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Stefano Del PratoJPGL’iperglicemia, a prescindere da una condizione di diabete conclamato, si associa ad una prognosi più grave nei pazienti affetti da Covid-19. La scoperta arriva da uno studio condotto all’Università di Pisa e all’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP) pubblicato sulla rivista “Diabetes Care” dal Dr. Alberto Coppelli della UO di Malattie del Metabolismo e Diabetologia a nome del Pisa Covid-19 Study Group. La ricerca ha valutato 271 pazienti ricoverati nell’ospedale di Cisanello a Pisa nella fase più acuta dell’epidemia, dal 20 marzo-30 aprile.

“Abbiamo dimostrato come un valore della glicemia al momento del ricovero maggiore di 140 mg/dl, indipendentemente da una diagnosi nota di diabete, rappresenti un importante campanello d’allarme per identificare soggetti a rischio per i quali è necessario un approccio terapeutico ancora più mirato”, spiega Stefano Del Prato (foto a destra), Professore di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Ateneo pisano e direttore dell’Unità Operativa di Malattie Metaboliche e Diabetologia dell’AOUP e coordinatore dello studio.

I pazienti ricoverati in AOUP per Covid-19 sono stati suddivisi in tre gruppi in base al valore glicemico misurato al momento dell’ingresso in ospedale. I tre gruppi selezionati comprendevano pazienti con un livello di glucosio inferiore a 140 mg/dl; pazienti con diabete mellito noto e pazienti senza diagnosi pregressa di diabete e con lglicemia superiori o uguali a 140 mg/dl. Dal confronto di questi dati con i vari profili infiammatori è emerso come l’iperglicemia sia un fattore predittivo indipendente associato a una prognosi più grave nei pazienti affetti da Covid-19.

L’iperglicemia, a prescindere da una condizione di diabete conclamato, si associa ad una prognosi più grave nei pazienti affetti da Covid-19. La scoperta arriva da uno studio condotto all’Università di Pisa e all’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP) pubblicato sulla rivista “Diabetes Care” dal Dr. Alberto Coppelli della UO di Malattie del Metabolismo e Diabetologia a nome del Pisa Covid-19 Study Group. La ricerca ha valutato 271 pazienti ricoverati nell’ospedale di Cisanello a Pisa nella fase più acuta dell’epidemia, dal 20 marzo-30 aprile.
“Abbiamo dimostrato come un valore della glicemia al momento del ricovero maggiore di 140 mg/dl, indipendentemente da una diagnosi nota di diabete, rappresenti un importante campanello d’allarme per identificare soggetti a rischio per i quali è necessario un approccio terapeutico ancora più mirato”, spiega Stefano Del Prato, Professore di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Ateneo pisano e direttore dell’Unità Operativa di Malattie Metaboliche e Diabetologia dell’AOUP e coordinatore dello studio.
I pazienti ricoverati in AOUP per Covid-19 sono stati suddivisi in tre gruppi in base al valore glicemico misurato al momento dell’ingresso in ospedale. I tre gruppi selezionati comprendevano pazienti con un livello di glucosio inferiore a 140 mg/dl; pazienti con diabete mellito noto e pazienti senza diagnosi pregressa di diabete e con lglicemia superiori o uguali a 140 mg/dl. Dal confronto di questi dati con i vari profili infiammatori è emerso come l’iperglicemia sia un fattore predittivo indipendente associato a una prognosi più grave nei pazienti affetti da Covid-19.
https://doi.org/10.2337/dc20-1380

Ancora un primato mondiale della ricerca sui tumori del pancreas svolta a Pisa. Un recente studio effettuato in Aoup in collaborazione con l’Università di Pisa e l’IRCCS Neuromed di Pozzilli (IS), sotto la responsabilità dei professori Luca Morelli e Francesco Fornai e recentemente pubblicato sulla rivista Pancreatology, ha dimostrato infatti, per la prima volta in letteratura, la presenza di prioni, gli agenti responsabili del morbo di Creutzfeldt-Jakob (cosiddetto “della mucca pazza”), nei tumori del pancreas asportati chirurgicamente, documentando anche un possibile ruolo nella loro genesi e nella loro aggressività biologica.

