Contenuto principale della pagina Menu di navigazione Modulo di ricerca su uniPi

L’Università di Pisa inaugurerà l’Anno Accademico 2022/2023, il 679° dalla sua Fondazione, martedì 28 febbraio, a partire dalle ore 11 nell’Aula Magna Nuova del Palazzo della Sapienza, con una cerimonia che sarà aperta dall’intervento del ministro della Salute, Orazio Schillaci. Seguiranno i saluti del presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, e del sindaco di Pisa, Michele Conti.
Il rettore Riccardo Zucchi terrà la relazione inaugurale. Interverranno quindi Michele Da Caprile, rappresentante del personale tecnico-amministrativo nel Consiglio di Amministrazione, e Andru Gabriel Budacu Ferrari, presidente del Consiglio degli studenti.
La professoressa Emanuela Navarretta, giudice della Corte Costituzionale e docente di Diritto privato al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, terrà la prolusione sul tema del diritto alla salute.
L’omaggio musicale a cura del Coro dell’Università chiuderà il programma della mattinata.

I ricercatori dell’Università di Pisa hanno messo a punto un metodo green per trattare gli scarti delle lavorazioni industriali del metallo duro e recuperare materie prime critiche strategiche, per disponibilità e costo, contenute al loro interno. Lo studio, svolto in collaborazione con l’azienda CUMDI srl (Germignaga VA), è stato appena pubblicato sulla rivista Materials.

“Lo scarto - spiega il professore Michele Lanzetta del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale - deriva dal processo di rettifica di barre di “metallo duro” ed è composto principalmente da carburo di tungsteno (WC) e cobalto (Co)”.
Normalmente per trattare questo tipo scarto vengono utilizzati metodi chimici aggressivi che richiedono impianti specializzati e costosi, tempi lunghi e l’utilizzo di reagenti ad elevato impatto ambientale. Al contrario, la metodologia messa a punto dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Ateneo pisano, si basa su un minor numero di operazioni che richiedono attrezzature più semplici ed economiche. Grazie a questo metodo è possibile ridurre fino al 30% il materiale vergine necessario per la produzione di nuovi manufatti, riducendo la dipendenza dalle importazioni e compensando l’assenza di giacimenti di cobalto e tungsteno in Europa, che rappresentano meno del 3% dei giacimenti globali.




Il team Unipi, a sinistra il prof. Lanzetta

“In particolare – continua Lanzetta - il costituente principale, ovvero il carburo di tungsteno, costituisce una risorsa fondamentale nell’industria moderna. Grazie alle proprietà di durezza e tenacità, viene utilizzato per realizzare elementi soggetti ad usura e utensili da taglio con settori di applicazione molteplici: automobilistico e trasporti, petrolchimico e minerario, aerospaziale ed elettronico”.

L’importanza del tungsteno e del cobalto (secondo costituente degli scarti) è testimoniata dai rapporti UE ed extra UE, che definiscono entrambe le risorse “critiche”. A titolo di esempio, basti pensare che la catena di approvvigionamento del tungsteno è dominata dalla produzione dalla Cina (l’82% della produzione globale) e che quasi il 50% del cobalto, fondamentale per la produzione di batterie per veicoli elettrici, proviene dalla Repubblica Democratica del Congo.

“Questi sono solo alcuni dei motivi per cui il riciclo costituisce una risorsa fondamentale – dice Lanzetta - La CUMDI aveva intuito da tempo l’enorme valore degli scarti delle lavorazioni di precisione che svolge per conto di aziende di tutto il mondo, senza però avere un metodo efficace che ne permettesse il recupero.”

L’idea di circolarità e recupero ha trovato fondamento scientifico a seguito di un incontro occasionale con il signor Fausto Pizzoni, delegato all’innovazione CUMDI, durante una fiera nazionale della meccanica.

“La domanda di ricerca - continua Lanzetta che ha coordinato il team di lavoro - si è così immediatamente sovrapposta alla disponibilità di competenze e i risultati non hanno tardato ad arrivare già dopo poche settimane, grazie all’abilità dei giovani brillanti ed appassionati ricercatori, gli ingegneri Francesco Lupi e Alessio Pacini”.

