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Chiara Magliaro, bioingegnera post-doc del Centro di Ricerca "E. Piaggio" dell’Università di Pisa, ha vinto una delle 170 borse di ricerca della Fondazione Umberto Veronesi per il 2018. La cerimonia di premiazione si è svolta mercoledì 21 marzo alle ore 11.30 presso lo Spazio UniCredit Pavilion di Milano. Chiara Magliaro, classe 1987 originaria di Pratola Serra in provincia di Avellino, si è aggiudicata il finanziamento grazie al progetto iPAD sul morbo di Parkinson, selezionato sui quasi seicento presentati.
“Sebbene non siano ancora chiare le cause, genetiche o ambientali, che innescano la degenerazione dei neuroni nel morbo di Parkinson – spiega la ricercatrice dell’Università di Pisa - recenti studi dimostrano che l’alterazione del microbioma intestinale, cioè in batteri "buoni" che popolano il nostro intestino, sia in qualche modo legata allo sviluppo della malattia”.
L’obiettivo del progetto iPAD, che Chiara Magliaro svolgerà con il tutorato della professoressa Arti Ahluwalia direttrice del Centro di Ricerca "E. Piaggio", è proprio quello di indagare questo aspetto attraverso la creazione di un sistema in vitro di organoidi (cioè versioni semplificate e miniaturizzate di organi realizzati a partire da cellule staminali umane) di mesencefalo-intestino utilizzando tecnologie avanzate di fabbricazione, microscopia e nuovi algoritmi computazionali.
“In questo modo, sarà possibile studiare in che modo le alterazioni del microbioma intestinale possano innescare la malattia - conclude Chiara Magliaro - il sistema in vitro di organoidi costituisce inoltre una alternativa valida ed eticamente sostenibile ai tradizionali metodi di studio del cervello umano che utilizzano modelli animali. In futuro, la generazione di questo tipo modelli con staminali indotte dalle cellule del paziente stesso sarà fondamentale per lo sviluppo di nuovi e più efficienti approcci terapeutici personalizzati”.

Chiara Magliaro, bioingegnera post-doc del Centro di Ricerca "E. Piaggio" dell’Università di Pisa, ha vinto una delle 170 borse di ricerca della Fondazione Umberto Veronesi per il 2018. La cerimonia di premiazione si è svolta mercoledì 21 marzo alle ore 11.30 presso lo Spazio UniCredit Pavilion di Milano. Chiara Magliaro, classe 1987 originaria di Pratola Serra in provincia di Avellino, si è aggiudicata il finanziamento grazie al progetto iPAD sul morbo di Parkinson, selezionato sui quasi seicento presentati.

 

chiara magliaro

Chiara Magliaro, biongegnera post doc del Centro di Ricerca "E. Piaggio" dell'Università di Pisa


“Sebbene non siano ancora chiare le cause, genetiche o ambientali, che innescano la degenerazione dei neuroni nel morbo di Parkinson – spiega la ricercatrice dell’Università di Pisa - recenti studi dimostrano che l’alterazione del microbioma intestinale, cioè in batteri "buoni" che popolano il nostro intestino, sia in qualche modo legata allo sviluppo della malattia”.

L’obiettivo del progetto iPAD, che Chiara Magliaro svolgerà con il tutorato della professoressa Arti Ahluwalia direttrice del Centro di Ricerca "E. Piaggio", è proprio quello di indagare questo aspetto attraverso la creazione di un sistema in vitro di organoidi (cioè versioni semplificate e miniaturizzate di organi realizzati a partire da cellule staminali umane) di mesencefalo-intestino utilizzando tecnologie avanzate di fabbricazione, microscopia e nuovi algoritmi computazionali.

