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Uno studio italo-francese ha identificato uno dei meccanismi attraverso il quale le piante si proteggono dall’eccessiva esposizione solare trasformando l’energia in calore. La ricerca delle Università di Pisa e Nantes è stata pubblicato sulla rivista Nature Communications Condotto principalmente al Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Ateneo pisano, lo studio apre la strada a nuove strategie genetiche per adattare le piante ad ambienti sfavorevoli e per ottimizzare la produttività delle colture anche in risposta agli attuali cambiamenti climatici.


“I meccanismi con cui le piante si difendono dall’eccesso di luce che può danneggiarle provocando la distruzione delle cellule sono molteplici e ancora oggi non completamente chiariti – racconta la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa - attraverso simulazioni al computer basate su calcoli quantomeccanici, in questo studio per la prima volta abbiamo identificato un meccanismo molecolare di dissipamento dell’energia che coinvolge particolari proteine chiamate ‘antenne’”.

 

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Modello molecolare delle proteine antenna all’interno di una membrana; in basso i due pigmenti coinvolti nel meccanismo di dissipazione.


I ricercatori hanno dimostrato che le proteine “antenne” utilizzano una coppia di particolari pigmenti, una clorofilla ed un derivato del carotene, detto luteina. E’ infatti proprio quest’ultimo che, donando un elettrone alla clorofilla, “spegne” velocemente il suo stato elettronico eccitato e quindi dissipa l’energia sotto forma di calore.


“Per sopravvivere, le piante hanno bisogno di dissipare l’energia in eccesso, ma così facendo riducono l’efficienza della fotosintesi – spiega il dottor Lorenzo Cupellini ricercatore dell’Università di Pisa - i nostri calcoli indicano come le proteine possono controllare con precisione il meccanismo di dissipazione. Infatti, generando campi elettrici e modificando impercettibilmente le posizioni dei pigmenti, le proteine riescono ad attivare o a disattivare completamente tale meccanismo, lasciando quindi catturare ai pigmenti tutta l’energia disponibile”.

 

 

Lorenzo Cupellini e Benedetta Mennucci


Il gruppo di ricerca della professoressa Mennucci da anni si occupa di studiare con tecniche computazionali i processi di cattura della luce in sistemi fotosintetici. Questa ricerca pubblicata su Nature Communications è stata finanziata dal progetto europeo ERC Advanced Grant LIFETimeS coordinato dalla professoressa Benedetta Mennucci, progetto che si occupa di spiegare, con modelli molecolari e simulazioni al computer, quali sono i meccanismi attraverso i quali le proteine percepiscono, usano e rispondono alla luce. Hanno inoltre partecipato allo studio Dario Calvani, all’epoca laureando magistrale del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa e Denis Jacquemin, professore dell’Università di Nantes.



 

Uno studio italo-francese ha identificato uno dei meccanismi attraverso il quale le piante si proteggono dall’eccessiva esposizione solare trasformando l’energia in calore. La ricerca delle Università di Pisa e Nantes è stata pubblicato sulla rivista Nature Communications Condotto principalmente al Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Ateneo pisano, lo studio apre la strada a nuove strategie genetiche per adattare le piante ad ambienti sfavorevoli e per ottimizzare la produttività delle colture anche in risposta agli attuali cambiamenti climatici.
“I meccanismi con cui le piante si difendono dall’eccesso di luce che può danneggiarle provocando la distruzione delle cellule sono molteplici e ancora oggi non completamente chiariti – racconta la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa - attraverso simulazioni al computer basate su calcoli quantomeccanici, in questo studio per la prima volta abbiamo identificato un meccanismo molecolare di dissipamento dell’energia che coinvolge particolari proteine chiamate ‘antenne’”.
I ricercatori hanno dimostrato che le proteine “antenne” utilizzano una coppia di particolari pigmenti, una clorofilla ed un derivato del carotene, detto luteina. E’ infatti proprio quest’ultimo che, donando un elettrone alla clorofilla, “spegne” velocemente il suo stato elettronico eccitato e quindi dissipa l’energia sotto forma di calore.
“Per sopravvivere, le piante hanno bisogno di dissipare l’energia in eccesso, ma così facendo riducono l’efficienza della fotosintesi – spiega il dottor Lorenzo Cupellini ricercatore dell’Università di Pisa - i nostri calcoli indicano come le proteine possono controllare con precisione il meccanismo di dissipazione. Infatti, generando campi elettrici e modificando impercettibilmente le posizioni dei pigmenti, le proteine riescono ad attivare o a disattivare completamente tale meccanismo, lasciando quindi catturare ai pigmenti tutta l’energia disponibile”.
Il gruppo di ricerca della professoressa Mennucci da anni si occupa di studiare con tecniche computazionali i processi di cattura della luce in sistemi fotosintetici.
Questa ricerca pubblicata su Nature Communications è stata finanziata dal progetto europeo ERC Advanced Grant LIFETimeS coordinato dalla professoressa Benedetta Mennucci, progetto che si occupa di spiegare, con modelli molecolari e simulazioni al computer, quali sono i meccanismi attraverso i quali le proteine percepiscono, usano e rispondono alla luce. Hanno inoltre partecipato allo studio Dario Calvani, all’epoca laureando magistrale del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa e Denis Jacquemin, professore dell’Università di Nantes.

