Contenuto principale della pagina Menu di navigazione Modulo di ricerca su uniPi Modulo di ricerca su uniPi

pane viola ricercatrici2Un pane viola a lievitazione naturale, con tre “super ingredienti” che lo rendono un prodotto in grado di coniugare gli elementi dell’innovazione e quelli della tradizione: è nato “Well-Bred”, il pane dal caratteristico colore dato dalle patate viola, ricco di antiossidanti, a prolungata conservabilità e adatto a consumatori con esigenze particolari (intolleranti al glutine, vegani, ipertesi, ecc.). Il prodotto è il frutto degli studi del gruppo di Tecnologie alimentari, in collaborazione con alcuni ricercatori di Biochimica Agraria dell’Università di Pisa, in particolare della laureanda Anna Valentina Luparelli e della dottoranda Isabella Taglieri, coordinate dalla loro professoressa Angela Zinnai. Il pane viola è stato uno dei progetti che ha partecipato alla finale del PhD+, il corso dell’Università di Pisa che insegna a pensare innovativo e a trasformare le idee in impresa.

«“Well-Bred” rappresenta un prodotto in grado di sintetizzare una serie di aspetti positivi per un alimento, quali l’elevato valore nutraceutico, le migliorate caratteristiche tecnologiche e sensoriali, nonché la maggiore sostenibilità ambientale – spiegano le ricercatrici - Il prodotto può rappresentare un modello per l’intero comparto dei prodotti da forno, che prevedrebbe la rivisitazione delle ricette sia di merende o snack, per uno spuntino nutrizionalmente bilanciato, sia di quei dolci che fanno parte a pieno titolo della grande tradizione dolciaria italiana (panettone, pandoro, colomba, schiacciata pasquale, ecc.). Abbiamo scelto il nome “Well-Bred” (cresciuto bene), giocando sull’assonanza con il termine bread (pane), per valorizzare allo stesso tempo le sue caratteristiche altamente salutari».

I tre “super ingredienti” utilizzati dal gruppo di ricerca sono il lievito madre, antiossidanti naturali e pectine. Il primo è il più antico metodo di lievitazione al mondo che permette di incrementare sapore, valore nutrizionale e conservabilità del pane, apportando composti probiotici e sali minerali. L'uso di pasta madre permette inoltre di ridurre o eliminare la quantità di sale aggiunta nell’impasto e ritardare il processo di raffermamento, proteggendolo dalle muffe e dal deterioramento organolettico. Inoltre, questo pane a lievitazione naturale è stato prodotto sostituendo parte della farina con un’equivalente aliquota di patate viola liofilizzate (Vitelotte) che conferisce al prodotto finale un peculiare colore viola associato a un maggior livello di composti antiossidanti. Infine le pectine, sostanze naturali contenute nella buccia della frutta (ad es. albedo degli agrumi), che essendo in grado di assorbire acqua, garantiscono migliore struttura, sofficità e serbevolezza del prodotto finale. Questi composti possono essere ricavati da altre filiere alimentari, come ad esempio quella dei succhi di frutta, contribuendo a ridurre e valorizzare gli scarti di produzione.

pane_viola_web.jpg

«L’insieme di queste considerazioni rendono “Well-Bred” un prodotto nuovo, in grado di soddisfare le esigenze di un segmento di consumatori in continua crescita, non solo in Italia, ma anche all’estero, soprattutto in quei Paesi che sono i principali importatori dei prodotti della filiera agro-alimentare italiana, come gli Stati Uniti o la Germania – concludono le ricercatrici - Inoltre, questo tipo di prodotto, che ancora è in fase di studio, potrebbe rappresentare una risorsa economica per tutti gli operatori della filiera, in particolare per i produttori primari, perché potrebbe diventare uno strumento di valorizzazione del territorio di produzione, analogamente a quanto accade spesso nel settore vitivinicolo. Un’adeguata retribuzione dei produttori di varietà di grano tradizionali (grani antichi) costituirebbe un valido aiuto per arginare la continua perdita crescente di superficie agricola utilizzabile».

Nelle foto: le ricercatrici Isabella Taglieri (a sinistra) e Anna Valentina Luparelli e un'immagine del pane viola.