“In questo modo, sarà possibile studiare in che modo le alterazioni del microbioma intestinale possano innescare la malattia - conclude Chiara Magliaro - il sistema in vitro di organoidi costituisce inoltre una alternativa valida ed eticamente sostenibile ai tradizionali metodi di studio del cervello umano che utilizzano modelli animali. In futuro, la generazione di questo tipo modelli con staminali indotte dalle cellule del paziente stesso sarà fondamentale per lo sviluppo di nuovi e più efficienti approcci terapeutici personalizzati”.

L'atrio di Palazzo Blu ospita da oggi una Yurta, la tipica abitazione delle popolazioni nomadi dell’Asia centrale, che poteva essere smontata, spostata e assemblata in un tempo relativamente breve. Il montaggio della Yurta è stata realizzato in occasione della mostra fotografica "Il viaggio di Marco Polo nelle fotografie di Michael Yamashita" (24 marzo-1° luglio), realizzata per la Fondazione Palazzo Blu dal "National Geographic", con il contributo della Fondazione Pisa e del Museo Nazionale d’Arte Orientale Giuseppe Tucci. Resterà in esposizione per l'intero periodo della mostra.

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La Yurta è stata montata da alcuni studenti Erasmus+ attualmente all'Università di Pisa con il progetto di mobilità extraeuropea "KA 107", insieme al professor Pier Giorgio Borbone, ordinario di Ebraico e Siriaco. Gli studenti coinvolti, provenienti dal Kirghizistan, Kazakistan e Mongolia, hanno così avuto l’opportunità di far conoscere la loro tradizione culturale proprio nel giorno in cui ricade la Festa del Nawruz, ricorrenza che celebra il nuovo anno. La professoressa Ann Katherine Isaacs, esperta di programmi europei per la formazione e la ricerca e profonda conoscitrice delle regioni dell’Asia centrale, è intervenuta a sottolineare il grande contributo che i progetti di mobilità forniscono all’inclusione e alla reciproca virtuosa conoscenza, oltre naturalmente a quello più strettamente scientifico e accademico.

In occasione della mostra, la Fondazione Palazzo Blu e l’Università di Pisa hanno stipulato una convenzione che consente l’ingresso a tariffa ridotta agli studenti, ai docenti e al personale dell’Ateneo.

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Giovedì 22 marzo alle 14.30 nell’aula B1 del Polo Piagge dell’Università di Pisa (via Matteucci, 11 Pisa) si terrà un seminario sulla responsabilità sociale delle imprese. In particolare, le relazioni si concentreranno sulle nuove strutture organizzative presenti in Italia ed all’estero finalizzate al perseguimento di finalità sociali, in aggiunta (società benefit) o in sostituzione (imprese sociali) del tradizionale scopo lucrativo, quali veicoli d’elezione degli investimenti socialmente responsabili.
Il seminario fa parte del progetto “Sviluppo e armonizzazione degli investimenti socialmente responsabili in Europa”, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito delle azioni Jean Monnet e coordinato dal Professore Luca Spataro del Dipartimento di Economia e Management.

