Alla ricerca delle piante aliene con i droni
I droni sono lo strumento ideale per monitorare la presenza di Yucca gloriosa, una pianta aliena originaria del Nord America che minaccia gli ecosistemi costieri del Mediterraneo. La conclusione arriva da uno studio sperimentale del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa appena pubblicato sulla rivista Regional Studies in Marine Science. La ricerca è stata condotta nel 2020 all'interno del Parco Regionale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli (Parco MSRM), un'area protetta di circa 230 km2 situata nel nord della Toscana, che ospita uno dei sistemi dunali costieri meglio conservati del litorale italiano.
Esemplari di Yucca gloriosa ripresi dal drone
“Abbiamo usato il drone per quantificare la presenza di Yucca gloriosa nella Riserva della Bufalina - spiega la professoressa Daniela Ciccarelli del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa – con i tradizionali metodi di campionamento a terra ci vogliono molto più tempo, persone e soldi. Grazie ai droni invece possiamo scattare immagini ad alta risoluzione con un livello di precisione sotto il centimetro che poi analizziamo con dei software molto semplici, un passo avanti notevole anche rispetto alle ricognizioni aeree dove il livello di dettaglio delle immagini va dai 50 cm al metro”.
Il drone si è rivelato uno strumento ideale anche per le caratteristiche morfologiche di Yucca gloriosa, soprattutto a livello fogliare, che la rendono particolarmente riconoscibile. La vegetazione delle dune costiere è infatti un mosaico di diverse comunità vegetali difficile da identificare e valutare. La sperimentazione ha previsto una decina di voli effettuati a un’altitudine di 35 m sul livello del mare tra le 11 e le 13 di giorno, per ridurre al minimo le ombre. Da questo punto di vista è emerso che il periodo migliore per il monitoraggio è la primavera, quando i raggi delle radiazioni del sole sono più perpendicolari.
Ricercatori Unipi al lavoro sul campo
“La lotta contro la Yucca del Parco è una lotta antica e a metà anni Duemila era stato attivato un progetto europeo per combatterla – dice Ciccarelli – Questa pianta, che ruba spazio al ginepro coccolone, la specie spontanea autoctona, ricresce anche da piccoli frammenti di rizoma, cioè di fusti sotterranei”.
“La nostra ricognizione – conclude Ciccarelli - ha rivelato la presenza di circa 1800-2200 cespi di Yucca gloriosa corrispondenti a meno dell’1 per cento dell’area studiata, non molto apparentemente, anche se in realtà l’aspetto critico da tenere sotto controllo è la dimensione di questi agglomerati compito che i droni svolgono in maniera del tutto efficace”.
La ricerca pubblicata è partita da una tesi di laurea triennale della dottoressa Elena Cini attualmente studentessa magistrale in tesi con la professoressa Ciccarelli. Oltre all’Ateneo pisano i partner coinvolti sono gli istituti di Fisiologia Clinica, di Bioeconomia e di Scienze Marine del Cnr e l’Universidad del Atlántico della Colombia.
Corso di formazione online "L'arte di fare domande"
Il Centro interdisciplinare Scienze per la pace dell’Università di Pisa, all’interno della sua Scuola triennale Formatori e Formatrici, organizza il corso di formazione online “L’arte di fare domande”.
Il corso ha una durata complessiva di 16 ore.
Le iscrizioni sono aperte fino a giovedì 26 gennaio 2023 alle ore 12:00.
Quote ridotte per chi si iscrive entro giovedì 19 gennaio 2023.
Quote agevolate riservate al personale Unipi.
Tutte le informazioni al link: https://cisp.unipi.it/formazione/i-corsi-della-scuola/corso-larte-di-fare-domande/
Un mini-cervello per la diagnosi precoce del Parkinson
Entro il 2026 potremmo essere in grado di individuare precocemente il morbo di Parkinson sulla base di uno studio personalizzato del sonno. E questo grazie a NAP, l’innovativo progetto di ricerca coordinato dall’Università di Pisa e il cui inizio è fissato il 1° marzo 2023.
Finanziato con tre milioni di euro dal programma per la ricerca e l'innovazione dell'Unione Europea “Horizon Europe” – di cui 800.000 destinati all’Ateneo pisano -, il progetto NAP ha come obiettivo quello di utilizzare, per la prima volta in questo particolare campo di indagine, degli organoidi cerebrali, ossia dei modelli cellulari tridimensionali avanzati del cervello umano.
