Il microbiota intestinale – conosciuto da tutti come microflora intestinale – svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento della funzione del sistema immunitario e nella regolazione del peso corporeo. Nuovi studi suggeriscono che il microbiota potrebbe essere coinvolto anche nella via di comunicazione tra centro e periferia chiamata asse intestino-cervello, modulando le funzioni cerebrali e infine il nostro comportamento.
Per esaminare in modo dettagliato la connessione tra microbiota e cervello, Paola Tognini, ricercatrice del Dipartimento di Ricerca traslazionale (Unità di Fisiologia) dell’Università di Pisa, in collaborazione con il professor Tommaso Pizzorusso della Scuola Normale Superiore, hanno studiato come segnali provenienti dai batteri intestinali possano influenzare la plasticità neuronale. Lo studio, dal titolo The gut microbiota of environmentally enriched mice regulates visual cortical plasticity, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Cell Reports ed è frutto di una collaborazione tra Università di Pisa, Scuola Normale Superiore, Istituto di Neuroscienze del CNR, Fondazione Stella Maris e Università di Milano.
Da destra: Tommaso Pizzorusso, Paola Tognini, Leonardo Lupori e Sara Cornuti.
“La plasticità cerebrale o neuronale è la capacità del nostro cervello di cambiare in risposta a stimoli provenienti dall’ambiente esterno e/o in risposta alle nostre esperienze. Il cervello è più plastico, e quindi tende a modificarsi durante l’età giovanile, mentre i suoi circuiti sono più stabili e quindi resistenti al modificarsi durante l’età adulta. Nel nostro studio abbiamo cercato di capire se segnali provenienti dal microbiota intestinale potessero riattivare la plasticità nel cervello adulto – spiegano Paola Tognini e Tommaso Pizzorusso – Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo sfruttato il sistema visivo come modello, proprio perché gli animali adulti normalmente non mostrano plasticità in questa area del cervello”.
I ricercatori hanno allevato i topolini in un ambiente particolare caratterizzato da un incremento nelle esperienze sensoriali, sociali e che favorisce l’attività fisica. Questi topi, definiti “arricchiti”, avevano un microbiota differente da quello dei topi allevati nelle classiche gabbie da laboratorio e mostravano plasticità cerebrale, come accade negli animali giovani. Tuttavia, quando questi topi erano privati del loro microbiota, la riattivazione della plasticità neuronale era completamente annullata, suggerendo che segnali provenienti dall’intestino fossero responsabili dell’effetto. Infine, il trasferimento del microbiota intestinale tramite trapianto fecale da topi arricchiti plastici a topi standard, che non hanno un cervello plastico, causava un aumento di plasticità neuronale nei topi riceventi.
“Il nostro studio introduce un concetto nuovissimo, ossia quello dell'esistenza di una connessione “esperienza-microbiota intestinale-cervello”: le nostre esperienze non solo influenzano il cervello direttamente ma anche tramite segnali provenienti dal nostro intestino”. Allo studio hanno dato un fondamentale contributo anche i giovani dottorandi della Scuola Normale Superiore Leonardo Lupori e Sara Cornuti.
L’implicazione dei risultati raggiunti con questo studio è ampia e non limitata ai sistemi sensoriali e alla corteccia visiva. Infatti, la ricerca potrebbe aprire nuove frontiere per promuovere la plasticità neuronale in malattie del neurosviluppo o neurodegenerative, basandosi su strategie terapeutiche atte a modulare l’asse intestino-cervello.
È stato finanziato all’Università di Pisa il primo progetto del programma Horizon Europe (HEU), il nuovo Programma Quadro Europeo per la Ricerca e l’Innovazione promosso dall’Unione europea per il periodo 2021-2027, succeduto a Horizon 2020. Il titolo del progetto è RESORB, coordinato dal professor Giuseppe Barillaro del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e finanziato nel quadro della call EIC Pathfinder Open per un totale di 2.7 milioni di euro, di cui 712.000 euro andranno all’Università di Pisa. Partecipano al progetto anche l’Institut Mines-Telecom (Francia), l’Università del Salento, l’University College London (Regno Unito) e l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.
Il progetto RESORB (“On-Demand Bioresorbable OptoElectronic System for In-Vivo and In-Situ Monitoring of Chemotherapeutic Drugs”) ha l’obiettivo di sviluppare – usando materiali bioriassorbibili – componenti elettronici, fotonici e (bio)sensori per la realizzazione di un sistema optoelettronico miniaturizzato e impiantabile, per la quantificazione di molecole target di interesse clinico/diagnostico in-vivo, in-situ e in tempo reale. Il sistema trasmette i dati della misura in maniera wireless e, su richiesta, può essere dissolto in prodotti biocompatibili attraverso l’invio di un opportuno segnale esterno. Come caso di studio, RESORB si concentrerà sulla quantificazione di un farmaco chemioterapico, la doxorubicina, con lo scopo di ottimizzarne il dosaggio durante il trattamento di pazienti con tumore, attraverso una misura diretta e continua - nel tempo - del quantitativo di farmaco nel sito di impianto.
