Storicità del diritto, dignità dell'uomo, ideale cosmopolitico
Giornata di studi in memoria di Giuliano Marini
A un anno dalla morte, la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa e la Classe di Scienze sociali della Scuola Superiore Sant’Anna hanno organizzato, il 3 febbraio 2006, una giornata di studio in onore di Giuliano Marini. Gli interventi dei diversi oratori si sono soffermati sulla riflessione filosofica dello studioso e sui profondi intrecci tra questa e materie quali la storia e il diritto. Soprattutto, dal convegno è emerso quello che il professor Gatti ha definito come “il nesso, che Giuliano Marini ha vissuto e incarnato con la più rigorosa coerenza, tra filosofia e vita”.
Il Prof. G. Marini con C. A. Ciampi
Nel titolo della giornata di studi dedicata alla memoria di Giuliano Marini, “Storicità del diritto, dignità dell’uomo, ideale cosmopolitico”, sta forse l’indicazione del nesso principale che ha segnato tutta la sua esperienza di uomo e di studioso. Infatti egli ha sempre considerato la filosofia alla luce della tensione, difficile da mantenere ma costitutiva di tale ambito di ricerca, tra lo sguardo appassionato alla storia che si fa, da un lato, e, dall’altro, l’indagine sul “senso ultimo” del “mondo degli uomini”, cioè sul “significato del nostro agire”. Per questo sottolineava, parlando della filosofia, che essa, pur “attenta al presente come al suo proprio oggetto”, non indulge alle “teorie del presente”, ma le ricollega “alle loro più profonde e lontane radici teoretiche”: “umilmente, ontologicamente consapevole della propria limitatezza e della parsimonia con cui nei secoli è distribuita, gratia gratis data, una vera originalità teoretica, essa andrà alla ricerca […] delle ‘parole di vita eterna’ pronunciate dal pensiero umano nella sua storia”. Tutto ciò nella consapevolezza che, per riprendere il lessico hegeliano, “al di sopra di ciò che è finito, e di cui l’uomo deve pur occuparsi, esiste una ‘domenica della vita’, sede privilegiata del nostro più profondo interrogarci sul senso delle cose” (La filosofia politica e la storia del pensiero politico, in AA.VV., La filosofia politica, oggi, a cura di D. Fiorot, Giappichelli, Torino, 1990, pp. 34-35). Aprendo i lavori, Claudio Palazzolo, preside della facoltà di Scienze politiche, ha messo in luce come Marini abbia sempre saputo trasmettere agli studenti il senso di questa costante interrogazione e come ogni momento della sua attività universitaria ne sia stato profondamente influenzato. Entro tale orizzonte - come è stato ricordato da Claudio Cesa - risultano indissolubilmente connessi l’esperienza di vita di Giuliano Marini, contraddistinta in ogni momento da una “delicata riservatezza”, e il suo impegno teoretico, in cui il chiliasmo, sottratto a ogni flessione in senso retorico, diviene il vero e proprio “filo conduttore della ricerca”. E della vastità di questa ricerca ha dato conto, ripercorrendo gli studi di Marini sulla Scuola storica e sullo storicismo, Fulvio Tessitore, soffermandosi in particolare sulle radici e sullo sviluppo di una riflessione che ha avuto al suo centro Dilthey, Savigny, Hugo, Grimm. Decisivo è stato peraltro, nella prospettiva del ripensamento critico dello storicismo, il confronto con Capograssi, Piovani, Fassò, e con lo stesso Tessitore. Sulla figura di Savigny e in particolare su uno scritto poco noto, “Stimmen für und wider neue Gesetzbücher”, pubblicato nel 1816 nella “Zeitschrift für geschichtliche Rechtswissenschaft”, ha richiamato l’attenzione Alfred Dufour, mentre il tema della conciliazione, nella prospettiva del legame tra musica e religione, è stato affrontato, a partire dalla riflessione di Marini su Dilthey, da Antonio Di Marco. Maria Chiara Pievatolo ha illustrato, in chiusura dei lavori della mattina, il significato e le prospettive dell’“Archivio Marini”, in costruzione ma già consultabile on line. Nella sessione pomeridiana svoltasi presso la Scuola Superiore Sant’Anna, Francesco Donato Busnelli, che ha anche presieduto i lavori, ha particolarmente insistito sulla rilevanza della matrice giuridica dell’elaborazione filosofica di Marini, sorretta da un’inflessibile