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Comunicati stampa

Il suo nome è Peregocetus pacificus, che significa "il cetaceo viaggiatore che ha raggiunto il Pacifico", e il ritrovamento del suo scheletro fossile in sedimenti di oltre 42 milioni di anni fa è stato fondamentale per ricostruire la rotta seguita dagli antenati di balene e delfini nel lungo viaggio che, fra i 50 e i 40 milioni di anni fa, li portò dal loro centro di origine fra India e Pakistan a colonizzare tutti gli oceani.

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Ricostruzione dell'archeoceto.

L’importante scoperta, appena pubblicata dalla rivista Current Biology è stata fatta da un team internazionale di paleontologi e geologi delle Università di Pisa e di Camerino e dei musei di storia naturale di Parigi, Bruxelles, e Lima le cui ricerche nel deserto costiero del Perù hanno già dato importanti risultati, come il ritrovamento nella stessa località del Peregocetus, ma in rocce più recenti, di Mystacodon selenesis, il più antico antenato delle balene ad oggi conosciuto.

“Un aspetto particolarmente interessante di questo nuovo archeoceto – afferma Giovanni Bianucci, paleontologo del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa che ha preso parte allo scavo e allo studio del fossile – è che la presenza di piccoli zoccoli sulle dita, assieme alla forma del bacino e degli arti, suggerisce che fosse ancora in grado di camminare sulla terraferma mentre le lunghe dita, probabilmente palmate, e le caratteristiche anatomiche della coda indicano che era anche un buon nuotatore. Si tratterebbe, quindi, di uno stadio intermedio fra le balene e i delfini di oggi (non più in grado di muoversi fuori dall’acqua) e i loro antenati terrestri a quattro zampe, cioè di animale dal modo di vita simile alla lontra.”

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Il professor Giovanni Bianucci.

È attraverso lo studio dettagliato dello scheletro che i ricercatori sono stati in grado di stabilire che questo archeoceto era in grado di manovrare il suo corpo lungo 4 metri sia in terra che in acqua. Per esempio, il fatto che le vertebre caudali siano simili a quelle dei castori e delle lontre suggerisce che la coda fornisse un contributo significativo durante il nuoto.

“È straordinario avere trovato un cetaceo in rocce così antiche e così lontane dall’area di origine di questi mammiferi marini – spiega Claudio Di Celma, geologo della Scuola di Scienze e tecnologie dell’Università di Camerino che ha curato lo studio stratigrafico dell’area di ritrovamento del fossile. Questa scoperta documenta, infatti, il primo ritrovamento indiscutibile di un cetaceo quadrupede nell’Oceano Pacifico, probabilmente il più antico rinvenuto in America e il più completo al di fuori di India e Pakistan”.

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Lo scavo del Peregocetus.

Secondo i ricercatori l'età geologica di questo cetaceo quadrupede e la sua presenza lungo la costa occidentale del Sud America sostengono fortemente l'ipotesi che i primi cetacei abbiano raggiunto il Nuovo Mondo attraversando il Sud Atlantico dalla costa occidentale dell'Africa al Sud America. Questi antenati delle balene e dei delfini sarebbero stati aiutati nel loro viaggio dalle correnti superficiali che scorrevano da ovest verso est e dal fatto che a quel tempo la distanza tra i due continenti era la metà di quella che è oggi.

Intanto le ricerche in Perù vanno avanti e il team internazionale continua a fare nuove scoperte. ”Ogni spedizione - conclude Giovanni Bianucci - ci riserva nuove sorprese. Tutto è possibile grazie a un giacimento di fossili eccezionale e a un gruppo di ricerca straordinario”.

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II deserto del Perù.

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Ricostruzione degli spostamenti del Peregocetus.

