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Le piante endemiche italiane, presenti cioè solo nel nostro territorio, sono oltre 1400, un dato che ci rende il terzo Paese più ricco di diversità vegetale dell'area mediterranea. Tuttavia, si sa ben poco di molte di queste specie: spesso una descrizione morfologica di massima e poco più. Per colmare questa lacuna e contribuire alla protezione di queste piante, è appena partito un progetto (PRIN) dell’Università di Pisa finanziato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR) che per i prossimi tre anni, coinvolgerà le Università di Genova, Camerino, Napoli Federico II, Palermo e Cagliari.

“Numerosi studiosi saranno impegnati nel progetto e attiveremo anche 15 nuove collaborazioni per giovani ricercatori per raccogliere dati sulle varie specie, con attività sia sul campo che in laboratorio”, spiega il professore Lorenzo Peruzzi dell’Università di Pisa, che coordina il lavoro.

La sfida, infatti, è di accumulare nuove conoscenze per circa il 10 per cento della flora endemica nazionale, integrando vari metodi di indagine sistematica, fra cui analisi distributive, morfologiche e genetiche, in modo da quantificare oggettivamente affinità e differenze tra le varie specie.

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Alcune delle piante che saranno studiate, da sinistra, Armeria denticulata (specie endemica dei rilievi serpentinosi di Toscana e Liguria. Appartiene a un genere che conta ben 17, fra specie e sottospecie, endemiche italiane); Dianthus brachycalyx (specie segnalata per le più alte quote dell'Appennino, dal Lazio alla Calabria. Appartiene a un gruppo di specie affini che conta ben 18, fra specie e sottospecie, endemiche italiane); Ptilostemon niveus (specie endemica di Basilicata, Calabria e Sicilia, appartenente a un genere poco numeroso, che mostra in Italia la massima diversità); Santolina pinnata (specie endemica delle Alpi Apuane in Toscana, appartenente a un gruppo di specie affini che conta 6 specie endemiche italiane).


“Le piante endemiche sono la componente di maggior valore di una flora, spesso soggette ad un elevato rischio di estinzione – aggiunge Peruzzi –per poterle tutelare efficacemente dobbiamo prima conoscerne meglio le caratteristiche".

Uno degli obiettivi del progetto è infatti anche quello di aggiornare lo stato di rischio delle specie studiate secondo gli standard dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, una onlus riconosciuta dall’ONU impegnata nel conservare la biodiversità a livello mondiale.

Per dare l’avvio ufficiale ai lavori, lo scorso 25 marzo si sono ritrovati a Pisa i professori Gianluigi Bacchetta (Cagliari), Paolo Caputo (Napoli), Fabio Conti e Fabrizio Bartolucci (Camerino), Gianniantonio Domina (Palermo), Luigi Minuto e Gabriele Casazza (Genova). I vari partner hanno stabilito di concentrare il lavoro su alcuni gruppi appartenenti a quattro famiglie botaniche particolarmente ricche di specie endemiche (Asteraceae, Caryophyllaceae, Fabaceae e Plumbaginaceae) fra cui ad esempio i generi Armeria ('Spilloni'), Dianthus ('Garofani'), Ptilostemon ('Cardi') e Santolina ('Crespoline').

 

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I partner riuniti a Pisa per l’avvio del progetto, da sinistra, Fabio Conti, Gabriele Casazza, Fabrizio Bartolucci, Luigi Minuto, Lorenzo Peruzzi, Gianniantonio Domina, Paolo Caputo, Gianluigi Bacchetta


"Grazie a questo progetto riusciremo a contribuire significativamente allo sviluppo delle conoscenze sulla flora endemica italiana – conclude Peruzzi – questi studi serviranno anche a cementare ed innalzare ulteriormente il livello qualitativo delle collaborazioni tra botanici sistematici italiani, incluse nuove leve in formazione".



È un bene per la ricerca scientifica di frontiera che i risultati di studi e ricerche siano liberamente accessibili alla comunità scientifica e al pubblico? Questa domanda è stata al centro di un incontro che si è svolto martedì 19 marzo nel Palazzo della Sapienza dell’Università di Pisa che ha visto protagonisti i vertici degli enti di ricerca europei, del mondo accademico e dell’editoria scientifica internazionale. L’evento era organizzato in collaborazione con Science Business e faceva parte di ERC=Science².

