Avviso di fabbisogno interno un’attività di supporto alla ricerca dal titolo dal titolo “Coordinatore rilevazioni di terreno e studi di caso nel campo della programmazione e valutazione dei piani di zona”
Dati sull'affluenza alle elezioni del Consiglio di Amministrazione - 2021
Dati sull'affluenza alle elezioni RLS - 2021
Intervento di Giovanni Passalacqua
Rappresentante studenti
Signor Presidente, Autorità, Magnifico Rettore, Gentili ospiti,
vi porto i saluti a nome della comunità studentesca dell’Ateneo di Pisa.
L’inaugurazione di quest’anno accademico assume un estremo valore simbolico. Un anno in cui la componente studentesca prova a riavvicinarsi, a piccoli passi, agli spazi universitari, dopo un anno e mezzo di università a distanza, portando il peso di aver vissuto enormi e inaspettate difficoltà.
L’improvvisa transizione dalla didattica in presenza allo spazio virtuale ha infatti aumentato le disparità, compromettendo l’accesso all’istruzione a coloro che non abbiano a disposizione delle strumentazioni idonee. Il senso di profonda alienazione provato dietro ad uno schermo è quanto di più diverso dal vivere l’esperienza dell’università nella sua pienezza, un’esperienza che trascende la singola lezione, in una dimensione comunitaria e sociale. Tutto questo accompagnato da una completa marginalizzazione dell’Università e della sua componente studentesca all’interno del dibattito pubblico: quando, in questa pandemia, abbiamo sentito parlare di componente studentesca universitaria? E di ricerca pubblica?
È per questo, quindi, che mi chiedo, a nome della comunità studentesca, se l’Università, all’indomani della riapertura, sia veramente accessibile a chiunque.
Per renderla tale non è sufficiente adottare turnazioni e distanziamenti al fine di ovviare alla mancanza di aule, perché sono decenni che l’università non dispone di spazi adeguati: basti pensare a quando seguivamo le lezioni sedendoci a terra e ai tanti corsi in cui è stato istituito il numero chiuso per mancanza di strutture.
È necessario poi che la componente studentesca non sia sottoposta al ricatto: risparmiare o seguire? Guardando alla nostra Pisa, sono due anni che non viene rinnovata la convenzione trasporti urbani per la popolazione studentesca, ed è l’unica città universitaria i cui canoni di locazione durante la pandemia sono addirittura aumentati.
Analogamente, a livello nazionale, la contribuzione universitaria continua ad essere tra le più alte d’Europa e continua ad esistere la figura dell’idoneo non beneficiario, ossia chi pur avendone diritto, non riceve una borsa di studio e un posto alloggio per insufficienza di fondi. Gli stanziamenti straordinari operati durante il 2020 dal Governo non sono stati sufficienti, così come le misure contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non contengono soluzioni per le reali problematiche della componente studentesca.
Se veramente riconosciamo il valore fondamentale dell’università in presenza, come possiamo pensare che a seguito di una crisi economica dalla portata devastante le famiglie siano in grado di sostenere questi costi, già proibitivi prima della pandemia?
Tenendo conto che il numero di giovani laureati in Italia è tra gli ultimi d’Europa, oggi più che mai è necessario superare le logiche competitive, puntando ad un’università pubblica, gratuita, inclusiva e di massa, per riconoscere l’importanza fondamentale della cultura, che soltanto tramite la formazione accademica può essere diffusa all’intera società.
Diversamente, i nuovi problemi acuiranno le disparità, ed impediranno l’agognato progresso sociale.
Ci auspichiamo quindi che la pandemia rappresenti non un periodo difficile e buio da destinare all'oblio, ma che l’inizio di questo anno accademico sia un'occasione per invertire la rotta, rendendo così l'Università Pubblica Italiana più di un mezzo per acquisire un titolo da spendere eventualmente in un futuro sempre più precario, ma un luogo vissuto e reale di comunità e partecipazione, fucina di cultura e di ricerca. Di cui, oggi più che mai l’Italia ha bisogno.
Intervento di Elena Orbini Michelucci
Rappresentante del personale tecnico- amministrativo
Signor Presidente della Repubblica, Signora Ministra,
Magnifico Rettore, Signore e Signori,
Signor Presidente, è un grande onore darLe il benvenuto all’Università di Pisa. La Sua presenza in questo Ateneo riconsegna ai nostri studenti e a noi tutti quella fiducia e speranza nel futuro che la pandemia ci aveva sottratto.
In questi momenti, per un paese civile che vuole anticipare il futuro, l’attenzione delle istituzioni nei confronti della formazione universitaria e della ricerca scientifica deve essere prioritaria.
Qui, come affermava Umberto Eco, ci si occupa di cose di cui i mass media parleranno tra 20 anni.
Un paese che investe nell’Università è, quindi, un paese che ha 20 anni di vantaggio rispetto alla storia. E questo periodo pandemico ha dimostrato, oggi come non mai, quanto sia provvidenziale una ricerca scientifica avanzata.
In proposito, sono certa che i miei colleghi del personale tecnico amministrativo, di cui ho il privilegio di far parte, saranno in grado di garantire il supporto necessario perché l’Università continui ad essere il luogo della conoscenza e del progresso.
Mi riferisco infatti ai colleghi informatici che, in piena pandemia, non si sono arresi agli eventi ed hanno consentito, attraverso l’attivazione di piattaforme digitali, lo svolgimento dei servizi a supporto dell’attività didattica e di ricerca.
O agli amministrativi che, grazie al lavoro a distanza, hanno modificato, sulla base delle nuove emergenze, il modo di lavorare continuando a svolgere le mansioni a cui erano preposti per garantire che l’intera organizzazione universitaria non si fermasse.
E difatti nessuno di noi si è fermato. Lavorare a distanza non ha significato non lavorare, ma piuttosto lavorare di più, anche grazie a quel particolarissimo senso di appartenenza all’istituzione che si può trovare, a mio parere, solo tra chi lavora nell’Università e che nasce dal fatto che, per molti di noi, questo è anche il luogo in cui ci si è formati e si è cresciuti come persone e come professionisti.
