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Comunicati stampa

Colla animale, caseina, gomma arabica e la significativa assenza di oli e di resine. Non una ricetta qualsiasi, ma piuttosto alcuni degli “ingredienti” dei pastelli utilizzati da Umberto Boccioni per realizzare il“Ritratto di Innocenzo Massimino” di che sono stati identificati da un team di chimici dell’Università di Pisa esperti nel campo della scienza dei beni culturali. Il gruppo guidato dalle professoresse Maria Perla Colombini e composto e Francesca Modugno, insieme ai dottori Anna Lluveras Tenorio e Jacopo La Nasa ha infatti contribuito alla comprensione e al restauro dell’opera in collaborazione con la restauratrice Barbara Ferriani e con Danka Giacon, curatore del Museo del Novecento dove il quadro è conservato. Un lavoro svolto alcuni anni fa e che ha permesso di esporre nuovamente il quadro al pubblico nel 2016 a Palazzo Reale a Milano, in occasione di una grande mostra per il centenario della morte di Boccioni, ma che solo adesso i ricercatori descrivono da “dietro le quinte” in un articolo scientifico appena pubblicato sul “Journal of Cultural Heritage”.
“Poco è noto sulla natura chimica dei pastelli usati in pittura nei primi del '900, sul loro degrado e su come affrontare un loro restauro – spiega Maria Perla Colombini - I pastelli sono costituiti essenzialmente da pigmenti inorganici polverizzati, come ferro per il rosso o piombo per il bianco, tenuti insieme da una piccolissima quantità di legante organico, dunque questo tipo di pittura mostra una grande fragilità poiché non si forma un vero film pittorico, dando luogo nel tempo a perdite di parti pittoriche”.
Il problema del distacco del colore è stata infatti proprio una delle problematiche affrontate nel restauro del dipinto “Ritratto di Innocenzo Massimino”, che Umberto Boccioni dipinse nel 1908.
Per il recupero del quadro è stata quindi fondamentale la conoscenza chimica dei materiali organici che compongono i pastelli resa possibile grazie alle analisi basate su cromatografia/spettrometria di massa, eseguite nei laboratori del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa. Dunque come hanno rivelato le indagini, sebbene la composizione dei pastelli utilizzati da Boccioni vari in funzione del colore del pigmento, colla animale e gomma arabica restano gli ingredienti fondamentali. Questo significa che a livello di restauro, per fissare il film pittorico, non sono stati usati consolidanti a base acquosa ma fissativi a bassa viscosità in solvente volatile.
"Le indagini chimiche hanno fornito un’opportunità unica di ottenere informazioni sulle tecniche utilizzate dagli artisti futuristi e sulla composizione dei pastelli nel primo novecento – conclude la restauratrice Barbara Ferriani - I risultati sono stati fondamentali per l’individuazione del trattamento conservativo dell'opera e per la selezione del fissativo da applicare. In particolare, a seguito dell’indicazione della presenza di proteine e gomma arabica, e della assenza di lipidi come olii o cere, abbiamo deciso di applicare un fissativo a bassa viscosità che garantisce la massima compatibilità con i materiali costitutivi dell'opera".

boccioni_ritratto_web.jpgColla animale, caseina, gomma arabica e la significativa assenza di oli e di resine. Non una ricetta qualsiasi, ma piuttosto alcuni degli “ingredienti” dei pastelli utilizzati da Umberto Boccioni per realizzare il “Ritratto di Innocenzo Massimino” di che sono stati identificati da un team di chimici dell’Università di Pisa esperti nel campo della scienza dei beni culturali. Il gruppo guidato dalle professoresse Maria Perla Colombini e composto e Francesca Modugno, insieme ai dottori Anna Lluveras Tenorio e Jacopo La Nasa ha infatti contribuito alla comprensione e al restauro dell’opera in collaborazione con la restauratrice Barbara Ferriani e con Danka Giacon, curatore del Museo del Novecento dove il quadro è conservato. Un lavoro svolto alcuni anni fa e che ha permesso di esporre nuovamente il quadro al pubblico nel 2016 a Palazzo Reale a Milano, in occasione di una grande mostra per il centenario della morte di Boccioni, ma che solo adesso i ricercatori descrivono da “dietro le quinte” in un articolo scientifico appena pubblicato sul “Journal of Cultural Heritage”.