Erano presenti fra gli altri insieme al rettore dell’Ateneo pisano Paolo Mancarella, il vice presidente dell’European Research Council, Fabio Zwirner, la vice-presidente della Regione Toscana Monica Barni e il presidente del CNR Massimo Inguscio. Per l’Università di Pisa sono intervenuti anche i vincitori dei finanziamenti dell'European Research Council - Paola Binda, Gianluca Fiori e Benedetta Mennucci - accanto al prorettore per la ricerca in ambito europeo e internazionale Lisandro Benedetti-Cecchi.

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Paolo Mancarella e Monica Barni.

Dopo la conferenza internazionale di aprile dello scorso anno e l'incontro di giugno sulla proposta della Commissione Europea, quello in Sapienza è stato il terzo appuntamento che l'Università di Pisa ha organizzato in vista di "Horizon Europe", il Programma Quadro europeo per la ricerca e l’innovazione 2021-2027. La “Scienza aperta” o “Open Science” è infatti un tema di straordinario rilievo, oltre che di grande attualità, dato che la Commissione Europea chiede di rendere liberamente disponibili le pubblicazioni scientifiche e i dati della ricerca. L’incontro in Sapienza ha sviluppato una riflessione sul tema cercando di offrire un proprio contributo su come la ricerca di frontiera possa realmente beneficiare di un approccio aperto alla scienza, senza tuttavia rinunciare ai suoi tratti distintivi in termini di qualità e competitività.

A questo link sono disponibili ulteriori informazioni e materiali sul convegno.

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Qui di seguito si pubblica l’intervento del rettore Paolo Mancarella che ha introdotto la giornata.


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The future of frontier research: is there a “good way” to Open Science?

With great pleasure, I greet and welcome you to this opportunity to debate frontier research and its link with the Open Science Processes. We will discuss today with leading representatives of Italian and international institutions and bodies, qualified representatives of the scientific publishing and the academic world, along with the European Research Council grantees of our university. I am deeply grateful to all the panellists and particularly to the ERC Vice President, Fabio Zwirner, for accepting our invitation.

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Da sinistra: Vincenzo Vespri, del MIUR, Philipp Kircher, European University Institute e University of Edinburgh, ERC grantee, Massimo Inguscio, presidente CNR Italia, Fabio Zwirner, vice presidente dell'European Research Council.


After last April international conference and the meeting in June on the proposal of the European Commission, this meeting today is the third event planned by the University of Pisa in preparation of "Horizon Europe", under the coordination of the Vice Rector for European and International Research, Professor Lisandro Benedetti-Cecchi and the Research and Technology Transfer Division. As in in the past, this event is organized in cooperation with Science Business and in this occasion also with the "ERC = Science2" project.

I also wish to recall the attention our University pays to the development of the Horizon Europe Program and to remember, with great pleasure, the recent establishment of the Belgian association TOUR4EU (Tuscan Organization of Universities and Research 4 Europe), which includes Regione Toscana and the seven Tuscan universities and schools. In this regard, I wish to greet Prof Monica Barni, vice-president of the Regione Toscana and president of TOUR4EU, and Dr Simona Costa, Director of TOUR4EU. I congratulate them both for the significant results of these very first months of activity, which stimulate to go ahead on the process we have started.

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Philipp Kircher, European University Institute e University of Edinburgh.


These initiatives aim to strengthen the international competitiveness of our University on the international research scene, promoting the dialogue with those stakeholders "at the forefront" in the connection between the Italian research reality and the European institutions. This is how we could help to better define, in the appropriate venue, the perspectives of the Italian Academy, ahead of the negotiations, now at a crucial phase, on the final text of the European Framework Program for Research and Innovation 2021-2027.

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Maryline Fiaschi, Managing Director, Science|Business.


In this context, Open Science is an extraordinarily crucial issue, as well as extremely topical, now that the European Commission asks the scientific publications and research data to be immediately available, free of charge and indefinitely reusable. As we all know, from the 1 January 2020, scientific publications resulting from funded research will have to be published in open access journals or on open access platforms, or in hybrid journals as long as they have committed with a transformative agreement to switch to full Open Access within a defined time frame.