 

Martedì, 11 Febbraio 2020 08:01

L'Ateneo pisano diventa sempre più “Green”

Un brindisi con acqua pubblica per dire addio alla plastica. Così il rettore dell’Università di Pisa, Paolo Mancarella, ha dato il via lunedì 10 febbraio a una nuova stagione per la vita dell’Ateneo, proiettata verso una sempre maggior sostenibilità ambientale. "Oggi – ha commentato il rettore – abbiamo inaugurato sette nuovi erogatori di acqua pubblica che, assieme alla distribuzione delle borracce, ci aiuteranno ad abbattere le bottigliette di plastica consumate nel nostro Ateneo. Circa 2.000 al giorno solo nel Polo Piagge e 350.000 all'anno in tutto l'Ateneo, pari a 7 tonnellate di PET per la cui produzione vengono emesse nell’atmosfera quasi 16 tonnellate di CO2. Senza contare l’impatto del trasporto e del loro smaltimento. È solo un primo passo, ma grazie anche alla neo-costituita Commissione di Ateneo, daremo rapidamente un contributo incisivo allo sviluppo sostenibile e al miglioramento della qualità di vita di tutta Pisa".
Dopo le circa 10.000 borracce distribuite agli immatricolati (presto disponibili per la comunità universitaria a un prezzo simbolico) e l’eliminazione della plastica monouso in occasione di riunioni, eventi e momenti istituzionali, prosegue così la conversione dell’Università di Pisa in “Ateneo sostenibile”. Tante le novità presentate: dai sette nuovi erogatori di acqua pubblica nei poli Piagge (3), Fibonacci (2) e Guidotti (2), alla costituzione della Commissione di Ateneo per lo sviluppo sostenibile. Presieduta dal prorettore Marco Raugi, nominato anche come referente all’interno della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (RUS), la Commissione avrà il compito di guidare l’Università in questo cammino, dettando obiettivi e strategie e misurando i risultati. La Commissione, composta in modo paritetico da docenti, rappresentanti del personale tecnico-amministrativo e studenti, è formata dai seguenti 18 membri: Marco Raugi (presidente), Daniele Antichi, Sabrina Arras, Leonardo Baldacci, Federico Boggia, Carlo Carminati, Cristina Cruciano, Michela Gesualdi, Lisa Ghezzi, Elisa Giuliani, Camilla Guerrero Molano, Luca Lanini, Valentino Liberto, Marina Caterina Magnani, Elena Menchetti, Elena Perini, Giovanna Pizzanelli, Andrea Somma.
Le iniziative presentate al Polo Piagge sono solo le ultime, in ordine di tempo, messe in atto dall’Università di Pisa per supportare l’affermazione di una vera e propria cultura della sostenibilità ambientale. Già da qualche anno, infatti, l’Ateneo ha inserito questo impegno nel suo Statuto e, più recentemente, nel suo Piano Strategico, facendone un elemento centrale della propria attività.
Alla fine dello scorso anno all’Orto e Museo Botanico è stato aperto un erogatore di acqua potabile, che nelle prime settimane di funzionamento è stato utilizzato da un gran numero di studenti, personale universitario e visitatori.
Attualmente sono tre i centri interdipartimentali di ricerca che hanno un richiamo evidente agli obiettivi di sviluppo sostenibile enunciati dall’ONU: quello sulla Nutraceutica e alimentazione per la salute; quello sull’Energia per lo sviluppo sostenibile (CIRESS) e quello per lo studio degli effetti del cambiamento climatico (CIRSEC). Da quasi quattro anni, infine, è attivo il Green Data Center di Ateneo, che è stato progettato seguendo criteri di sostenibilità e per ottenere una riduzione dei consumi e delle emissioni.