La ricerca è stata inoltre condotta grazie all’utilizzo della rete capillare di laboratori dell’Ateneo pisano con competenze del personale ricercatore e tecnico dei Dipartimenti di Ingegneria Civile e Industriale, Scienze della Terra e Chimica e Chimica Industriale. Le attrezzature del Center for Instrument Sharing (CISUP) dell’Università di Pisa, in aggiunta al supporto di strutture e laboratori esterni, hanno consentito di sviluppare e validare il metodo green per il trattamento dello scarto, attraverso le analisi sui numerosi aspetti del processo e la modellazione e comprensione di tutte le sue fasi.

“Puntiamo all’innovazione, che ha sempre caratterizzato i nostri processi manifatturieri e ci ha permesso di raggiungere la precisione delle lavorazioni ai massimi livelli che ci riconosce il mercato – conclude il signor Giuseppe Niesi, fondatore e amministratore della società CUMDI - Pur essendo collocati all’estremo confine nord del paese, ci siamo rivolti con fiducia alla ricerca universitaria italiana. Potremo considerarla un asset strategico nel cammino di crescita della nostra azienda per affermare anche in ambito sostenibilità l’eccellenza nazionale nel settore metalmeccanico.”

Sono centoventi le ragazze che hanno partecipato all’incontro di partenza del Progetto NERD? Non È Roba per Donne?, organizzato al Polo Le Benedettine da alcuni docenti del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e del Dipartimento di Informatica dell’Università di Pisa – Marco Avvenuti, Cinzia Bernardeschi, Gianna Maria Del Corso, Anna Monreale e Federico Poloni – in collaborazione con l’Università di Firenze e con IBM. L’iniziativa, rivolta alle studentesse delle scuole superiori, nasce con l’intento di incoraggiarle ad affrontare gli studi nelle materie cosiddette STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e in particolare dell’informatica, cercando di sfatare falsi miti per cui le ragazze non sarebbero adatte a questo tipo di studi.

“L’informatica e l’ingegneria informatica sono materie creative e interdisciplinari, che hanno cambiato il mondo in ogni suo settore negli ultimi decenni, modificando radicalmente la nostra vita lavorativa e sociale – commenta il professor Marco Avvenuti – Eppure, le donne lasciano che gli uomini siano attori principali di questa rivoluzione. Per intraprendere studi di informatica e ingegneria informatica, le ragazze devono abbandonare preconcetti e false percezioni circa questa disciplina”.All’incontro hanno portato i loro saluti il rettore dell’Ateneo pisano Riccardo Zucchi e, in collegamento da remoto, Alessandra Petrucci, rettrice dell’Università di Firenze.

Entrambi hanno sottolineato l’importanza dell’iniziativa di IBM, richiamando la necessità di promuovere tra le giovani il superamento del divario di genere nelle scelte universitarie. Hanno fatto i saluti per IBM Italia l’Amministratore Delegato Stefano Rebattoni e la Corporate Social Responsibility manager Floriana Ferrara. A seguire le ragazze, provenienti da scuole del territorio toscano e da Faenza, hanno potuto ascoltare alcune efficaci e molto apprezzate testimonianze di laureate in ingegneria informatica e informatica, per poi essere accompagnate a una visita alla mostra “Hello World” sulla storia degli strumenti di calcolo, guidata da Alessandra Bertini.

Nei prossimi giorni le ragazze si organizzeranno in gruppi, seguiranno due giornate di laboratorio per imparare gli strumenti AI di IBM, con i quali svilupperanno una chatbot in grado di colloquiare sui temi dello Sviluppo Sostenibile dell’agenda 2030. I migliori progetti verranno presentati in una giornata conclusiva che si terrà a maggio e le ragazze vincitrici potranno partecipare a un ministage di tre giorni presso aziende partner IBM.

L’evento rientrava nelle iniziative di orientamento promosse dall’Università di Pisa con il coordinamento della delegata del rettore Laura Elisa Marcucci.