Con un budget di 95,5 miliardi di euro, Horizon Europe è il più ambizioso programma di ricerca e innovazione europeo di sempre. Le principali novità del programma sono le cinque Missioni che mirano ad affrontare le grandi sfide in materia di salute, clima e ambiente; la revisione dei Partenariati europei; la costituzione del Consiglio Europeo per l’Innovazione (EIC); il potenziamento della cooperazione internazionale; il rafforzamento della politica della Open Science. Il progetto RESORBE è stato finanziato nell’ambito del Consiglio Europeo per l’Innovazione, programma di finanziamento con il quale l’Unione Europea mira a supportare le innovazioni game changing sostenendole lungo tutta la filiera: dai primi risultati della ricerca, al trasferimento tecnologico allo scale-up di start up e PMI.
È stato finanziato all’Università di Pisa il primo progetto del programma Horizon Europe (HEU), il nuovo Programma Quadro Europeo per la Ricerca e l’Innovazione promosso dall’Unione europea per il periodo 2021-2027, succeduto a Horizon 2020. Il titolo del progetto è RESORB, coordinato dal professor Giuseppe Barillaro del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e finanziato nel quadro della call EIC Pathfinder Open per un totale di 2.7 milioni di euro, di cui 712.000 euro andranno all’Università di Pisa. Partecipano al progetto anche l’Institut Mines-Telecom (Francia), l’Università del Salento, l’University College London (Regno Unito) e l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.
Il progetto RESORB (“On-Demand Bioresorbable OptoElectronic System for In-Vivo and In-Situ Monitoring of Chemotherapeutic Drugs”) ha l’obiettivo di sviluppare – usando materiali bioriassorbibili – componenti elettronici, fotonici e (bio)sensori per la realizzazione di un sistema optoelettronico miniaturizzato e impiantabile, per la quantificazione di molecole target di interesse clinico/diagnostico in-vivo, in-situ e in tempo reale. Il sistema trasmette i dati della misura in maniera wireless e, su richiesta, può essere dissolto in prodotti biocompatibili attraverso l’invio di un opportuno segnale esterno. Come caso di studio, RESORB si concentrerà sulla quantificazione di un farmaco chemioterapico, la doxorubicina, con lo scopo di ottimizzarne il dosaggio durante il trattamento di pazienti con tumore, attraverso una misura diretta e continua - nel tempo - del quantitativo di farmaco nel sito di impianto.
Con un budget di 95,5 miliardi di euro, Horizon Europe è il più ambizioso programma di ricerca e innovazione europeo di sempre. Le principali novità del programma sono le cinque Missioni che mirano ad affrontare le grandi sfide in materia di salute, clima e ambiente; la revisione dei Partenariati europei; la costituzione del Consiglio Europeo per l’Innovazione (EIC); il potenziamento della cooperazione internazionale; il rafforzamento della politica della Open Science. Il progetto RESORBE è stato finanziato nell’ambito del Consiglio Europeo per l’Innovazione, programma di finanziamento con il quale l’Unione Europea mira a supportare le innovazioni game changing sostenendole lungo tutta la filiera: dai primi risultati della ricerca, al trasferimento tecnologico allo scale-up di start up e PMI.
C’è il basso bacino del fiume Serchio e in particolare il comprensorio del lago di Massaciuccoli al centro di un progetto di ricerca europeo che vede impegnata in prima linea l’Università di Pisa, insieme all’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Settentrionale e altri 13 partner in Europa che studieranno a loro volta aree a rischio idrogeologico in Austria, Germania, Spagna e Norvegia. Il progetto si chiama PHUSICOS (in greco φυσικός), che significa “in accordo con la natura”, e ha l’obiettivo di definire, realizzare e collaudare soluzioni basate sulla natura (Nature Based Solutions - NBSs) che favoriscano il recupero ambientale del lago di Massaciuccoli, migliorando gli ecosistemi ad esso collegati, favorendo la biodiversità e la fruibilità delle aree naturali. Il coinvolgimento dell’Ateneo pisano vede la collaborazione del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali e del Dipartimento di Scienze della Terra.
Il progetto, che è stato finanziato nell’ambito di Horizon 2020 con quasi dieci milioni di euro – di questi circa 1.5 milioni destinati a finanziare opere NBSs nel comprensorio del lago di Massaciuccoli – punta a dimostrare come le soluzioni basate sulla natura possano rappresentare misure robuste, sostenibili ed economiche per incrementare la resilienza del territorio, ridurre il rischio di eventi meteorologici estremi nei comprensori pede-montani e collinari. “La premessa di fondo di PHUSICOS è considerare la natura stessa una fonte di idee e soluzioni per mitigare il rischio rappresentato dai pericoli naturali causati dal clima – spiegano i professori Nicola Silvestri, Monica Bini e Roberto Giannecchini – Il progetto cercherà di colmare il vuoto di conoscenze specifiche relative all’uso di NBSs per i rischi idro-meteorologici (inondazioni, erosione, frane, siccità) implementando soluzioni apposite in diversi siti di studio”.