È stato costituito per iniziativa del dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa il "Team Coste", che ha come obiettivo lo studio della dinamica dei sistemi costieri toscani. Il gruppo di ricerca è nato grazie alla firma di un protocollo d'intesa tra le Università di Pisa, Firenze e Siena, rappresentate rispettivamente dai dipartimenti pisani di Scienze della Terra, Biologia e Ingegneria dell’Informazione, dal dipartimento fiorentino di Scienze della Terra e da quello senese di Ingegneria dell’informazione e Scienze Matematiche.
Il progetto mira a sviluppare sistemi di monitoraggio e di modellazione quantitativa dell’evoluzione dei sistemi costieri toscani, approfondendo in particolare la conoscenza dei processi che governano lo spostamento della sabbia lungo le coste all’interno delle diversità fisiografiche e di quelli che operano trasversalmente alla costa, interessando il sistema bacino fluviale-costa-mare. Esso intende inoltre elaborare una specifica piattaforma informatica, mediante la quale sia possibile mettere a disposizione di tutte le componenti interessate - quella tecnico-scientifica, quella istituzionale e la società civile - le informazioni oggi disponibili e quelle che saranno prodotte in futuro sui sistemi costieri toscani.
Il "Team Coste" si caratterizza per una marcata impronta multidisciplinare, indispensabile per affrontare le complessità dei problemi che affliggono le coste, e intende mettere a disposizione delle istituzioni locali, a partire dalla Regione Toscana, conoscenze tecnico-scientifiche utili a consentire una gestione sempre più efficace delle problematiche poste dal territorio.
Tra i primi firmatari del progetto ci sono, per l'Università di Pisa, i professori Giovanni Sarti e Mauro Rosi e il dottor Duccio Bertoni (Scienze della Terra), la dottoressa Daniela Ciccarelli (Biologia), il professor Andrea Caiti e il dottor Riccardo Costanzi (Ingegneria dell’Informazione); per l'Università di Firenze, i professori Sandro Moretti e Filippo Catani (Scienze della Terra); per l'Università di Siena, il professor Alessandro Mecocci e il dottor Alessandro Pozzebon (Ingegneria dell’Informazione e Scienze Matematiche).
Il dipartimento pisano di Scienze della Terra, che è il promotore del "Team Coste", ha organizzato dal 2014 al 2016 tre congressi internazionali a Forte dei Marmi, invitando, grazie alla sovvenzione del Comune di Forte di Marmi e della Federalberghi, esperti da tutto il mondo per confrontarsi sui problemi di gestione delle coste. I congressi sono stati concepiti non solo per esperti del settore, ma sono stati aperti a tutti i portatori di interesse, dalle amministrazioni ai singoli cittadini, con lo scopo di incrementare la consapevolezza e la conoscenza di queste tematiche attraverso uno spirito sinergico e collaborativo. In questo senso sono stati svolti diversi incontri nelle scuole e altri sono già in programma nelle prossime settimane. A partire dall’edizione 2018, che si terrà a Forte dei Marmi dal 10 al 14 ottobre, i congressi internazionali di Forte dei Marmi avranno cadenza biennale e si terranno sotto l’egida del "Team Coste", mantenendo e rinforzando la vision nata dal primo congresso del 2001

Martedì, 20 Marzo 2018 11:23

Supports in Roman Marble Sculpture

copertina libro"Supports in Roman Marble Sculpture. Workshop Practice and Modes of Viewing" (Cambridge University Press 2018) è il titolo dell'ultimo libro di Anna Anguissola, ricercatrice in Archeologia Classica presso il dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell'Ateneo.

Fra gli altri suoi lavori "Difficillima Imitatio. Immagine e lessico delle copie tra Grecia e Roma" (L'Erma di Bretschneider 2012) e "Intimità a Pompei. Riservatezza, condivisione e prestigio negli ambienti ad alcova di Pompei" (De Gruyter 2010).

Pubblichiamo di seguito una introduzione al volume, buona lettura!

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‘Inartistic’, ‘obtrusive’, ‘disfiguring’, ‘unseemly’, ‘unsightly’, ‘visually disturbing’ e ‘distracting’ sono solo alcuni dei commenti che gli studiosi di lingua inglese hanno riservato ai supporti della scultura romana in marmo – giudizi che trovano pieno riscontro nell’ostilità tedesca verso elementi ‘unorganisch’, ‘störend’, ‘überflüssig’, ‘hässlich’ e ‘leblos’ e nell’avversione italiana per gli ‘orribili puntelli’. In effetti, in nessun altro periodo nella storia della scultura occidentale è altrettanto frequente la presenza di supporti e puntelli, di dimensioni talora esorbitanti rispetto alla figura che (apparentemente) sostengono e in forme non di rado sorprendentemente elaborate.