Da questo punto di vista, credo che uno speciale tributo di riconoscenza debba essere offerto a tutte le nostre colleghe, le quali notoriamente sappiamo essere sempre strette tra impegni familiari e lavorativi e che, ciononostante, non si sono risparmiate minimamente. Come sempre, vorrei aggiungere.
Donne che lavorano che, tuttavia, seppur numerose, ancor oggi soffrono di un comprovato svantaggio di genere all’interno dei luoghi di lavoro, nessun escluso, in favore delle quali deve essere introdotto un “diritto diseguale” per garantire l’uguaglianza.
Ma l’Università è un luogo aperto, aperto alle esigenze di questo Paese e delle persone e, per tale ragione, nutro speranza che si trovino risorse che possano essere utilizzate per il reclutamento di giovani studiosi, che possano contribuire al progresso scientifico, magari qui, in Italia, anziché all’estero, per concrete politiche di riconoscimento professionale del personale, che passino anche attraverso livelli retributivi più in linea con le medie dei principali paesi europei, e per azioni che promuovano la parità di genere.
L’Università ha bisogno di attenzione e investimenti da parte del Paese e il Paese ha bisogno di una buona Università, di una Università avanzata, proiettata verso le nuove sfide che ci riserva il futuro.
Sig. Presidente e signora Ministra chiedo a Voi di farvi promotori delle sollecitazioni che oggi questo palco vi ha rivolto.
Grazie per l’attenzione.
Intervento di Daniele Mazzei
Ricercatore senior di Informatica
Signor Presidente, Signora Ministra, Magnifico Rettore,
Il 30 aprile del 1986, dal CNR di Pisa, partì il primo collegamento Internet Italiano.
Io avevo poco meno di 4 anni, non avevo certo idea di cosa stesse accadendo e di come il mondo sarebbe cambiato di lì a poco.
Tuttavia, per qualche strano motivo, cominciai a dire in giro che da grande avrei fatto “l’uomo dei computer”!
Così, finite le scuole superiori sono venuto a Pisa e mi sono iscritto a Ingegneria Biomedica, perché dentro di me ho sempre sentito il bisogno di lavorare a qualcosa di tecnologico ma che al contempo fosse vicino all’uomo…
Ho avuto la fortuna di entrare nei laboratori del Centro di ricerca Enrico Piaggio quando ero ancora uno studente della triennale e ho iniziato a costruire “bioreattori”, delle macchine che consentono di coltivare cellule umane e animali in vitro simulando le condizioni fisiologiche di un organismo, permettendo quindi ai ricercatori di testare farmaci e terapie in vitro, riducendo notevolmente il numero di cavie animali necessarie per la sperimentazione.
Mi sono poi avvicinato al mondo della robotica e anche in questo caso ho puntato sulla robotica destinata all’interazione con l’uomo, la robotica sociale.
Ho lavorato al robot FACE, sviluppando insieme ad altri colleghi un sistema di intelligenza artificiale che gli consente di riprodurre espressioni facciali ispirate a quelle umane e di “provare emozioni” (se così si può dire per un robot).
Grazie a queste peculiarità, FACE è stato definito come uno dei robot sociali più “espressivi” mai costruiti.
Alla fine, ho lasciato ingegneria e sono diventato veramente “l’uomo dei computer”… oggi sono un ricercatore di informatica e mi occupo di quella che in Accademia chiamiamo “Interazione uomo macchina”.
L’interazione uomo macchina è lo studio delle relazioni che si stabiliscono fra umani e sistemi tecnologici quali computer, cellulari, oggetti smart, siti web etc.
Studiare queste relazioni ci consente di progettare sistemi migliori, più facili da usare e quindi più utili per gli utenti finali.
Lo studio dell’interazione uomo macchina è importante perché da quando 34 anni fa abbiamo mandato quel primo messaggio Internet, è partita una corsa al progresso tecnologico con un impianto fortemente tecnocentrico.
Abbiamo sviluppato tecnologia con l’unico obiettivo di migliorarne le prestazioni e superare così la versione precedente…Una sorta di corsa contro il tempo e contro noi stessi…
Questo atteggiamento unidirezionale ha portato ad una sorta di dittatura del progresso che non avendo tempo per fermarsi ad aspettare gli utenti li ha lasciati indietro creando così uno scollamento fra il mondo tecnologico e quello reale, quello delle persone.
La verità è che purtroppo noi scienziati, tecnici e ricercatori non abbiamo mai dedicato abbastanza tempo a rendere la tecnologia usabile e quindi usata e compresa dagli utenti.
Ci siamo sempre accontentati di inventarla, di scoprirla.
E’ per questo motivo che oggi sui giornali leggiamo che “i robot toglieranno il lavoro agli umani” e che “l’intelligenza artificiale penserà al posto delle persone rendendoci tutti degli schiavi”. Queste aberrazioni sono dovute ad una percezione distorta della realtà tecnologica e di questo un po’ abbiamo colpa anche noi scienziati.
Lo studio dell’interazione fra uomo e macchina ci porta invece a trattare la tecnologia non come obbiettivo ma come mezzo. Un mezzo utile per migliorare la vita delle persone.
E’ quindi necessario cambiare il modo in cui si pensa e si progetta la tecnologia ,mettendo l’uomo e quindi l’utente al centro del processo di ricerca e sviluppo.
Questo è ciò che chiamiamo Design Antropocentrico ed è al centro di un nuovo modello di sviluppo tecnologico definito dalla Comunità Europea come Industria 5.0.
L'obiettivo del paradigma industria 5.0 è infatti quello di sviluppare tecnologia per migliorare la vita delle persone, ridurre le emissioni inquinanti e dare vita a processi industriali e modelli di business sostenibili che sfruttino le nuove tecnologie.
I robot industriali 5.0 devono quindi collaborare con le persone diventando co- bot.
L’intelligenza artificiale deve essere progettata per coadiuvare la mente umana nella risoluzione di problemi complessi, non per sostituirla.