Nella foto il professor Nicola SIlvestri.
Un esempio? L’utilizzo di tecniche agronomiche in grado di meglio contenere i rischi di erosione e di perdita dei nutrienti dai campi coltivati che costituiscono una delle cause del degrado del Lago di Massaciuccoli. Con il coinvolgimento di due diverse aziende agricole del comprensorio, sono già iniziati i primi sopralluoghi per mettere a punto due tipi di sistemi alternativi di coltivazione di terreni intorno al lago: il primo prevede il ricorso alle fasce tampone (buffer-strip), cioè a delle strisce vegetate larghe tre metri che circondano il campo su tre lati, lasciando libero solo il lato necessario per consentire l’accesso alle macchine. L’altro si ispira ai principi dell’agricoltura conservativa ed è caratterizzato da una sostanziale riduzione dell’intensità della lavorazione del terreno e dal ricorso alle cover-crops, cioè a coperture vegetali, inserite fra una coltura e la successiva a meri scopi agro-ecologici, senza alcuna finalità economica. “Le performances dei tre sistemi colturali saranno valutate sia in termini agronomici, economici e ambientali, così da poter fornire tutte le informazioni utili per un auspicabile trasferimento di queste tecniche dal piano dimostrativo a quello operativo”, aggiunge il professor Nicola Silvestri.
Le attività del Dipartimento di Scienze della Terra, con il supporto e la collaborazione del dott. Nicola Del Seppia dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Settentrionale, si concentreranno sulla ricostruzione dell’evoluzione paleo-ambientale del sito mediante realizzazione di carotaggi dei primi metri di terreno, con analisi stratigrafica, granulometrica e datazione di alcuni orizzonti ritenuti chiave per l’interpretazione dell’evoluzione del territorio. “Ci occuperemo della caratterizzazione climatica recente in relazione alla variabilità delle precipitazioni e delle temperature, anche nel contesto dei cambiamenti climatici, e della caratterizzazione idrogeologica e geochimica dei terreni e delle acque, nonché del monitoraggio idrometrico, qualitativo e di trasporto solido delle acque superficiali per la quantificazione dei processi erosivi”, spiegano ancora i professori Monica Bini e Roberto Giannecchini.
I ricercatori coinvolti nel progetto sono il prof. Nicola Silvestri, il prof. Marco Mazzoncini, il dott. Nicola Grossi e il dott. Daniele De Nisco per il Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali; la prof. Monica Bini, il prof. Roberto Giannecchini, il dott. Marco Luppichini e la dott. Francesca Pasquetti per il Dipartimento di Scienze della Terra.
Robot che si muovono facilmente in ambienti naturali, in grado di camminare su superfici sabbiose e su sentieri scoscesi e rocciosi, con il compito di monitorare foreste, praterie, dune e montagne minacciate dal surriscaldamento globale e dall’inquinamento. Nei prossimi tre anni l’Università di Pisa coordinerà il progetto “Natural Intelligence for Robotic Monitoring of Habitats” (NI), finanziato dall’Unione Europea con un budget totale di tre milioni di euro (di cui uno destinato all’Ateneo pisano), il cui obiettivo è proprio quello di sviluppare sistemi robotici capaci di “uscire” dai laboratori e muoversi in habitat naturali. Responsabile del progetto è Manolo Garabini, ricercatore del Centro di Ricerca “E. Piaggio” e del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, che guiderà un consorzio di partner internazionali. Con lui collaborano all’Università di Pisa Franco Angelini e Riccardo Mengacci, rispettivamente post doc e dottorando in Robotics.
“Il progetto NI mira a sviluppare nuovi sistemi in grado di sfruttare un corpo basato su tecnologie soft robotiche in grado di adattarsi ad ambienti non strutturati – spiega Garabini - A questi corpi speciali, verranno affiancati dei nuovi algoritmi che costituiranno la mente dei robot. L’obiettivo di questi algoritmi sarà molteplice: da un lato faciliteranno la locomozione, rendendola energeticamente più efficiente, più robusta a disturbi e a terreni irregolari e permettendo anche movimenti più ardui, quali salti dinamici o camminare su sentieri ripidi; dall’altro lato, questi nuovi algoritmi renderanno i robot in grado di svolgere in modo (parzialmente) autonomo la missione preposta, ovvero permettendo di muoversi liberamente nell’ambiente, di rimediare a eventuali cadute, e anche di identificare e catalogare le varie specie tipiche degli ambienti naturali sotto analisi”.