Sono centoventi le ragazze che hanno partecipato all’incontro di partenza del Progetto NERD? Non È Roba per Donne?, organizzato al Polo Le Benedettine da alcuni docenti del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e del Dipartimento di Informatica dell’Università di Pisa – Marco Avvenuti, Cinzia Bernardeschi, Gianna Maria Del Corso, Anna Monreale e Federico Poloni – in collaborazione con l’Università di Firenze e con IBM. L’iniziativa, rivolta alle studentesse delle scuole superiori, nasce con l’intento di incoraggiarle ad affrontare gli studi nelle materie cosiddette STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e in particolare dell’informatica, cercando di sfatare falsi miti per cui le ragazze non sarebbero adatte a questo tipo di studi.

progetto_nerd.jpg

“L’informatica e l’ingegneria informatica sono materie creative e interdisciplinari, che hanno cambiato il mondo in ogni suo settore negli ultimi decenni, modificando radicalmente la nostra vita lavorativa e sociale – commenta il professor Marco Avvenuti – Eppure, le donne lasciano che gli uomini siano attori principali di questa rivoluzione. Per intraprendere studi di informatica e ingegneria informatica, le ragazze devono abbandonare preconcetti e false percezioni circa questa disciplina”.All’incontro hanno portato i loro saluti il rettore dell’Ateneo pisano Riccardo Zucchi e, in collegamento da remoto, Alessandra Petrucci, rettrice dell’Università di Firenze.

NERD zucchi3

Entrambi hanno sottolineato l’importanza dell’iniziativa di IBM, richiamando la necessità di promuovere tra le giovani il superamento del divario di genere nelle scelte universitarie. Hanno fatto i saluti per IBM Italia l’Amministratore Delegato Stefano Rebattoni e la Corporate Social Responsibility manager Floriana Ferrara. A seguire le ragazze, provenienti da scuole del territorio toscano e da Faenza, hanno potuto ascoltare alcune efficaci e molto apprezzate testimonianze di laureate in ingegneria informatica e informatica, per poi essere accompagnate a una visita alla mostra “Hello World” sulla storia degli strumenti di calcolo, guidata da Alessandra Bertini.

NERD_petrucci3.jpg

Nei prossimi giorni le ragazze si organizzeranno in gruppi, seguiranno due giornate di laboratorio per imparare gli strumenti AI di IBM, con i quali svilupperanno una chatbot in grado di colloquiare sui temi dello Sviluppo Sostenibile dell’agenda 2030. I migliori progetti verranno presentati in una giornata conclusiva che si terrà a maggio e le ragazze vincitrici potranno partecipare a un ministage di tre giorni presso aziende partner IBM.

L’evento rientrava nelle iniziative di orientamento promosse dall’Università di Pisa con il coordinamento della delegata del rettore Laura Elisa Marcucci.

I ricercatori dell’Università di Pisa hanno messo a punto un metodo green per trattare gli scarti delle lavorazioni industriali del metallo duro e recuperare materie prime critiche strategiche, per disponibilità e costo, contenute al loro interno. Lo studio, svolto in collaborazione con l’azienda CUMDI srl (Germignaga VA), è stato appena pubblicato sulla rivista Materials.

“Lo scarto - spiega il professore Michele Lanzetta del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale - deriva dal processo di rettifica di barre di “metallo duro” ed è composto principalmente da carburo di tungsteno (WC) e cobalto (Co)”.
Normalmente per trattare questo tipo scarto vengono utilizzati metodi chimici aggressivi che richiedono impianti specializzati e costosi, tempi lunghi e l’utilizzo di reagenti ad elevato impatto ambientale. Al contrario, la metodologia messa a punto dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Ateneo pisano, si basa su un minor numero di operazioni che richiedono attrezzature più semplici ed economiche. Grazie a questo metodo è possibile ridurre fino al 30% il materiale vergine necessario per la produzione di nuovi manufatti, riducendo la dipendenza dalle importazioni e compensando l’assenza di giacimenti di cobalto e tungsteno in Europa, che rappresentano meno del 3% dei giacimenti globali.



team_unipi.jpg

Il team Unipi, a sinistra il prof. Lanzetta

“In particolare – continua Lanzetta - il costituente principale, ovvero il carburo di tungsteno, costituisce una risorsa fondamentale nell’industria moderna. Grazie alle proprietà di durezza e tenacità, viene utilizzato per realizzare elementi soggetti ad usura e utensili da taglio con settori di applicazione molteplici: automobilistico e trasporti, petrolchimico e minerario, aerospaziale ed elettronico”.