Ma soprattutto, un approccio antropocentrico allo sviluppo tecnologico prevede che la tecnologia sia accessibile a tutti, e quindi, anche ai più deboli, agli anziani, ai diversamente abili e a tutte quelle categorie che tipicamente con l’approccio tecnocentrico sono considerate come “fuori standard” e quindi per loro l’unica soluzione è costruire soluzioni “speciali”.
In qualche modo possiamo dire che il design antropocentrico punta a umanizzare la tecnologia!
Per fare questo però, non basta cambiare solamente il punto di vista dei ricercatori e degli addetti ai lavori, è necessario a mio parere, mettere in discussione l’intero impianto del sistema della ricerca.
Una ricerca antropocentrica non può essere organizzata in silos verticali incapaci di comunicare fra loro. Nel design antropocentrico, informatica, psicologia e neuroscienze sono elementi indispensabili, ma in Accademia queste discipline sono spesso molto distanti.
Una tecnologia antropocentrica è per definizione interdisciplinare.
E’ necessario quindi andare oltre la rigida settorialità delle discipline scientifiche ed è necessario puntare sulla compenetrazione fra le scienze, e le tecniche.
Inoltre, non basta più limitarsi ad “inventare una nuova soluzione”, è necessario far sì che questa soluzione venga effettivamente adottata e utilizzata dalla società e che quindi esca dai laboratori di ricerca e approdi nel mondo reale attraverso il mercato.
Per fare questo è fondamentale investire nel trasferimento tecnologico, quello che noi accademici chiamiamo “terza missione”, ma purtroppo, negli ultimi anni, il trasferimento tecnologico è stato visto come una sorta di optional della ricerca.
Non dobbiamo dimenticare infatti, che l'università ha il dovere di contribuire alla crescita del paese e per fare questo deve occuparsi anche di garantire che il risultato del proprio lavoro si trasferisca agli altri settori produttivi.
Il PNRR è un’opportunità imperdibile, abbiamo finalmente la possibilità concreta di cambiare la traiettoria del Paese e riportare l’Italia fra i grandi del mondo. Per fare questo dobbiamo però avere il coraggio di andare oltre le briglie che da troppo tempo ingessano il nostro sistema accademico e rilanciare il dialogo fra imprese e Università che negli ultimi anni si è pericolosamente indebolito.
Intervento di Leonardo Massantini
Dottorando in Filosofia
Signor Presidente della Repubblica, Ministra Maria Cristina Messa, Magnifico Rettore, gentili docenti, personale tecnico amministrativo, colleghi dottorandi, studentesse e studenti e ospiti presenti tutti, è un onore e un privilegio per me intervenire in questa sede. Prima di iniziare, permettetemi di rivolgere un saluto pieno di stima al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di ringraziare il magnifico Rettore Paolo Maria Mancarella per avermi dato l’opportunità di intervenire in questo prestigioso contesto. Ringrazio anche il corpo docenti del dottorato di filosofia dell’Università di Pisa in consorzio con l’Università di Firenze, in particolare il professor Fabris direttore del mio ciclo di dottorato e la professoressa Fussi, sotto la cui guida conduco la mia ricerca.
Nella mia ricerca indago la nostalgia, concentrandomi sulla relazione tra questo fenomeno e il mondo che ci circonda, in particolare media, le nuove tecnologie e la politica. A causa di una presunta contrapposizione alla ragione, le emozioni hanno rischiato di venir relegate a tema secondario della filosofia e di altre scienze. In realtà, come già insegnava Aristotele, le emozioni costituiscono un aspetto fondamentale della razionalità stessa. Sono logoi enyloi, cioè pensieri incarnati. Emozioni, umori, sentimenti esprimono la nostra affettività mettendoci in contatto immediato col mondo. Non solo, i fenomeni affettivi costituiscono i moventi delle nostre azioni e il nostro orizzonte cognitivo e pratico. Le emozioni non sono fenomeni squisitamente personali e privati. Emergono piuttosto sempre da un mondo condiviso e in esso vengono espresse, comunicate ed esperite. Le emozioni strutturano il nostro vivere insieme nel mondo, costituiscono un collante fondamentale della nostra società, ma al contempo, se non gestite adeguatamente, possono diventare motori primi di una rapida e rovinosa disgregazione sociale.
Filo conduttore del mio modo di fare ricerca è sempre stato il dialogo, sia nel senso di scambio di idee con gli altri studiosi, sia nel senso di confronto con le altre discipline. In particolare, la collaborazione con i ricercatori dell’istituto di scienze cognitive dell’Università di Osnabrück in Germania mi ha portato ad adottare un metodo, quello delle teorie della affettività situata, che insiste sulla relazione tra la filosofia e discipline come la psicologia, le neuroscienze e gli studi culturali. Grazie a questa collaborazione, che a causa della pandemia si è svolta prevalentemente per via telematica, si è rafforzata in me la convinzione di dover preservare la capacità della filosofia di essere porosa, di assorbire istanze e prospettive diverse, tutelando al contempo la sua natura zetetica, cioè di ricerca, che non si limita alla mera risoluzione di problemi, ma affina costantemente le domande da porsi.
L’ idea di fondo di queste teorie è che la nostra mente valica i confini del cervello. Essa non è prigioniera nella scatola cranica, ma si estende nel corpo, perno delle nostre percezioni e delle possibilità di interagire con il mondo. Non solo, la mente si estende anche oltre il corpo. Le tecnologie che adoperiamo, le istituzioni a cui ci affidiamo, le relazioni che intrecciamo sono supporti essenziali senza i quali non sarebbe possibile esperire ed esprimere la nostra affettività, sono fonti di soddisfazione delle nostre esigenze affettive e cognitive: scattiamo foto per ricordare, ascoltiamo la musica per regolare il nostro umore, chiamiamo un amico al telefono quando abbiamo bisogno di conforto. Le teorie dell’affettività situata vengono anche adoperate con successo per comprendere come le nuove tecnologie, ad esempio i social network e le piattaforme di teleconferenza, costituiscano spazi in cui la nostra affettività può trovare espressione. Come ci ha insegnato la pandemia, queste tecnologie possono offrire delle alternative valide, seppur non equivalenti, all’incontro fisico con l’altro. Le teorie dell’affettività situata, pur riconoscendo l’utilità di queste tecnologie, ci mettono in guardia sul fatto che non siamo solo noi a interagire e a modificare questi supporti, ma essi a loro volta interagiscono con noi e modificano i nostri orizzonti affettivi. Ciò vuol dire che chi controlla i supporti può anche manipolare la nostra affettività.