Il soprano Mirella Freni, una delle voci più belle e riconoscibili del mondo della lirica, è morta ieri a 85 anni nella sua casa di Modena, dopo una lunga malattia. Nel 2002 l’Università di Pisa le aveva conferito la laurea honoris causa in Lingue e Letterature straniere in considerazione del grande contributo portato alla valorizzazione della cultura europea. Nelle motivazioni del conferimento si leggeva infatti che “Mirella Freni ha impersonato la voce insieme immediata e raffinata che ognuna delle civiltà europee trasmette attraverso la tradizione nazionale operistica”. In particolare, la Freni “ha prestato amorosa cura alla significatività della dizione in tutte le lingue che formano il suo vastissimo repertorio, e ha letto in profondità la differenziazione e l’evoluzione dei linguaggi musicali, dagli ultimi splendori del barocco alle inquietudini del primo Novecento”. 
 
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Mirella Freni si è affermata in tutto il mondo come soprano dalla voce calda e dalla tecnica impeccabile e perfetta. Nella sua gloriosa carriera ha interpretato più di quaranta diversi ruoli – in primis quello di Mimì, la protagonista de "La Boheme", che l’ha consacrata ai massimi livelli – e si è esibita nei più celebri teatri del mondo, dalla Scala al Metropolitan, dai principali palcoscenici di Londra a quelli di Parigi, Mosca e Tokio. Mirella Freni ha collaborato con le più grandi personalità della musica operistica e da concerto. Non solo è stata la cantante preferita del maestro d’orchestra Herbert Von Karajan, ma ha lavorato anche con Visconti e Jean Louis Barrault, Carlos Kleiber e Abbado, Strehler e Ronconi, Jean Vilar e Zeffirelli, Sinopoli, Muti e Ozawa.
 
La cerimonia della laurea honoris causa, che si tenne il 24 maggio 2002 nell’Aula Magna nuova del Palazzo della Sapienza, fu aperta dai saluti dell'allora rettore Luciano Modica, e con la “Lettura della motivazione” da parte del preside della facoltà di Lingue e letterature straniere, Giuseppe Di Stefano. Subito era intervenuto il prorettore vicario, Guido Paduano, che aveva pronuciato la “Laudatio” in onore della celebre cantante lirica. 
 
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Mirella Freni aveva chiuso il programma con la “Lectio Doctoralis”, di cui ricordiamo questo significativo passaggio: "Ho sempre pensato che l'interpretazione di un testo musicale sia una particolare forma di creazione, certo non paragonabile al lavoro del compositore, del grande artista che dal nulla fa emergere emozioni e sentimenti semplicemente accostando delle note. È però vero che la stessa musica può essere resa in molteplici modi, in diverse sfumature, capaci di toccare l'una o l'altra corda emotiva e del pensiero. Qui sta il lavoro creativo dell'esecutore: dare vita a quei puntini neri scritti sul pentagramma, comprensibili solo da chi è musicista, e farli arrivare all'orecchio o, meglio, al cuore e alla mente di chiunque ascolti, indipendentemente dalle differenze di cultura, di lingua, di strato sociale. La grandezza della musica sta nel saper eliminare le barriere attraverso un impatto emozionale, capace di essere percepito da tutti; una lingua universale, comprensibile in ogni tempo e in ogni luogo. Ma per poter arrivare a tale risultato, occorre uno studio approfondito, una complessa elaborazione personale nella quale l'interprete, pur ponendosi al servizio di quelli che sono gli intenti musicali del compositore, metterà sempre qualcosa di sé”.