Trasformare le vecchie ‘rotonde’ stradali in moderne rotatorie più efficienti e sicure, dove il traffico scorre in modo più fluido, con tempi di ingresso inferiori, file più corte e meno incidenti. Un obiettivo però non sempre raggiungibile senza interventi complessi ed onerosi, almeno sino ad oggi. Dall’Università di Pisa arriva infatti una nuova metodologia capace di ridurre tempi e costi dei lavori rispetto agli approcci attuali. Lo studio condotto dal Antonio Pratelli e Paolo Sechi del dipartimento di Ingegneria civile e industriale in collaborazione con Reginald R. Souleyrette della University of Kentucky è stato pubblicato sulla rivista internazionale “Traffic & Transportation” e documenta due casi di reale applicazione in Toscana.

rotatoria.jpg


“Abbiamo messo a punto una nuova procedura di conversione delle vecchie rotonde stradali in incroci a rotatoria moderna – spiega il professore Pratelli – la nostra proposta risulta più economica e rapida grazie all’utilizzo di un modello accoppiato dinamico-analitico, i test che abbiamo realizzato su due casi reali, uno a Sesto Fiorentino e l’altro a Lucca, confermano la superiorità della nostra soluzione rispetto ad altri approcci esistenti”.

Secondo gli ingegneri dell’Ateneo pisano ad esempio è possibile ammodernare le vecchie rotatorie senza cambiare troppo l’impianto originario assicurando comunque gran parte dei vantaggi delle rotatorie moderne. Come è accaduto nel caso di Lucca, dove la trasformazione della rotonda posta fuori Porta Santa Maria realizzata nel 2010 si è giocata su una riduzione del diametro dell’isola centrale da 78 a 55 metri. Questo ha consentito un allargamento della carreggiata, sia dell’anello centrale che nelle zone di confluenza, con la possibilità di ricavare 80 nuovi parcheggi che di fatto hanno ripagato l’intervento. Contemporaneamente anche la circolazione è migliorata e le code sono passate da più di 180 metri a 12 e i tempi di attesa da oltre un minuto a pochi secondi.

 

pratelli_sechi_souleyrette.png

Da sinistra, Antonio Pratelli, Paolo Sechi e Reginald R. Souleyrette

Le moderne rotatorie sono state introdotte nel Regno Unito negli anni ’60 e si sono diffuse negli anni ’90 rispetto alle vecchie rotonde la differenza è che la precedenza spetta ai veicoli che transitano nell’anello - sottolinea Pratesi - In Italia come negli Stati Uniti esistono oggi molte rotonde stradali, cioè di vecchia generazione, che se convertite permetterebbero di conseguire importanti miglioramenti sia sul piano della sicurezza che su quello dell’efficienza della circolazione. I risultati della nostra ricerca sono un contributo in questo senso che mettono a disposizione uno strumento nuovo tanto per l’impiego tecnico, quanto per scopi di studio”.

 

Un innovativo approccio di ricerca sviluppato all’Istituto Italiano di Tecnologia di Rovereto e dall’Università di Pisa potrà aiutare a capire come alterazioni genetiche compromettono la regolare funzione del cervello, aprendo nuove frontiere nella comprensione delle cause dei disturbi dello spettro autistico.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Brain, è stato condotto dal team di ricercatori guidato da Alessandro Gozzi dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Rovereto e dal professore Massimo Pasqualetti del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa in collaborazione con cinque altri gruppi di ricerca distribuiti sul territorio nazionale. La ricerca, interamente italiana, è stata finanziata dalla fondazione statunitense Simons Foundation for Autism Research Initiative, un ente che seleziona e premia le ricerche più innovative nel campo dell’autismo a livello mondiale.


brain


“Sebbene sia noto che l’autismo sia altamente ereditario, - spiega Alessandro Gozzi, coordinatore del team di ricerca e ricercatore all’IIT - il ruolo che i geni hanno nel determinare questa sindrome non è ancora chiaro. Questo studio rappresenta un’importante dimostrazione di come specifiche alterazioni del DNA possano compromettere le connessioni cerebrali e la regolare funzione del cervello, causando una delle forme più diffuse di autismo.”

Utilizzando la risonanza magnetica funzionale, una tecnica di neuroimmagine totalmente non invasiva che permette di ricostruire digitalmente il cervello dei pazienti in tre dimensioni, i ricercatori IIT hanno analizzato le scansioni cerebrali di 30 bambini affetti da disturbi dello spettro autistico, tutti portatori della stessa mutazione genetica conosciuta con il termine scientifico di “delezione 16p11.2”. L’analisi di questi segnali ha permesso di scoprire che la corteccia prefrontale nei bambini portatori della mutazione oggetto di studio, rimane isolata e non riesce a comunicare efficacemente con il resto del cervello, generando sintomi specifici dell’autismo, come un ridotto interesse ad instaurare relazioni sociali e problemi nella comunicazione.