Come è noto, il carcinoma del pancreas è uno dei tumori maligni con più elevato tasso di mortalità per aggressività e tendenza a metastatizzare. Dato l’incremento di incidenza di tale neoplasia, con stime che la prevedono al secondo posto in termini di mortalità per tumore di qui al 2025, la comprensione delle basi biologiche della malattia è fondamentale per migliorarne la prognosi.

 

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Da sinistra Matteo Bianchini, Luca Morelli e Francesco Fornai

In particolare, uno degli aspetti più caratteristici di questo tumore, chiamato “neurotropismo”, è la sua spiccata capacità di diffondersi attraverso le strutture nervose peri-pancreatiche (infiltrazione perineurale). Le basi biologiche di tale meccanismo di aggressività sono tuttavia ancora ignote, ed è qui che entrerebbe in gioco la proteina prionica, condividendo anch’essa con il tumore del pancreas proprio un elevato neurotropismo. Non solo quindi agente responsabile del morbo della mucca pazza: recenti evidenze in laboratorio su linee cellulari hanno infatti mostrato un possibile ruolo della proteina prionica nella trasformazione neoplastica e, in particolare, un’associazione tra la sua presenza e l’acquisizione di una maggiore aggressività, ma si tratta di studi in vitro e senza implicazioni clinico-prognostiche.

Lo studio pisano appena pubblicato, invece, presenta per la prima volta i risultati preliminari di un’indagine condotta in vivo su tessuto tumorale prelevato durante interventi chirurgici di resezione pancreatica effettuati nella Sezione dipartimentale di Chirurgia generale dell’Aoup (diretta dal professore Giulio Di Candio), confermando non solo una significativa maggiore concentrazione di proteina prionica nel tessuto tumorale rispetto al tessuto sano, ma anche una più elevata espressione nei tessuti dei pazienti con stadio più avanzato, nonché una maggior tendenza alla presenza di infiltrazione perineurale, rilevando quindi una correlazione con una maggior aggressività biologica.

Il lavoro, frutto della grande esperienza nella conoscenza e nel trattamento della patologia pancreatica da parte del gruppo chirurgico pisano, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica che è punto di riferimento per gli esperti di tumore del pancreas, e rappresenta una ricerca all’avanguardia a livello internazionale.

I risultati, pur preliminari, sono estremamente interessanti poiché rappresentano una novità nel panorama scientifico sulla comprensione della biologia di un tumore così aggressivo, con possibili implicazioni anche sul piano clinico. La proteina prionica sembrerebbe infatti rappresentare per il tumore del pancreas un marker biologico di aggressività e potrebbe essere utilizzata sia dal punto di vista diagnostico sia prognostico ma anche terapeutico, valutando se ad esempio l’uso di specifici agenti che ne riducano la concentrazione, alterandone il metabolismo, si associ a una minore crescita tumorale e a una minore resistenza ai farmaci chemioterapici.

Il lavoro rappresenta il primo passo, dai risultati incoraggianti, di un progetto multidisciplinare di dottorato di ricerca condotto dal dottor Matteo Bianchini, specialista in Chirurgia generale e dottorando di Scienze cliniche e traslazionali dell’Università di Pisa (Dottorato coordinato dal professore Stefano Del Prato), sotto la responsabilità del professore Morelli, associato di Chirurgia generale dell’Università di Pisa e chirurgo esperto nel trattamento dei tumori del pancreas, e del professore Fornai, ordinario di Anatomia umana dell’Università di Pisa e responsabile dell’Unità operativa di Neurobiologia e dei disturbi del movimento dell’I.R.C.C.S. Neuromed, nonché uno dei massimi esperti di proteina prionica e neuroinvasività.

