Quali regole per gli ogm?
Il tema degli organismi geneticamente modificati, e in particolare degli alimenti costituiti, composti o derivati da ogm, rappresenta da tempo un banco di prova per il confronto fra diritto e tecnologia; un’occasione per mettere a punto le linee dell’intervento pubblico nell’ambito della innovazione tecnologica, per definire le procedure di adozione dei pareri scientifici, per valutare il ruolo e gli spazi della ricerca pubblica e privata, per costruire gli strumenti di tutela dei consumatori così come i modelli di comportamento e le regolep per le imprese
L’immissione sul mercato di prodotti geneticamente modificati ha suscitato e suscita nell’opinione pubblica europea un dibattito acceso e preoccupato, in ragione delle discriminanti etiche, delle implicazioni sociali, delle conseguenze economiche. Dopo che le indagini sociologiche e le riflessioni filosofiche hanno prodotto importanti risultati, è venuto il momento di confrontarsi sul terreno delle regole come strumento attraverso il quale possono essere tutelati i molti interessi che si trovano a convivere e a confliggere nella ricerca, produzione e consumo dei prodotti dell’ingegneria genetica. La questione della governance è ormai un terreno di dibattito cruciale che occorre leggere nel contesto di una modernità caratterizzata, per un verso, da una crescente richiesta di decisioni e di regole su un sempre maggior numero di temi e, per l’altro, da una crisi di fiducia nelle istituzioni e nella politica, la cui capacità di risolvere i problemi è spesso messa in dubbio.
Le regole di cui abbiamo bisogno sono da considerare e osservare sotto diversi profili: quello della competenza e della partecipazione ai processi decisionali; quello degli elementi da valutare nell’opera di regolamentazione; quello, infine, degli interessi in nome e a tutela dei quali le regole vengono scritte.
Madeleine Ferrieres, nella sua Storia delle paure alimentari, parla delle regole come di un riflesso della paura (“la paura e il suo doppio”); uno strumento che nasce dal bisogno di sicurezza. Non dovrebbe meravigliare, quindi, scoprire che la vicenda della regolamentazione degli ogm è stata in primo luogo caratterizzata dalla quantità e dalla densità: molte regole in un tempo relativamente breve, provenienti da fonti di diverso livello e di diversa natura, e ancora, regole su una pluralità di aspetti (si distinguono ormai due o tre fasi della regolamentazione e se ne preannuncia un’altra). Una breve rassegna ricomprende le aree dell’utilizzo in laboratorio, dell’emissione in ambiente a fini sperimentali, dell’immissione in commercio, in ambito europeo e mondiale; del movimento transfrontaliero; della brevettazione, della tracciabilità, della coesistenza. Ciascuna di queste aree si scompone poi in aspetti di maggiore dettaglio ai quali sono dedicati interi atti normativi.
Chi scrive le regole?
La questione si può così sintetizzare: nel caso degli ogm deve prevalere la decisione centralizzata in modo da evitare contraddizioni e problemi di coordinamento, oppure devono decidere i poteri decentrati in modo da tutelare le diversità? I processi della democrazia rappresentativa sono adeguati o è opportuno introdurre, nella deliberazione sui temi che riguardano
le innovazione tecnologiche che hanno un impatto significativo sulla vita dei cittadini, forme di democrazia diretta?
La comunità o gli Stati membri?
Le istituzioni comunitarie hanno opinioni diverse sugli ogm (Parlamento contro Commissione) ma soprattutto manca l’accordo tra gli Stati membri: quelli che manifestano una posizione critica vorrebbero poter escludere dal loro mercato interno questi prodotti e impedire nelle loro campagne la coltivazione delle varietà geneticamente modificate, ma finora le istanze di questo genere si sono scontrare con la Commissione europea che ha fatto costantemente presente la necessità di tener conto del contesto internazionale,
richiamandosi a un’idea di competitività che richiede alte rese e costi limitati, e ricordando inoltre le regole del mercato unico, che prevedono che un prodotto autorizzato dalla Comunità sulla base di un procedimento regolato possa circolare liberamente sul mercato comunitario. Divenuta insostenibile in sede internazionale la situazione di compromesso che si era venuta a creare nel corso degli ultimi anni – per cui le istituzioni comunitarie consideravano illegittimo ma tolleravano di fatto il mantenimento di misure provvisorie di interdizione da parte di singoli Stati – lo sbocco che da ultimo viene prospettato è di differenziare la commercializzazione dalla coltivazione, garantendo la libera circolazione delle merci (e quindi degli alimenti) sul mercato unico e nel contempo salvaguardando gli spazi di autonomia rivendicati in ambito agricolo e ambientale da molte delle regioni comunitarie.