Lo studio ha previsto una ricerca parallela su modelli animali in cui è stata riprodotta la mutazione 16p11.2. Sempre grazie alla risonanza magnetica, anche nelle cavie sono stati riscontrati gli stessi deficit di connettività e una riduzione del dialogo fra le medesime aree corticali come nei bambini affetti da autismo. I ricercatori dell’Università di Pisa hanno quindi studiato il cervello dei topi portatori della delezione 16p11.2 per cercare di capire se vi fossero alterazioni strutturali capaci di spiegare i deficit di connettività funzionale osservati.

“Grazie a questa analisi parallela – spiega il professore Massimo Pasqualetti – siamo riusciti ad esaminare le connessioni neuronali a livello neuroanatomico fine, cioè con un dettaglio estremo, scoprendo, attraverso lo studio sui modelli animali, quali siano le anomalie strutturali potenzialmente all’origine dei difetti di connettività cerebrale riconducibili allo specifico disturbo dello spettro autistico riscontrato nei bambini portatori della delezione 16p11.2”.

massimo pasqualetti

Il professore Massimo Pasqualetti del Dipartimento di Biologia

Alla luce di questi risultati i ricercatori stanno ora studiando altri geni per capire come le mutazioni nel DNA associate all’autismo alterino le funzioni del cervello e individuare le diverse categorie che compongono lo spettro dell’autismo.

“Ci aspettiamo che questo tipo di approccio permetta di identificare in maniera oggettiva quante e quali forme di autismo esistano – conclude Alessandro Gozzi - un prerequisito fondamentale per l’identificazione di future terapie mirate”.

Oltre all’IIT e all’Università di Pisa hanno partecipato allo studio le Università di Torino e Verona, il Laboratorio europeo di biologia molecolare a Monterotondo, il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Catanzaro e il S. Anna Institute and Research in Advanced Neuro-Rehabilitation a Crotone.

 

 

Pisa diventa “RoboTown”, la città dei robot, grazie alla seconda edizione del Festival Internazionale della Robotica, ospitato per la seconda edizione, dal 27 settembre al 3 ottobre 2018, nella città toscana che vanta una delle più alte concentrazioni al mondo di addetti e di attività per la ricerca, lo sviluppo, l’applicazione di sistemi robotici verso settori sempre più ampi, che ormai arrivano a coinvolgere (e migliorare) ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Dopo l’esordio del 2017, caratterizzato da un successo record con oltre 10 mila presenze, si conferma estesa e rilevante la rete delle istituzioni di Pisa che hanno confermato il valore e la rilevanza del Festival come elemento chiave per pianificare l’ulteriore sviluppo territoriale, per aumentarne la notorietà a livello mondiale e, soprattutto, per dimostrare come la robotica, in tutte le sue declinazioni, sia una tecnologia amichevole per l’uomo. I sistemi robotici, infatti, sono a servizio dell’uomo per aiutarlo e per agevolarlo, mai per sostituirlo, a meno che non si tratti di compiere incarichi pesanti e pericolosi. 

EGO1_3.JPG 
Ego, il robot del Centro di Ricerca “E.Piaggio” dell’Università di Pisa in grado di intervenire e lavorare in zone inaccessibili e pericolose

 

In questi giorni si rinnova il protocollo di intesa che vede impegnarsi nell’organizzazione e nel sostegno del secondo Festival Internazionale della Robotica Regione Toscana, Comune di Pisa, Provincia di PisaUniversità di PisaScuola Normale SuperioreScuola Superiore Sant'Anna, Consiglio Nazionale delle Ricerche di PisaIstituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, Centro di Ricerca “E.Piaggio” dell’Università di Pisa, Centro di Eccellenza Endocas dell’Università di Pisa, Irccs Fondazione Stella MarisCamera di Commercio, Azienda Ospedaliero-Universitaria PisanaFondazione Arpa. Confermata la direzione del Festival di Franco Mosca, presidente della Fondazione Arpa e professore emerito di chirurgia generale all’Università di Pisa. Alla direzione artistica è stato riconfermato Renato Raimo, che curerà la regia e condurrà l’evento clou, in programma il 3 ottobre al Teatro Verdi di Pisa, con la partecipazione di Andrea Bocelli. 