Un brindisi con acqua pubblica per dire addio alla plastica. Così il rettore dell’Università di Pisa, Paolo Mancarella, ha dato il via lunedì 10 febbraio a una nuova stagione per la vita dell’Ateneo, proiettata verso una sempre maggior sostenibilità ambientale. "Oggi – ha commentato il rettore – abbiamo inaugurato sette nuovi erogatori di acqua pubblica che, assieme alla distribuzione delle borracce, ci aiuteranno ad abbattere le bottigliette di plastica consumate nel nostro Ateneo. Circa 2.000 al giorno solo nel Polo Piagge e 350.000 all'anno in tutto l'Ateneo, pari a 7 tonnellate di PET per la cui produzione vengono emesse nell’atmosfera quasi 16 tonnellate di CO2. Senza contare l’impatto del trasporto e del loro smaltimento. È solo un primo passo, ma grazie anche alla neo-costituita Commissione di Ateneo, daremo rapidamente un contributo incisivo allo sviluppo sostenibile e al miglioramento della qualità di vita di tutta Pisa".

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Dopo le circa 10.000 borracce distribuite agli immatricolati (presto disponibili per la comunità universitaria a un prezzo simbolico) e l’eliminazione della plastica monouso in occasione di riunioni, eventi e momenti istituzionali, prosegue così la conversione dell’Università di Pisa in “Ateneo sostenibile”. Tante le novità presentate: dai sette nuovi erogatori di acqua pubblica nei poli Piagge (3), Fibonacci (2) e Guidotti (2), alla costituzione della Commissione di Ateneo per lo sviluppo sostenibile.
Presieduta dal prorettore Marco Raugi, nominato anche come referente all’interno della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (RUS), la Commissione avrà il compito di guidare l’Università in questo cammino, dettando obiettivi e strategie e misurando i risultati. La Commissione, composta in modo paritetico da docenti, rappresentanti del personale tecnico-amministrativo e studenti, è formata dai seguenti 18 membri: Marco Raugi (presidente), Daniele Antichi, Sabrina Arras, Leonardo Baldacci, Federico Boggia, Carlo Carminati, Cristina Cruciano, Michela Gesualdi, Lisa Ghezzi, Elisa Giuliani, Camilla Guerrero Molano, Luca Lanini, Valentino Liberto, Marina Caterina Magnani, Elena Menchetti, Elena Perini, Giovanna Pizzanelli, Andrea Somma

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Le iniziative presentate al Polo Piagge sono solo le ultime, in ordine di tempo, messe in atto dall’Università di Pisa per supportare l’affermazione di una vera e propria cultura della sostenibilità ambientale. Già da qualche anno, infatti, l’Ateneo ha inserito questo impegno nel suo Statuto e, più recentemente, nel suo Piano Strategico, facendone un elemento centrale della propria attività.
Alla fine dello scorso anno all’Orto e Museo Botanico è stato aperto un erogatore di acqua potabile, che nelle prime settimane di funzionamento è stato utilizzato da un gran numero di studenti, personale universitario e visitatori.

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Attualmente sono almeno quattro i centri di ricerca che hanno un richiamo evidente agli obiettivi di sviluppo sostenibile enunciati dall’ONU, a partire dal Centro di ricerche agro-ambientali “Enrico Avanzi”, che con quasi cinquant'anni di attività è una delle più grandi e riconosciute realtà d’Europa per lo studio dei sistemi agricoli sostenibili. Inoltre, sono attivi i  Centri interdipartimentali sulla Nutraceutica e alimentazione per la salute, sull’Energia per lo sviluppo sostenibile (CIRESS) e  per lo studio degli effetti del cambiamento climatico (CIRSEC). Da quasi quattro anni, infine, è attivo il Green Data Center di Ateneo, che è stato progettato seguendo criteri di sostenibilità e per ottenere una riduzione dei consumi e delle emissioni.