“Riuscire ad individuare per tempo il morbo di Parkinson, anche prima che inizino i tremori tipici, è fondamentale per controllare la malattia, gestirne l’evoluzione e garantire al paziente una miglior qualità della vita - spiega Chiara Magliaro, ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e il Centro di Ricerca ‘E. Piaggio’ e responsabile del progetto - Con la tecnologia che intendiamo sviluppare grazie al progetto NAP, sarà possibile farlo in maniera personalizzata”.
Una diagnosi precoce, quella a cui punta l’Ateneo pisano, resa ancor più importante dall’attuale mancanza di una cura efficace contro il Parkinson. Ad oggi, infatti, il paziente si rende conto di avere questo morbo solo all’insorgere dei primi tremori quando, però, circa il 90% dei suoi neuroni è ormai già compromesso.
“A differenza delle classiche tecniche di diagnosi – prosegue Magliaro – quella che stiamo approntando non è invasiva e permetterà di individuare il morbo di Parkinson attraverso screening precoci e di capire la predisposizione o meno di un soggetto a questa malattia che, come altre di tipo neurodegenerativo, ha un’incidenza crescente in una società come la nostra, che invecchia sempre di più”.
Alla base di questo nuovo dispositivo, una rivoluzionaria tecnica di indagine sul sonno che garantirà risultati più accurati rispetto a quelli normalmente permessi dagli attuali metodi di indagine. Per la prima volta al mondo, infatti, i ricercatori dell’Università di Pisa utilizzeranno gli organoidi cerebrali per mimare i ritmi sonno veglia e caratterizzare i difetti nella morfologia delle cellule neuronali attribuibili ai disturbi del sonno connessi al Parkinson.
Un organoide cerebrale visto al microscopio
Il progetto NAP coinvolge un consorzio internazionale multidisciplinare, con competenze che spaziano dall’ingegneria biomedica alle biotecnologie, coordinato dall’Università di Pisa e di cui fanno parte altri due enti di ricerca - l’Università di Friburgo (Germania) e l’Università di Amsterdam (Olanda) - e tre imprese, Organotherapeutics Gmbh (Lussemburgo), Atlas Neuroengineering (Belgio) e SleepActa (spin-off dell’Università di Pisa).
Un mini-cervello per la diagnosi precoce del Parkinson
Entro il 2026 potremmo essere in grado di individuare precocemente il morbo di Parkinson sulla base di uno studio personalizzato del sonno. E questo grazie a NAP, l’innovativo progetto di ricerca coordinato dall’Università di Pisa e il cui inizio è fissato il 1° marzo 2023.
Finanziato con tre milioni di euro dal programma per la ricerca e l'innovazione dell'Unione Europea “Horizon Europe” – di cui 800.000 destinati all’Ateneo pisano -, il progetto NAP ha come obiettivo quello di utilizzare, per la prima volta in questo particolare campo di indagine, degli organoidi cerebrali, ossia dei modelli cellulari tridimensionali avanzati del cervello umano.
“Riuscire ad individuare per tempo il morbo di Parkinson, anche prima che inizino i tremori tipici, è fondamentale per controllare la malattia, gestirne l’evoluzione e garantire al paziente una miglior qualità della vita - spiega Chiara Magliaro, ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e il Centro di Ricerca ‘E. Piaggio’ e responsabile del progetto - Con la tecnologia che intendiamo sviluppare grazie al progetto NAP, sarà possibile farlo in maniera personalizzata”.
Una diagnosi precoce, quella a cui punta l’Ateneo pisano, resa ancor più importante dall’attuale mancanza di una cura efficace contro il Parkinson. Ad oggi, infatti, il paziente si rende conto di avere questo morbo solo all’insorgere dei primi tremori quando, però, circa il 90% dei suoi neuroni è ormai già compromesso.
“A differenza delle classiche tecniche di diagnosi – prosegue Magliaro – quella che stiamo approntando non è invasiva e permetterà di individuare il morbo di Parkinson attraverso screening precoci e di capire la predisposizione o meno di un soggetto a questa malattia che, come altre di tipo neurodegenerativo, ha un’incidenza crescente in una società come la nostra, che invecchia sempre di più”.