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Da sinistra: Michael Markie Publishing Director, Life Sciences, F1000 Research, Claudio Colaiacomo, Vice President, Global Academic Relations, Elsevier, Gianluca Fiori, professore all'Università di Pisa e ERC Grantee, Frederick Fenter, Executive Editor, Frontiers, Lisandro Benedetti Cecchi, prorettore alla Ricerca europea dell'Università di Pisa.


It is a perspective that involves fundamental aspects of the research system, if only we consider the evaluation criteria definition, and it requires a drastic revision of the current "ground rules" of the scientific publishing system. The extensive debate, been unleashed on a global scale, has made clear that this process might encompass many positive features: for instance and above all, the guarantee of more widespread, democratic and free access to research results. Nevertheless, we also have to consider controversial aspects that could compromise the system that currently ensures the quality of research.

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Paola Binda, ERC grantee Università di Pisa.

Today's event, therefore, is meant to develop an open and balanced reflection on Open Science, trying to offer its contribution on how frontier research could benefit from an open approach, never refraining from its distinctive traits in terms of quality and competitiveness.

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Benedetta Mennucci, ERC grantee Università di Pisa.

As its Statute defines, the University of Pisa endorses the principles of open access and has always committed to implementing institutional policies, with the aim at developing open access and promoting the international visibility of Italian research. With a clear concern of the forthcoming challenges, the University has recently established a specific Commission for the open access to scientific literature under the coordination of our Vice-Rector for National Research, Professor Claudia Martini. This Commission has developed an Open Access incentive proposal targeted for our faculty authors, with the aim of implementing the inclusion of research products on our institutional research archive (Iris Arpi) and complying with the principles of open access.

Our discussion today might act as a stimulus, along with other initiatives that will soon be planned in this regard, thus representing an adequate disclosure and awareness opportunity to the entire university community on Open Science.

Paolo Mancarella

 

Giovani maschi e di buona cultura, ecco gli europei più propensi a consumare gli insetti come cibo. L’identikit emerge da un articolo pubblicato sulla rivista “Food Research International” da un team del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa guidato dalla professoressa Gisella Paci e composto dai dottori Simone Mancini, Roberta Moruzzo e Francesco Riccioli. I ricercatori hanno messo insieme e confrontato i dati provenienti da una quarantina di studi pubblicati dal 2012 ad oggi per capire quali categorie di persone più disponibili ad accettare gli insetti nel proprio piatto.

Gli uomini fra i venti e i trenta anni sono i consumatori più interessati, soprattutto per una questione di curiosità – spiega Simone Mancini che sta svolgendo alcuni progetti di ricerca sul tema degli insetti edibili – e questo vale sia al livello italiano che europeo, come indicano le ricerche svolte sulle fasce di popolazione più giovani come ad esempio gli studenti universitari”.

Fattore curiosità a parte, dalla rassegna condotta dai ricercatori dell’Ateneo pisano emerge che le persone preferiscono comunque consumare gli insetti come ingredienti piuttosto che interi. Il disgusto provocato dal vederli gioca infatti un ruolo fondamentale, soprattutto perché nella cultura occidentale sono spesso associati all’idea di sporco e di contaminazione. Se invece gli insetti edibili sono trasformati in “polvere” e addizionati come ingrediente a un prodotto noto, la repulsione scende notevolmente.

 

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Insetti edibili sulle nostre tavole, mangeremo così?


“Gli insetti fanno parte della dieta tradizionale e sono storicamente consumati come animali di allevamento e di cattura in Asia, Africa, Sud America e Centro America – sottolinea Gisella Paci – la sfida è di capire come anche in occidente si possa accettare culturalmente questo nuovo cibo”.

A favore del consumo degli insetti giocherebbero infatti molti fattori. Numerosi studi scientifici per esempio evidenziano il loro alto valore nutrizionale come fonte proteica, di lipidi, minerali e vitamine, caratteristica che unita alle ridotte richieste di superficie, ha spinto le agenzie spaziali a studiarli come possibile cibo nelle missioni spaziali. Ma considerata la questione dell’impatto ambientale, gli insetti si candiderebbero come nutrimento del futuro anche per il nostro pianeta. Non a caso le Nazioni Unite li hanno individuati come una possibile risposta al crescente bisogno di proteine dovuto all'incremento della popolazione umana stimata in 9,7 miliardi nel 2050.