L’importanza del tungsteno e del cobalto (secondo costituente degli scarti) è testimoniata dai rapporti UE ed extra UE, che definiscono entrambe le risorse “critiche”. A titolo di esempio, basti pensare che la catena di approvvigionamento del tungsteno è dominata dalla produzione dalla Cina (l’82% della produzione globale) e che quasi il 50% del cobalto, fondamentale per la produzione di batterie per veicoli elettrici, proviene dalla Repubblica Democratica del Congo.

“Questi sono solo alcuni dei motivi per cui il riciclo costituisce una risorsa fondamentale – dice Lanzetta - La CUMDI aveva intuito da tempo l’enorme valore degli scarti delle lavorazioni di precisione che svolge per conto di aziende di tutto il mondo, senza però avere un metodo efficace che ne permettesse il recupero.”

L’idea di circolarità e recupero ha trovato fondamento scientifico a seguito di un incontro occasionale con il signor Fausto Pizzoni, delegato all’innovazione CUMDI, durante una fiera nazionale della meccanica.

“La domanda di ricerca - continua Lanzetta che ha coordinato il team di lavoro - si è così immediatamente sovrapposta alla disponibilità di competenze e i risultati non hanno tardato ad arrivare già dopo poche settimane, grazie all’abilità dei giovani brillanti ed appassionati ricercatori, gli ingegneri Francesco Lupi e Alessio Pacini”.

La ricerca è stata inoltre condotta grazie all’utilizzo della rete capillare di laboratori dell’Ateneo pisano con competenze del personale ricercatore e tecnico dei Dipartimenti di Ingegneria Civile e Industriale, Scienze della Terra e Chimica e Chimica Industriale. Le attrezzature del Center for Instrument Sharing (CISUP) dell’Università di Pisa, in aggiunta al supporto di strutture e laboratori esterni, hanno consentito di sviluppare e validare il metodo green per il trattamento dello scarto, attraverso le analisi sui numerosi aspetti del processo e la modellazione e comprensione di tutte le sue fasi.

“Puntiamo all’innovazione, che ha sempre caratterizzato i nostri processi manifatturieri e ci ha permesso di raggiungere la precisione delle lavorazioni ai massimi livelli che ci riconosce il mercato – conclude il signor Giuseppe Niesi, fondatore e amministratore della società CUMDI - Pur essendo collocati all’estremo confine nord del paese, ci siamo rivolti con fiducia alla ricerca universitaria italiana. Potremo considerarla un asset strategico nel cammino di crescita della nostra azienda per affermare anche in ambito sostenibilità l’eccellenza nazionale nel settore metalmeccanico.”

Un sistema miniaturizzato di rilevazione del pH che trasmette i dati real time ad uno smartphone consentirà consistenti passi avanti nella diagnosi e trattamento di malattie estremamente diffuse, come la vaginosi batterica, la cui diagnosi richiede una accurata rilevazione dell’acidità dei tessuti, e che è spesso associata a complicazioni che hanno un grande impatto sulla qualità della vita delle donne.

Lo studio è stato pubblicato su Advanced Materials Technologies dal gruppo di ricerca in ingegneria elettronica coordinato da Giuseppe Barillaro, da tempo impegnato nel lavoro su sensori avanzati con applicazioni in ambito biomedico, in collaborazione con i ricercatori di Surflay Nanotec GmbH, Germania.
Il gruppo di ricerca pisano assieme all'azienda Ab medica sta anche progettando l’integrazione della tecnologia in dispositivi indossabili per diagnosi avanzate.