Proprio ai puntelli e ai problemi iconografici ed esegetici che sollevano è dedicato questo volume, le cui pagine ripercorrono la lunga storia della scultura in marmo dall’età greca arcaica alla tarda antichità. Da sempre ai margini degli studi sull’arte antica, il tema è stato finora trattato essenzialmente in una duplice prospettiva. Da un lato, nei puntelli si sono visti strumenti utili a tradurre, in pesante pietra, composizioni ideate in bronzo. I supporti, cioè, sarebbero caratteristici delle copie romane in marmo da antichi e celebri originali greci in bronzo. D’altro canto, si è suggerito che i puntelli fungessero, essenzialmente, come precauzioni per il trasporto. La presenza di sostegni, dunque, rivelerebbe la provenienza di una certa statua da un luogo assai lontano rispetto al contesto di esposizione.

Entrambe queste letture sono qui per la prima volta esplorate in maniera sistematica, nel quadro di un’approfondita analisi delle tecnologie della produzione statuaria nel Mediterraneo romano, oltre che dei modi e contesti di esibizione e lettura dell’arte.

In quale misura l’analisi di elementi estranei alla dimensione narrativa dell’opera può guidarci alla scoperta di fenomeni relativi al gusto e alle convenzioni visive di quanti producevano, acquistavano e osservavano la scultura nel mondo antico?

Lunedì, 19 Marzo 2018 13:05

Figure di donne

“Figure di donne” è il titolo dell’incontro con lo scrittore francese Didier Decoin che svolge martedì 20 marzo alle 14,15 nell’aula magna di Palazzo Matteucci dell’Università di Pisa (Piazza Torricelli, 2).
Insieme allo scrittore, interverranno Anne Marie Jaton, Charles Barone, Antonietta Sanna e Rolando Ferri. Didier Decoin incontrerà anche un gruppo di studenti impegnati nella traduzione della sua opera e in collaborazione con la Libreria Ghibellina sarà organizzata un’esposizione dei libri dell’autore in edizione italiana.
Didier Decoin è scrittore, giornalista, sceneggiatore cinematografico e televisivo. Nel 1977 ha ricevuto il prestigioso prix Goncourt. Ha collaborato con registi del calibro di Marcel Carné, ha ottenuto il premio speciale della giuria al Festival di Cannes per la sceneggiatura del film Hors-la-vie (La vita sospesa) del regista libanese Maroun Bagdadi. Fra i suoi romanzi sono stati pubblicati in italiano: Il magistero dei giardini e degli stagni (Ponte alla Grazie) e Un’inglese in bicicletta (Clichy).

 

Lunedì, 19 Marzo 2018 10:01

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei e, soprattutto, come stai con gli altri. Il gioco è infatti una cartina di tornasole fondamentale per comprendere la qualità delle relazioni che legano gli individui fra loro. A svelare i risvolti sociali dei comportamenti ludici arriva una nuova ricerca di un team di etologi delle Università di Pisa e Torino appena pubblicata sulla rivista PlosOne.

Giada Cordoni, Ivan Norscia, Maria Bobbio ed Elisabetta Palagi hanno studiato come giocano scimpanzé e gorilla, due specie che condividono con noi il 98-99% del DNA e che rappresentano un ottimo modello per capire qualcosa di più anche sull’evoluzione del nostro comportamento. La fase sperimentale del lavoro si è svolta in Francia, nello ZooParc de Beauval a St. Aignan sur Cher, dove i ricercatori per tre mesi hanno osservato le colonie di 15 scimpanzé e 11 gorilla e stilando dei report giornalieri.

 

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Da sinistra Giada Cordoni, Ivan Norscia, ed Elisabetta Palagi


“Abbiamo messo in relazione il gioco con la propensione a costruire rapporti attraverso comportamenti di affiliazione e supporto – racconta Elisabetta Palagi del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa - quello che è emerso è che gorilla e scimpanzé sono profondamente diversi per l’organizzazione sociale e il modo di creare amicizie e alleanze”.