Nella foto il team di ricerca dell'Università di Pisa: da sinistra Manolo Garabini (coordinatore del progetto), Franco Angelini e Riccardo Mengacci.
Nell’ambito del progetto saranno anche redatte delle linee guida per il monitoraggio ambientale mediante l’utilizzo di sistemi robotici, con lo scopo ultimo di includere queste teologie nei Manuali per il monitoraggio di specie e habitat di interesse comunitario in Italia (Direttiva 92/43/CEE). “Le nuove tecnologie sviluppate da NI permetteranno di facilitare e rafforzare la salvaguardia ambientale, rendendo l’Unione Europea leader mondiale nel settore – conclude Garabini – In aggiunta a ciò, le nuove tecnologie potranno essere applicate anche in altri settori, come quello agroalimentare o quello di ispezione e manutenzione”.
I partner del progetto coordinato dall’Università di Pisa sono: Imperial College (UK), Politecnico di Zurigo (CH), Università di Kingston (UK), Università di Delft (NL), Consiglio Superiore per la Ricerca Scientifca (E), Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Qbrobotics Srl. Come terze parti che forniranno le competenze in ambito botanico per il monitoraggio ambientale sono coinvolte anche le Università di Siena, Sassari, Perugia e Milano.
La nostra conoscenza delle scuole filosofiche greche è in gran parte basata sulle “Vite dei filosofi” di Diogene Laerzio (III secolo d.C.). Tra le fonti a cui quest’opera attinge figura la monumentale “Rassegna dei filosofi” del filosofo epicureo Filodemo di Gadara (110-post 40 a.C.), scritta alla fine dell’età ellenistica tra il 75 e il 50 a.C. Da questo trattato, trasmesso dai papiri carbonizzati di Ercolano, è possibile ricavare un resoconto sistematico della storia delle scuole filosofiche greche storicamente più attendibile e cronologicamente più vicino alle figure e ai fatti narrati. I manoscritti originali, sopravvissuti grazie all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e conservati a Napoli presso l’Officina dei Papiri Ercolanesi della Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’, sono di difficile lettura e le edizioni attualmente disponibili delle opere in essi contenute sono ampiamente superate.
Basandosi sui progressi più recenti della ricerca, il nuovo progetto GreekSchools dello European Research Council coordinato da Graziano Ranocchia (nella foto in basso), docente del Dipartimento di Filologia Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa, in cooperazione con il CNR-ISPC, il CNR-ILC e il MiBACT-Biblioteca Nazionale di Napoli, si prefigge di testare le più avanzate tecnologie oggi a disposizione per la decifrazione di questi preziosi manoscritti.
In particolare, personale del CNR-ISPC e della Biblioteca Nazionale, facendo uso di laboratori mobili della piattaforma MOLAB appartenente all’infrastruttura di ricerca europea E-RIHS, applicherà tecniche non invasive a papiri opistografi e stratificati al fine di leggere il testo inaccessibile sul verso o nascosto all’interno di strati multipli.
Combinando queste tecniche d’indagine con i metodi propri della filologia e della papirologia i docenti e i ricercatori del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa produrranno un testo critico affidabile e accresciuto della “Rassegna dei filosofi” di Filodemo attraverso un nuovo sistema editoriale.
Infine, personale del CNR-ILC svilupperà un ambiente innovativo orientato alla filologia computazionale, web-based, open access, open source e supportato da tecniche avanzate di analisi automatica del testo, finalizzato alla produzione collaborativa e conservazione a lungo termine, l’indicizzazione multidimensionale, la pubblicazione digitale e la fruizione intelligente dell’edizione.
Il progetto, della durata di cinque anni e del valore di quasi 2.500.000 euro, si svolgerà prevalentemente a Napoli presso l’Officina dei Papiri della Biblioteca Nazionale e sarà ospitato nella sede partenopea del CNR-ISPC nei locali messi a disposizione dall’Università Suor Orsola Benincasa. Le discipline coinvolte saranno la papirologia e la paleografia, la filologia classica e la storia della filosofia antica, la fisica e la chimica, la linguistica computazionale e il settore trasversale delle digital humanities. Dalla nuova edizione si attendono importanti ricadute in vari ambiti delle scienze dell’antichità e dello studio del patrimonio culturale.
Copyright immagini: Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo (Biblioteca Nazionale 'Vittorio Emanuele III', Napoli – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale).
Il professor Gianluca Fiori, docente di Elettronica al dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa, è uno dei 55 ricercatori europei vincitori di un ERC “Proof of Concept”, il grant di 150.000 euro assegnato dal Consiglio Europeo delle Ricerche, che va a premiare le idee e le proposte che potenzialmente possano tradursi in un prodotto commercializzabile.