È scomparsa Cinzia Chiappe, docente di Chimica organica al dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa. Cinzia Chiappe si era laureata nel 1985 in Chimica e Tecnologia farmaceutiche presso l’Università di Pisa e nel 1989 aveva conseguito il titolo di dottore di ricerca in Scienze chimiche. Dopo due anni come collaboratore chimico presso ARPAT (allora USL), nel 1992 era entrata a far parte del Dipartimento di Chimica bioorganica e biofarmacia dell'Università di Pisa in qualità di ricercatore universitario, divenendo nel 1998 professore associato e poi nel 2002 professore ordinario di Chimica organica.
Dal 1999, i suoi principali interessi di ricerca si sono focalizzati sulla chimica dei liquidi ionici e sulle loro applicazioni. Utilizzando gli strumenti della chimica fisica-organica il suo gruppo di ricerca si è dedicato a ottenere informazioni sui liquidi ionici e sulle loro proprietà fisico-chimiche e biologiche, spesso correlando i risultati sperimentali con calcoli teorici. In questo settore, ha sviluppato diversi progetti in cui, utilizzando questi "sali" liquidi a temperatura ambiente, è stato possibile mettere a punto nuovi processi chimici più sostenibili in grado di fornire nuovi composti e materiali. Obiettivo del suo lavoro di ricerca è stato infatti quello di progettare e sintetizzare nuove classi di liquidi ionici, con proprietà ottimizzate per una specifica applicazione, da utilizzare come solventi e/o catalizzatori in problemi reali: in altre parole per ottenere reazioni chimiche più efficaci o per sviluppare nuovi processi più efficienti in termini energetici e di impatto ambientale.
Cinzia Chiappe è stata più volte Principal Investigator per programmi di ricerca finanziati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), MIUR, Fondazioni (CaRiPi), Regione Toscana e Comunità Europea. Inoltre, è stata responsabile di progetti di ricerca finanziati da grandi (ENI, Processi Innovativi, TKT), piccole e medie imprese.
È stata autrice o co-autrice di oltre 200 pubblicazioni peer-reviewed e di alcuni capitoli di libri in RSC- ACS, Wiley e monografie sui liquidi ionici. Ha tenuto oltre 75 conferenze su invito a congressi internazionali e presso istituzioni accademiche e di ricerca.
È stata rappresentante italiana per l’azione COST CM 1206 EXIL - Exchange on Ionic Liquids. Membro della Società Chimica Italiana e dell'American Chemical Society, nel 2014 è stata nominata fellow della Royal Society of Chemistry.
Dal 2012, è stata inoltre membro del Advisory Board della rivista Green Chemistry, RSC, ed è stata Membro dell’Advisory Board del COIL5, leader del WG1 “Synthesis & Development of Ionic Liquids” nell’azione COST-Exil; Membro della Conferenza Green Solvents (2016, DECHEMA); Membro dell’International Committee European Symposium of Organic Chemistry (ESOC); Membro del Advisory Board del COIL-2017; membro della Commissione Ricerca della Società Chimica Italiana. Dal 2018 era coordinatore del corso di dottorato del dipartimento di Farmacia (Scienze del farmaco e delle sostanze bioattive) e presidente del centro CIRESS, il Centro interdipartimentale di ricerca sull’energia per lo sviluppo sostenibile, nonchè membro della commissione ASN per il settore 03/C1 (Chimica Organica).

Nel 2013 è stata insignita della Medaglia Mangini della Società Chimica Italiana, Divisione di Chimica organica.

 

Mercoledì 10 aprile, alle ore 11, alla Gipsoteca di Arte Antica in piazza San Paolo all’Orto, l’Università di Pisa organizza l’incontro “La ragazza con lo Strega", che avrà come protagonista la scrittrice Helena Janeczek, vincitrice dell’ultima edizione del Premio Strega con il romanzo “La ragazza con la Leica”. Sono previsti i saluti di Paolo Mancarella, rettore dell’Università di Pisa, e Sandra Lischi, delegata alla cultura del rettore. Dialogheranno con l’autrice Marco Santagata, saggista e narratore, e Neri Fadigati, storico della fotografia. Coordina Davide Guadagni, giornalista.
Helena Janeczek (1964) è nata a Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca e vive in Italia da oltre trent’anni. Ha esordito con una raccolta di poesie “Ins Freie”, edita da Suhrkamp nel 1989 e nel 1997 ha pubblicato con Mondadori, “Lezioni di tenebra”, la sua prima opera di narrativa in italiano che racconta del viaggio compiuto ad Auschwitz insieme alla madre, che lì era stata prigioniera con il marito. È inoltre autrice dei romanzi “Cibo" (Mondadori, 2002), "Le rondini di Montecassino" (Guanda, 2010) e “Bloody Cow” (Il Saggiatore, 2012).
“La ragazza con la Leica” (Guanda, 2017) racconta la storia di Gerda Taro, la fotografa tedesca nota per i suoi reportage di guerra e per essere stata la compagna di Robert Capa, fotoreporter ungherese con il quale stabilisce anche un forte sodalizio professionale. La Taro morì giovanissima a soli 27 anni, travolta da un carro armato sul fonte della guerra civile spagnola il 26 luglio 1937 ed è diventata nel tempo un emblema di donna libera, indipendente e coraggiosa, caduta per le proprie idee e per il suo lavoro.