 

Dopo la direttiva europea sul novel food sarà questa la nostra dieta?



“L’interesse verso gli insetti ci riguarda direttamente dato che nei prossimi anni, specie dopo la direttiva europea sul novel food in vigore dal gennaio del 2018, troveremo sicuramente questi prodotti negli scaffali dei supermercati come già accade nel nord Europa, Belgio e Olanda in primis, e fuori l’Unione europea, nella vicina Svizzera – conclude Gisella Paci - in questa ottica sarà quindi necessario pensare ai processi di allevamento e di trasformazione in termini di investimento e di nuove strategie gestionali, il tutto unito ad un imprescindibile impegno informativo e comunicativo per aumentare l'accettabilità degli insetti nella cultura occidentale, che faccia leva sugli aspetti economici, ambientali e sociali”.

Ci sono voluti mesi di cure per salvare Athos e Porthos, i due lupi ricoverati all’Ospedale Didattico Veterinario (ODV) “Mario Modenato” del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa che alcuni giorni fa sono stati liberati in un’area protetta del Parco Faunistico del Monte Amiata.


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La professoressa Micaela Sgorbini, direttore sanitario dell’Ospedale Didattico Veterinario (ODV) “Mario Modenato”


Athos, il più giovane, è stato trovato intrappolato fra alcuni tubi nell’area mineraria Rosignano Solvay da alcuni operai del Comune di Montecatini Val di Cecina, quindi portato all’ospedale dell’Ateneo pisano dalla polizia provinciale nel novembre del 2018. Porthos, l’esemplare adulto, è arrivato invece lo scorso gennaio grazie ai volontari della onlus “Amici a 4 zampe” dopo una segnalazione di alcuni cittadini nel Comune di Terricciola.
“Athos, il lupacchiotto, aveva tibia e fibula fratturate e una ferita estesa all’arto posteriore sinistro che abbiamo pulito chirurgicamente con un intervento in anestesia generale – racconta la professoressa Micaela Sgorbini, direttore sanitario dell’ODV che cura gli animali selvatici in team con le dottoresse Francesca Bonelli e Irene Nocera.


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Athos nel momento del ritrovamento intrappolato fra i tubi


“Anche Porthos, il lupo adulto, era in condizioni molto critiche quando è arrivato – continua Micaela Sgorbini – era in stato comatoso, disidratato e aveva una frattura all’anca sinistra. Lo abbiamo quindi sottoposto a fluidoterapia e a terapia del dolore. Fortunatamente, nel giro di 48 ore era già vigile, ed è rimasto con noi fino a alla guarigione spontanea della frattura”.


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Porthos nel ricovero dell’Ospedale Didattico Veterinario dell’Università di Pisa


Una volta ristabiliti, il 5 marzo scorso Athos e Porthos sono stati affidati a Marco Aloisi, medico veterinario responsabile sanitario del Parco Faunistico del Monte Amiata, che li ha portati nella loro nuova casa dove, una volta liberati, avranno 18 ettari di terreno a disposizione.

Per la salvaguardia della fauna selvatica, l’ODV “Mario Modenato” dell’Università di Pisa opera in convenzione con la Regione Toscana e dal 2010 a fine 2018, gli animali soccorsi e ricoverati sono stati 194. Insieme a Micaela Sgorbini e al suo team sono coinvolti nella cura degli animali anche i servizi di diagnostica per immagini, di cui è responsabile la professoressa Simonetta Citi, e di anestesiologia che fa capo alla professoressa Angela Briganti.

 

Sono state presentate alle imprese del territorio le ultime ricerche sui dispositivi elettronici “stampati” su carta e materiali flessibili, svolte nel nuovo laboratorio “printable electronics” del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell'Università di Pisa. Il laboratorio è coordinato da Gianluca Fiori, docente di elettronica al dipartimento e vincitore di un prestigioso ERC del Consiglio Europeo delle Ricerche proprio per le sue attività in questo ambito.