Lo studio, effettuato anche grazie ai contributi dalle Fondazioni Arpa e Tizzi, dei Rotary club di Pisa e Cecina e della famiglia Orvietani, ha visto tra protagonisti anche le dottoresse Maria Anita Giambelluca e Maria Concetta Scavuzzo, biologhe dell’Istituto di Anatomia umana dell’Università di Pisa, il dottor Luca Emanuele Pollina, anatomopatologo Aoup e il dottor Niccola Funel, biologo borsista in Aoup.

Fonte: Ufficio stampa Aoup

copertina libroLa diffusione di COVID-19 è rapidamente diventata un'emergenza mondiale, e la professione odontoiatrica, a causa del rapporto di stretta vicinanza con il paziente e della produzione di aerosol durante la maggior parte delle procedure, è esposta ad alto rischio di contagio. Il gruppo universitario della Scuola di Odontoiatria dell'Università di Pisa fin dall'inizio dell'emergenza si è adoperato nella ricerca di potenziali misure preventive atte a garantire le cure odontoiatriche in sicurezza sia per i pazienti che per gli operatori.

I risultati hanno portato alla stesura e pubblicazione di un e-book dal titolo "Dental practice in the era of SARS-CoV-2 pandemic: a checklist to enhance safety and good practice", disponibile gratuitamente online, in cui sono raccolti dei suggerimenti operativi organizzati secondo una vera e propria checklist della pratica clinica in ambito odontoiatrico.

In particolare, oltre a una breve introduzione sull'epidemiologia, le caratteristiche e la cinetica dell'infezione da SARS-CoV-2, sono descritte step-by-step le nuove procedure della pratica odontoiatrica in era COVID-19, identificando principalmente quattro fasi del trattamento odontoiatrico, e descrivendo le varie misure preventive da mettere in atto per ridurre il rischio di infezione. L'accento è posto sulle nuove pratiche, dal triage dei pazienti, sia telefonico che in studio, per escludere la presenza di sintomi e/o eventuali contatti a rischio, all'utilizzo di dispositivi di protezione individuali dedicati, fino ai suggerimenti per limitare la produzione di aerosol durante le procedure terapeutiche.

La speranza degli autori è che questo contributo possa essere di supporto ai professionisti odontoiatri e tutti i loro team in questa nuova fase di attività lavorativa.

 

La diffusione di COVID-19 è rapidamente diventata un'emergenza mondiale, e la professione odontoiatrica, a causa del rapporto di stretta vicinanza con il paziente e della produzione di aerosol durante la maggior parte delle procedure, è esposta ad alto rischio di contagio. Il gruppo universitario della Scuola di Odontoiatria dell'Università di Pisa fin dall'inizio dell'emergenza si è adoperato nella ricerca di potenziali misure preventive atte a garantire le cure odontoiatriche in sicurezza sia per i pazienti che per gli operatori.

I risultati hanno portato alla stesura e pubblicazione di un e-book dal titolo "Dental practice in the era of SARS-CoV-2 pandemic: a checklist to enhance safety and good practice", disponibile gratuitamente online (https://www.edizionimartina.com/edizionimartina/dettaglitesti/651.asp ), in cui sono raccolti dei suggerimenti operativi organizzati secondo una vera e propria checklist della pratica clinica in ambito odontoiatrico.

In particolare, oltre a una breve introduzione sull'epidemiologia, le caratteristiche e la cinetica dell'infezione da SARS-CoV-2, sono descritte step-by-step le nuove procedure della pratica odontoiatrica in era COVID-19, identificando principalmente quattro fasi del trattamento odontoiatrico, e descrivendo le varie misure preventive da mettere in atto per ridurre il rischio di infezione. L'accento è posto sulle nuove pratiche, dal triage dei pazienti, sia telefonico che in studio, per escludere la presenza di sintomi e/o eventuali contatti a rischio, all'utilizzo di dispositivi di protezione individuali dedicati, fino ai suggerimenti per limitare la produzione di aerosol durante le procedure terapeutiche.

La speranza degli autori è che questo contributo possa essere di supporto ai professionisti odontoiatri e tutti i loro team in questa nuova fase di attività lavorativa.

 

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