La crescita delle piante è regolata da uno specifico meccanismo molecolare che ha una sua sede specifica. La chiave di tutto è l’auxina, un ormone vegetale che agisce nella parte più esterna delle radici e che determina lo sviluppo della pianta anche in risposta agli stimoli esterni. La scoperta arriva da uno studio scientifico coordinato da Riccardo Di Mambro, ricercatore del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, in collaborazione con l’Università Sapienza di Roma, pubblicato sulla rivista Current Biology.

“La concentrazione di auxina, un ormone vegetale con proprietà morfogenetiche, nel tessuto più esterno della radice, la cosiddetta cuffia laterale, coordina la crescita e l’attività di tutte le cellule radicali e dunque lo sviluppo dell’intera pianta”, spiega Riccardo Di Mambro.

 

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Particolari delle radici studiate, immagini ottenute mediante microscopia confocale

 


Dalle sperimentazioni condotte tra i laboratori italiani e statunitensi, da Milano alla California, il trentasettenne ricercatore dell’Ateneo pisano è così riuscito per la prima volta ad identificare questo meccanismo molecolare e la particolare sede in cui ha luogo.

“Di fatto a ‘comandare’ lo sviluppo di un’intera pianta è un processo che avviene in uno specifico tessuto, che è poi quello più a contatto con l’esterno. Questo processo è dunque in grado di regolare la crescita in base agli stimoli ambientali, come ad esempio l’acidità/basicità o la salinità del terreno”, continua Di Mambro.

Riccardo Di Mambro in laboratorio, di lato la camera termostata per la crescita delle piante


La conoscenza di questo meccanismo apre la strada ad una serie di applicazioni biotecnologiche volte a creare piante più resistenti agli stress esterni. “Ad esempio – conclude Di Mambro – si potrebbero generare piante che hanno più strati di questo tessuto esterno in modo da renderle più forti e pronte a rispondere a condizioni ambientali fortemente avverse”.

La crescita delle piante è regolata da uno specifico meccanismo molecolare che ha una sua sede specifica. La chiave di tutto è l’auxina, un ormone vegetale che agisce nella parte più esterna delle radici e che determina lo sviluppo della pianta anche in risposta agli stimoli esterni. La scoperta arriva da uno studio scientifico coordinato da Riccardo Di Mambro, ricercatore del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, in collaborazione con l’Università Sapienza di Roma, pubblicato sulla rivista Current Biology.
“La concentrazione di auxina, un ormone vegetale con proprietà morfogenetiche, nel tessuto più esterno della radice, la cosiddetta cuffia laterale, coordina la crescita e l’attività di tutte le cellule radicali e dunque lo sviluppo dell’intera pianta”, spiega Riccardo Di Mambro.
Dalle sperimentazioni condotte tra i laboratori italiani e statunitensi, da Milano alla California, il trentasettenne ricercatore dell’Ateneo pisano è così riuscito per la prima volta ad identificare questo meccanismo molecolare e la particolare sede in cui ha luogo.
“Di fatto a ‘comandare’ lo sviluppo di un’intera pianta è un processo che avviene in uno specifico tessuto, che è poi quello più a contatto con l’esterno. Questo processo è dunque in grado di regolare la crescita in base agli stimoli ambientali, come ad esempio l’acidità/basicità o la salinità del terreno”, continua Di Mambro.
La conoscenza di questo meccanismo apre la strada ad una serie di applicazioni biotecnologiche volte a creare piante più resistenti agli stress esterni.
“Ad esempio – conclude Di Mambro – si potrebbero generare piante che hanno più strati di questo tessuto esterno in modo da renderle più forti e pronte a rispondere a condizioni ambientali fortemente avverse”.