Alla base di questo nuovo dispositivo, una rivoluzionaria tecnica di indagine sul sonno che garantirà risultati più accurati rispetto a quelli normalmente permessi dagli attuali metodi di indagine. Per la prima volta al mondo, infatti, i ricercatori dell’Università di Pisa utilizzeranno gli organoidi cerebrali per mimare i ritmi sonno veglia e caratterizzare i difetti nella morfologia delle cellule neuronali attribuibili ai disturbi del sonno connessi al Parkinson.
Il progetto NAP coinvolge un consorzio internazionale multidisciplinare, con competenze che spaziano dall’ingegneria biomedica alle biotecnologie, coordinato dall’Università di Pisa e di cui fanno parte altri due enti di ricerca - l’Università di Friburgo (Germania) e l’Università di Amsterdam (Olanda) - e tre imprese, Organotherapeutics Gmbh (Lussemburgo), Atlas Neuroengineering (Belgio) e SleepActa (spin-off dell’Università di Pisa).
L’“eterna giovinezza” del cervello di Homo sapiens mai diventato adulto
C’è una caratteristica che accomuna il cervello di Homo sapiens e Homo neanderthalensis e cioè che entrambi hanno mantenuto un alto livello di interazione tra le aree cerebrali sia nella fase giovanile che nella fase matura e, come in una sorta di sindrome di Peter Pan, non sono mai diventati veramente adulti. Lo dimostra uno studio internazionale pubblicato sulla rivista “Nature Ecology & Evolution” a cui ha partecipato il paleoantropologo Antonio Profico, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, e coordinato dal professor Pasquale Raia dell'Università di Napoli Federico II.
Per studiare l’evoluzione del cervello, un team di ricercatori di università italiane e internazionali ha ricostruito la superficie interna del cranio tramite tecniche di antropologia virtuale. In questo modo gli autori hanno analizzato la forma del cervello in 148 specie di primati viventi e diverse specie di Hominina (Homo neanderthalensis compreso). Oltre alla forma del cervello i ricercatori hanno studiato le interazioni tra le aree cerebrali (integrazione morfologica) utilizzando un nuovo metodo sviluppato a questo scopo e applicato per la prima volta in questo studio.
Gli autori dello studio hanno dimostrato che non sono solo le grandi dimensioni del nostro cervello a renderci differenti dagli altri primati. I ricercatori hanno dimostrato che nelle scimmie antropomorfe (i nostri parenti più prossimi) e nella nostra specie le diverse aree cerebrali presentano alti livelli di integrazione dalla nascita fino allo stadio di sviluppo immediatamente precedente la maturità sessuale. Tuttavia, quando entra nella fase adulta, il cervello delle scimmie antropomorfe perde improvvisamente la coordinazione tra i lobi, probabilmente a favore della specializzazione delle diverse aree cerebrali. Homo sapiens invece mantiene un’alta coordinazione tipica dei cervelli delle antropomorfe giovanili per tutta la vita, non mostrando nessun cambiamento da “adulto”. Solo un'altra specie vicina a noi, Homo neanderthalensis, mostra segni di questo stesso fenomeno.
“I cervelli dei neandertaliani e degli umani moderni sono molto simili in termini di volume, ma nei Neanderthal il cervello ha una forma diversa, molto più primitiva – spiega Profico – Il fatto che Homo neanderthalensis e Homo sapiens mantengano alti livelli di integrazione cerebrale durante l'età adulta è sorprendente, perché fino ad ora pensavamo che la comparsa del comportamento umano moderno fosse legato quasi esclusivamente alla presenza di un cervello globulare”. Homo sapiens è infatti caratterizzato dalla presenza di un cervello molto voluminoso ed è di circa tre volte più grande di quello dello scimpanzè. Nella nostra specie la dimensione del cervello è analoga a quella dei neandertaliani, quello che cambia è la forma: il nostro cervello è globulare mentre in Homo neanderthalensis è allungato antero-posteriormente a “palla da rugby”. Questa differenza tra le due specie umane più encefalizzate viene spesso correlata a differenze funzionali e cognitive evidenti dall’analisi del record paleoantropologico.
"La mente umana è particolarmente creativa, capace di mescolare pensieri astratti in nuove combinazioni che forniscono possibilità sempre nuove e spesso impreviste – commenta Pasquale Raia – I nostri risultati suggeriscono che l'elevata coordinazione tra le diverse aree cerebrali possa essere stato il meccanismo alla base della “fluidità cognitiva” teorizzata da Steven Mithen: la capacità di combinare moduli del pensiero originariamente progettati per compiti specifici".