Il progetto di Gianluca Fiori si chiama PREPRINT (high PREcision material PRINTer for electronics) e ha l’obiettivo di realizzare una stampante in grado di fabbricare microdispositivi elettronici con dimensioni dell’ordine del micrometro su substrati flessibili come la carta, con risoluzioni di gran lunga migliori rispetto a quelle attualmente ottenibili con stampanti commerciali. Il progetto, della durata di 18 mesi, ha come partner Quantavis, azienda spin-off dell’Ateneo pisano.
Il prototipo di stampante realizzato da Gianluca Fiori.
Le sovvenzioni ERC-PoC del Consiglio europeo della ricerca permettono ai ricercatori che hanno già beneficiato di una prima sovvenzione di ottenere un ulteriore sostegno finanziario al fine di favorire il trasferimento tecnologico dei risultati. Nel caso di Gianluca Fiori, l’idea della stampante era nata nell’ambito delle attività di ricerca condotte con il progetto PEP2D, finanziato nel 2018 con un ERC Consolidator Grant e che adesso, con il Proof of Concept, può ambire a diventare un prodotto commercializzabile. Il prototipo di stampante realizzato ha già dimostrato che si possono ottenere dispositivi elettronici stampati su materiali flessibili come la carta, sfruttando proprio le eccezionali proprietà elettriche e meccaniche dei materiali bidimensionali.
“La stampante ad alta definizione che andremo a sviluppare utilizzerà inchiostri basati su diversi tipi di materiali (come i materiali bidimensionali, quelli organici o le nanoparticelle metalliche come l’argento) per stampare dispositivi elettronici ad alta risoluzione – spiega Fiori – Riuscire a stampare un alto numero di questi dispositivi sullo stesso substrato consentirebbe di realizzare sistemi con performance e caratteristiche migliori, aprendo il pieno potenziale dell’elettronica stampabile e flessibile a un ampio campo di applicazioni, come cerotti e bende intelligenti, sistemi anticontraffazione, dispositivi lab-on-a-chip. Di fatto, con il progetto PREPRINT, verrà esplorata la realizzabilità tecnica ed economica di ottenere una risoluzione di stampa inferiore a 1 micrometro: crediamo infatti che tale obiettivo sia realizzabile aumentando la performance del prototipo fabbricato, che ci permetterà di competere nel crescente mercato dell’elettronica stampabile e delle stampanti di materiali”.
Con cinque progetti finanziati (uno nel 2018 e quattro nel 2019) – di cui tre come coordinatore e due come partner – l'Università di Pisa si colloca tra gli enti più "premiati" delle prime due edizioni del Programma PRIMA, la Partnership per l’innovazione del settore idrico e agro-alimentare nell’area mediterranea promossa dall’Unione Europa con la partecipazione di 19 paesi. Beneficiari di questi finanziamenti sono i dipartimenti di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali e Scienze veterinarie dell’Ateneo pisano per un contributo totale di circa 1.5 milioni di euro.
Il programma PRIMA è nato con l’obiettivo di costruire conoscenza e soluzioni innovative in ricerca e innovazione per la gestione delle risorse idriche, un’agricoltura sostenibile, cibo e filiera alimentare nell’area mediterranea. Tra i partecipanti ci sono 11 paesi membri dell’UE (Cipro, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Slovenia, Spagna) e Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Tunisia, Turchia. Il programma è finanziato attraverso una combinazione di fondi provenienti in parte dai paesi aderenti e in parte dal programma Horizon 2020.
Nel 2018 sono stati finanziati 36 progetti, 29 di essi coinvolgono una o più unità di ricerca italiane di cui 11 coordinati da enti italiani per un finanziamento totale di 10 milioni di euro. Nel 2019 sono stati finanziati 44 progetti, 34 di essi coinvolgono una o più unità di ricerca italiane di cui 14 coordinati da enti italiani per un finanziamento totale di 12 milioni di euro.
I risultati conseguiti sono certamente il frutto dell’impegno crescente dei docenti dell’Ateneo pisano nella progettazione europea, come dimostrato dal boom di finanziamenti nel triennio 2017-2019. A questo si somma anche l’aiuto ottenuto nella preparazione dei progetti tramite il servizio di supporto alla redazione di proposte progettuali, attivato dal 2018 presso la Direzione Servizi per la Ricerca e il Trasferimento Tecnologico.
L'ottimo esito ottenuto dall’Università di Pisa è anche dovuto all'impegno profuso nel seguire "da vicino" il programma fin dalla fase della sua genesi, partecipando agli incontri preparatori e diffondendo con un anticipo competitivo le informazioni utili ai nostri docenti. "Con questo stesso spirito di partecipazione e networking proattivo – spiega il professor Lisandro Benedetti-Cecchi, prorettore alla ricerca europea e internazionale – stiamo cercando di essere sempre più presenti come Ateneo in diversi tavoli e consessi europei strategici per la ricerca. Non a caso tra le misure di incentivazione attivate è stato aggiunto anche il bando Net4UNIPI che mira proprio ad intensificare le attività di rete con l'obiettivo di accrescere la capacità di sviluppare progetti e collaborazioni europee".