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Nella foto, da sinistra: Giuseppe Anastasi, direttore del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione, Gianluca Fiori e Lisandro Benedetti Cecchi, prorettore per la Ricerca europea dell'Università di Pisa.

“Si tratta di un campo di studi – commenta Fiori - che rappresenta una grande occasione, soprattutto per le aziende che operano nel settore di carta e pelli, per innovare i propri prodotti. La nuova tecnologia per la stampa di dispositivi elettronici, infatti, può modificare oggetti di uso quotidiano, come bende, pannolini o cerotti, che, provvisti di elettronica bidimensionale, diventano "intelligenti" e acquisiscono nuove funzionalità, per esempio la capacità di monitorare parametri come pH, umidità o glucosio. Per poter sfruttare le potenzialità di queste innovazioni è però necessario che le imprese siano al corrente di dove si sta muovendo la ricerca”.

Uno degli obiettivi è infatti quello di arrivare sino alla progettazione industriale su larga scala partendo dallo studio dei prototipi. Oltre a Università e Centri di Ricerca europei, infatti, tra i partner dei progetti di elettronica stampabile figurano Quantavis, uno spin-off dell’Ateneo pisano, ed ESSITY, una compagnia leader a livello mondiale nel settore dell'igiene e della salute, conosciuta per marchi popolarissimi come i fazzolettini “Tempo”.

“L’impegno costante del nostro dipartimento – afferma il direttore Giuseppe Anastasi – è cercare di creare occasioni di confronto con le imprese, trovare convergenze e possibili utilizzi, e aprire così la strada ad una ricaduta positiva della ricerca avanzata sul 4.0 italiano. “

La ricerca di frontiera sulla printable electronics condotta nel laboratorio viene finanziata agli scienziati dell’Università di Pisa dall’Unione Europea attraverso due progetti, l’H2020 WASP (Wearable Applications enabled by electronics Systems on Paper) e l'ERC PEP2D (Printable Electronics on Paper through 2D materials based inks).

tour4euCon una sola voce. La Toscana e le sue sette università e scuole di eccellenza si sono presentate insieme a Bruxelles, con la vice presidente Monica Barni, per dire la loro sul futuro della ricerca europea e del programma Horizon Europe, che dal 2021 gestirà gran parte dei finanziamenti. Non dimentichiamo la ricerca di base, avvertono: "È necessaria per la ricerca applicata" spiega la vice presidente. "Serve il giusto equilibrio - aggiungono rettori e prorettori – Sono infatti necessarie tutte e due: altrimenti non ci può essere innovazione". Per l'Università di Pisa era presente il professor Lisandro Benedetti Cecchi, prorettore alla Ricerca europea.

Le università toscane hanno dato via qualche mese fa a Tour4Eu, un'organizzazione con base a Bruxelles che vuol fare da catalizzatore per i finanziamenti europei destinati alla ricerca ma anche rafforzare la presenza degli atenei in Europa. Ne fanno parte le Università di Firenze, Pisa, Siena, Università per stranieri di Siena, Scuola Imt Alti Studi Lucca, Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore Sant'Anna.

L’appuntamento di Bruxelles ha dato l’occasione a Tour4EU di accreditarsi e presentarsi come un valido interlocutore, rappresentativo dell’ecosistema di ricerca toscano, al direttore generale della DG Ricerca Jean Eric Paquet e ai rappresentati del Parlamento Europeo, in particolare alla delegazione guidata dall’on. Patrizia Toia, vice presidente ITRE, la Commissione per l'industria, la ricerca e l’energia: “Tour4EU è uno strumento strategico per promuovere gli interessi del sistema della ricerca toscana presso l’UE - commenta il professor Lisandro Benedetti Cecchi - L’Università di Pisa ne fa parte da protagonista e ne è membro convinto e proattivo grazie alla sua tradizione di ricerca e alla sua forte propensione all’innovazione. L'obiettivo è promuovere gli interessi di ricerca e le idee del nostro Ateneo insieme a quelle dell'ecosistema regionale della ricerca".