consapevolezza della “dignità della persona”. Le implicazioni politiche, con specifico riferimento al diritto cosmopolitico in Kant, sono state invece poste in rilievo da Barbara Henry. Giuseppe Cantillo, trattando di “libertà soggettiva e libertà oggettiva nel pensiero di Giuliano Marini”, ha messo in luce il fatto che uno dei più significativi apporti di Marini allo studio della filosofia hegeliana è da rinvenire nella valorizzazione del rapporto tra logica ed eticità. Cantillo ha poi richiamato l’attenzione sul modello kantiano della libertà soggettiva, in cui è saliente, nella “replica di Kant a Hegel” (così Marini l’aveva chiamata), il momento morale in quanto fattore di connessione tra società e stato. Il contributo della lettura mariniana della scuola storica del diritto al superamento dell’opposizione scolastica tra illuminismo e romanticismo è stato sottolineato da Eugenio Ripepe, il quale ha ricordato anche l’importanza, in questa lettura, del riferimento di Savigny alla tradizione romanistica: il diritto romano è in nuce il fulcro di uno “spirito del popolo europeo”.
Paolo Taviani ha infine rievocato i momenti più intensi e toccanti della sua amicizia con Marini, cementata dall’“ amore assoluto per la musica, la letteratura, il cinema”; ma ha anche rammentato come, accanto alla riservatezza, il suo carattere fosse contraddistinto da una finissima ironia; due tratti di una figura umana presa a testimonianza di un “tempo smarrito”, ma allo stesso tempo attraversata da una profonda e personale ricerca di senso per la vita. Da qui proveniva, credo, il suo infaticabile richiamo ai classici del pensiero come riferimento essenziale contro la logica dissipatoria della nostra epoca.
Libri di Kant contenuti nella bibliteca di Storia e Filosofia
La riservatezza, come espressione di una radicata e profonda umiltà, e l’ironia, come la capacità di guardare il mondo e gli eventi quotidiani mantenendo una distanza e una costante sorveglianza critica nei loro confronti - insomma senza attribuire loro un’importanza maggiore di quella che hanno- sono forse le due cifre che consentono di tessere un filo tra esperienza di vita e di studio nell’itinerario terreno di Giuliano Marini. È stata infatti la coscienza lucida delle possibilità ma anche dell’indigenza del pensiero di fronte agli interrogativi ultimi della condizione umana nel mondo che lo ha indotto a giudicare in modo insieme sospettoso e talvolta pungente quanti si autoinvestivano talvolta piuttosto frettolosamente della dignità di “filosofi” - preferendo invece invitarli a considerarsi più modestamente “studiosi di filosofia”. Questa modestia lo portava altresì a tenere fisso lo sguardo sui classici della filosofia, intendendo quest’ultima quale continua “rimeditazione” del loro lascito: una rimeditazione che arriva a far scorgere, come egli affermava, “un’unica plurisecolare familiarità, che permette il dialogo con Platone e con Kant, alla ricerca del senso della nostra presenza nel mondo, e alla ricerca dei doveri e dei diritti dei nostri simili”. A proposito della filosofia politica scriveva che essa, in quanto “disciplina filosofica”, richiede ai suoi cultori “un ininterrotto dialogo con i classici del pensiero filosofico, nell’intento di approfondire il loro insegnamento, chiarirlo sempre meglio e, se possibile alle loro forze, perfezionarlo costantemente” (La concezione kantiana di una repubblica mondiale e la sua attualità, in Tre studi sul cosmopolitismo kantiano, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma 1998, p.25). Da qui la sua spinta, decisiva, a creare un Seminario periodico - realizzato ora a Perugia con cadenza biennale - che riunisse la comunità degli studiosi di filosofia politica intorno a un tema desunto da un autore di particolare rilevanza, antico, moderno, contemporaneo, per riflettere criticamente su di esso. Da qui anche il patrimonio di lavori e ricerche, con al centro Kant ed Hegel, che Giuliano Marini lascia e che è intenzione della Società italiana di filosofia politica, attraverso anche il suo periodico on line (www.sifp.it), raccogliere e far fruttificare nei modi e nelle forme propri di questa associazione.