Le teorie dell’affettività situata sono fondamentali per comprendere la nostalgia, un fenomeno affettivo complesso che sta interessando anche alcuni esperti di scienze politiche, secondo i quali la nostalgia collettiva ha determinato alcuni dei più recenti cambiamenti sociali e politici. Nonostante la sua natura poliedrica, ritengo sia possibile individuare dei tratti costanti e costitutivi di questa emozione. La si può descrivere come il desiderio di diventare tutt’uno con un passato che, ben lungi dall’essere quello della memoria o della storiografia, è costituito da un processo di rinarrazione e di idealizzazione. Nei momenti di grandi cambiamenti personali e collettivi, gli individui e la società cercano in un passato verso cui nutrono nostalgia dei punti di riferimento ai quali ancorare le proprie identità. Questo processo, che di per sé può anche svolgere una funzione positiva, rischia di trasformarsi in un pericoloso desiderio di riconquistare una perduta purezza e ritornare ad antichi fasti che esistono solo nell’immaginazione di chi, coscientemente o meno, illude se stesso o altri.
Nella nostalgia non siamo interessati tanto ai singoli ricordi o a specifiche immagini del passato. I momenti che caratterizzano la nostra nostalgia non sono fissati una volta per tutte, ma sono sempre aperti ad essere reinterpretati o addirittura sostituiti in funzione della nostra identità presente. Poiché questi momenti e ricordi sono in certa misura interscambiabili, a maggior ragione lo sono i supporti materiali della nostalgia. È proprio a causa di questa interscambiabilità che i supporti, e di conseguenza la ricostruzione di passato a cui rimandano, possono essere scelti per noi piuttosto che da noi.
La mia è prima di tutto una ricerca teorica, rivolta alla comunità filosofica e scientifica. Al contempo, però, nell’ analizzare le diverse forme della nostalgia e i rispettivi criteri della sua modulazione mi auguro anche di contribuire con esperti di altri settori all’individuazione di strumenti atti a comprendere fenomeni sociali ed eventi storici circoscritti. Penso in particolar modo ai policy maker, i quali solo se saranno in grado di discernere le cause più profonde della nostalgia potranno rispondere adeguatamente a importanti bisogni del mondo contemporaneo. Ma strumenti di tal genere dovrebbero soprattutto essere messi a disposizione dei singoli individui per aiutarli a diventare protagonisti delle proprie vite affettive e non comparse in un copione scritto da altri.
Discorso del Rettore Paolo Maria Mancarella
Signor Presidente della Repubblica, Signora Ministra
Signor Presidente della Regione, Signor Sindaco
Signor Prefetto
Magnifiche Rettrici, Magnifici Rettori
Autorità civili, militari e religiose; colleghe e colleghi del personale docente e tecnico amministrativo; studentesse e studenti; signore e signori,
Benvenuti a questa cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico 2021-2022 dell’Università di Pisa.
Signor Presidente, Le sono grato per aver accolto il nostro invito ad essere qui oggi e non Le nascondo una certa emozione. L’emozione di un cittadino italiano, prima ancora che di un Rettore; di chi ha l’onore di poterLa ringraziare personalmente per essere da sempre un esempio di forza, equilibrio e correttezza per tutti noi.
Valori in cui ci riconosciamo a pieno e quanto mai preziosi in un momento difficile come quello che stiamo ancora vivendo. Tanto da averci guidato anche nella scelta della sede di questa cerimonia non potendo utilizzare, a causa dell’emergenza in atto, l’Aula Magna Nuova del Palazzo alla Sapienza. Oggi siamo, infatti, in un luogo dedicato alla pratica sportiva che, ci sembra, di quei valori di forza, equilibrio e correttezza, rappresenta una perfetta sintesi.
Quello che si apre oggi è probabilmente uno degli anni accademici più “delicati” della storia moderna del nostro sistema universitario e ci coglie animati da una nuova consapevolezza; dalla necessità di un cambiamento radicale.
Una consapevolezza resa forse ancor più significativa dal ricorrere, quest’anno, del settantacinquesimo anniversario della consultazione referendaria che sancì la nascita della nostra amata Repubblica, dell'estensione del voto alle donne e dell'elezione dell'Assemblea Costituente.
Oggi, come nel 1946, il nostro Paese si trova, infatti, in un momento di svolta e come allora, con spirito unitario e fiducia nel futuro, la nostra comunità vuole fare la sua parte per cogliere questa “occasione irripetibile di rinnovamento dell’Italia”. La stessa occasione che un nostro celebre allievo, Piero Calamandrei, vide, 75 anni fa, proprio nell’Assemblea costituente.
Le sfide che ci attendono sono molte e occorre mettere in campo scelte e atteggiamenti nuovi e curare, con l’impegno di tutti, le fragilità che i mesi più bui della pandemia hanno messo in evidenza, così da essere all’altezza del futuro che ci attende.
L’Università di Pisa, in quasi 700 anni di storia, non è nuova a queste prove e anche nei momenti di maggior difficoltà è sempre riuscita a progredire, grazie a un immutato desiderio di guardare lontano.
Una propensione al futuro che oggi fa sì che il nostro Ateneo non solo sia tra le forze trainanti di un sistema universitario italiano sempre più apprezzato nel mondo, ma anche un nodo importante e autorevole nella rete globale delle Università e degli enti di ricerca.
Ho voluto, signor Presidente, che oggi potesse sentire dalla viva voce di giovani colleghi e colleghe alcune “manifestazioni”, spesso appassionate, della ricerca che svolgiamo in questo Ateneo, spaziando dalle discipline umanistiche e sociali, a quelle tecnologiche, alle scienze pure fino alle scienze della vita, a testimonianza che le nostre eccellenze permeano tutti i rami del sapere, e di questo nostro essere “generalisti” siamo particolarmente orgogliosi, perché è già di per sé una missione di inclusività.