“Poco è noto sulla natura chimica dei pastelli usati in pittura nei primi del '900, sul loro degrado e su come affrontare un loro restauro – spiega Maria Perla Colombini - I pastelli sono costituiti essenzialmente da pigmenti inorganici polverizzati, come ferro per il rosso o piombo per il bianco, tenuti insieme da una piccolissima quantità di legante organico, dunque questo tipo di pittura mostra una grande fragilità poiché non si forma un vero film pittorico, dando luogo nel tempo a perdite di parti pittoriche”.

Il problema del distacco del colore è stata infatti proprio una delle problematiche affrontate nel restauro del dipinto “Ritratto di Innocenzo Massimino”, che Umberto Boccioni dipinse nel 1908.

Per il recupero del quadro è stata quindi fondamentale la conoscenza chimica dei materiali organici che compongono i pastelli resa possibile grazie alle analisi basate su cromatografia/spettrometria di massa, eseguite nei laboratori del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa. Dunque come hanno rivelato le indagini, sebbene la composizione dei pastelli utilizzati da Boccioni vari in funzione del colore del pigmento, colla animale e gomma arabica restano gli ingredienti fondamentali. Questo significa che a livello di restauro, per fissare il film pittorico, non sono stati usati consolidanti a base acquosa ma fissativi a bassa viscosità in solvente volatile.

"Le indagini chimiche hanno fornito un’opportunità unica di ottenere informazioni sulle tecniche utilizzate dagli artisti futuristi e sulla composizione dei pastelli nel primo novecento – conclude la restauratrice Barbara Ferriani - I risultati sono stati fondamentali per l’individuazione del trattamento conservativo dell'opera e per la selezione del fissativo da applicare. In particolare, a seguito dell’indicazione della presenza di proteine e gomma arabica, e della assenza di lipidi come olii o cere, abbiamo deciso di applicare un fissativo a bassa viscosità che garantisce la massima compatibilità con i materiali costitutivi dell'opera".

 

Lunedì, 01 Aprile 2019 07:01

La Fisica della materia

cover fisica materiaÈ uscito in distribuzione con il Corriere della Sera il volume "La Fisica della materia”, scritto da Maria Luisa Chiofalo, professoressa dell’Università di Pisa, insieme a Leonardo Salvi e Guglielmo Maria Tino. Il libro fa parte della collana “Lezioni di Fisica”, un’iniziativa editoriale del Corriere della Sera che presenta 25 volumi dedicati all’incredibile mondo della fisica, per esplorare le conoscenze del terzo millennio attraverso il racconto e la spiegazione di docenti e ricercatori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e dell’Istituto nazionale di astrofisica.

Fisica teorica e sperimentale, paradossi quantistici e indagini astrofisiche nelle profondità dell’universo, fino alle ricerche di frontiera sul teletrasporto e sulla vita extraterrestre in lontani pianeti: libri per trovare le risposte a tante domande ma anche domande senza ancora risposta, e per mostrare il fascino di una materia da conoscere e amare in un percorso alla scoperta dei tanti perché della vita quotidiana, del mondo e dei fenomeni naturali.

 

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La Fisica della materia

Maria Luisa Chiofalo, Leonardo Salvi, Guglielmo Maria Tino

Superconduttività, superfluidità, cristalli liquidi, orologi atomici, “fogli” di carbonio spessi come un solo atomo: sono solo alcune delle applicazioni realizzate dai fisici della materia che hanno scoperto, o hanno sviluppato, proprietà di atomi e molecole che superano, moltiplicano o annullano, a seconda dei casi, il comportamento dei corpi descritto dalla fisica classica.

La sua integrazione con il metodo dell’elettronica ha portato a realizzazioni che hanno cambiato, e cambieranno, la nostra vita, nel mondo dell’informatica e delle comunicazioni. Lo studio della materia a livello quantistico permette di studiare anche l’intima struttura di molecole biologiche, cellule e loro aggregati, per scoprire in che modo funziona la vita a livello atomico.

E, nel mondo della pura conoscenza, questa scienza comincia a integrarsi con l’astrofisica, per lo studio delle stelle di neutroni e dei buchi neri. C’è ancora un mondo nell’infinitamente piccolo, apparentemente bizzarro, da studiare e sul quale costruire le applicazioni di domani.

Un esperimento alla frontiera della scienza che vuol fare luce sulle troppe ombre che ancora avvolgono il comportamento della materia a livello microscopico. Il 25 marzo scorso, nel Laboratorio KEK, a Tsukuba, in Giappone, sono avvenute le prime collisioni elettrone-positrone dell’acceleratore SuperKEKB, che producono principalmente mesoni B, ma anche mesoni con charm e leptoni tau.