“Lo scorso anno - spiega Barillaro, docente di elettronica al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa (DII) - abbiamo messo a punto un sensore innovativo, delle dimensioni e spessore di un francobollo, totalmente biodegradabile nel corpo, e in grado di rilevare il pH dei tessuti tramite un semplicissimo meccanismo a fluorescenza. Se stimolato con luce verde, il sensore emette luce nello spettro del rosso, con un’intensità che corrisponde a un valore preciso di pH. (Leggi la notizia qui).
In questi mesi, nell’ambito del progetto europeo RESORB finanziato dallo European Innovation Council, abbiamo fatto un ulteriore passo avanti, mettendo a punto un sistema optoelettronico miniaturizzato, che stimola il sensore, rileva la luce emessa dallo stesso e invia il valore di pH misurato a uno smartphone in modalità wireless.
Il sistema, costituito dal sensore e dall’elettronica wireless, può essere applicato, per esempio, a un anello vaginale contraccettivo flessibile, e monitorare in modo continuo e in tempo reale il pH vaginale, consentendo il trattamento di patologie molto diffuse tra le donne come la vaginosi batterica”.

“Il sensore può rilevare il pH per quattro giorni consecutivi, e poi si biodegrada completamente nel corpo - aggiunge Alessandro Paghi, ricercatore al DII e coautore dello studio - mentre l’anello con il circuito optoelettronico miniaturizzato, contenente anche il sistema di acquisizione dati, un trasmettitore wireless e le batterie di alimentazione, può essere riutilizzato con nuovi sensori. Le prestazioni del sistema sono ottime, consentendo un monitoraggio del pH continuo e accurato.”

“Le applicazioni di un sistema wireless miniaturizzato e biocompatibile per le analisi in situ - continua Martina Corsi, dottoranda al DII e coautrice dello studio - sono potenzialmente numerosissime per le più diverse patologie che richiedono un monitoraggio continuo del livello di acidità dei tessuti, come quelle a carico dell’apparato gastrointestinale, analisi di ferite o patologie oncologiche, ma anche per analisi ancora più complesse, oltre alla rilevazione del pH, mettendo a punto sensori a fluorescenza che rispondono a marcatori diversi.”.

Le grande potenzialità della tecnologia sviluppata di trovare impiego in diverse applicazioni ha portato a una attiva collaborazione del gruppo di ricerca con l’azienda milanese ab medica.

“La pluriennale collaborazione scientifica con il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e in particolare con il team di Giuseppe Barillaro rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra una realtà universitaria pubblica di eccellenza e un’azienda come ab medica che investe attivamente tempo e risorse nell’Innovazione. - spiega Cosimo Puttilli, Research and Innovation Manager di ab medica - Nello specifico il nostro ruolo ha riguardato la realizzazione e miniaturizzazione del ricevitore e trasmettitore esterno al sensore, oltre che all’APP che permette di visualizzare i dati acquisiti dal sensore sviluppato a Pisa. L’obiettivo finale sarà quello di integrare la nuova tecnologia all’interno di dispositivi indossabili o impiantabili che permetteranno la diagnosi di patologie oggi molto diffuse, ma allo stato attuale difficili da monitorare".

Un sistema miniaturizzato di rilevazione del pH che trasmette i dati real time ad uno smartphone consentirà consistenti passi avanti nella diagnosi e trattamento di malattie estremamente diffuse, come la vaginosi batterica, la cui diagnosi richiede una accurata rilevazione dell’acidità dei tessuti, e che è spesso associata a complicazioni che hanno un grande impatto sulla qualità della vita delle donne.

sensore dimensioni
Il prototipo sviluppato in collaborazione con ab medica. Mostra i led utilizzati per stimolare il sensore e ricevere il segnale modificato

Lo studio è stato pubblicato su Advanced Materials Technologies dal gruppo di ricerca in ingegneria elettronica coordinato da Giuseppe Barillaro, da tempo impegnato nel lavoro su sensori avanzati con applicazioni in ambito biomedico, in collaborazione con i ricercatori di Surflay Nanotec GmbH, Germania.
Il gruppo di ricerca pisano assieme all'azienda Ab medica sta anche progettando l’integrazione della tecnologia in dispositivi indossabili per diagnosi avanzate.