Se oggi siamo tutto ciò è perché in questi anni abbiamo investito, con decisione, sull’eccellenza accademica e sulla crescita strategica, destinando risorse significative allo sviluppo delle nostre infrastrutture.
In primo luogo, a quelle destinate proprio alla ricerca scientifica. Consapevoli che una ricerca di qualità non si possa condurre, in tanti campi del sapere, senza un adeguato supporto di laboratori, biblioteche e attrezzature.
In secondo luogo, incentivando i nostri ricercatori a svolgere sempre di più le loro attività nello spazio europeo della ricerca. Grazie a ciò, solo nel quadriennio appena trascorso, dal 2017 al 2020, l’Università di Pisa si è aggiudicata 162 progetti di ricerca su bandi competitivi della UE per un contributo complessivo pari a 55 milioni di euro: soltanto nel 2020 sono stati vinti 43 nuovi progetti europei di ricerca, di cui 39 nell’ambito di Horizon 2020 e 4 in ulteriori programmi europei, per un finanziamento complessivo di 13,4 milioni di euro.
Tutto ciò ha innescato un circolo virtuoso che favorisce scambi continui di docenti e studenti di tutto il mondo, promuovendo quel flusso di idee indispensabile per l’evoluzione del sapere.
Una circolazione di idee e di conoscenze che è il fondamento stesso di una buona Università e che abbiamo stimolato anche adottando una politica di reclutamento che non solo ha aumentato il numero dei docenti, ma ha anche portato a Pisa personalità di alto profilo scientifico provenienti sia da atenei internazionali che italiani.
Questo ci ha permesso di garantire ai nostri studenti una didattica che ha nella qualità, nella tradizione e nell’innovazione i suoi elementi di forza; oltre a far leva proprio sulle forti competenze di ricerca che abbiamo, convinti che solo dall’eccellenza possa nascere l’eccellenza.
Abbiamo fatto tutto ciò e continuiamo a farlo non solo perché è il nostro compito “istituzionale” o per scalare qualche classifica internazionale, ma perché crediamo che debba essere fatto.
Perché un’Università, per assolvere a pieno il suo compito, deve saper raccogliere, sia sul piano della didattica che su quello della ricerca, le sfide che derivano da una società complessa in crescente trasformazione e dialogare in maniera più efficiente con la società e con il mondo del lavoro.
Anche per questo è stato forte, negli anni, il nostro impegno per consolidare e valorizzare, attraverso vari protocolli d’intesa, le relazioni con il contesto economico del nostro territorio.
Ne è nato, nel tempo, un rapporto solido e proficuo che ci ha anche permesso di reperire, in più occasioni, risorse importanti.
A titolo di esempio, mi preme citare due casi recenti. Grazie ad una buona applicazione del Codice dei contratti pubblici, abbiamo ottenuto un finanziamento di 1,9 milioni di euro dall’industria – e ringrazio gli uffici che hanno saputo estrarre il meglio dai vari vincoli burocratici –. L’intento è di finalizzarli nell’ambito di un progetto speciale del CISUP, il Centro di ateneo per le grandi attrezzature, che ho voluto istituire nel 2018 e che conta già oggi quasi 500 adesioni di docenti e ricercatori da tutti i Dipartimenti. Il finanziamento è su un progetto di alta tecnologia applicata anche alla formazione, che consentirebbe di far lavorare in un’orchestra multidisciplinare i molti saperi del citato Centro di Ateneo.
Ancora, la tradizionale generosità e lungimiranza della Fondazione di origine bancaria pisana ci ha consentito, con una donazione di 1,3 milioni di euro, di avviare, in alleanza con l’Azienda ospedaliera universitaria, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e il CNR, un progetto in cui fisici, biologi, informatici e medici collaborano, anche attraverso strumentazioni e piattaforme analitiche di imaging all’avanguardia e attraverso simulazioni numeriche e analisi di dati con Machine Learning – operate con le risorse di calcolo del Data Center di Ateneo – . Questa collaborazione ha portato allo studio di un nuovissimo acceleratore lineare di elettroni capace di generare l'effetto flash, un effetto radiobiologico molto promettente per il trattamento efficace di tumori ad oggi incurabili quali, ad esempio, gravi forme tumorali al cervello.
Colgo allora l’occasione per ringraziare tutti coloro che in questi anni ci hanno sostenuto a vario titolo nel nostro cammino. Partner privati e pubblici senza i quali ciò che abbiamo realizzato non sarebbe stato in parte possibile.
Sono convinto che questa integrazione e collaborazione tra i diversi operatori del territorio ricopra, oggi più che mai, un ruolo strategico, creando occasioni di crescita e sviluppo per tutti. Oltre che importanti opportunità per i nostri studenti e ricercatori. Del settore pubblico, cito per tutti la Regione Toscana, perché è in primis dalla sinergia con essa che i tre grandi atenei toscani, Pisa, Firenze e Siena, oltre alle Scuole di eccellenza del territorio, realizzano la loro terza missione per poi innervarsi a tutta la nazione e all’Europa. In questo spirito di collaborazione e reciproco rispetto delle nostre differenze e similitudini, noi Università toscane, noi Università italiane, confidiamo di poter dare il nostro contributo all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Perché la pandemia ci ha insegnato che solo insieme possiamo ricostruire il futuro che vogliamo per noi e per i nostri figli.
Oggi che questa domanda di futuro che ci proviene dalle nuove generazioni si leva ancor più forte, l’Università di Pisa e tutto il sistema universitario italiano, sono pronti a fare la loro parte. La centralità dell’innovazione fa da filo conduttore per consentirci di giocare un ruolo importante nelle transizioni che l’Unione Europea ci spinge a condurre, al fine di rendere il nostro Paese e il nostro continente protagonisti delle trasformazioni ormai irrinunciabili. Una transizione digitale, una transizione culturale e una transizione sociale, in grado di generare una transizione verde, evitando il “corto circuito” tra innovazione tecnologica, spesso energivora, e riconversione ecologica della nostra economia.