SIMTAP - Self-sufficient integrated multi-trophic aquaponic systems for improving food production sustainability and brackish water use and recycling
Finanziamento: circa 953 mila euro (UNIPI: circa 280 mila euro)
Ruolo UNIPI: coordinatore con il professor Alberto Pardossi del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali e il professor Carlo Bibbiani del Dipartimento di Scienze veterinarie
Paesi partecipanti: Italia, Francia, Germania, Turchia e Malta
Il progetto, iniziato il 1° giugno 2019, intende realizzare un sistema acquaponico multitrofico per la produzione alimentare di pesci e piante di acqua salmastra. Il pesce sarà alimentato con mangime prodotto da alghe, vermi e molluschi, in sostituzione parziale o totale di materie prime quali le farine, gli oli di pesce e le proteine vegetali. I sistemi SIMTAP saranno testati in diversi contesti mediterranei (Italia, Turchia, Malta e Francia), su piccola scala e adattati alle specifiche condizioni socio-economiche e climatiche dell’area. L’obiettivo del progetto è quello di ridurre l’uso di mangimi per i pesci, il consumo di acqua, fertilizzanti ed energia, la produzione di rifiuti e quindi l’impatto sull’ambiente di questo particolare segmento del settore agro-industriale. Maggiori informazioni qui.
FIGGEN - Valorising the diversity of the fig tree, an ancient fruit crop for sustainable Mediterranean agriculture
Finanziamento: circa 1 milione di euro (UNIPI: circa 378 mila euro)
Ruolo UNIPI: coordinatore con il professor Tommaso Giordani del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali
Paesi partecipanti: Italia, Spagna, Tunisia e Turchia
Obiettivo del progetto è valorizzare la variabilità naturale del fico, un frutto antico che presenta un grande potenziale di espansione grazie a preziose qualità nutrizionali, energetiche e nutraceutiche dei frutti, e al crescente interesse per i metaboliti secondari prodotti nei frutti, nelle foglie e nel lattice, combinato con la capacità di adattarsi ad ambienti secchi, calcarei e salini, rendendo questa specie estremamente interessante per una produzione sostenibile nella regione mediterranea, anche in relazione al cambiamento climatico. Con il coinvolgimento di agricoltori, produttori, distributori con esperienze e competenze multidisciplinari, verranno introdotti nei sistemi agricoli cultivar di fico più adatte alle tipologie di ambiente che si produrranno in seguito al cambiamento climatico e che consentiranno la produzione sostenibile del fico in futuro. Maggiori informazioni qui.
Leggi l'approfondimento su Unipi News.
FEDKITO - Fresh food sustainable packaging in the circular economy
Finanziamento: circa 840 mila euro (UNIPI: 390 mila euro)
Ruolo UNIPI: coordinatore con la professoressa Barbara Conti del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali
Paesi partecipanti: Italia, Francia, Grecia, Marocco, Tunisia
FEDKITO propone l'uso di chitosano, un polimero naturale, aromatizzato con olii essenziali per proteggere frutta, verdura, carne e latticini da attacchi di insetti e funghi e dall'ossidazione degli acidi grassi insaturi prolungando la durata di conservazione dei prodotti alimentari mediterranei deperibili durante la post-raccolta e in condizioni di stoccaggio. Il chitosano verrà estratto dalla cosiddetta mosca soldato nera, che verrà allevata con scarti di produzione. I nuovi packaging attivi amplieranno la durata di conservazione dei prodotti alimentari freschi, in modo sostenibile dal punto di vista ambientale, essendo completamente biodegradabili e prodotti secondo i principi dell'economia circolare. Maggiori informazioni qui.
Leggi l'approfondimento su Unipi News.
HaloFarMs – Development and optimization of halophyte-based farming systems in salt-affected Mediterranean soils
Finanziamento: circa 848 mila euro (UNIPI: circa 200 mila euro)
Ruolo UNIPI: partner con la professoressa Annamaria Ranieri del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali
Paesi partecipanti: Tunisia, Italia, Egitto, Spagna, Francia, Portogallo
HaloFarMs svilupperà e ottimizzerà nuovi sistemi di agricoltura sostenibile per la regione mediterranea basati sull'uso intelligente delle piante alofite per valorizzare le terre degradate e non sfruttate. Il progetto ottimizzerà la desalinizzazione dei suoli salini da parte di alofite prima della coltivazione delle colture, l’intercoltura di alofite su suoli salini, con importanti colture commerciali, e la coltivazione in vitro di alofite. Le alofite prodotte saranno caratterizzate dal punto di vista biochimico per il profilo nutrizionale e le proprietà funzionali. Questi prodotti ad alto valore aggiunto possono essere utilizzati nell'industria cosmetica, alimentare e veterinaria. L'adozione da parte degli agricoltori dei risultati del progetto contribuirà a diminuire la salinizzazione del suolo, aumenterà le rese senza esaurire le risorse di acqua dolce e diversificherà le fonti di reddito.