Link all’articolo:
Alla riscoperta del fico per recuperare i terreni salini marginali
La coltura del fico, attualmente in declino in Italia ma economicamente molto redditizia, è la risposta ottimale per recuperare i terreni altrimenti persi per l’agricoltura. A questa conclusione è giunto il progetto “Ficus carica, un’ antica specie con grandi prospettive” finanziato e condotto dall’Università di Pisa che ha approfondito le conoscenze su questa pianta grazie ad un team di genetisti, chimici, fisiologi vegetali, entomologi, arboricoltori e analisti sensoriali del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali.
“Sin dall’antichità e anche oggi, soprattutto nei paesi meridionali del bacino Mediterraneo, il fico fornisce un importante alimento di base anche grazie alla sua grande produttività che dura sino a 50 anni con una produzione annuale di circa 40-100 chili per pianta - spiega la professoressa Barbara Conti coordinatrice del progetto - Tuttavia, In Italia la coltivazione del fico è in netto declino: nel 1960 occupava 60mila ettari, oggi solo 2.000, che producono l'1% della produzione mondiale e tutto questo a fronte di una costante crescita dei terreni salini marginali che nel nostro Paese sono oggi oltre 400mila ettari. Il rilancio di questa coltura è dunque strategico anche in considerazione del quindicesimo obiettivo dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite che punta a proteggere, ripristinare e promuovere l'uso sostenibile del suolo, in particolare foreste, paludi, montagne e zone aride”.
I ricercatori dell’Università di Pisa hanno lavorato due anni, dal 2020 al 2022, arrivando a sequenziare il genoma del fico con un metodo innovativo che ha consentito loro di indagare la performance di questa pianta in condizioni di elevata salinità. I risultati hanno così confermato che è una coltura ideale per il recupero dei terreni salini marginali. La salinità del terreno non determina infatti una variazione degli zuccheri totali e dei principali componenti dei frutti. Anzi, l’aumento del livello endogeno di acido salicilico nei frutti delle piante sottoposte a stress salino farebbe ipotizzare un effetto “priming”, cioè una strategia adattativa che migliora le capacità difensive della pianta.
“Siamo riusciti ad ottenere la sequenza dei corredi cromosomici paterno e materno e nel genoma abbiamo identificato i geni coinvolti nell’accumulo degli zuccheri nel frutto - dice la professoressa Barbara Conti - Questi geni sono risultati diversamente espressi nei frutti di piante sottoposte ad elevata salinità pur non determinando cambiamenti significativi nel contenuto totale e nei suoi principali componenti”.
Il progetto ha infine compreso anche lo studio su Aclees taiwanensis, una specie di coleottero dannoso per il fico e di recente introduzione in Italia, molto simile al punteruolo della palma. Questa parte della ricerca ha permesso di chiarire alcuni aspetti finora sconosciuti della biologia di questo insetto utili per pianificarne un efficace controllo futuro.
Dipartimenti di Eccellenza: l’Università di Pisa se ne aggiudica sette
Sono sette i Dipartimenti universitari di eccellenza dell’Università di Pisa ammessi al finanziamento del MUR per il quinquennio 2023-2027. Un risultato importante, che certifica la qualità della ricerca e nella progettualità scientifica dell’Ateneo pisano in alcuni dei campi che, peraltro, ne hanno scritto la storia: Biologia; Civiltà e Forme del Sapere; Filologia, Letteratura e Linguistica; Fisica; Ingegneria dell'informazione; Matematica e Scienze Veterinarie. Con Civiltà e Forme del Sapere e Ingegneria dell'informazione che ottengono questo riconoscimento per la seconda volta.
“In soli cinque anni siamo passati da due a sette dipartimenti d’eccellenza finanziati dal Ministero. Una crescita significativa, che premia il grande lavoro e le scelte fatte dal 2017 ad oggi – commenta il Rettore, Riccardo Zucchi – Di tutto ciò non posso che ringraziare il mio predecessore, i direttori dei dipartimenti, i docenti e il personale tecnico-amministrativo che hanno permesso di concretizzare un risultato importante per il nostro Ateneo e per la città”.