"Ieri e oggi - ricorda Barni - abbiamo presentato i risultati di una scelta politica forte della Regione Toscana, che ha voluto sempre di più creare una collaborazione fra gli atenei e i centri di ricerca toscani, con l'intento di porre al centro dello sviluppo sociale ed economico della nostra regione l'alta formazione e la ricerca". "Ieri, ad esempio, prosegue – abbiamo avuto un momento di discussione molto importante con il direttore generale Paquet, che ci ha presentato quelle che pensa saranno le novità del programma Horizon Europe e che potrebbero essere interessanti e promettenti per le nostre università".

Barni non nasconde che uno degli obiettivi che ha portato a sostenere da parte della Regione la nascita di Tour4Eu sia proprio quello di creare un sistema delle università toscane: presentarsi uniti aiuta e rende più forti, aiuta lo sviluppo della Toscana, soprattutto se si accompagna a una internazionalizzazione delle comunità scientifica, e facilita anche le sinergie. E a proposito di sinergie, in questo caso tra fondi strutturali e fondi diretti, la vice presidente si sofferma durante al termine del suo intervento sul programma Cofund Marie Curie. "Potrebbe essere - dice - un momento di sperimentazione di questa sinergia tra fondi strutturali e fondi diretti, al momento rimasta solo a parole". (Comunicato Regione Toscana).

 

Si è concluso il 18 febbraio 2019, il primo ciclo di esperimenti presso la nuova linea di luce del Sincrotrone Soleil di Parigi “PUMA”; progettata e ottimizzata per lo studio dei materiali storico-artistici e archeologici, PUMA (Photons Utilisés pour les Matériaux Anciens) ha aperto le sue porte agli utenti esterni il 13 febbraio 2019. Ad inaugurare la linea di luce due ricercatrici Italiane, Alessandra Gianoncelli, responsabile della linea di luce TwinMic al Sincrotrone Elettra di Trieste, e Simona Raneri, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa ed esperta di metodi innovativi e non distruttivi per i Beni Culturali.

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A sinistra: Alessandra Gianoncelli e Simona Raneri presso la hutch della linea di luce PUMA insieme al responsabile di PUMA, Sebastian Schoeder; a destra Simona Raneri impegnata nel setting up di alcuni campioni.


La nuova linea di luce PUMA consente di effettuare mappature chimiche in fluorescenza a raggi X per la determinazione delle caratteristiche tessiturali e composizionali dei materiali e analisi in spettrometria di assorbimento XANES (X-ray Absorption Near-Edge Structure) e XRD per studi di carattere strutturale. PUMA offre una risoluzione spaziale micrometrica (3-5 micron) e un set-up che consente di analizzare frammenti dell’ordine del centinaio di micrometri; ciò costituisce un notevole vantaggio nello studio di materiali storico-artistici e archeologici sui quali il campionamento è spesso non consentito o limitato a micro-frammenti. 

Le due ricercatrici hanno condotto i primi esperimenti presso PUMA analizzando due classi ceramiche arcaiche: vasi a vernice nera di tradizione Attica (dal Museo di Gela, in Sicilia) e lastre architettoniche dipinte di manifattura Etrusca (dagli scavi del Palatino del Parco Archeologico del Colosseo, Roma). Lo studio di tali materiali rientra nel progetto “Understanding the past and projecting it to the future by using synchrotron radiation sources: technology and raw materials in Archaic Age from Sicily to Rome” promosso in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania. Le ricerche hanno rivelato importanti elementi diagnostici utili all’analisi archeologica e storica dei frammenti analizzati, aprendo nuovi scenari di ricerca che saranno presto approfonditi durante successivi turni di misura a Elettra e Soleil.

La partecipazione di UNIPI e Elettra all’inaugurazione di una linea di luce presso il Sincrotrone di Parigi conferma la sinergia tra le due Istituzioni e crea i presupposti per nuove collaborazioni e accordi di interesse trasversale a più Dipartimenti dell’Ateneo.

 

 

laboratory 2900x600L’Università di Pisa è capofila di 5 Progetti di interesse nazionale (PRIN) e partner di altri 14. È questo quanto emerge dai primi dati resi noti dal Miur relativi all’assegnazione dei PRIN 2017. Al ministero al momento hanno deliberato 7 commissioni su 25 sulle tre linee di ricerca "principale, giovani e sud".

Ecco quindi i progetti vinti dall’Ateneo come ‘principal investigator’.

