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Comunicati stampa

Il guscio delle lumache svela i segreti del clima passato. E così si scopre che migliaia di anni fa, al tempo dei primi agricoltori, il Mediterraneo aveva un clima molto più caldo e umido di adesso. Sono questi i risultati di uno studio in uscita sulla rivista "Quaternary International" e condotto da un team di ricercatori delle Università di Pisa e di York e dello Scottish Universities Environmental Research Centre (SUERC) di Glasgow composto da archeologi, climatologi e geochimici. Gli studiosi hanno analizzato gli isotopi di carbonio e di ossigeno dei gusci di Pomatias elegans, un mollusco terrestre, risalenti a 9.000 a 2.500 anni fa e recuperati in alcune grotte del Mediterraneo. I siti sotto esame sono una decina in tutto, tre dei quali in Italia: le due grotte Serratura e del Romito in Campania e quella del Latronico in Calabria.

Mettendo insieme tutti i dati, la ricerca ha fornito una fotografia del clima del Mediterraneo occidentale all'inizio del Neolitico (circa 8000 anni fa) facendo emergere una specificità di questa area. Se confrontati con studi precedenti, i risultati mostrano ad esempio che, all'epoca, le condizioni meteorologiche della costa atlantica del nord della Spagna erano probabilmente molto simili a quelle di oggi, mentre sul versante mediterraneo, nella penisola iberica meridionale o in Sicilia, il clima era molto più umido dell'attuale.

"La ricerca si è basata su un impiego massiccio delle analisi isotopiche - ha detto Giovanni Zanchetta, docente del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa – i gusci di lumaca rinvenuti in siti archeologici ben datati possono fornire informazioni fondamentali sul clima del passato. E siamo solo all'inizio, perché ci sono moltissimi scavi archeologici che possono produrre un ricco materiale di studio".

Giovedì 14 febbraio, alle ore 16.30, nell'Auditorium "G. Toniolo" in piazza dell'Arcivescovado, è in programma il quarto appuntamento delle conferenze "Archeologia in Piazza dei Miracoli" organizzate dall'Opera della Primaziale Pisana e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, in collaborazione con Archeoclub sede di Pisa. L'incontro, dal titolo "Tra tarda antichità e alto medioevo: da spazio residenziale ad area sacra", sarà l'occasione per vedere per la prima volta esposti al pubblico alcuni reperti rinvenuti nella piazza, tra cui oggetti preziosi facenti parte dei corredi di tombe longobarde rinvenuti negli scavi recenti, come alcune fibbie di cintura in argento lavorato e una tipica crocetta aurea longobarda.

Antonio Alberti e Monica Baldassarri, archeologi medievisti formati all'Università di Pisa con una lunga esperienza di scavo in ambito urbano pisano, soffermeranno la loro attenzione sui secoli VI-VIII, durante i quali l'antica area residenziale si trasformò in spazio sacro, ospitando i principali edifici religiosi della città – cattedrale e battistero – con annesso cimitero. L'incontro sarà incentrato su un periodo decisivo nella storia della piazza, ossia la trasformazione, avvenuta tra VI e VIII secolo, da area residenziale a spazio sacro ove sorsero i principali edifici religiosi della città – cattedrale e battistero – con annesso cimitero. Da quest'ultimo provengono reperti di eccezionale interesse, come i corredi delle tombe di età longobarda rinvenuti negli scavi recenti.

Al via il Tirocinio formativo attivo (TFA), il corso di abilitazione all'insegnamento di scuola secondaria di primo e secondo grado, organizzato dall'Università di Pisa. Il primo incontro con i 250 allievi provenienti da tutta la Toscana si è svolto lunedì 11 febbraio al Polo Fibonacci. I futuri insegnanti hanno assistito ad una lezione di scienze dell'educazione, quindi si sono confrontati con i referenti dei vari corsi e hanno dialogato sul contenuto dell'offerta formativa presentata e illustrata.

"Si tratta - ha detto Luca Curti, delegato del Rettore per la formazione iniziale degli insegnanti - della ripresa di una procedura di professionalizzazione della quale l'università è responsabile e da realizzarsi in sinergia con la scuola".

"Il progetto – ha aggiunto Maria Antonella Galanti, prorettore al territorio e responsabile dell'area pedagogica - colma un vuoto di anni e rappresenta un compito strategico per l'università nel suo complesso che così mette i risultati della ricerca scientifica al servizio della qualità della cultura pubblica".