“Se, peraltro, sommiamo ai nostri sette, quelli ottenuti dalla Scuola Normale Superiore, dalla Scuola Superiore Sant'Anna e dalla Scuola IMT – conclude Zucchi - i dipartimenti finanziati salgono ad undici. Numero che riflette la vitalità del nostro sistema universitario, oltre che la straordinaria concentrazione di eccellenze che può vantare il nostro territorio. È da qui che adesso dobbiamo partire, per incrementare ulteriormente la qualità della nostra ricerca e la nostra capacità di attrarre studenti e giovani ricercatori”.
La graduatoria dei 180 Dipartimenti assegnatari del finanziamento è stata pubblicata ieri dall’ANVUR, l’Agenzia nazionale di valutazione del Sistema universitario e della ricerca. Complessivamente erano 14 su 20 i Dipartimenti dell’Università di Pisa ammessi alla procedura di selezione sulla base del valore dell’Indicatore Standardizzato di Performance Dipartimentale (ISPD).
In totale sono 271 i milioni di euro stanziati dal Ministero e ogni dipartimento di Eccellenza può aspirare ad essere finanziato con un budget annuale che va dai 1,620 ai 1,080 milioni di euro per cinque anni. Per i dipartimenti delle aree CUN da 1 a 9 sarà assegnato anche un budget di 250 mila euro annui vincolato a infrastrutture di ricerca.
“Go for IT”: conclusi i due progetti Unipi finanziati dalla Fondazione CRUI
Medicina di Precisione: Università di Pisa in prima linea nel progetto HEAL ITALIA
L’Università di Pisa è uno degli 11 atenei coinvolti nel progetto HEAL ITALIA – “Health Extended ALliance for Innovative Therapies, Advanced Lab-research, and Integrated Approaches of Precision Medicine”, la prima filiera nazionale dedicata alla ricerca e all’innovazione nel campo della Medicina di Precisione.
Il progetto, che ha preso avvio nei giorni scorsi, è uno dei 14 parternariati estesi finanziati nell’ambito delle iniziative del PNRR per rafforzare la ricerca a livello nazionale e promuoverne la partecipazione alle catene di valore strategiche europee e globali.
A HEAL ITALIA, che ha una dotazione di 114,7 milioni di euro in tre anni e, come soggetto proponente, l’Università degli Studi di Palermo, partecipano anche l’Istituto Superiore di Sanità, 5 Istituti di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), 6 aziende e una fondazione di ricerca.
L’obiettivo comune è quello di creare una rete nazionale di scienziati, tecnologi e giovani ricercatori che, con approccio olistico e multidisciplinare, condividano e sviluppino conoscenze, ricerche e tecnologie innovative al fine di portare il Sistema Sanitario Nazionale nell'era contemporanea della Medicina di Precisione nella lotta al cancro e alle malattie cardiovascolari, metaboliche e rare.
L’Università di Pisa è impegnata nel coordinamento delle attività di una unità di ricerca (Spoke) dedicata alle applicazioni cliniche della Medicina di Precisione e nella partecipazione ad altre unità di ricerca del progetto, con il coinvolgimento diretto di 25 ricercatori sui 350 complessivamente afferenti al progetto.
“Essere parte di questa iniziativa di ricerca è un’opportunità di notevole valore per il nostro Ateneo, non solo per la rilevanza della tematica affrontata ed il possibile e tangibile impatto di questa ricerca sul trattamento di tanti pazienti, ma anche per la possibilità di offrire un’occasione di crescita a tanti giovani ricercatori che lavoreranno alle varie attività previste e che matureranno competenze ed esperienza al fianco di ricercatori di prestigiose istituzioni nazionali”- commenta il Prof. Riccardo Zucchi, Rettore dell’Università di Pisa, che continua: “Le conoscenze che scaturiranno da questo progetto potranno avere conseguenze positive applicabili a tanti ambiti della scienza, con un sicuro beneficio anche per il nostro Sistema Sanitario e per la nostra società in generale.”
Il Direttore dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP), Dottoressa Silvia Briani, aggiunge: “La nostra Azienda vive con estremo interesse e attenzione questa fase di nuovi sviluppi nell’ambito della medicina di precisione, che vede Pisa in posizione di avanguardia. Le molteplici e crescenti conoscenze in ambito molecolare, tecnologico e clinico hanno generato una enorme quantità di informazioni che devono essere gestite, integrate e interpretate in un’ottica di sempre maggiore interdisciplinarietà e capacità analitiche, per offrire scelte giuste nei momenti giusti. Il completamento del Nuovo Ospedale Santa Chiara, che sarà ancor più forte in competenze e tecnologie, la sinergia con l’Università e le opportunità offerte dal PNRR rappresentano i pilastri su cui ulteriormente far crescere le nostre offerte in termini di ancor più mirate opzioni personalizzate di prevenzione e trattamento per i nostri pazienti”.