Da un lato c’è quindi la società degli scimpanzé, unita e coesa, dove i soggetti hanno molti contatti affiliativi come ad esempio la pulizia reciproca (il cosiddetto “grooming”). Questo si rispecchia in sessioni di gioco allargate che coinvolgono molti membri del gruppo, giovani e adulti, e sebbene ci possano essere momenti concitati il gioco raramente sfocia in situazioni di vero scontro. La società dei gorilla invece è organizzata ad harem: le femmine stanno semplicemente vicine al maschio, ma senza mostrare particolari interazioni sociali. In questo caso a giocare sono soltanto i giovani gorilla mentre gli adulti non lo fanno praticamente mai. Nonostante poi le sessioni ludiche nei gorilla siano molto caute ed equilibrate, è molto più probabile che il gioco di lotta si trasformi in un vero e proprio conflitto aperto.


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 Una sequenza di gioco fra gorilla


“Il gioco è un comportamento attraverso cui si costruiscono legami sociali che possono durare nel tempo non saper giocare di fatto ostacola la formazione di relazioni positive e la capacità di mantenerle – conclude Elisabetta Palagi – Nell’uomo, unendo l’approccio etologico-naturalistico a quello psicologico, sarebbe interessante capire se chi è più competente nel gioco da bambino o ha semplicemente avuto più opportunità di giocare è anche un adulto socialmente più competente ed integrato”.




 

Lunedì, 19 Marzo 2018 09:58

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei e, soprattutto, come stai con gli altri. Il gioco è infatti una cartina di tornasole fondamentale per comprendere la qualità delle relazioni che legano gli individui fra loro. A svelare i risvolti sociali dei comportamenti ludici arriva una nuova ricerca di un team di etologi delle Università di Pisa e Torino appena pubblicata sulla rivista PlosOne. Giada Cordoni, Ivan Norscia, Maria Bobbio ed Elisabetta Palagi hanno studiato come giocano scimpanzé e gorilla, due specie che condividono con noi il 98-99% del DNA e che rappresentano un ottimo modello per capire qualcosa di più anche sull’evoluzione del nostro comportamento. La fase sperimentale del lavoro si è svolta in Francia, nello ZooParc de Beauval a St. Aignan sur Cher, dove i ricercatori per tre mesi hanno osservato le colonie di 15 scimpanzé e 11 gorilla e stilando dei report giornalieri.
“Abbiamo messo in relazione il gioco con la propensione a costruire rapporti attraverso comportamenti di affiliazione e supporto – racconta Elisabetta Palagi del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa - quello che è emerso è che gorilla e scimpanzé sono profondamente diversi per l’organizzazione sociale e il modo di creare amicizie e alleanze”.
Da un lato c’è quindi la società degli scimpanzé, unita e coesa, dove i soggetti hanno molti contatti affiliativi come ad esempio la pulizia reciproca (il cosiddetto “grooming”). Questo si rispecchia in sessioni di gioco allargate che coinvolgono molti membri del gruppo, giovani e adulti, e sebbene ci possano essere momenti concitati il gioco raramente sfocia in situazioni di vero scontro. La società dei gorilla invece è organizzata ad harem: le femmine stanno semplicemente vicine al maschio, ma senza mostrare particolari interazioni sociali. In questo caso a giocare sono soltanto i giovani gorilla mentre gli adulti non lo fanno praticamente mai. Nonostante poi le sessioni ludiche nei gorilla siano molto caute ed equilibrate, è molto più probabile che il gioco di lotta si trasformi in un vero e proprio conflitto aperto.
“Il gioco è un comportamento attraverso cui si costruiscono legami sociali che possono durare nel tempo non saper giocare di fatto ostacola la formazione di relazioni positive e la capacità di mantenerle – conclude Elisabetta Palagi – Nell’uomo, unendo l’approccio etologico-naturalistico a quello psicologico, sarebbe interessante capire se chi è più competente nel gioco da bambino o ha semplicemente avuto più opportunità di giocare è anche un adulto socialmente più competente ed integrato”.

 

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