Lo dobbiamo a quelle famiglie che, comprendendo come una società del genere possa nascere solo investendo in conoscenza, non hanno rinunciato ad iscrivere le proprie figlie e i propri figli all’Università.
Questi genitori ci hanno affidato ciò che di più caro posseggono e lo hanno fatto in un momento di forti difficoltà economiche come quello attuale.
Con il risultato che le immatricolazioni, anziché crollare come molti temevano, sono addirittura aumentate. A dimostrazione che per rispondere al “bla bla bla” denunciato da Greta Thunberg i giovani si appellano alla formazione, la quale, da strumento delle élites, diviene mezzo operativo non più solo dell’ascensore sociale ma del cambiamento già in atto, certamente nelle giovani coscienze.
Spetta a noi, adesso, saper accogliere questa chiamata che sta dando alle Università una nuova centralità. Ciò significa anche saper essere determinati nell’affrontare la questione di genere. Non basta più prendere atto che “l’equilibrata rappresentanza di genere in ogni aspetto della vita accademica” è un valore, non bastano più la proclamazione d’intenti e la promozione di mera facciata. Mi rivolgo alle colleghe, alle studentesse, alle lavoratrici: dovete pretendere, insieme, ogni giorno, che la fotografia delle disparità emerse dal Bilancio di Genere 2020 non resti cristallizzata nel futuro. Mi rivolgo poi alla governance tutta dell’Ateneo per dire che non dobbiamo smettere di ascoltare e soprattutto di agire in modo sempre più efficace, per essere protagonisti di quella transizione culturale che essendo alla nostra portata sarebbe particolarmente colpevole non realizzare.
Siamo consapevoli, d’altronde, di poter fare la differenza nella traiettoria delle vite dei nostri giovani e che la nostra società sarà migliore se riusciremo a dar loro concrete opportunità di successo.
Ed è con questo obiettivo che, negli ultimi anni, abbiamo voluto arricchire la già consistente offerta formativa dell’Ateneo con nuovi percorsi formativi innovativi, a tutti i livelli. Percorsi mirati a quelle nuove professioni che le trasformazioni in atto nel Paese e nel mondo intero richiederanno nei prossimi anni. Come già il nostro Ateneo fece oltre cinquant’anni fa con l’istituzione del primo corso di laurea italiano in Informatica (allora Scienze dell’Informazione), abbiamo l’ambizione di anticipare il futuro. Cito, solo per fare qualche esempio tra i più recenti, la laurea triennale in lingua inglese in Management for Business and Economics, istituita nell’a.a. 2018/19, o le lauree magistrali in Diritto dell’Innovazione per l’impresa e le Istituzioni e in Cybersecurity istituite, rispettivamente, nel 2019/20 e 2020/21, fino al Dottorato nazionale in Intelligenza Artificiale, coordinato dall’Università di Pisa e dal CNR, che vede la luce proprio a partire da quest’anno, grazie anche a un significativo investimento mirato del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Oltre agli obiettivi formativi, da Rettore ho cercato di aumentare l’inclusività della nostra Università, ad esempio, potenziando i nostri servizi per i diversamente abili e per gli studenti con DSA, introducendo le carriere alias, riducendo la tassazione studentesca fino al punto di equilibrio per il nostro bilancio pubblico – la cui sostenibilità è comunque un valore da perseguire – da ultimo, promuovendo uno studio sull’impatto sociale della DAD, per comprendere come le nuove tecnologie possano influire sui bisogni di studenti e docenti, in modo da attuare politiche che sempre abbiano come “faro” il miglioramento della vita delle persone.
Tra le tante nostre iniziative che mirano a soddisfare i bisogni delle persone anche terze rispetto all’Università – perché siamo chiamati dal nostro statuto e dalla Costituzione ad essere incubatori di inclusività – ne vorrei citare qui una che mi pare ben rappresenti la missione dell’Università di Pisa nella ricerca, ma anche nella formazione, ma anche nella Terza missione, qui finalizzata ad uno dei beni più preziosi, la salute del bambini, il nostro futuro, e non solo nelle nazioni ad organizzazione sanitaria ed economica avanzata, ma anche in paesi in via di sviluppo, in Asia, in Africa ed in particolare in Tanzania. Il progetto, finanziato con circa 5 milioni di euro da Horizon 2020, iniziato nel 2020, sperimenterà nuove modalità per la diagnosi ed il trattamento dei disturbi del sistema nervoso nel neonato e nei primi mesi di vita, con strumenti e procedure, alcune uguali in tutti i paesi coinvolti, altre personalizzate ai diversi contesti socioeconomici. Questo programma, molto ambizioso, è reso possibile dalla sinergia tra strutture universitarie di molti paesi, guidate dai ricercatori di UNIPI, un ospedale nazionale di ricerca per le neuroscienze pediatriche, l’IRCCS Stella Maris di Pisa e un importante Ente del III settore, Medici con l’Africa CUAMM (Collegio universitario aspiranti medici missionari), prima ONG in campo sanitario riconosciuta in Italia e la più grande organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane.
Troppo poco è il tempo per dare contezza della ricchezza di intenti e di valori che è racchiusa nelle mura secolari di questo nostro Ateneo: allo scopo di restituirla al mondo e conservarla al meglio abbiamo di recente istituito un Centro di ateneo per l’Innovazione e la Diffusione della cultura (Cidic) nel quale quattro Poli, sotto la responsabilità di professori universitari, sono dedicati: all’editoria con specifica missione di incrementare l’open access, alla musica, alla multimedialità e alla comunicazione istituzionale. L’intento è di sfruttare al meglio le competenze dell’Ateneo, mettendo a sistema i tools in grado di abilitare la menzionata transizione culturale, che senza il contributo delle Università pubbliche e delle loro scienze umane e sociali difficilmente potrà compiersi.