L’obiettivo degli scienziati è di trovare nuove particelle e nuovi fenomeni fisici che non sono descritti nel Modello Standard, quello cioè che definisce la fisica così come la conosciamo oggi. Entro giugno gli scienziati si aspettano di raccogliere i primi 5 milioni di eventi, che diventeranno 50 miliardi nel corso dei prossimi anni, da cui ricavare i dati per lo studio.

 

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Francesco Forti (terzo da destra), insieme ai colleghi giapponesi e ad Antonio Paladino, ex-assegnista pisano (al centro),durante le fasi finali di completamento di SVD


L’esperimento in Giappone è frutto di una collaborazione internazionale formata da circa 800 fisici di 23 nazioni diverse. Gli scienziati italiani sono più di 60 provenienti dai laboratori e dalle sezioni dell’INFN e Università di Napoli, Padova, Perugia, Pisa, Torino, Trieste, Roma Sapienza, Roma Tre, Laboratori Nazionali di Frascati ed Enea Casaccia.

“In particolare nei laboratori dell’Università di Pisa e dell’INFN sono stati realizzate le parti anteriori e posteriori del rivelatore di vertici Silicon Vertex Detector, installato a dicembre 2018, che costituisce il cuore dell’esperimento per la misura delle particelle cariche,” spiega Francesco Forti, coordinatore del gruppo di Pisa, e fino allo scorso febbraio presidente del comitato esecutivo dell’esperimento.

Il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa, che ha numerose responsabilità di rilievo nell’esperimento, è composto da Giovanni Batignani, Stefano Bettarini (coordinatore INFN), Giulia Casarosa (coordinatrice del software di SVD e del gruppo di analisi del charm), Eugenio Paoloni (coordinatore del software di tracciatura delle particelle) e Giuliana Rizzo (vice-coordinatrice del gruppo SVD). Del gruppo sono e sono stati parte attiva e fondamentale numerosi dottorandi e studenti magistrali; attualmente ne fanno parte Laura Zani, Luigi Corona e Gaetano de Marino.

 

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Componenti anteriori e posteriori prodotti nei laboratori INFN / Università di Pisa

 

“I dati che raccoglieremo nei prossimi anni ci permetteranno di realizzare misure competitive e complementari a quello del nostro diretto concorrente, l’esperimento LHCb al CERN, che ha scoperto recentemente la asimmetria materia-antimateria nei mesoni con charm,” conclude Francesco Forti.

Le collisioni appena partite inaugurano una nuova fase dell’esperimento, iniziata dopo il completamento del rivelatore Belle II e l’aggiornamento dell'acceleratore SuperKEKB. Il nuovo acceleratore raggiungerà una luminosità 40 volte maggiore del suo predecessore KEKB attivo dal 1999 al 2010 e che nel 2001 scoprì, insieme all’esperimento Babar, la simmetria materia-antimateria nei mesoni con beauty.

Venerdì, 29 Marzo 2019 10:46

Al via prime collisioni elettrone-positrone

Un esperimento alla frontiera della scienza che vuol fare luce sulle troppe ombre che ancora avvolgono il comportamento della materia a livello microscopico. Il 25 marzo scorso, nel Laboratorio KEK, a Tsukuba, in Giappone, sono avvenute le prime collisioni elettrone-positrone dell’acceleratore SuperKEKB, che producono principalmente mesoni B, ma anche mesoni con charm e leptoni tau. L’obiettivo degli scienziati è di trovare nuove particelle e nuovi fenomeni fisici che non sono descritti nel Modello Standard, quello cioè che definisce la fisica così come la conosciamo oggi. Entro giugno gli scienziati si aspettano di raccogliere i primi 5 milioni di eventi, che diventeranno 50 miliardi nel corso dei prossimi anni, da cui ricavare i dati per lo studio.
L’esperimento in Giappone è frutto di una collaborazione internazionale formata da circa 800 fisici di 23 nazioni diverse. Gli scienziati italiani sono più di 60 provenienti dai laboratori e dalle sezioni dell’INFN e Università di Napoli, Padova, Perugia, Pisa, Torino, Trieste, Roma Sapienza, Roma Tre, Laboratori Nazionali di Frascati ed Enea Casaccia.
“I dati che raccoglieremo nei prossimi anni ci permetteranno di realizzare misure competitive e complementari a quello del nostro diretto concorrente, l’esperimento LHCb al CERN, che ha scoperto recentemente la asimmetria materia-antimateria nei mesoni con charm,” spiega Francesco Forti, coordinatore del gruppo di Pisa, e fino allo scorso febbraio presidente del comitato esecutivo dell’esperimento.Le collisioni appena partite inaugurano una nuova fase dell’esperimento, iniziata dopo il completamento del rivelatore Belle II e l’aggiornamento dell'acceleratore SuperKEKB. Il nuovo acceleratore raggiungerà una luminosità 40 volte maggiore del suo predecessore KEKB attivo dal 1999 al 2010 e che nel 2001 scoprì, insieme all’esperimento Babar, la simmetria materia-antimateria nei mesoni con beauty.
“Nei laboratori dell’Università di Pisa e dell’INFN sono stati realizzate le parti anteriori e posteriori del rivelatore di vertici Silicon Vertex Detector, installato a dicembre 2018, che costituisce il cuore dell’esperimento per la misura delle particelle cariche,” aggiunge Forti.
Il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa, che ha numerose responsabilità di rilievo nell’esperimento, è composto da Giovanni Batignani, Stefano Bettarini (coordinatore INFN), Giulia Casarosa (coordinatrice del software di SVD e del gruppo di analisi del charm), Eugenio Paoloni (coordinatore del software di tracciatura delle particelle) e Giuliana Rizzo (vice-coordinatrice del gruppo SVD). Del gruppo sono e sono stati parte attiva e fondamentale numerosi dottorandi e studenti magistrali; attualmente ne fanno parte Laura Zani, Luigi Corona e Gaetano de Marino.

