello di ispezione e manutenzione”.
I partner del progetto coordinato dall’Università di Pisa sono: Imperial College (UK), Politecnico di Zurigo (CH), Università di Kingston (UK), Università di Delft (NL), Consiglio Superiore per la Ricerca Scientifca (E), Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Qbrobotics Srl. Come terze parti che forniranno le competenze in ambito botanico per il monitoraggio ambientale sono coinvolte anche le Università di Siena, Sassari, Perugia e Milano.

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