Il “male di vivere” fra letteratura, arte, cinema e scienza è il tema del convegno "Melancolia: ombre, immagini e rappresentazioni" che si svolge all’Università di Pisa lunedì 8 e martedì 9 aprile nell'aula magna di Palazzo Boilleau (via Santa Maria, 85). Nella due giorni di conferenze e incontri docenti ed esperti di varie discipline discuteranno delle complesse trasformazioni storiche della melancolia e del suo rapporto con la tristezza, la nostalgia, la creatività e, infine, con la patologia depressiva alla quale, nel corso del XX secolo, è stata progressivamente assimilata. L’iniziativa, aperta al pubblico, è organizzato nell’ambito del progetto di ricerca “La mutevole ambivalenza epistemologica delle immagini” di cui è responsabile la professoressa Maria Antonella Galanti del dipartimento di Civiltà e forme del Sapere.

Il programma del convegno:
https://www.unipi.it/index.php/unipieventi/event/4387-melancolia-ombre-immagini-e-rappresentazioni

cinzia chiappeÈ scomparsa Cinzia Chiappe, docente di Chimica organica al dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa. Cinzia Chiappe si era laureata nel 1985 in Chimica e Tecnologia farmaceutiche presso l’Università di Pisa e nel 1989 aveva conseguito il titolo di dottore di ricerca in Scienze chimiche. Dopo due anni come collaboratore chimico presso ARPAT (allora USL), nel 1992 era entrata a far parte del Dipartimento di Chimica bioorganica e biofarmacia dell'Università di Pisa in qualità di ricercatore universitario, divenendo nel 1998 professore associato e poi nel 2002 professore ordinario di Chimica organica.

Dal 1999, i suoi principali interessi di ricerca si sono focalizzati sulla chimica dei liquidi ionici e sulle loro applicazioni. Utilizzando gli strumenti della chimica fisica-organica il suo gruppo di ricerca si è dedicato a ottenere informazioni sui liquidi ionici e sulle loro proprietà fisico-chimiche e biologiche, spesso correlando i risultati sperimentali con calcoli teorici. In questo settore, ha sviluppato diversi progetti in cui, utilizzando questi "sali" liquidi a temperatura ambiente, è stato possibile mettere a punto nuovi processi chimici più sostenibili in grado di fornire nuovi composti e materiali. Obiettivo del suo lavoro di ricerca è stato infatti quello di progettare e sintetizzare nuove classi di liquidi ionici, con proprietà ottimizzate per una specifica applicazione, da utilizzare come solventi e/o catalizzatori in problemi reali: in altre parole per ottenere reazioni chimiche più efficaci o per sviluppare nuovi processi più efficienti in termini energetici e di impatto ambientale.

Cinzia Chiappe è stata più volte Principal Investigator per programmi di ricerca finanziati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), MIUR, Fondazioni (CaRiPi), Regione Toscana e Comunità Europea. Inoltre, è stata responsabile di progetti di ricerca finanziati da grandi (ENI, Processi Innovativi, TKT), piccole e medie imprese.

È stata autrice o co-autrice di oltre 200 pubblicazioni peer-reviewed e di alcuni capitoli di libri in RSC- ACS, Wiley e monografie sui liquidi ionici. Ha tenuto oltre 75 conferenze su invito a congressi internazionali e presso istituzioni accademiche e di ricerca.

È stata rappresentante italiana per l’azione COST CM 1206 EXIL - Exchange on Ionic Liquids. Membro della Società Chimica Italiana e dell'American Chemical Society, nel 2014 è stata nominata fellow della Royal Society of Chemistry.

Dal 2012, è stata inoltre membro del Advisory Board della rivista Green Chemistry, RSC, ed è stata Membro dell’Advisory Board del COIL5, leader del WG1 “Synthesis & Development of Ionic Liquids” nell’azione COST-Exil; Membro della Conferenza Green Solvents (2016, DECHEMA); Membro dell’International Committee European Symposium of Organic Chemistry (ESOC); Membro del Advisory Board del COIL-2017; membro della Commissione Ricerca della Società Chimica Italiana. Dal 2018 era coordinatore del corso di dottorato del dipartimento di Farmacia (Scienze del farmaco e delle sostanze bioattive) e presidente del centro CIRESS, il Centro interdipartimentale di ricerca sull’energia per lo sviluppo sostenibile, nonchè membro della commissione ASN per il settore 03/C1 (Chimica Organica).