Nella foto in alto: il rettore Mancarella e l'assessore Bedini inaugurano l'erogatore al Polo Piagge.

Nella foto al centro: i membri della Commissione presenti all’inaugurazione con il rettore e il direttore generale, Grasso.

Nella foto in basso: un momento dell’inaugurazione con, da sinistra, Marco Raugi, presidente della Commissione di Ateneo per lo Sviluppo Sostenibile; Filippo Bedini, assessore all'Ambiente del Comune di Pisa; il rettore Paolo Mancarella; Elisa Giuliani, referente della Commissione su "Resource, Water and Waste Management”; il direttore generale, Riccardo Grasso.

 

È il più grande progetto europeo che sia mai stato condotto sui neonati a rischio di paralisi cerebrale infantile. I suoi risultati potranno avere un impatto sulla qualità di vita dei più piccoli a rischio e dei loro familiari. Basti solo pensare che complessivamente saranno sottoposti a screening oltre 5 mila neonati e, tra questi, 500 bambini risultati a rischio per questo disturbo verranno poi valutati da 300 operatori tra pediatri, neurologi e altri specialisti, che li seguiranno dalla diagnosi, al monitoraggio, fino all’intervento precoce. Obiettivo di “BornToGetThere” (è l’acronimo del progetto EU) è quello di costruire una rete europea per la diagnosi e l’intervento precoce nei neonati a rischio di sviluppare una paralisi cerebrale, quali ad esempio i nati pre-termine o i neonati con parto difficoltoso. Sono questi alcuni dei numeri che danno l’idea della ricaduta che avrà il progetto che l’11 e il 12 febbraio al Centro Congresso “Le Benedettine” dell’Università di Pisa verrà lanciato alla presenza di tutti i partner.

Lo studio, che durerà 4 anni, sarà coordinato da Andrea Guzzetta, professore associato di Neuropsichiatria infantile presso il dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell'Università di Pisa, e prevede la partecipazione di altri 9 partner provenienti da 3 paesi europei (Italia, Danimarca e Paesi Bassi), da 2 paesi associati (Georgia e Sri Lanka) e dall’Australia. Per la Toscana, insieme all’Università di Pisa, partecipano l’IRCCS Fondazione Stella Maris, la Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) e Hubstract srl. Il progetto è stato finanziato con 3.7 milioni di euro nell’ambito della sfida sociale dedicata alla Salute (SC1) del programma Horizon 2020.

Al Centro Congressi “Le Benedettine” interverranno i protagonisti di questo importantissimo progetto: dottoressa Giuseppina Sgandurra (co-principal investigator del progetto e ricercatrice dell’Ateneo Pisano), dottoressa Olena Chorna (project manager del progetto); il professor Giovanni Cioni (principal investigator per l’IRCCS Fondazione Stella Maris), con Sabrina Del Secco e Camilla Antonelli; Nana Tatishvili (principal investigator per la Georgia); Arend Bos (principal investigator per l’Olanda); Maria Grazia Carrai e Alessandra Silvestri (Hubstract Srl); Jens Bo Nielsen (princjpal investigator per la Danimarca); Andrea Frosini (principal investivator per la Fondazione Toscana Life Sciences), Gianni D'Errico (Fondazione Toscana Life Sciences); Gopi Kitnasamy (principal investigator dello Sri Lanka) e Roslyn Boyd per l’Australia.

“Con questo progetto - spiega il professor Andrea Guzzetta - gettiamo le basi per una nuova visione della paralisi cerebrale infantile, che metta al centro l’identificazione precocissima dei bambini a rischio e le loro famiglie. Un nuovo modello che consente ai nostri bambini di accedere alle cure e alla riabilitazione in un’epoca di massima plasticità del sistema nervoso, cosi ottimizzando i processi di sviluppo e migliorando significativamente la prognosi”.