Per la linea di ricerca “giovani” si è aggiudicato il finanziamento del Miur il dottor Gianluca Miniaci del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere con il progetto “‘Pharaonic Rescission’: Objects as Crucibles of ancient Egyptian Societies”. Per la linea di ricerca “principale” i vincitori per Unipi sono dal Dipartimento di Fisica i professori Dario Pisignano con il progetto “Physical Principles of Multimaterial 3D-Printing: Insights from Physics towards Industry 4.0 (3D-Phys)” e Alessandro Tredicucci con il progetto “MONolithic STRain Engineering platform for TWO-Dimensional materials (MONSTRE 2D)”; dal dipartimento di Matematica il professore Alessandro Berarducci con il progetto “Mathematical Logic: models, sets, computability”; e infine dal Dipartimento di Biologia il professore Lorenzo Peruzzi con il progetto “PLAN.T.S. 2.0 - towards a renaissance of PLANt Taxonomy and Systematics”.

L’Ateneo è inoltre partner in altri 14 progetti con i professori Simone Maria Collavini, Alessandro Polsi e Claudio Sergio Pogliano del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere; Paolo Lisca, Roberto Dvornicich, Rita Pardini, Giuseppe Buttazzo, Mario Salvetti, Claudio Bonanno, Giovanni Alberti, Giulio Bau' del Dipartimento di Matematica; Stefano Roddaro del Dipartimento di Fisica; Benedetta Mennucci del Dipartimento di Chimica e Chimica industriale; Elisabetta Orlandini del Dipartimento di Scienze della Terra.

 

distillatore.jpgGli scarti agricoli delle coltivazioni possono diventare fonti di preziosi oli essenziali dalle elevate proprietà antimicrobiche, una scommessa che è diventata realtà grazie ad uno studio realizzato dalle dell'Università di Pisa e Monastir in Tunisia. La ricerca pubblicata sulla rivista “Chemistry and Biodiversity” si è concentrata sulle parti “non convenzionali” delle carote gialle ed arancioni e di alcune varietà di finocchio.

In particolare dalle foglie e dai fusti senza fiori, i biotecnologi, i farmacologi ed i fitochimici delle due università hanno estratto e caratterizzato oli essenziali che si sono rivelati particolarmente efficaci contro vari microorganismi patogeni, fra cui lo stafilococco aureo, il bacillo del fieno, la salmonella enterica, l’Escherichia coli e la Candida albicans. Il risultato più rilevante si è avuto con l'olio essenziale di finocchio della varietà “azoricum” che, nei confronti della candida, si è dimostrato anche più efficace del farmaco antifungino di sintesi di riferimento (amfotericina B).

“Nell'ottica di un'economia circolare – ha detto il professore Guido Flamini del Dipartimento di Farmacia dell’Ateneo pisano che ha realizzo lo studio con la dottoressa Roberta Ascrizzi - abbiamo utilizzato residui di lavorazione per realizzare un prodotto con un alto valore aggiunto come gli oli essenziali, contribuendo così alla riduzione dei rifiuti e ai costi di smaltimento a carico degli agricoltori”.

Gli scarti agricoli usati per la ricerca sono stati prodotti in Tunisia, con cui il dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa ha da anni rapporti di collaborazione con vari istituti per studiare le piante medicinali, quelle alimentari e i prodotti derivati. In particolare, i ricercatori da Pisa hanno eseguito la caratterizzazione chimica di tutti gli oli essenziali tramite analisi gas-cromatografica abbinata alla spettrometria di massa. L’analisi ha permesso di individuare 60 differenti composti: 28 dalle carote a radice arancione, 22 da quelle a radice rossa e 28 dal finocchio, con una caratterizzazione globale della composizione degli oli essenziali pari al 93%.

“I risultati sono stati incoraggianti – conclude Guido Flamini - l’idea è quindi di proseguire la ricerca usando come materiale di partenza anche scarti di altre specie coltivate. Nulla osta in futuro che un'azienda agricola interessata possa utilizzare i suoi scarti per autoprodursi l’olio essenziale oppure, visti i costi da intraprendere per l'acquisto di un distillatore di dimensioni per lo meno artigianali, che si possa creare un consorzio di più imprese”.