Venerdì, 24 Maggio 2013 10:05

Il virus che uccide il tumore

Uno studio clinico rivoluzionario, pubblicato sulla prestigiosa rivista "Nature Medicine", apre nuovi orizzonti nella lotta contro i tumori. Una task force internazionale di ricercatori – di cui ha fatto parte anche Riccardo Lencioni, docente di Diagnostica per immagini e Radioterapia all'Università di Pisa - ha dimostrato, per la prima volta, come l'impiego di uno speciale virus mirato contro il tumore possa arrestare la crescita neoplastica, migliorando in modo significativo la sopravvivenza dei pazienti. "L'idea era quella che le cellule neoplastiche, tanto aggressive nei confronti dell'organismo, fossero impreparate a reagire di fronte all'attacco del virus" – spiega Lencioni.

Nello studio, di tipo randomizzato, sono stati arruolati trenta pazienti con tumore avanzato e inoperabile del fegato, per i quali l'aspettativa di vita è limitata a pochi mesi. I pazienti, che si trovavano in centri americani e asiatici, sono stati trattati iniettando il virus oncolitico JX-594 a due diversi dosaggi. I dati hanno dimostrato sia un'efficace replicazione del virus all'interno delle cellule tumorali, con conseguente distruzione delle stesse, sia l'induzione di una reazione immunitaria generalizzata specifica contro il tumore. I pazienti cui sono state somministrate alte dosi di virus hanno fatto registrare una sopravvivenza mediana di 14,1 mesi, più che doppia rispetto ai 6,7 mesi del gruppo di controllo trattato con basse dosi. È degno di nota il fatto che la somministrazione di alte dosi di virus non abbia causato alcun significativo incremento degli effetti indesiderati. "Questa terapia, al contrario di molti trattamenti chemioterapici, è risultata ben tollerata dai pazienti: nella grande maggioranza dei casi, gli effetti collaterali si sono limitati a una sintomatologia di tipo influenzale della durata di 1-2 giorni" – sottolinea Lencioni.

L'iniezione del virus viene praticata mediante una sottile ago-cannula posizionata all'interno del tumore sotto la guida di metodiche radiologiche. La procedura è simile a un'ago-biopsia e non necessita di anestesia generale. "Per la prima volta, un trattamento locale mini-invasivo dimostra efficacia non soltanto sul tumore bersaglio, ma sull'intero organismo, grazie alla reazione immunitaria che viene indotta contro tutte le cellule neoplastiche, incluse quelle metastatiche " – continua Lencioni.

"Si tratta di uno studio pilota, che ha posto le basi per sviluppare un nuovo importante capitolo di ricerca nella lotta contro il cancro" – conclude Lencioni – "Tuttavia, prima che il trattamento con virus oncolitico sia disponibile per l'uso clinico, è necessario che i risultati, per quanto promettenti, siano confermati da una sperimentazione su larga scala".

È uno strumento pensato per gli addetti ai lavori, ma consultabile anche dagli appassionati del mondo del vino, curiosi di scoprire quali differenze ci siano tra il vitigno di Sangiovese e di Vermentino, conoscere la loro diffusione e storia, districarsi tra i nomi usati per indicare le piante e i vini da loro derivati. Nasce all'Università di Pisa "VitisDB" (www.vitisdb.it), il primo database viticolo italiano, una banca dati on line che raccoglie e descrive le varietà di vitigni diffusi sul territorio nazionale. "Con un numero stimato di 2.300 vitigni, l'Italia è tra i paesi più ricchi in biodiversità viticola – spiega Claudio D'Onofrio, ricercatore del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell'Università di Pisa e amministratore del database – Con il nostro progetto, abbiamo voluto creare uno strumento di supporto nel lavoro di caratterizzazione e recupero delle varietà viticole condotto nell'ambito del territorio regionale e nazionale, che allo stesso tempo è una "mappa" dei vitigni consultabile da tutti".

La particolarità del database, sviluppato con il finanziamento della ColleMassari s.p.a, Fondazione Bertarelli, Ager - Agroalimentare e Ricerca, e la collaborazione di oltre 20 istituzioni nazionali che svolgono attività di ricerca in viticoltura, è avere più livelli di accessibilità: VitisDB è stato progettato in modo che possa essere implementato con il contributo di studiosi di università, istituti e centri di ricerca che, con un'apposita password, possono accedere al sito per inserire i propri dati. Oppure un utente può mettere in comunicazione i propri dati con quelli delle unità che aderiscono al progetto al fine di effettuare studi e confronti, prima di renderli visibili al pubblico. Infine c'è il livello visibile al pubblico più ampio, quello che permette di navigare tra le varietà di vitigni, per scoprirne i dettagli scientifici e curiosità.

"Il database raccoglie diverse classi di dati – spiega D'Onofrio – di cui la più importante è il vitigno, cioè l'inventario delle singole varietà della vite europea, dall'Aleatico alla Vernaccia, dalla Malvasia al Trebbiano, solo per citarne alcuni. Alla varietà sono associate tutta una serie di descrittori, tra cui le caratteristiche ampelografiche delle viti, cioè la descrizione morfologica dei grappoli, delle foglie, dell'acino (tutto corredato di foto), e i profili dei loci microsatelliti, cioè i marcatori molecolari del DNA dei vitigni inseriti nel database".

Oltre a dare informazioni sulle caratteristiche qualitative e produttive delle varietà viticole, VitisDB aiuta anche a decifrare la variegata terminologia linguistica che caratterizza questo settore: "La vite è una coltura antichissima e nei secoli sono stati coniati moltissimi sinonimi e omonimi per indicare le diverse varietà – aggiunge D'Onofrio – Grazie all'interattività con gli utenti, il database indica accanto al nome ufficiale tutte le varianti usate per indicare la stessa pianta". Si scopre così che Sangiovese, Brunello e Morellino appartengono tutti alla stessa varietà (il Sangiovese appunto) – e che ad esempio il Ciliegiolo e Morellino pizzuto, in passato considerati come sinonimi del Sangiovese, sono effettivamente delle denominazioni errate.

Per il professor Mauro Rosi, ordinario di Vulcanologia all'Università di Pisa, arriva un incarico di prestigio: la Presidenza del Consiglio dei Ministri lo ha appena nominato Direttore generale, con la mansione di Direttore dell'Ufficio III - Rischio sismico e Vulcanico, del Dipartimento Nazionale di Protezione Civile. L'ufficio, composto da sessanta persone, ha il compito di valutare la pericolosità sismica e vulcanica, avvalendosi della collaborazione delle migliori competenze scientifiche nazionali e internazionali attive sia nel campo del monitoraggio, sia in quello degli studi orientati alla definizione della pericolosità e dei potenziali scenari di rischio. Mauro Rosi, che succede nel ruolo al professor Mauro Dolce, lascia l'incarico di direttore del dipartimento di Scienze della terra dell'Ateneo.

Mauro Rosi è stato prescelto per l'esperienza maturata nello studio dei vulcani attivi e nella valutazione della pericolosità vulcanica. Nel corso della propria carriera ha visitato e studiato vulcani italiani e numerosi vulcani attivi situati in numerosi paesi del mondo. Ha partecipato in qualità di esperto alla gestione di crisi vulcaniche operando come consigliere scientifico in materia di pericolosità vulcanica per organismi nazionali e internazionali (Nazioni Unite). Il professor Rosi è anche Presidente eletto della Federazione Italiana di Scienze della Terra per il biennio 2013-2014 e membro del Consiglio Scientifico dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

L'istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che si occupa in Italia del monitoraggio dei vulcani attivi è il principale partner scientifico dell'ufficio III del Dipartimento. Oltre all'INGV l'ufficio III ha rapporti di collaborazione con numerosi altri soggetti scientifici, e con la Commissione Grandi Rischi (sezione sismica e sezione vulcanica). La CGR fornisce al Dipartimento, e quindi all'ufficio, pareri e valutazioni da parte di esperti di alta qualifica professionale.

Le valutazioni prodotte dall'ufficio sono messe a disposizione del Dipartimento della Protezione Civile per dare supporto decisionale alle attività operative e di informazione alla popolazione, nonché per attivare a livello periferico i soggetti locali del sistema nazionale di protezione civile (Regioni, Prefetture, Province e Comuni) in rapporto alle situazioni emergenziali.

Venerdì 8 febbraio, nell'Aula Magna del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell'Università di Pisa, in via del Borghetto 80, si terrà il workshop di presentazione del primo "Database Viticolo Italiano" e del progetto AGER n. 2010-2104, una banca dati amministrata dall'Università di Pisa che descrive le varietà di vitigni presenti in Italia. La giornata, che avrà inizio a partire dalle ore 9.00, è organizzata dal dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell'Università di Pisa, insieme al dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari dell'Università di Torino.

Il database viticolo, implementato con il contributo di studiosi di università, istituti e centri di ricerca di tutta Italia, raccoglie informazioni sulle varietà dei vitigni presenti in Italia, che vanno dalle caratteristiche scientifiche e morfologiche delle piante, a curiosità sulle origini e sulla terminologia usati per indicare le diverse colture. Il progetto del database è stato realizzato nell'ambito dell'attività di salvaguardia e valorizzazione della biodiversità della vite e mira a diventare uno strumento di supporto nel lavoro di caratterizzazione e recupero delle varietà viticole condotto nell'ambito del territorio regionale e nazionale.

Il Convegno "Le palme e il punteruolo rosso in Toscana: una presenza antica, una minaccia nuova", che si terrà venerdì 8 febbraio 2013, a partire dalle ore 9.30, nell'aula magna dell'Edificio E, via Buonarroti 4, a Pisa, è stato organizzato dal Sistema Museale di Ateneo dell'Università di Pisa, con il patrocinio della Regione Toscana, del Comune di Pisa e del Comune di Calci, per informare e sensibilizzare la cittadinanza e gli operatori sul problema e sui metodi di difesa contro il temibile insetto.

Al momento sono stati accertati ufficialmente dal Servizio Fitosanitario Regionale oltre 300 casi di esemplari di palma della Canarie (Phoenix canariensis) attaccati, quasi tutti irrimediabilmente compromessi dal fitofago e quindi abbattuti, di cui solo 250 nel corso del 2012, con ritrovamenti concentrati nella zona nordoccidentale della regione, ed in particolare nelle province di Lucca, Massa Carrara e, dal luglio scorso, anche in quella di Pisa. Uno di questi ha riguardato le cinque palme che svettavano davanti al Municipio di Calci (che sono state abbattute l'estate scorsa) e una palma nel "Giardino del Priore" nella Certosa di Pisa a Calci (che è attualmente monitorata) .

Nel corso di quest'anno si attende e si teme, purtroppo, una ulteriore recrudescenza ed estensione dell'attacco, che potrebbe coinvolgere, in assenza di interventi preventivi e tempestivi e di una forte presa di coscienza del problema da parte di tutti, sia zone ancora indenni che, soprattutto, quelle più vicine o contermini alle zone già infestate.

Le palme fanno ormai da lungo tempo parte del paesaggio toscano: potremmo mai pensare ai nostri giardini e parchi senza la loro presenza?

Il punteruolo rosso (Rhynchophorus ferrugineus) è un coleottero originario dell'Asia sudorientale e della Melanesia, dove è responsabile di seri danni alle coltivazioni di palme da cocco. A seguito del commercio di esemplari di palme infette la specie ha raggiunto negli anni ottanta gli Emirati Arabi e da qui si è diffusa in Medio Oriente; ha successivamente raggiunto la Spagna, la Corsica e la Costa Azzurra francese. La prima segnalazione in Italia è del 2004. Da allora è diventato un'emergenza fitosanitaria di rilievo e sempre più drammatica anche per il territorio toscano, dopo la sua prima comparsa a fine 2010 in Lucchesia e la successiva progressiva diffusione dell'infestazione, in particolare in Versilia.

L'insetto vive all'interno delle palme, dove compie interamente il suo ciclo vitale. La femmina depone le uova che si trasformano, in pochi giorni, in larve che bucano le palme, cibandosi dei loro tessuti. Quando l'infestazione diventa massiccia, le foglie attaccate dalle larve non riescono più a mantenere la loro posizione e la palma assume una forma "a ombrello". Infine, quando le larve del coleottero raggiungono e divorano l'apice vegetativo, le palme muoiono.

Il programma completo del convegno: http://www.unipi.it/index.php/unipieventi/event/824-le-palme-e-il-punteruolo-rosso-in-toscana-una-presenza-antica-una-minaccia-nuova

Si chiama «TuCAHEA» ed è un progetto finanziato dalla Commissione Europea nel quadro del programma Tempus, che vede coinvolti Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, le cinque repubbliche dell'area ex-sovietica, ciascuna con la sua cultura, la sua storia e la sua lingua. Coordinato dall'Università di Pisa, il progetto mira a trovare modi per riformare i modelli organizzativi e normativi dei sistemi universitari in Asia Centrale per renderli compatibili tra di loro e allineati con quelli europei.

Proprio in queste settimane avrà luogo il lancio del progetto nei paesi coinvolti: "Obiettivo di «TuCAHEA» è creare un'area dell'istruzione superiore (CAHEA, Central Asian Higher Education Area) compatibile con l'area europea (EHEA, European Higher Education Area), utilizzando la metodologia "Tuning" – spiega la professoressa Ann Katherine Isaacs, che coordina il progetto assistita dalla dottoressa Viktoriya Kolp Panchenko - Il responsabile amministrativo e primo firmatario del contratto è l'Università di Groningen, mentre la nostra università è responsabile per il coordinamento scientifico ed accademico".

Il consortium comprende 47 partner, fra cui i cinque Ministeri delle cinque repubbliche, 8 partner europei, e 35 università dell'Asia Centrale. Il progetto, che ha avuto un finanziamento di 1.3 milioni di euro, è iniziato nell'ottobre del 2012 e continuerà fino a ottobre 2015.

Fra la seconda settimana di febbraio e l'inizio di marzo verranno organizzati cinque meeting nei cinque paesi, ad Almaty (KZ), Bishkek (KG), Dushanbe (TJ), Ashgabat (TM) e Tashkent (UZ). Ogni riunione avrà una parte pubblica e una parte dedicata al lavoro dei partner, che saranno chiamati a elaborare nuovi criteri condivisi e basati sulle competenze che gli studenti dovranno sviluppare durante i loro studi.

"Tuning", grazie a numerosi progetti dei quali l'Università di Pisa è stato membro, è diventato il processo cui partecipano università in tutto il mondo, dall'Europa, all'Africa, all'America Latina, agli USA.

Usare gli enzimi per rimuovere scritte e graffiti fatti con vernici spray sulle superfici in pietra. Lo studio di questa innovativa tecnica è uno degli obiettivi del progetto di ricerca di interesse nazionale (Prin) "Sostenibilità nei beni culturali: dalla diagnostica allo sviluppo di sistemi innovativi di consolidamento, pulitura e protezione" coordinato dalla Prof.ssa Maria Perla Colombini del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa. Il progetto, che si è appena aggiudicato un finanziamento del MIUR di circa 820mila euro, durerà tre anni e oltre all'Ateneo pisano i partner della ricerca sono l'Istituto di scienze e tecnologie molecolari del Cnr di Perugia e le università di Torino, Milano-Bicocca, Palermo, Cagliari, Firenze e Bari.

"In generale il progetto di ricerca – spiega Maria Perla Colombini professoressa di Chimica analitica dell'Università di Pisa – si propone di studiare metodologie innovative ed ecocompatibili per il consolidamento e la pulitura di manufatti artistici. Nello specifico, l'uso di enzimi sulle superfici in pietra permetterà di superare gli svantaggi che derivano dai metodi di pulitura tradizionali di natura meccanica o chimica che comportano la formazione di microfratture ed abrasioni, la permanenza di residui anche tossici, oltre ai tempi lunghi e ai costi elevati degli interventi".

La sfida è dunque di mettere a punto dei sistemi di nuova generazione atossici, biocompatibili, e a basso costo per il consolidamento, la protezione e la pulitura di diversi supporti e manufatti storico-artistici: dal legno archeologico degradato alle superficie pittoriche e lapidee.

"Tutte le tecnologie proposte troveranno un efficace banco di prova nell'ambito dei partenariati con musei a cominciare dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e da altre realtà che individueremo nel corso del progetto – conclude la professoressa Colombini - i risultati della ricerca saranno quindi sfruttabili ai fini di orientare sempre di più le strategie conservative verso una filosofia di conservazione preventiva, più sostenibile dal punto di vista dei costi e dei rischi rispetto a interventi di restauro generalmente invasivi e costosi".

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