“Questo progetto è fortemente innovativo anche per la sua capillare ricaduta nella popolazione infantile che abita nelle zone remote e nei paesi a basso sviluppo economico - sottolinea la dottoressa Giuseppina Sgandurra. Intendiamo con questo la Georgia, lo Sri Lanka e le zone remote dell’Australia. Questo per permettere, anche in quei contesti, di poter fare diagnosi e intervento precoce ai bambini a rischio”.

"Per massimizzare l'impatto di un progetto complesso e sfidante come “BornToGetThere” - spiega il dottor Andrea Frosini di TLS - è fondamentale arricchire i risultati clinici con analisi approfondite di health economics ed implementare azioni per valorizzare al meglio il trasferimento alla pratica clinica: il ricco partenariato e la ampia diffusione degli interventi a livello internazionale, permetteranno di raggiungere questi obiettivi per il bene dei piccoli pazienti e delle loro famiglie”.

Il progetto: obiettivi e linee guida
“BornToGetThere” si pone l’obiettivo di migliorare i programmi sanitari per la diagnosi e la sorveglianza precoci delle menomazioni associate nei neonati con paralisi cerebrale. Da un lato, da un lato mira a favorire l'erogazione personalizzata di interventi precoci e la prevenzione delle complicanze secondarie per i neonati e, dall’altra, un efficace sostegno ai genitori.

Il progetto per la prima volta implementerà su larga scala le linee guida internazionali sull’argomento, recentemente messe a punto da un panel di esperti (tra i quali il professor Cioni e il professor Guzzetta) e pubblicate su JAMA, in diversi paesi in Europa (Italia, Danimarca, Paesi Bassi), in paesi a reddito medio (Georgia, Sri Lanka) e presso popolazioni difficili da raggiungere (Remote Queensland e Western Australia). “BornToGetThere” porrà inoltre particolare attenzione alla relazione vitale tra il bambino e i suoi genitori (e in particolare con la madre), relazione che viene messa in pericolo quando gli eventi perinatali modificano la salute del bambino e dalla cui salvaguardia dipendono la qualità di vita del bambino e l’armonia della famiglia.

La paralisi cerebrale infantile è la disabilità fisica più comune nell'infanzia, che colpisce più di 1 milione di persone in Europa e più di 17 milioni in tutto il mondo. Mentre la sua incidenza è attualmente inferiore a 2 su 1000 nei nati in paesi a economia e organizzazione sanitaria avanzate, i tassi sono notevolmente più elevati nelle economie a medio e basso reddito. Causata da un danno a carico del sistema nervoso centrale che origina durante la gravidanza o nelle primissime settimane di vita, essa comporta un'alterazione persistente delle funzioni motorie e sensoriali con livelli molto diversi di gravità a seconda delle circostanze. Trattandosi di una condizione che persiste per tutto l'arco della vita, comporta enormi costi sanitari e sociali con un impatto difficilmente calcolabile sulle famiglie e sulla comunità.

“I risultati di BornToGetThere – conclude il professor Giovanni Cioni, uno dei pionieri nel mondo di questa linea di ricerca – potranno costituire una pietra miliare per la ricerca sanitaria e indicare a tutti i paesi come questa terribile malattia debba essere combattuta e contenuta, per migliorare la qualità della vita di queste persone”.

 

Sarà inaugurato lunedì 10 febbraio, alle ore 15 nell'atrio all'interno del Polo Piagge, uno dei sette nuovi erogatori di acqua pubblica che l'Università di Pisa mette a disposizione di studenti e personale, rispettivamente tre al Polo Piagge, due al Polo Fibonacci e due al Polo Guidotti.
Nell'occasione sarà presentata anche la Commissione di Ateneo per lo Sviluppo Sostenibile, recentemente nominata.
All'iniziativa interverranno il rettore Paolo Mancarella; l'assessore all'Ambiente del Comune di Pisa, Filippo Bedini; il prorettore per la Ricerca applicata e il trasferimento tecnologico, Marco Raugi, in veste di presidente della Commissione di Ateneo per lo sviluppo sostenibile; la professoressa Elisa Giuliani, referente della Commissione su "Resource, Water and Waste Management". Sono stati inoltre invitati i 18 membri della Commissione, che è composta in modo paritario da docenti, rappresentanti del personale tecnico-amministrativo e studenti.

Una mela al giorno fa bene, se è una varietà antica, e fa ancora meglio se è anche toscana. Uno studio condotto all’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista Molecules ha analizzato due varietà di mele antiche toscane, la Rotella e la Casciana, scoprendo l’eccellente valore nutrizionale di questi frutti. Dalle analisi biochimiche e molecolari è infatti emerso che, rispetto a varietà commerciali come le Golden o le Fuji, queste due mele hanno un maggior contenuto di antiossidanti, sostanze naturali con proprietà cardioprotettive e antitumorali.

“Oltre a stabilire il valore nutrizionale, il nostro studio era mirato anche alla caratterizzazione genetica di queste due varietà apparentemente molto simili fra loro – spiega Ermes Lo Piccolo borsista del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali – la salvaguardia del materiale genetico antico è infatti importante per conservare la biodiversità delle colture, un aspetto fondamentale anche per gli stessi agricoltori dato che i sistemi ecologici ad alta biodiversità sono più resistenti agli stress ambientali”.

 

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A sinistra la mela Rotella, a destra la mela Casciana

 

Attualmente la 'Rotella' è coltivata in Lunigiana ed è caratterizzata da frutti medio-piccoli, con una forma rotonda leggermente appiattita alle estremità. Si tratta di una mela molto tenera, con una polpa bianca e dal sapore agrodolce. La mela 'Casciana'’, generalmente coltivata in Garfagnana, è molto simile alla ‘Rotella' ma con pomi più grandi e con una forma meno appiattita. Il colore di entrambe le mele presenta striature che vanno dal verde chiaro, al giallo, al rosso vivo in base all’esposizione dei frutti al sole.

“In un mondo in cui il cambiamento climatico sta influenzando la produzione alimentare, il patrimonio genetico autoctono è una fonte di geni utili anche per migliorare la resistenza delle stesse varietà commerciali - sottolinea il professor Rossano Massai dell’Ateneo pisano – e tuttavia, sebbene l'interesse per la conservazione di questo patrimonio sia in continua crescita, in Italia ormai oltre il 70% delle mele prodotte appartiene a varietà commerciali ad alto rendimento come Gala, Golden Delicious, Fuji, Red Delicious e Stayman. Conservare e tutelare le specie antiche è quindi fondamentale sia per i consumatori che hanno un prodotto ad alto valore nutrizionale, sia per l’ambiente”.

La ricerca pubblicata su Molecules ha coinvolto un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa formato da Ermes Lo Piccolo, Ambra Viviani, Lucia Guidi, Damiano Remorini, Rossano Massai, Rodolfo Bernardi e Marco Landi appartenenti al Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali e a Nutrafood, il Centro interdipartimentale di ricerca Nutraceutica e Alimentazione per la Salute.

 

 