“Lo scorso anno - spiega Barillaro, docente di elettronica al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa (DII) - abbiamo messo a punto un sensore innovativo, delle dimensioni e spessore di un francobollo, totalmente biodegradabile nel corpo, e in grado di rilevare il pH dei tessuti tramite un semplicissimo meccanismo a fluorescenza. Se stimolato con luce verde, il sensore emette luce nello spettro del rosso, con un’intensità che corrisponde a un valore preciso di pH. (Leggi la notizia qui).
In questi mesi, nell’ambito del progetto europeo RESORB finanziato dallo European Innovation Council, abbiamo fatto un ulteriore passo avanti, mettendo a punto un sistema optoelettronico miniaturizzato, che stimola il sensore, rileva la luce emessa dallo stesso e invia il valore di pH misurato a uno smartphone in modalità wireless.
Il sistema, costituito dal sensore e dall’elettronica wireless, può essere applicato, per esempio, a un anello vaginale contraccettivo flessibile, e monitorare in modo continuo e in tempo reale il pH vaginale, consentendo il trattamento di patologie molto diffuse tra le donne come la vaginosi batterica”.

Sensor Bending 20221111

“Il sensore può rilevare il pH per quattro giorni consecutivi, e poi si biodegrada completamente nel corpo - aggiunge Alessandro Paghi, ricercatore al DII e coautore dello studio - mentre l’anello con il circuito optoelettronico miniaturizzato, contenente anche il sistema di acquisizione dati, un trasmettitore wireless e le batterie di alimentazione, può essere riutilizzato con nuovi sensori. Le prestazioni del sistema sono ottime, consentendo un monitoraggio del pH continuo e accurato.”

“Le applicazioni di un sistema wireless miniaturizzato e biocompatibile per le analisi in situ - continua Martina Corsi, dottoranda al DII e coautrice dello studio - sono potenzialmente numerosissime per le più diverse patologie che richiedono un monitoraggio continuo del livello di acidità dei tessuti, come quelle a carico dell’apparato gastrointestinale, analisi di ferite o patologie oncologiche, ma anche per analisi ancora più complesse, oltre alla rilevazione del pH, mettendo a punto sensori a fluorescenza che rispondono a marcatori diversi.”.

Le grande potenzialità della tecnologia sviluppata di trovare impiego in diverse applicazioni ha portato a una attiva collaborazione del gruppo di ricerca con l’azienda milanese ab medica.

“La pluriennale collaborazione scientifica con il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e in particolare con il team di Giuseppe Barillaro rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra una realtà universitaria pubblica di eccellenza e un’azienda come ab medica che investe attivamente tempo e risorse nell’Innovazione. - spiega Cosimo Puttilli, Research and Innovation Manager di ab medica - Nello specifico il nostro ruolo ha riguardato la realizzazione e miniaturizzazione del ricevitore e trasmettitore esterno al sensore, oltre che all’APP che permette di visualizzare i dati acquisiti dal sensore sviluppato a Pisa. L’obiettivo finale sarà quello di integrare la nuova tecnologia all’interno di dispositivi indossabili o impiantabili che permetteranno la diagnosi di patologie oggi molto diffuse, ma allo stato attuale difficili da monitorare".

Nei giorni scorsi si è tenuto in Aula Magna Pacinotti della Scuola di Ingegneria l’incontro tra Eni Plenitude e il Centro Interdipartimentale di Ricerca sull'Energia per lo Sviluppo Sostenibile (CIRESS) dell’Università di Pisa. Hanno partecipato la professoressa Lucia Calvosa, presidente di Eni, e il dottor Stefano Goberti, amministratore delegato di Plenitude, il professor Marco Raugi, direttore del CIRESS, e il direttore del Dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni (DESTeC), Rocco Rizzo.

1

Da quando è nato nel 2015 il CIRESS si occupa di sviluppare sistemi integrati di energia rinnovabile con l’obiettivo di creare comunità energetiche sostenibili, rivolgendosi a imprese e Pubbliche Amministrazioni. Il target di Plenitude, nell’ambito della strategia di Eni tesa a coniugare sicurezza energetica e transizione energetica, è quello di massimizzare l’impatto positivo verso la società e l'ambiente per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2040 grazie alla fornitura del 100% di energia decarbonizzata a tutti i suoi clienti.

Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa