Numero 15 - Editoriale
Febbraio 2006
I dati presentati nelle ultime settimane dai più autorevoli istituti di statistica non lasciano
margini ai dubbi e rivelano, in modo impietoso, il difficile stato di salute del nostro Paese. Solo
per citare alcuni esempi, tra il 2001 e il 2005 il PIL ha visto frenare la sua crescita dall’1,7 per
cento annuo allo 0,2, il deficit pubblico è salito dal 3,2 al 4,3 per cento e gli investimenti della
pubblica amministrazione sono passati dal 5,8 all’1,6 per cento.
Crescita zero, declino industriale, Paese al tramonto: sono solo alcune delle definizioni utilizzate
da diversi autorevoli studiosi e dai principali organi di stampa. In tutti gli osservatori vi è poi la
consapevolezza che le difficoltà della congiuntura internazionale si sono ripercosse con maggiore
forza sull’economia italiana per le rigidità strutturali che ci caratterizzano rispetto agli Stati Uniti
e alle nazioni emergenti.
La globalizzazione, con la rapida diffusione e il veloce accesso alla conoscenza prodotta a costi
ridotti rispetto al passato, ha investito lo stesso sistema italiano della ricerca, che per tornare a
essere competitivo richiede immediati adattamenti nelle strategie, nella dimensione finanziaria e
nei programmi di gestione e di valutazione. Dai dati ministeriali del Programma Nazionale per
la Ricerca 2005-2007 emerge che il nostro Paese è tra i migliori in Europa in termini di produttività
scientifica ed è a buon livello per quanto riguarda l’efficienza dei ricercatori calcolata in
base ai brevetti prodotti. Ne esce invece penalizzato per lo scarso numero di ricercatori/docenti
e per il basso rapporto tra studenti iscritti e laureati, classifiche in cui siamo agli ultimi posti in
Europa.
Per sostenere la ricerca e le università il governo ha introdotto quest’anno due misure nella Legge
finanziaria. La prima norma prevede la completa defiscalizzazione delle donazioni a favore delle
università compiute da enti, istituzioni o privati: si tratta di un chiaro incentivo a investire nella
ricerca, ammesso che le imprese in questa fase così critica abbiano la forza per sostenere tale
iniziativa. L’altra importante norma, descritta dettagliatamente in un articolo di questo numero
firmato dal prorettore Margherita Galbiati, riguarda la possibilità per ogni contribuente di destinare
il 5 per mille del proprio debito di imposta Irpef a sostegno dell’università e della ricerca.
Si potrà decidere di beneficiare anche l’Università di Pisa, firmando il riquadro b) del modulo
di dichiarazione dei redditi e inserendo il codice fiscale dell’Ateneo: 80003670504.
Queste misure possono rappresentare un’opportunità per l’Ateneo pisano e per tutto il sistema universitario, ma impongono anche una riflessione critica sul modello di finanziamento della ricerca e delle università che si intende perseguire. Per poterci allineare al resto dell’Europa e ancor di più per competere a livello internazionale, il nostro Paese non ha tanto bisogno di iniziative estemporanee, che rischiano anche di avviare una “guerra tra poveri” tra gli oltre 38.000 enti interessati, quanto di un progetto strategico e di ampio respiro. Come hanno saputo fare alcuni governi insediatisi recentemente, per esempio quello tedesco, è necessario porre concretamente la ricerca e l’innovazione come priorità nazionale, vere e proprie leve strategiche per il rilancio del sistema produttivo. Il nostro augurio è che il prossimo governo italiano, qualunque esso sia, abbia la forza per affermare questa visione strategica, senza spogliarsi del proprio potere di programmazione delegando la società civile a risolvere il problema del finanziamento alla ricerca e alle università.
La Redazione