Vogliamo, signor Presidente, un Ateneo sempre più inclusivo, capace di tutelare pienamente quello che è il diritto allo studio di ogni nostro giovane. Ma soprattutto un’Università in cui si rifuggono, con ogni mezzo, la parcellizzazione delle competenze, gli interessi peculiari e le miopie corporative.
Solo così, come ha ricordato più volte anche il Presidente Mario Draghi, è possibile «unire solidarietà e merito, equità e concorrenza, per assicurare una prospettiva di crescita al Paese» e, aggiungo, alle nuove generazioni.
Ne abbiamo avuto una prova tangibile nei mesi del lockdown quando, con determinazione, energia e fatica, lasciando da parte i propri interessi di singoli e condividendo una missione, siamo riusciti a costruire una diversa normalità che ci ha permesso di andare avanti.
Lo abbiamo visto qui a Pisa dove, con un certo orgoglio, posso dire che l’Università non ha avuto un solo momento di sospensione delle sue attività: era fondamentale per non arrestare la carriera dei nostri studenti e per garantire la continuità delle attività di ricerca. Una Università che, per dirla con il sommo poeta, “sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti”.
Ci siamo riusciti grazie ad una comunità universitaria che ha risposto in modo rapido e compatto, dando prova non solo di grande professionalità, ma anche di una generosità encomiabile.
A dimostrazione che le grandi Università non si costruiscono con i mattoni e il cemento, ma con le persone che vi lavorano e studiano.
Per questo oggi ci tengo a dire pubblicamente grazie ai nostri docenti, al nostro personale tecnico amministrativo e alle nostre studentesse e ai nostri studenti.
Se ce l’abbiamo fatta è soprattutto grazie al loro contributo.
Vorrei però aggiungere che, se a Pisa l’emergenza ci ha trovati pronti, è anche perché in via ordinaria, prima dell’emergenza, avevamo programmato, investito e vagliato i nostri sistemi digitali. Dobbiamo imparare ad agire sempre così, non solo nell’Università e non solo nell’innovazione tecnologica.
Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti e sfide. In cui, come avrebbe detto Goethe, “conoscere non è abbastanza; dobbiamo mettere in pratica ciò che sappiamo” e “nemmeno volere è abbastanza; dobbiamo fare”. Questo è lo spirito che ci deve guidare nella costruzione del nostro domani.
Vorrei concludere dedicando la cerimonia odierna a due giovani che il destino ha voluto non fossero più con noi: Alberto Fanfani, scomparso nel tragico crollo del Ponte Morandi, e Christin Tadjuidje Kamdem, giovane vittima camerunense del Covid-19.
Alberto stava per portare a termine la Scuola di Specializzazione in Medicina interna e Christin avrebbe dovuto discutere la sua tesi di laurea in Scienze Agrarie di lì a pochi giorni. Ad entrambi l’Università di Pisa ha voluto conferire i rispettivi diplomi alla memoria.
Nella memoria di questi nostri studenti e nei loro sogni oggi si specchiano le aspirazioni di tutti coloro che riconoscono nella conoscenza lo strumento per contribuire alla costruzione di un mondo più giusto, equo e sostenibile, in cui nessuno venga lasciato indietro.
Grazie per l’attenzione
Intervento di Paola Binda
Professoressa Associata presso il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia
Ringrazio il Presidente della Repubblica per l’attenzione che ci dedica insieme al Ministro Maria Cristina Messa e ringrazio il Magnifico Rettore per l’opportunità di raccontare la mia ricerca.
Io mi occupo di neuroscienze. “Bello, ma che laurea è?” mi hanno chiesto spesso. In effetti è una scienza nuova, nel senso che rappresenta l’incontro di tante discipline di veneranda tradizione che si sono riunite per affrontare un problema: il cervello. E è anche nuova perché’ ha visto l’avvento di uno strumento rivoluzionario, le neuroimmagini, che improvvisamente ci hanno consentito di guardare dentro il cervello, mentre funziona. E proprio questo strumento è uno dei motivi per cui io e la mia ricerca siamo qui a Pisa. Da circa 10 anni Pisa ospita una Risonanza Magnetica a “campo ultra-alto”, un macchinario che (unico in Italia e raro nel mondo) consente di produrre immagini del cervello ultra-dettagliate. Questo ha un duplice vantaggio: non solo c’è l’infrastruttura, che consente di fare cose che sarebbero altrimenti impossibili. Soprattutto, intorno all’infrastruttura, c’è una comunità di saperi straordinariamente eterogenea, dalla fisica alla clinica psichiatrica, dalla biologia della cellula alla filosofia della mente, dell'informatica alla medicina. Penso che sia questa combinazione, tra potenza tecnologica da un lato e ricchezza culturale dall’altro, che ha fatto nascere il mio primo importante progetto, finanziato dallo European Research Council.
Il mio progetto parte da un dato di fatto: il nostro cervello elabora informazioni, e compie errori. Per esempio, nelle sere d’estate capita di vedere la luna bassa sull’orizzonte. Ed è grandissima. Molto più grande di quando è alta nel cielo. Questo non è spiegato da cambiamenti fisici (della luna o dei nostri occhi) ma dal modo fallace in cui il nostro cervello interpreta l’immagine registrata dall’occhio. Quando la luna è bassa sull’orizzonte, il cervello la interpreta nel “contesto” del panorama di case e alberi, e per questo le attribuisce una grandezza illusoriamente maggiore.
Questo ci dice che la percezione non è una registrazione della realtà ma dipende in egual modo dalla realtà esterna e dai processi interni al nostro cervello. Misurando la differenza tra realtà e percezione, possiamo cominciare a comprendere questi processi. Capiamo che il cervello elabora una statistica dell’ambiente che ci circonda (quello che ho chiamato “contesto”), ne conserva uno storico, e li usa insieme ai segnali che arrivano dagli occhi per inferire le caratteristiche dell’ambiente. Ora, capire come questi termini “statistica, storico, inferenza” si traducono in interazioni tra cellule nervose è uno dei grandi obiettivi delle neuroscienze. Studiarli nell’ambito della percezione, anziché nell’ambito del pensiero, della cognizione, ha un grande vantaggio: è relativamente semplice misurare quello che vediamo.