Nel 2013 è stata insignita della Medaglia Mangini della Società Chimica Italiana, Divisione di Chimica organica.

È morto a Pisa il giorno 2 aprile 2019 il professor Mario Lupetti, studioso di Istologia e per lungo tempo docente di discipline morfologiche presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa.
Nato a Castelnuovo Garfagnana nel 1931, il professor Mario Lupetti si è laureato in Medicina e Chirurgia a Pisa e dopo la laurea, negli anni ‘60 ha intrapreso la carriera universitaria dedicandosi alla ricerca in campo istologico presso l’Istituto Nazionale delle Ricerche e successivamente assumendo il ruolo di assistente universitario presso l’Università di Pisa. Ha assunto diversi incarichi di docenza, in particolare insegnando Anatomia Umana nel corso di laurea in Farmacia e successivamente Istologia ed Embriologia nel corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Ha conseguito il ruolo di Professore associato nel 1982 e di Professore ordinario di Istologia nel 1986, ruolo che ha ricoperto fino al suo collocamento a riposo.
La sua attività di ricerca ha portato importanti contributi alle conoscenze sulla morfologia e sullo sviluppo embriologico di diversi organi e apparati in varie specie animali compreso l’uomo. In particolare sono significativi i risultati ottenuti sulla linfopoiesi e sulla organogenesi renale. La maggior parte degli studi sono stati oggetto di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali.
«Il professor Lupetti ha dato un valido contributo alla nascita della scuola di Istologia dell’Università di Pisa che grazie al suo impegno e alla sua dedizione nel formare i giovani che hanno seguito le sue orme, ha assunto oggi rilevanza nazionale e internazionale - ricorda Amelio Dolfi, docente di Istologia e Embriologia dell'Università di Pisa, suo collega - La sua lunga e intensa attività didattica ha consentito la formazione di generazioni di medici che lo ricordano con stima e affetto. Personalmente non posso esimermi dal ricordare con grande commozione il professor Mario Lupetti, collega, ma soprattutto fraterna presenza, negli anni in cui, entrambi più giovani, ci aiutavamo per migliorare noi stessi, il nostro lavoro e il mondo che ci stava intorno».

lupetti mario 2 copiaÈ morto a Pisa il giorno 2 aprile 2019 il professor Mario Lupetti, studioso di Istologia e per lungo tempo docente di discipline morfologiche presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa. Pubblichiamo qui di seguito un ricordo del professor Lupetti a firma di Amelio Dolfi, professore di Istologia e Embriologia all'Università di Pisa. 

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Nato a Castelnuovo Garfagnana nel 1931, il professor Mario Lupetti si è laureato in Medicina e Chirurgia a Pisa e dopo la laurea, negli anni ‘60 ha intrapreso la carriera universitaria dedicandosi alla ricerca in campo istologico presso l’Istituto Nazionale delle Ricerche e successivamente assumendo il ruolo di assistente universitario presso l’Università di Pisa. Ha assunto diversi incarichi di docenza, in particolare insegnando Anatomia Umana nel corso di laurea in Farmacia e successivamente Istologia ed Embriologia nel corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Ha conseguito il ruolo di Professore associato nel 1982 e di Professore ordinario di Istologia nel 1986, ruolo che ha ricoperto fino al suo collocamento a riposo.

La sua attività di ricerca ha portato importanti contributi alle conoscenze sulla morfologia e sullo sviluppo embriologico di diversi organi e apparati in varie specie animali compreso l’uomo. In particolare sono significativi i risultati ottenuti sulla linfopoiesi e sulla organogenesi renale. La maggior parte degli studi sono stati oggetto di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali.

Il Prof. Lupetti ha dato un valido contributo alla nascita della scuola di Istologia dell’Università di Pisa che grazie al suo impegno e alla sua dedizione nel formare i giovani che hanno seguito le sue orme, ha assunto oggi rilevanza nazionale e internazionale. La sua lunga e intensa attività didattica ha consentito la formazione di generazioni di medici che lo ricordano con stima ed affetto.

Personalmente non posso esimermi dal ricordare con grande commozione il professor Mario Lupetti, Collega, ma soprattutto fraterna presenza, negli anni in cui, entrambi più giovani, ci aiutavamo per migliorare noi stessi, il nostro lavoro e il mondo che ci stava intorno.