L’aspetto del Marini studioso di filosofia politica è stato toccato nella giornata di studi pisana, ma su di esso bisognerà certo tornare, raccogliendo anche quello che in questa giornata è stato detto. E si dovrà farlo, credo di poter dire, partendo dalla convinzione di Marini secondo cui obiettivo della filosofia politica è quello di mantenere l’equilibrio tra la coscienza della profondità storica dei problemi affrontati, lo sforzo di individuazione di ciò che dalla tradizione può venire per la comprensione del presente, l’impegno a non dimettere mai la “responsabilità” nei confronti del momento in cui siamo chiamati a vivere e ad operare. Proprio in conclusione di un articolo dedicato, partendo da un confronto tra Kant e Max Weber, all’“azione politica fra intenzione, responsabilità, adattamento” (L’azione politica fra intenzione, responsabilità, adattamento, in AA.VV., Filosofia e storia della cultura. Studi in onore di Fulvio Tessitore, Morano, Napoli 1997, v.III, pp.79-92) Giuliano Marini indicava come fine da raggiungere “una politica responsabile, e perciò dotata di sapienza morale”; a questo tipo di politica, difficile da praticare nel tempo della ragione cinica, sono necessarie sia la “prudenza”, cioè “la conoscenza del mondo com’è”, sia la “sapienza”, vale a dire la “conoscenza del mondo come dovrebbe essere” (p. 92). In questa sintesi si ritrova “la visione kantiana del politico sapiente e prudente, o politico morale” e la “visione weberiana del politico della responsabilità”, “figure che hanno insieme la contemplazione dell’ideale e l’esperienza del mondo, per quel tanto che è possibile all’uomo” (p. 91). “Soltanto allora - concludeva Marini - si avrà una politica della responsabilità” nel senso pieno del termine (p. 92).
Si può dire che nell’ultima parte della sua produzione questa linea interpretativa mirata a mantenere il radicamento nella storia del tempo presente senza disperdere la tensione e il rigore teoretici ha trovato negli scritti sul cosmopolitismo kantiano la sua più significativa espressione (Tre studi sul cosmopolitismo cit.). Com’è noto, il filo rosso che li lega è costituito dall’approfondimento del tema della “prospettiva cosmopolitico-repubblicana”, congiunto alla sottolineatura del nucleo tematico rappresentato dalla “dimensione federalistica”. L’ideale kantiano del repubblicanesimo “di tutti gli stati, insieme e singolarmente” è indagato dal punto di vista teoretico, ma anche proposto agli “uomini di buona volontà”, chiamati a trasformare questa “speranza kantiana” in concreta prassi storica (pp. 18-19). Nella Prefazione ai Tre studi Marini sottolineava quelli che Kant avrebbe definito “signa prognostica, capaci di rafforzare l’umana speranza in un avvenire democratico e pacifico”. Rammentava come si ripetessero, “anche se spesso tardivi e sfortunati”, interventi a livello internazionale autorizzati dalle Nazioni Unite, come si ravvivasse altresì “l’interesse dell’opinione pubblica mondiale, talora con il convinto e decisivo appoggio di stati illuminati, per un’organizzazione dell’ONU in senso ‘repubblicano’, nell’accezione di Kant, cioè incardinata in un potere legislativo basato sulla libertà politica e sulla rappresentanza; in un potere esecutivo liberato da veti paralizzanti; in un potere giudiziario indipendente”. Aggiungeva peraltro che le speranze suscitate da questi eventi valgono a condizione che “non diventiamo troppo arditi e fiduciosi nelle nostre attese, e sempre ci ricordiamo il costante ammonimento di Kant, che l’umanità dovrà sopportare terribili prove prima che si apra l’era della libertà universale garantita dal diritto” (p. 14). Come è stato osservato, Marini “insisteva sulla proiezione chiliastica (‘nel giusto senso simbolico’) della ‘speranza’ di Kant, che alla res publica universalis si affiancasse la ecclesia universalis; speranza non voleva dire pretendere che il regno di Dio si realizzasse sulla terra; essa era, piuttosto, un valore regolativo che deve ‘guidare l’azione ad una approssimazione infinita a quella condizione ideale’. Ammesso tale quadro generale, la discussione sulle singole questioni doveva restare sempre aperta, purché si accettasse di condurre ‘l’esame critico di ogni pretesa’ alla ‘luce della ragione, che è una in tutti gli uomini’” (C. Cesa, Ricordo di Giuliano Marini, in “Archivio di Storia della Cultura”, XVIII, 2005, p. 16). Non è difficile rilevare che mai come oggi questa prospettiva di ricerca può costituire un punto di riferimento sul quale continuare a meditare come punto di partenza per una riflessione critica sulla condizione presente delle relazioni internazionali.