Lo Stato centrale o le autonomie locali?
Un contrasto analogo si registra in Italia fra governo centrale e Regioni: la competenza di queste ultime in materia di agricoltura (stabilita dalla Costituzione) e la forte contrarietà della maggior parte delle regioni italiane agli ogm – testimoniato dal successo del movimento delle regioni ogm–free – conducono le regioni a rivendicare il loro diritto di regolare una materia
che è strettamente legata al territorio. Dall’altro lato, la competenza dello Stato in materia di ambiente e la necessità di tener conto delle regole comunitarie spinge lo Stato ad assumere una posizione guida nell’individuazione delle regole. Una sentenza della Corte costituzionale ha, nel 2006, dato ragione alle Regioni ma ha anche affermato il cosiddetto “principio di
coesistenza” secondo il quale su uno stesso territorio devono poter coesistere colture e produzioni diverse a garanzia della libertà di scelta degli agricoltori e dei consumatori. Siamo in attesa di una nuova legge ma nel frattempo il nuovo governo italiano sembra aver imboccato, con alcuni provvedimenti, la strada dell’accoglimento delle colture geneticamente modificate.
Le istituzioni o i cittadini?
Uno dei temi che caratterizza il confronto fra diritto e tecnologia è l’istanza di partecipazione dei cittadini nell’assunzione di decisioni che coinvolgono la sfera pubblica e per le quali si ritiene che i procedimenti garantiti dalla democrazia rappresentativa dovrebbero, in ambiti come quello delle biotecnologie, essere accompagnati da forme di inclusione e di democrazia diretta. Le istanze a favore del coinvolgimento dei cittadini si sono tradotte negli ultimi anni in regole procedimentali, ma soprattutto stanno cambiando alcune prassi deliberative delle istituzioni comunitarie e nazionali. Si assiste inoltre alla fioritura di gruppi, associazioni e così via che agiscono “dal basso” per cambiare le regole.
Come si scrivono le regole?
In un sistema di produzione come quello alimentare, fortemente caratterizzato dall’introduzione di nuove tecnologie, le regole si legittimano in relazione al responso della comunità scientifica, che appare il fondamento della razionalità della regola. Cosa accade quindi quando la scienza non rappresenta più un sistema di riferimento idoneo a dare risposte certe? E come tutelare interessi che richiedono presupposti diversi sui quali assumere la decisione?
Sulla base delle diversità di approcci alle tecnologie nel mercato mondiale si à ormai diffusa la convinzione che le valutazioni delle tecnologie non possano limitarsi agli aspetti scientifici, ma debbano tenere conto anche degli impatti sulla società, delle implicazioni etiche, delle conseguenze economiche. Questa conclusione è al momento ignorata dal legislatore, soprattutto comunitario, in materia di ogm: le esigenze legate alla globalizzazione dei mercati impongono punti di riferimento certi e si è convinti che motivazioni non controllabili potrebbero fare spazio ad atteggiamenti protezionistici.
La riflessione su questi aspetti non può prescindere, da un lato, dal problema dell’incertezza scientifica che caratterizza tuttora l’analisi dei sistemi complessi, quale è appunto il sistema vivente, e dall’altro, dalla perdita di fiducia nella neutralità delle istituzioni scientifiche, e dunque nella scienza come strumento di conoscenza oggettivo. L’esperienza dell’EFSA (l’Autorità europea della sicurezza alimentare), al centro da qualche tempo di rilievi critici sul suo operato di consulente scientifico nel campo degli alimenti geneticamente modificati, è sintomatica del difficile rapporto con il mondo della scienza.
Nell’interesse di chi si scrivono le regole?
Ovvero: quanto pesano sulle scelte in materia di ogm gli interessi dei consumatori a scegliere l’alimento che preferiscono e degli imprenditori a scegliere la varietà, la materia prima, le componenti del proprio prodotto, nonché dei grandi gruppi economici a imporre i loro prodotti sul mercato mondiale?
Gli interessi dei consumatori alla sicurezza dei prodotti alimentari e ad una informazione corretta e completa sono evidenti. La sicurezza dovrebbe essere adeguatamente garantita da un procedimento di autorizzazione all’immissione in commercio dei prodotti
alimentari geneticamente modificati che si basi sull’analisi scientifica del rischio. Le regole di etichettatura europee sono le più severe al livello mondiale anche se rimangono alcune incongruenze, ovvero:
a) la deroga all’obbligo di etichettatura nel caso in cui vengano utilizzati coadiuvanti tecnologici nel processo produttivo e
la considerazione dei mangimi come coadiuvanti – con la conseguenza che non sono etichettati i prodotti alimentari ottenuti da animali nutriti con mangimi geneticamente modificati – e l’esenzione dal medesimo obbligo nel caso di contaminazione entro lo
0,9% del singolo ingrediente;
b) l’assenza di regole specifiche per l’etichettatura negativa con la conseguenza del proliferare di etichettature “non–ogm” “ogm–free” e simili, anche nel caso di prodotti con presenza di proteine geneticamente modificate entro la soglia dello 0,9 per cento. Infine, indipendentemente dalla correttezza, l’informazione può assicurare il diritto di scelta solo se si garantirà sul mercato la disponibilità di alimenti diversi (gm e non) e questo viene messo in dubbio
da chi vede nella coesistenza fra diversi tipi di colture (gm e non) sullo stesso territorio una minaccia alla diversità delle produzioni.
Gli interessi dei produttori a scegliere la materia prima da utilizzare, il metodo produttivo, la varietà vegetale, sono anch’essi condizionati dall’effettiva disponibilità di prodotti diversi, quanto dalla presenza di ogm, a fronte di una domanda al consumo di prodotti non–gm. In particolare, le conseguenze economiche della coesistenza delle colture gm e non–gm sui redditi degli agricoltori in termini di minor prezzo del prodotto contaminato sul mercato aggravano una posizione di debolezza – nel senso dell’autonomia imprenditoriale – che si è accentuata in seguito allo sviluppo del sistema agroalimentare dominato dall’industria.
Gli interessi dei grandi gruppi economici ad imporre i propri prodotti sul mercato mondiale trovano uno strumento di affermazione, oltre che nella normale attività di lobbing, nelle regole sui brevetti biotecnologici, in particolare quelli sulle varietà vegetali, attraverso i quali si rischia una sostanziale appropriazione delle risorse alimentari mondiali a vantaggio di un limitato numero di soggetti e una significativa perdita di conoscenze tradizionali. La battaglia condotta da varie organizzazioni non governative al livello mondiale è supportata da alcuni governi, soprattutto dei paesi in via di sviluppo, ma non ha finora condotto ad una revisione delle regole nella direzione di una maggiore democrazia economica.
Il tema della governance degli ogm, in conclusione e riprendendo quanto detto al principio, appare cruciale per la definizione delle regole dell’innovazione tecnologica in generale, e in particolare nell’ambito della produzione di alimenti. Se è vero quello che preannuncia Jacques Attali nella sua Breve storia del futuro sulle luminose prospettive dell’infinitamente piccolo rappresentato dalle nanotecnologie, è necessario che l’Unione europea non perda terreno nell’innovazione tecnologica ma anche che sappia parlare con la propria voce, affermando un modello europeo di sviluppo rispettoso dei valori affermati nelle costituzioni del vecchio mondo.
Eleonora Sirsi
professore di diritto agrario
sirsi@jus.unipi.it