Possiamo descriverlo, ma possiamo visualizzarlo con le neuroimmagini, perché la parte visiva del cervello forma delle mappe topografiche del nostro campo visivo e quindi di quello che stiamo vedendo. La mia ricerca dimostra che possiamo addirittura dedurre quel che una persona sta percependo dal diametro delle sue pupille (l’apertura attraverso cui la luce entra nei nostri occhi), che mostra microscopiche variazioni in funzione dell'attività della corteccia cerebrale.
Dai risultati che raccogliamo con queste tecniche, è evidente che: non vediamo tutti nello stesso modo, ne’ vediamo sempre nello stesso modo.
Ci sono persone praticamente immuni alle illusioni visive, e tra questi tante persone autistiche, per le quali si ipotizza una tendenza generale ad “astrarre dal contesto”, ad esempio negli scambi comunicativi. Questo suggerisce che misurare differenze percettive potrebbe darci degli strumenti nuovi per descrivere gli individui e i loro stili di elaborazione delle informazioni, aprendo una prospettiva clinica - in cui ci guidano gli esperti di neuropsichiatria e neurologia del nostro Ateneo.
D’altra parte, abbiamo forti indicazioni che il funzionamento del nostro cervello cambia nel tempo, anche rapidamente. Per esempio, abbiamo studiato la capacità del cervello visivo di adattarsi all’esperienza e abbiamo trovato che questa plasticità ha un picco subito dopo i pasti. Quindi, quello che vediamo dipende da complessi processi cerebrali, che a loro volta sono influenzati da fattori “di pancia” (come i sistemi alla base dell’assorbimento dei cibi) - che possiamo studiare sotto la scorta degli esperti endocrinologi e diabetologi dell’Università di Pisa. Queste evidenze ci aprono l’interessante prospettiva di poter avere un impatto sui processi cerebrali agendo non sul cervello ma molto più semplicemente sull’alimentazione.
Concludendo, questo progetto è un prodotto dell'ambiente accademico che mi ospita e in cui sono cresciuta, che mi pare ispirato (tra gli altri) a due principi: quello molto pratico di vedersi e valutarsi su un piano internazionale, e quello della collaborazione come “sport estremo”: la collaborazione con discipline lontane, che ci obbliga ad inventarci un linguaggio comune e qualche volta ci offre soluzioni inaspettate. Spero con la mia ricerca di riflettere questi principi e aiutare a sostenerli.
Inaugurato l’A.A. 2021/'22 alla presenza del Presidente della Repubblica
“La vera forza del nostro Paese: il senso civico che la nostra gente esprime, coltiva, manifesta e pone in essere. E di questo senso civico, questo senso delle comunità, gli atenei sono un punto di formazione decisivo. La formazione, la trasmissione del sapere, del senso critico, del senso verso il futuro è compito degli atenei. Per questo è importante quanto fanno, e per questo auguro a questo Ateneo buon anno accademico”. Con queste parole il Presidente della Repubblica, on. Sergio Mattarella lunedì 18 ottobre ha inaugurato l’anno accademico 2021/2022 dell’Università di Pisa, il 678° dalla sua fondazione.
Il Rettore Paolo Mancarella
Parole che hanno trovato eco anche nel discorso del Rettore Paolo Mancarella, in particolare nel ricordare i mesi di emergenza appena trascorsi. “Vogliamo, signor Presidente - ha detto il Rettore - un Ateneo sempre più inclusivo, capace di tutelare pienamente quello che è il diritto allo studio di ogni nostro giovane. Ma soprattutto un’Università in cui si rifuggono, con ogni mezzo, la parcellizzazione delle competenze, gli interessi peculiari e le miopie corporative”.
"Con un certo orgoglio - ha aggiunto il Rettore - posso dire che l’Università non ha avuto un solo momento di sospensione delle sue attività: era fondamentale per non arrestare la carriera dei nostri studenti e per garantire la continuità delle attività di ricerca. Una Università che, per dirla con il sommo poeta, “sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti. Ci siamo riusciti grazie ad una comunità universitaria che ha risposto in modo rapido e compatto, dando prova non solo di grande professionalità, ma anche di una generosità encomiabile. A dimostrazione che le grandi Università non si costruiscono con i mattoni e il cemento, ma con le persone che vi lavorano e studiano".
Un momento dell'inaugurazione
Rinnovamento, comunità, conoscenza, sapere, ricerca. Queste dunque alcune delle parole chiave della giornata pisana del Capo dello Stato che è iniziata alle 10 con la visita del Palazzo della Sapienza, simbolo e sede storica dell’Ateneo, tornato recentemente a risplendere dopo una profonda ristrutturazione durata alcuni anni. Il Presidente Mattarella, accompagnato dal Rettore Mancarella, si è soffermato nelle due aule magne prima di inaugurare simbolicamente la nuova Biblioteca di Scienze giuridiche, economiche e sociali. Il corteo si è quindi spostato al PalaCus di via Federico Chiarugi per la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2021/2022 alle 11 aperta dal Coro e dall’Orchestra dell’Università di Pisa che hanno eseguito l’Inno di Mameli.
Subito dopo è intervenuta la Ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, e il rettore Paolo Maria Mancarella ha letto il suo Indirizzo di saluto.
Sono poi seguiti i discorsi di Giovanni Passalacqua (studente), Elena Orbini Michelucci (personale tecnico-amministrativo), Daniele Mazzei (ricercatore senior di Informatica), Paola Binda (professoressa associata di Fisiologia) e Leonardo Massantini (dottorando in Filosofia).
A conclusione della cerimonia è quindi intervenuto il Presidente della Repubblica, on. Sergio Mattarella. Hanno infine chiuso la mattina il Coro e l’Orchestra dell’Ateneo con l’esecuzione dell’Inno universitario.
Per rivedere la cerimonia:
http://call.unipi.it/UnipiInaugurazioneAA2122 e sul canale http://call.unipi.it/UnipiInaugurazioneAA2122LIS con traduzione simultanea nella LIS, Lingua dei Segni Italiana.
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