Venerdì 22 marzo presso il Centro Congressuale delle Benedettine, 17 giovani studenti della classe IV° del Liceo Cecioni di Livorno hanno presentato delle idee di impresa attraverso un elevator pitch nell’ambito del progetto “Start-upper junior”, promosso dal Contamination Lab dell’Università di Pisa. Il progetto ha previsto una settimana di formazione sui temi legati all’imprenditoria e alle analisi economico-finanziarie e delle attività di laboratorio in cui hanno sviluppato i loro progetti, sotto la guida di due neolaureate presso il dipartimento di Economia e Management di Pisa.
L’obiettivo finale di questo percorso ha portato alla realizzazione di un business plan di una start-up innovativa, con executive summary in lingua inglese e la presentazione di un elevator pitch. Gli studenti hanno anche acquisito una serie di soft skills quali produrre testi e presentazioni in power point, comprendere la propria attitudine a lavorare in gruppo o mettere alla prova il proprio spirito d’iniziativa, utilizzo dell’Excel per le valutazioni economiche nonché linguistiche per la presentazione. Il percorso del progetto “Start-upper Junior” è stato coordinato dalla professoressa Giovanna Mariani, Project Manager del Contamination Lab e organizzato dall’Unità Servizi per la Ricerca e il trasferimento tecnologico dell’Università di Pisa.
Durante la giornata conclusiva sono state presentate cinque idee di start up innovative, valutate da una giuria composta dalla professoressa Antonella del Corso, prorettrice per gli studenti e il diritto allo studio, da Lorenzo Santalena, in rappresentanza dei gruppo giovani di Confindustria Livorno Massa-Carrara, e dalla professoressa Giovanna Mariani. È stato valutato come miglior progetto “Il caso GPLR Foundation”, presentato dal gruppo composto da Francesco Gallo, Alessandro La Russa e Niccolò Pellegrini, che ha valutato il lancio di una gamma camera in grado di rilevare tumori anche allo stadio primordiale.
Gli altri progetti sono stati “Vino e benessere”, per la produzione di vino biologico, di Nicola De Pompeis, Linda Papini e Carlo Rolfini; “Il caso See Far” di Giulia Fulceri, Marco Salvadori e Ilaria Sardelli, che hanno valutato il lancio di un radar anticollisione; “Integral +” di Arianna D’Amico, Gabriele Shu, Irene Tavanti e Gianluca Vitelli, che producono un nuovo integratore ; “Project X” di Julie Cencini, Filippo Peruginelli, Marco Tridenti e Manfredi Zoncu, che hanno analizzato un sistema di sicurezza per e-bike.
La prorettrice Antonella Del Corso e Lorenzo Santalena hanno sottolineato il valore che tali collaborazioni rivestono per gli studenti che saranno chiamati in poco tempo a decidere sul proprio futuro. Con tali esperienze, infatti, gli studenti delle scuole superiori possono entrare in contatto con diverse discipline che spaziano dallo studio delle scienze, dell’informatica, dell’ingegneria e dell’economia aziendale, il tutto con un obiettivo operativo, in modo da avvicinarli ad una decisione più consapevole del percorso futuro di studio e di lavoro.

 

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