Complessivamente, è previsto il reclutamento di più di 100 nuovi ricercatori e di più di 100 dottorandi per rispondere alle domande oggetto delle attività previste dalle 8 unità operative del progetto. Spiega Piero Marchetti, Professore Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Pisa e Direttore dell’UO di Malattie Metaboliche e Diabetologia dell’AOUP, che svolge il ruolo di coordinatore del Comitato Scientifico del progetto: “Le attività delle unità operative seguono il percorso logico della ricerca traslazionale, attraverso alcune tematiche principali che vanno dalla Holistic Nosology (per identificare, classificare e perfezionare i fenotipi delle malattie multifattoriali), alla Intelligent Health (per la gestione dei dati e lo sviluppo di metodi avanzati, algoritmi e approcci di apprendimento automatico basati su intelligenza artificiale e machine learning), dai Prediction Models (per lo sviluppo di metodi al supporto di diagnosi precoci e prognosi personalizzate), alla 4D-Precision Diagnostics (per una diagnosi precisa nello spazio e nel tempo, basata su approcci quadridimensionali che integrano biomarcatori clinici e di imaging), dai Next-Gen Therapeutics (per la progettazione e validazione di strategie terapeutiche innovative e personalizzate) alla Healthy Toolbox (per lo sviluppo di dispositivi innovativi per la diagnosi e terapie di precisione), alle Prevention Strategies (per lo sviluppo di strategie di prevenzione e di medicina di genere basate su approcci integrati e su dati biometrici ambientali, di stile di vita e clinici), per giungere infine alla Clinical Exploitation per la convalida clinica e l’implementazione di approcci innovativi di medicina di precisione predittiva, preventiva, diagnostica e terapeutica, basati su fenotipi molecolari e clinici consolidati o emergenti e su protocolli decisionali guidati dall'intelligenza artificiale”.
“Credo che il ruolo dell’Università di Pisa di coordinatore di una delle 8 unità di ricerca previste dal progetto sia un onore e un attestato di fiducia da parte di tutti gli attori coinvolti in questo grande progetto – commenta Chiara Cremolini, Professoressa Associata di Oncologia Medica dell’ateneo pisano e Responsabile Scientifica dell’unità di ricerca dedicata alle applicazioni cliniche– ma anche un notevole impegno e una sfida non solo scientifica ma anche organizzativa. Il lavoro di condivisione progettuale sotto l’aspetto logistico e dei contenuti, coordinato dal Prof. Andrea Pace e dal Prof. Giorgio Stassi dell’Università degli Studi di Palermo, è stato ingente, e le intersezioni pianificate tra le varie competenze coinvolte rappresentano certamente un valore aggiunto della proposta. Il nostro compito sarà quello di dimostrare l’utilità della medicina di precisione alla pratica clinica in vari casi di studio, che vanno da patologie oncologiche a malattie cardiovascolari e metaboliche fino ad alcune malattie rare, e di indagare l’applicabilità su larga scala delle nuove tecnologie nell’ottica della loro diffusione sostenibile ed equa a tutti i livelli del nostro Sistema Sanitario”.
In occasione dell’incontro di kick-off del progetto tenutosi nei giorni scorsi a Palermo, il Prof. Andrea Pace, Presidente della Fondazione HEAL ITALIA, ha puntualmente sottolineato che “le risorse messe a disposizione dall’Unione europea rappresentano un investimento piuttosto che un finanziamento; una sottile differenza semantica che deve responsabilizzare tutti gli attori in campo. Dobbiamo sempre ricordare che la maggior parte delle risorse a valere sull’intero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha natura di “prestito” e il sistema Paese potrà garantirne la restituzione solo se ciascuna singola azione beneficiaria degli aiuti sarà incentrata sulla qualità e sulla sostenibilità di lungo termine.”
Il progetto HEAL ITALIA affonda il proprio razionale proprio in questa logica e promette di sviluppare conoscenza ed innovazione attraverso molteplici viaggi di andata e ritorno tra il laboratorio e il letto del malato, al fine di potenziare al massimo il dialogo tra le competenze e di sfruttarlo al meglio nella pratica clinica quotidiana.