Amelio Dolfi
Professore di Istologia e Embriologia

Pisa si prepara a tremare di paura. Dal 7 aprile al 1° settembre 2019, il Museo della Grafica (Comune di Pisa, Università di Pisa) presenta una mostra che indaga la figura del regista del brivido Alfred Hitchcock (1899-1980). Curata da Gianni Canova e prodotta e organizzata da ViDi, "Alfred Hitchcock nei film della Universal Pictures", presenta 70 fotografie e contenuti speciali provenienti dagli archivi della Major americana che conducono il pubblico nel backstage dei principali film di Hitchcock, facendo scoprire particolari curiosi sulla realizzazione delle scene più celebri, sull’impiego dei primi effetti speciali, sugli attori e sulla vita privata del regista inglese.

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Celebrato come uno dei principali e più influenti innovatori della storia del cinema, Hitchcock è famoso per il suo ingegno, le trame avvincenti, la gestione delle camere da presa, l’originale stile di montaggio, l’abilità nel tener viva la tensione in ogni singolo fotogramma. “Hitchcock, come hanno detto i critici della nouvelle vague – afferma Gianni Canova - è stato uno dei più grandi creatori di forme di tutto il Novecento. I suoi film, per quante volte li si riveda, sono ogni volta una sorpresa, ogni volta aprono nuove prospettive attraverso cui osservare il mondo e guardare la vita”.

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Il percorso espositivo analizza i principali capolavori di Hitchcock, prodotti dalla Universal Pictures. Primo fra tutti Psyco (1960), una delle sue opere più controverse che riuscì a battere tutti i record di incassi e fece fuggire il pubblico dalle sale in preda al panico. Un’occasione per vedere il dietro le quinte del metafisico Motel Bates, conoscere il personaggio inquietante di Norman, la doppia personalità di Marion e la celebre scena della doccia.

Una sala del Museo della Grafica è dedicata a Gli Uccelli (1963), pellicola in cui introdusse numerose novità nel campo del suono e degli effetti speciali; con ben 370 trucchi di ripresa, il film richiese quasi tre anni di preparativi a causa della sua complessità tecnica.

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L’itinerario nell’universo hitchcockiano prosegue con La Finestra sul cortile (1954), con James Stewart che interpreta il fotoreporter ‘Jeff’ Jeffries, costretto su una sedia a rotelle per una frattura alla gamba e che, per vincere la noia, spia le vite dei vicini dal proprio appartamento, fino a convincersi che in un appartamento si sia consumato un delitto. Il film fu un grande successo; uscito nell’agosto 1954, nel maggio 1956 aveva già incassato 10 milioni di dollari.

E ancora, La donna che visse due volte (1958), capolavoro divenuto oggetto di venerazione, che racconta una delle storie d’amore più angoscianti del cinema, narrata attraverso un numero infinito di angolazioni e riprese straordinarie nei luoghi più famosi di San Francisco.

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Il materiale fotografico getta inoltre uno sguardo su altri celebri film come Sabotatori (1942), L’ombra del dubbio (1943), Nodo alla gola (1948), La congiura degli innocenti (1955), L’uomo che sapeva troppo (1956), Marnie (1964), Il sipario strappato (1966), Topaz (1969), Frenzy (1972) e Complotto di famiglia (1976).

Lungo tutto il perimetro della mostra, il visitatore è accompagnato da una serie di approfondimenti video di Gianni Canova.

Una sezione è inoltre dedicata alla musica che ha connotato alcuni dei suoi film, tra cui quella di Bernard Herrmann, compositore statunitense che ha scritto, tra le altre, le celebri colonne sonore per La donna che visse due volte e Psyco, che furono parte integrante e fondamentale per la costruzione del senso di attesa hitchcockiano. Chiude idealmente l’esposizione il montaggio con le celebri e fugaci apparizioni di Hitchcock sulla scena. Nati come simpatiche gag, i cammei divennero col tempo una vera e propria superstizione. Il pubblico iniziò ad attenderli con impazienza e per evitare che lo spettatore si distraesse troppo durante il film, il regista decise di anticiparli ai primissimi minuti dell’inizio.

Il catalogo della mostra è curato da Skira.

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