Mercoledì 12 febbraio alle ore 17.00 nell’Aula Magna di Palazzo Boileau, in via Santa Maria 85, si terrà l’incontro "Dietro le Tecnologie dell'Informazione. Presupposti etici, sociali e culturali”, con protagonisti due docenti dell’Università di Pisa. Adriano Fabris del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere e Andrea Caiti del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione si confronteranno sul significato della ricerca scientifica e tecnologica. A moderare il dialogo ci sarà Valeria Strambi, giornalista di Repubblica Firenze. L’intento dell’incontro è far dialogare la visione del mondo del tecnologo con quella dello studioso di scienze umane, per riflettere sulle implicazioni etiche, sociali e culturali delle nuove tecnologie. A introdurre l’incontro ci saranno il rettore Paolo Mancarella, Giuseppe Anastasi, direttore del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione, e Pierluigi Barrotta, direttore del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere.
“La scienza e la tecnologia – afferma Caiti – sono spesso considerate, anche e soprattutto da noi che le pratichiamo, attività eticamente e socialmente neutre, pure e indipendenti da ogni presupposto legato al contesto economico, sociale e valoriale in cui vengono condotte. Comprendere che non è così apre le porte a un’immagine più complessa e meno stereotipata dell’attività scientifica. Un particolare assetto economico e sociale, o un certo sistema di credenze, anche inconscio, possono indirizzare la ricerca fin nei contenuti più essenziali”.
Un dialogo tra due culture diverse, quindi, che tentano di restituire un’immagine dello scienziato come parte integrante di una società e di un sistema di valori, e non come elemento separato e indipendente. Questo significa riconoscere la sua parte di responsabilità nell’uso che poi viene fatto delle tecnologie, anche nel caso, frequente oggi, di progetti molto grandi, in cui il singolo ricercatore gioca solo una piccola parte nell’ambito dell’intero processo.
“Se le tecnologie non sono neutre – aggiunge Fabris – allora ogni ricercatore e ogni scienziato, ma anche ogni utente, è chiamato a essere responsabile, per la sua parte, delle conseguenze che sono proprie dell’agire tecnologico. In questo quadro una riflessione etica serve a fornire le competenze perché ciascuno di noi possa fare le scelte giuste”.

 

Una mela al giorno fa bene, se è una varietà antica, e fa ancora meglio se è anche toscana. Uno studio condotto all’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista Molecules ha analizzato due varietà di mele antiche toscane, la Rotella e la Casciana, scoprendo l’eccellente valore nutrizionale di questi frutti. Dalle analisi biochimiche e molecolari è infatti emerso che, rispetto a varietà commerciali come le Golden o le Fuji, queste due mele hanno un maggior contenuto di antiossidanti, sostanze naturali con proprietà cardioprotettive e antitumorali.

“Oltre a stabilire il valore nutrizionale, il nostro studio era mirato anche alla caratterizzazione genetica di queste due varietà apparentemente molto simili fra loro – spiega Ermes Lo Piccolo borsista del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali – la salvaguardia del materiale genetico antico è infatti importante per conservare la biodiversità delle colture, un aspetto fondamentale anche per gli stessi agricoltori dato che i sistemi ecologici ad alta biodiversità sono più resistenti agli stress ambientali”.

Attualmente la 'Rotella' è coltivata in Lunigiana ed è caratterizzata da frutti medio-piccoli, con una forma rotonda leggermente appiattita alle estremità. Si tratta di una mela molto tenera, con una polpa bianca e dal sapore agrodolce. La mela 'Casciana'’, generalmente coltivata in Garfagnana, è molto simile alla ‘Rotella' ma con pomi più grandi e con una forma meno appiattita. Il colore di entrambe le mele presenta striature che vanno dal verde chiaro, al giallo, al rosso vivo in base all’esposizione dei frutti al sole.

“In un mondo in cui il cambiamento climatico sta influenzando la produzione alimentare, il patrimonio genetico autoctono è una fonte di geni utili anche per migliorare la resistenza delle stesse varietà commerciali - sottolinea il professor Rossano Massai dell’Ateneo pisano – e tuttavia, sebbene l'interesse per la conservazione di questo patrimonio sia in continua crescita, in Italia ormai oltre il 70% delle mele prodotte appartiene a varietà commerciali ad alto rendimento come Gala, Golden Delicious, Fuji, Red Delicious e Stayman. Conservare e tutelare le specie antiche è quindi fondamentale sia per i consumatori che hanno un prodotto ad alto valore nutrizionale, sia per l’ambiente”.

La ricerca pubblicata su Molecules ha coinvolto un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa formato da Ermes Lo Piccolo, Ambra Viviani, Lucia Guidi, Damiano Remorini, Rossano Massai, Rodolfo Bernardi e Marco Landi appartenenti al Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali e a Nutrafood, il Centro interdipartimentale di ricerca Nutraceutica e Alimentazione per la Salute.
Didascalia foto: a sinistra la mela Rotella, a destra la mela Casciana

Link all’articolo scientifico: https://www.mdpi.com/1420-3049/24/9/1758

 

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