Relativamente a questo momento della prassi la filosofia conserva quindi la sua autonomia, evitando ogni torsione strumentale; ma allo stesso tempo salvaguarda nettamente i suoi confini rispetto allo slittamento del pensare filosofico verso un esercizio di totale disimpegno rispetto al mondo. Né si lascia imbrigliare nella logica di un appiattimento che tende a trasformarla in un inesausto glossario dell’attualità, consumando progressivamente ogni eccedenza rispetto agli eventi e, anzi, facendosi dettare da essi la sua agenda. Prossimità e distanza critica delineano in tal senso la vocazione filosofica, innestata sulla coscienza del carattere finito di ogni produzione umana.
Si può dire forse che proprio la riflessione sulla dignità del finito, nelle sue varie modulazioni e articolazioni possibili, costituisce l’elemento di continuità e il nucleo tematico che consente di leggere unitariamente l’esperienza intellettuale di Giuliano Marini, come nella giornata di studi pisana è stato fatto egregiamente. Ma la dignità del finito ha costituito anche, fino al suo ultimo attimo di esistenza su questa terra, la cifra della sua esistenza, nutrita e accompagnata da una fede che ha connotato profondamente il senso del limite inerente la condizione creaturale. Quella fragilità che la sua stessa esile figura incarnava, quella mansuetudine e mitezza che trasparivano anche dal suo modo di guardare le cose e gli altri uomini - e che era insieme rispetto e amore, timore sempre di ferire l’altro, ritrosia verso ogni ostentazione - sapevano assumere però il volto della fermezza più irremovibile quando si trattava dei princìpi sui quali non credeva si dovesse per alcun motivo transigere. Non starebbe a me ricordare questo aspetto, che rientra in una parte della sua biografia apparentemente lontana dalla narrazione del suo profilo intellettuale pubblico, se non fosse per il fatto che proprio questo aspetto dimostra meglio di ogni altra considerazione il nesso, che Giuliano Marini ha vissuto e incarnato con la più rigorosa coerenza, tra filosofia e vita. Ciò non solo nel senso che la filosofia è stata parte integrante della sua vita, ma in quello, più pregnante (e senz’altro meno comune) che la sua vita è stata condotta nello sforzo costante di non tradire mai quei princìpi che hanno connotato il suo lavoro filosofico.
Raccogliendo quel poco che è stato detto fin qui si può forse, senza forzature, ricordare un breve frammento di una delle più significative filosofe del nostro secolo, Hannah Arendt, che sembra adattarsi in modo veramente singolare agli ultimi giorni della sua esistenza terrena: “Anche nei tempi più oscuri abbiamo il diritto di attenderci una qualche illuminazione. Ed è molto probabile che essa arriverà non tanto da teorie o da concetti, quanto dalla luce incerta, vacillante, spesso fioca, che alcuni uomini e donne, nel corso della loro vita e del loro lavoro, avranno acceso in ogni genere di circostanze, diffondendola sull’arco di tempo che fu loro concesso di trascorrere sulla terra”.
Roberto Gatti
docente di Filosofia politica Università di Perugia