Il recupero dei suoli vulcanici
Il personale del Centro Avanzi in Messico e Cile
per sviluppare un progetto UE di agroforestazione
La difesa del suolo è da anni argomento di conferenze internazionali. Ovunque se ne sottolinea il ruolo fondamentale in relazione al mantenimento della vita, del patrimonio genetico e del paesaggio. Un ruolo che assume di colpo un significato concreto quando si osservano da vicino i fenomeni di degrado che si verificano dove non viene adottata una adeguata politica di protezione. L’erosione dei terreni vulcanici latino-americani parla chiaro e si tratta di un fenomeno decisamente rilevante, sia per estensione sia per intensità.
Il 25% dei suoli dell’America centro meridionale ha origine vulcanica, sono fertili, coltivati dai tempi preistorici ma terribilmente vulnerabili ai fenomeni erosivi. Quando le piogge raggiungono volumi consistenti il ruscellamento superficiale può generare veri e propri smottamenti degli orizzonti più fertili, i suoli perdono porosità e diventano inutilizzabili per le attività agricole. Il risultato è la progressiva modificazione del paesaggio e la marginalizzazione di intere aree.
Le formazioni degradate hanno nomi musicali che derivano dalle lingue native: si chiamano, infatti, tepetate, talpetates, cangahuas e trumaos i suoli sudamericani che hanno coinvolto l’Università di Pisa in un complesso e articolato progetto di ricerca dell’Unione Europea a nome REVOLSO. Il titolo del progetto è l’acronimo per REhabilitation of deteriorated VOLcanic SOils.
L’obiettivo è il recupero permanente di suoli compromessi; una scommessa alla quale il Centro Interdpartimentale di Ricerche Agro-ambientali “Enrico Avanzi” (CIRAA) ha partecipato insieme a numerosi istituti di ricerca e università europee ed extraeuropee.
Il progetto ha coinvolto tre università messicane (Tlaxcala, Montecillo e Chapingo), una cilena (Concepcion), tre istituti di ricerca europei (l’Università di Giessen, Consiglio Superiore della Ricerca Scientifica di Salamanca e l’Istituto di Ricerca per lo sviluppo di Grenoble) e uno messicano, il Centro nazionale di Investigazione per la Produzione Sostenibile. Per la loro storia pedologica e sociologica si è deciso di studiare i suoli messicani e cileni.
Infatti sia in Messico che in Cile la pressione demografica ha incoraggiato lo sfruttamento intensivo degli ecosistemi vulcanici. Il manto vegetale che proteggeva i fragili terreni è stato distrutto per far posto alle colture che peraltro non hanno dato i risultati sperati. Per aumentarne la produttività sono state usate pratiche colturali inadeguate con risultati tanto evidenti quanto sconfortanti.
Ad oggi nella regione messicana di Tlaxcala il 17% dei suoli non è più coltivabile. Secondo le previsioni se non saranno prese misure idonee i suoli degradati saliranno al 70% del totale nel corso di quattro generazioni. Purtroppo i governi locali non hanno affrontato il problema, come se la mancanza di una vera e propria catastrofe rendesse inutile ogni preoccupazione.
Negli ultimi anni l’erosione ha iniziato a marciare di pari passo con una vera e propria “erosione sociale” che ha condotto all’impoverimento dei piccoli produttori e al progressivo declino delle comunità locali: gli uomini, alla ricerca di altre fonti di reddito, hanno lasciato il lavoro dei campi alle donne. La povertà rurale di queste aree è legata a doppio filo con il fenomeno erosivo.
Per rivitalizzare i suoli vulcanici REVOLSO ha scelto la carta dell’agroforestazione. L’attività forestale è infatti molto diffusa nella zona andina e la combinazione forestazione e agricoltura sostenibile sembra rappresentare una strategia vincente per contenere l’erosione. I principali obiettivi comuni ai due sistemi colturali riguardano l’interesse nei confronti della fertilità del suolo, della biodiversità e della sostenibilità.
La parte sperimentale del progetto ha posto a confronto sistemi agricoli convenzionali e ecocompatibili, in tre diverse stazioni sperimentali: due in Messico (Tlaxcala e Atecuaro) e una in Cile, a Quilmo.
Le colture erbacee come grano tenero, lenticchia, cece e avena sono state affiancate da specie forestali come frassino, ciliegio selvatico quercia e castagno, secondo uno schema molto comune in questa area.