iGUESS-MED - Innovative greenhouse support system in the Mediterranean region: efficient fertigation and pest management through IoT based climate control
Finanziamento: circa 1.5 milioni di euro (UNIPI: 233 mila euro)
Ruolo UNIPI: partner con il professor Luca Incrocci del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali
Paesi partecipanti: Spagna, Italia, Tunisia, Turchia
Il progetto ha l’obiettivo di co-creare insieme agli stakeholders un innovativo software a basso costo, fruibile su un qualsiasi smartphone, che permetta, tramite una rete di sensori posti in serra e sulle piante coltivate e l’uso di modelli e di algoritmi matematici, di consigliare l’agricoltore sulla gestione del clima in serra, dell’irrigazione, della concimazione e della difesa della coltura. Il lavoro sarà condotto sul pomodoro, utilizzando sia la tradizionale coltivazione in terreno, sia quella innovativa in serre a bassa tecnologia tipiche del Mediterraneo. Verranno sviluppati nuovi protocolli di coltivazione che saranno validati mediante un’analisi economica basata sull’approccio costi-benefici. L’APP sviluppata permetterà di trasferire rapidamente le nuove conoscenze al mondo produttivo, riducendo così l’impiego di acqua, fertilizzanti e fitofarmaci, migliorando la produttività delle coltivazioni in serra e la qualità del prodotto finale, con benefici sociali ed ambientali nelle aree di coltivazione e con una maggiore salubrità delle produzioni alimentari. Maggiori informazioni qui.
Valorizzare la variabilità naturale del fico, un frutto antico per un’agricoltura mediterranea sostenibile. Questo in sintesi l’obiettivo del progetto di ricerca "FIGGEN" guidato dal professor Tommaso Giordani, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa che, assieme a una squadra di ricercatori di Italia, Spagna, Tunisia e Turchia, è riuscito a vincere, dopo una selezione durissima tra migliaia di team di ricerca internazionali di 19 nazioni, un milione di euro nella categoria Farming System della Call 2019 di PRIMA, il Programma per l’innovazione del settore idrico e agro-alimentare nell’area mediterranea guidato da tre anni dal professore ed economista Angelo Riccaboni, già rettore dell’Università di Siena
“I cambiamenti climatici stanno incidendo drammaticamente sulla regione del Mediterraneo e sono necessarie soluzioni per adattare le pratiche dei sistemi agricoli all'aumento delle temperature, della siccità e della salinità del suolo – spiega Giordani - L'adozione di sistemi di coltivazione mista come l'agroforestry può contrastare la perdita di agro-biodiversità e la riduzione della fertilità del suolo”.
Il fico (Ficus carica L.) ha un grande potenziale di espansione grazie a preziose qualità nutrizionali, energetiche e nutraceutiche dei frutti, e al crescente interesse per i metaboliti secondari prodotti nei frutti, nelle foglie e nel lattice, combinato con la capacità di adattarsi ad ambienti secchi, calcarei e salini, rendendo questa specie estremamente interessante per una produzione sostenibile nella regione mediterranea, anche in relazione al cambiamento climatico. Nei prossimi 36 mesi la squadra di ricercatori guidati da Giordani, con il coinvolgimento di agricoltori, produttori, distributori con esperienze e competenze multidisciplinari, hanno in progetto l'introduzione nei sistemi agricoli di cultivar di fico più adatte alle tipologie di ambiente che si produrranno in seguito al climate change e che consentiranno la produzione sostenibile del fico in futuro.
“Uno degli obiettivi è quello di realizzare sistemi agricoli basati sulla biodiversità, più resistenti alle incertezze climatiche e più sostenibili. Ciò avrà effetti benefici sul mantenimento delle risorse naturali (soprattutto in riferimento alla biodiversità sopra- e sottosuolo), sulla conservazione del suolo e delle acque, sulla valorizzazione dei suoli delle aree marginali, e quindi assicurerà la fornitura di migliori servizi ecosistemici” – afferma Giordani. “Tutto ciò avrà un impatto sia sul benessere che sul reddito degli agricoltori, sull'agro-ecosistema e sulla produzione di frutti di questa specie, consentendo di invertire la tendenza al ribasso della produzione di fichi registrata negli ultimi anni nell'area mediterranea”.
Nella foto, il gruppo di Genetica e Genomica Vegetale del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali: da sinistra Alberto Vangelisti, Gabriele Usai, la professoressa Lucia Natali, Flavia Mascagni, il professor Andrea Cavallini, il professor Tommaso Giordani.