Foto a destra, idrodistillatore Clevenger per l'estrazione degli oli essenziali dal materiale vegetale

L’isola di Stromboli nell’arcipelago delle Eolie è stata l’origine di tre grandi tsunami che hanno flagellato il Mediterraneo in epoca Medievale, uno dei quali ebbe come testimone d’eccezione anche il poeta Francesco Petrarca. La scoperta arriva da uno studio pubblicato sulla rivista “Scientific Reports” e condotto da una equipe di ricercatori delle Università di Pisa e Modena-Reggio Emilia a cui hanno collaborato l’Università di Urbino, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) sezione di Pisa, il CNR, la City University of New York e l’American Numismatic Society.

La ricerca ha rivelato che gli tsunami furono prodotti da crolli improvvisi del fianco nord-occidentale del vulcano di Stromboli e che si abbatterono sulle coste campane fra la metà del Trecento e del Quattrocento come testimoniano le cronache dell’epoca. Il principale dei tre eventi, avvenuto nel 1343, è infatti quasi certamente riconducibile alla grave devastazione dei porti di Napoli ed Amalfi di cui fu testimone Francesco Petrarca che si trovava nella città partenopea come ambasciatore di Papa Clemente VI e che racconta in una lettera di una misteriosa quanto violenta tempesta che il 25 novembre provocò moltissime vittime e l’affondamento di numerose navi.


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Geologi al lavoro a Stromboli


L’identificazione di Stromboli come la sorgente di questi terribili tsunami è stata possibile grazie ad un lavoro interdisciplinare realizzato da vulcanologi e archeologi e portato avanti per l’Università di Pisa dal professore Mauro Rosi e dal dottor Marco Pistolesi del Dipartimento di Scienze della Terra.

“Nella primavera del 2016 – racconta Mauro Rosi - decisi di andare a Stromboli perché avevo in mente un’idea nata dall’aver letto una lettera di Petrarca che parlava di una strana tempesta accaduta a Napoli. Fatti i primi saggi, portammo subito alla luce dei depositi ‘sospetti’, caso vuole poi che nella stessa occasione entrassi in contatto la professoressa Sara Levi dell’Università di Modena-Reggio Emilia che dal 2009 guida una campagna di scavi a Stromboli”.

Il lavoro di ricerca ha comportato, per la parte vulcanologica, lo scavo di tre trincee stratigrafiche nella zona settentrionale dell’isola, lunghe circa ottanta metri e profonde due che hanno portato alla luce tre strati sabbiosi contenenti grossi ciottoli di spiaggia a testimonianza di quanto portato a terra dalle onde di tsunami. I campionamenti, le analisi chimiche dei materiali e le datazioni al carbonio 14 hanno quindi permesso di stabilire una inequivocabile relazione tra quegli strati e i ritrovamenti archeologici che testimoniano il rapido abbandono dell’isola a seguito degli tsunami.

 

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Particolare della stratificazione dove è visibile uno dei grossi ciottoli rinvenuti

“Nella prima metà del Trecento l’isola di Stromboli era abitata e rivestiva un ruolo importante come snodo del traffico navale dei crociati provenienti dalle coste italiane, spagnole e greche, fatto documentato sul pianoro di San Vincenzo da una chiesetta scoperta nel 2015 e che costituisce la prima testimonianza archeologica di occupazione medievale nell’isola – spiega Sara Levi – A seguito dei tre grandi crolli che generarono le onde di tsunami e della contemporanea e particolarmente forte ripresa dell’attività eruttiva del vulcano, l’isola, come testimoniano anche le sepolture rinvenute nell’area delle chiesetta, fu totalmente abbandonata a partire dalla metà del Trecento fino alla fine del Seicento, quando iniziò il suo ripopolamento moderno. La ricostruzione si basa su solidi dati stratigrafici e cronologici ed è frutto della stretta collaborazione interdisciplinare messa in atto in tutte le fasi della ricerca”.

Era già noto che l’isola di Stromboli fosse capace di produrre piccoli tsunami con ricorrenza pluridecennale, ma questo lavoro – conclude Rosi - rivela per la prima volta la capacità del vulcano di produrre anche eventi di dimensioni assai superiori a quelli fino ad oggi noti dalle cronache degli ultimi due secoli”.

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