I campi sperimentali sono stati attrezzati con dispositivi per la misura dell’erosione e la captazione dei suoli erosi. Al Centro “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa è stato affidato lo studio dei fenomeni erosivi nella stazione cilena di Quilmo: i tecnici dell’Ateneo pisano hanno curato l’allestimento e l’organizzazione delle ricerche di campo, sia per gli aspetti di pieno campo, sia per il monitoraggio dell’erosione.
I dispositivi sperimentali messi a punto dallo staff del CIRAA, già testati in numerose indagini, sono particolarmente adatti all’“esportazione” in diverse condizioni pedoclimatiche. Si tratta infatti di attrezzature a basso costo, costruibili con materiali facilmente reperibili, secondo una “tecnologia modesta al servizio di un problema complicato”, in pieno accordo con lo spirito del progetto.
Grazie a questa semplice tecnologia è stato possibile un monitoraggio accurato della quantità e della qualità delle acque erose in seguito agli eventi piovosi. Il lavoro è stato condotto insieme a docenti e tecnici dell’Università di Concepción. Il confronto tra culture è stato molto positivo, si trattava di tradurre in pratica concetti come agricoltura convenzionale, sostenibilità e ecocompatibilità, in una realtà completamente diversa da quella italiana.
Niente di insormontabile, la radicata abitudine agli scambi culturali di tutto il personale dell’Università di Concepción ha senz’altro giocato a favore degli ospiti del CIRAA. Durante i quattro anni di sperimentazione i tecnici del CIRAA sono stati affiancati da giovani laureati della facoltà di Agraria di Pisa, che hanno studiato i fenomeni erosivi durante la stagione delle piogge che in Cile inizia ad aprile per terminare a settembre inoltrato. Al termine della ricerca i campi sperimentali verranno trasformati in pascoli permanenti, per garantire una prolungata tutela dei suoli.
I quattro anni di REVOLSO hanno favorito gli scambi tra gruppi di studio. Il lavoro dei sociologi rurali si è rivelato particolarmente interessante, il progetto prevede infatti il coinvolgimento dei campesinos delle comunità locali, cui è stato assegnato un ruolo centrale nella promozione e nella divulgazione delle tecniche agricole sostenibili. Nel sito sperimentale di Tlaxcala abbiamo avuto l’occasione di osservare l’impatto di REVOLSO sulla realtà locale. Nella piccola comunità abbiamo conosciuto una energica signora che ha deciso di partecipare al progetto e ne è diventata portavoce. La signora Berta segue di persona il lavoro nei campi sperimentali, pianifica il lavoro delle donne della comunità e insieme a loro organizza riunioni in cui vengono illustrati traguardi e limiti delle strategie adottate. Nel frattempo ha deciso di trasferirsi insieme alla sua famiglia in una casa biocompatibile, si tratta di un prototipo in cui al posto dei mattoni è stata usata paglia pressata opportunamente trattata. Il risultato è un condizionamento naturale del clima all’interno dell’abitazione, confortevole anche quando la temperatura esterna è molto elevata.
Il progetto è terminato in luglio con il Simposio Internazionale sui suoli vulcanici deteriorati, tenutosi in Messico con la partecipazione dell’ambasciatore della UE in quel Paese.
Dopo quattro anni di lavoro intenso e complesso - fa piacere registrare un primo risultato tangibile. Il governatore dello stato di Tlaxcala ha infatti deciso di sostenere il recupero dei suoli a beneficio dei piccoli produttori. Una risposta incoraggiante che potrebbe promuovere l’impegno di altri governi latinoamericani in piena “emergenza suoli vulcanici”, come Colombia, Ecuador, Venezuela e Argentina.
Torna alla mente la profetica riflessione del Dottor Astrov, nello Zio Vania, di Cechov: “...l’uomo è dotato di intelligenza e di forza creativa per moltiplicare ciò che gli si è dato, sinora però egli non ha creato, ma distrutto…di giorno in giorno la terra diventa sempre più povera e più brutta... Ma quando passo vicino alle foreste contadine che ho salvato dal taglio fraudolento o quando sento stormire la mia giovane foresta piantata dalle mie mani, io mi accorgo che il clima è un poco anche in mio potere e che se fra mille anni l’uomo sarà felice, ne avrò un poco anch’io la colpa…”.
Marco Ginanni, Rosalba Risaliti
Centro interdipartimentale di ricerche agro-ambientali “Enrico Avanzi”
labsuolo@avanzi.unipi.it