Da qualche anno, il gruppo di Genetica e Genomica Vegetale del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell'Università di Pisa si occupa di studiare le caratteristiche del genoma del fico, che ha recentemente sequenziato, e di come questa specie, diffusa nell'area del Mediterraneo, sia in grado di resistere a condizioni climatiche avverse come siccità e salinità. Del progetto FIGGEN fanno parte anche due partner spagnoli, l'Instituto de Hortofruticultura Subtropical y Mediterranea La Mayora dell'Agencia Estatal Consejo Superior de Investigaciones Cientificas, rappresentato dal Prof. Inaki Hormaza, capo del "Subtropical Fruit Crops Department" e il Centro de Investigaciones Científicas y Tecnológicas de Extremadura, rappresentato dalla Dott.ssa Margarita Lopez-Corrales, coordinatrice della banca di germoplasma di fico in Extremadura e responsabile del centro di analisi e registrazione di varietà commerciali di fico a livello nazionale e comunitario. Il progetto comprende anche due partner della sponda meridionale del Mediterraneo: la Facoltà di Scienze dell'Université de Tunis El Manar, in Tunisia, rappresentata dalla Prof.ssa Amel Hannachi, Direttrice del "Fruit Genetic Resources Team in the Laboratory of Genetics, Immunology and Biotechnology", e il Dipartimento di Orticoltura della Çukorova University, Turchia, rappresentato dalla Prof.ssa Ayzin Küden.
Riguardo gli impatti attesi tra 3 anni alla fine progetto, Giordani aggiunge: “FIGGEN avrà ricadute sulla valorizzazione e conservazione della biodiversità, in quanto saranno analizzati 300 genotipi del germoplasma di fico della regione mediterranea, comprese cultivar trascurate o poco utilizzate. L'individuazione e la caratterizzazione dei genotipi più adatti alle difficili condizioni ambientali dettate dal cambiamento climatico contribuirà al miglioramento genetico di questa specie per una produzione di fichi sempre più sostenibile in futuro.
The island of Stromboli in the Aeolian archipelago was the origin of three large tsunamis which devastated the Mediterranean in the Middle Ages, one of which was witnessed by the poet Francesco Petrarca. The discovery comes from a study published in ‘Scientific Reports’ carried out by a research team from the Universities of Pisa and Modena- Reggio Emilia with the collaboration of the University of Urbino, the National Institute of Geophysics and Volcanology (INGV) Pisa section, the CNR, City University of New York and the American Numismatic Society.
The research revealed that the tsunamis were generated by the sudden flank collapse of the northwest side of the Stromboli volcano and that they hit the coasts of the Campagna region between the middle of the 13th and 14th centuries, as documented in chronicles of the period. The grave devastation of the ports of Naples and Amalfi, witnessed by Francesco Petrarca who was ambassador to Pope Clement VI in Naples can, in fact, almost certainly be attributed to the most important of the three events, which took place in 1343. Petrarca writes in a letter about a mysterious and extremely violent storm on 25 November which caused many deaths and the sinking of numerous ships.
Geologists at work on Stromboli
The identification of Stromboli as the origin of these terrible tsunamis was made possible thanks to the interdisciplinary work carried out by volcanologists and archaeologists, and for the University of Pisa by professor Mauro Rosi and researcher Marco Pistolesi, from the Department of Geosciences.
“In spring 2016,” says Mauro Rosi, “I decided to go to Stromboli as I had in mind an idea that had come to me after reading a letter by Petrarca in which he talks of a strange storm in Naples. With the first sample excavations we brought to light some ‘suspicious’ deposits. As chance would have it, on that same occasion I met associate professor Sara Levi from the University of Modena-Reggio Emilia who has been leading an excavation at Stromboli since 2009.”
During the volcanological part of the research work, three stratigraphic trenches were dug in the northern part of the island. These were roughly 80 metres long and two metres deep and brought to light three sandy layers containing large beach pebbles bearing witness to what was carried to land by the tsunami waves. The samples, the chemical analyses of the material and the carbon-14 dating, have established an unequivocal relationship between those layers and the archaeological discoveries which testify to the rapid abandonment of the island.
Details of the stratification where one of the large pebbles is visible
“In the first half of the 13th century Stromboli was inhabited and held an important role as an intersection of the naval traffic of crusades from the Italian, Spanish and Greek coasts. This is supported by evidence from the San Vincenzo plateau where a small church was discovered in 2015 and offers the first archaeological testimony of the occupation of the island,” explains Sara Levi. “Following the three great landslides which generated the tsunamis and the simultaneous and particularly strong resumption of the volcano’s eruptive activity, the island, as testified by the graves found near the small church, was totally abandoned from the middle of the 13th century until the end of the 16th century, when modern repopulation began. The reconstruction is based on solid stratigraphic and chronological data and is the result of close interdisciplinary cooperation in all the phases of the research.”
“It was already a well-known fact that the island of Stromboli could generate small tsunamis every ten years or so, but this work,” concludes Rosi, ”shows for the first time how the volcano is able to generate events of a much higher magnitude than those recorded in the chronicles over the last two centuries.”