Aumentano le sedi che ospitano gli eventi dell’edizione 2018 del Festival Internazionale della Robotica, per rispondere alle esigenze di un programma dove sono più numerose le aree di interesse e che si distribuisce sul territorio, dalla Versilia a Pontedera, lungo l’Arno Valley. A Pisa, tra le sedi, si ricordano gli Arsenali Repubblicani, il convento delle Benedettine e il palazzo della Sapienza dell’Università di Pisa, la Stazione Leopolda, la Scuola Normale Superiore, la Scuola Superiore Sant’Anna, i Navicelli, l’Opera della Primaziale, la Camera di Commercio, il Centro di Ricerca Enel, l’Unione Industriale Pisana, la Domus Mazziniana, le Officine Garibaldi, il Parco Naturale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, la Torre Guelfa della Cittadella, il Museo e il Cantiere delle Navi Antiche, il Centro di Restauro del Legno Bagnato. Con la nuova edizione si aggiungono il Teatro Puccini a Torre del Lago (Lucca) e la Fondazione Piaggio di Pontedera (Pisa).  

soft_hand_3.jpg
La mano robotica SoftHand, che replica i meccanismi di funzionamento della mano umana. progettata dal Centro Piaggio in collaborazione con IIT

 

Il programma si sta delineando e comprende già decine di eventi di carattere scientifico, divulgativo, musicale e culturale, per rispondere alle esigenze di un pubblico ampio e variegato, proprio come ampia è la presenza della robotica – intesa nel senso più ampio del termine – nella vita quotidiana. Sono previsti eventi sul contributo della robotica in sanità, nella cooperazione umanitaria, nella nautica da diporto, anche per permettere alle persone differentemente abili di affrontare un viaggio in mare in sicurezza, nello sport, nell’industria e nel mercato del lavoro. La riflessione si soffermerà sulle implicazioni etiche, sociali, economiche legate alla sempre più massiccia diffusione della robotica, senza tralasciare aspetti che coinvolgono la “green economy”, il recupero e la conservazione dei beni culturali, la medicina, esplorando anche il ruolo di professioni come quella dell’infermiere nella gestione delle nuove tecnologie. 
 
Attenzione particolare riservata alla robotica educativa, che permette al Festival di avviare una collaborazione con Internet Festival, in programma dall’11 al 14 ottobre 2018, sempre a Pisa. All’interno dell’Internet Festival, saranno proposti laboratori di robotica educativa pensati per gli studenti delle scuole, dalle elementari alle superiori. Grazie a questa partnership, Internet Festival e Festival Internazionale della Robotica propongono laboratori che vedono protagoniste le nuove generazioni, per facilitare il coinvolgimento degli studenti, dei docenti e di tutti coloro che vorranno entrare in contatto con la robotica o approfondire la conoscenza delle tecnologie che stanno ridisegnando il futuro dell’educazione e della didattica. A proposito di collaborazioni, da segnare quella con BRIGHT 2018, la Notte dei Ricercatori, che in particolare nella città di Pisa prevede eventi diffusi di divulgazione scientifica, con particolare attenzione per la robotica.

009_sliderDII.png
Squadre di veicoli sottomarini autonomi per azioni di montoraggio e intervento in mare, progettati dal team di ricerca in robotica subacquea del Centro Piaggio

 

Anche la seconda edizione del Festival presenta un cartellone culturale con concerti, spettacoli e un occhio particolare per il cinema, proponendo il nuovo concorso cinematografico “Pisa Robot Film Festival”, rassegna per scoprire quanto sia saldo il legame tra il mondo della celluloide e quello della robotica. 

In un programma in continuo aggiornamento, con decine di appuntamenti, ecco alcune date da non dimenticare: 27 settembre inaugurazione al Teatro Verdi; 28 settembreBRIGHT 2018, la Notte dei Ricercatori; 29 settembre (pomeriggio) concerto “LOLA”, nell’aula magna della Sapienza, Università di Pisa (pomeriggio), “ROBOTopera” al Teatro Puccini di Torre del Lago (sera); 30 settembre concerto con la chitarra appartenuta a Giuseppe Mazzini, presso la Domus Mazziniana; 1 ottobre concerto di strumenti antichi presso la Domus Mazziniana (pomeriggio) “Totentanz” di Franz Liszt al Camposanto Monumentale del Duomo di Pisa (sera); 2 ottobre opera “Don Cristobal” alla Gipsoteca di arte antica dell’Università di Pisa; 3 ottobre concerto con Andrea Bocelli e Maria Luigia Borsi al Teatro Verdi di Pisa.  
 
Per seguire il Festival: www.festivalinternazionaledellarobotica.it , Facebook, Twitter, Instagram.

L’assistenza al parto, come evento sociale tutto al femminile, non è una caratteristica esclusiva degli umani come sinora ritenuto, ma un comportamento che condividiamo con i bonobo, una specie “cugina” molto vicina a noi dal punto di vista evolutivo. La scoperta arriva da una ricerca pubblicata sulla rivista americana “Evolution and Human Behavior” e condotta da Elisabetta Palagi dell’Università di Pisa, Elisa Demuru dell’Università di Parma e Pier Francesco Ferrari del CNRS francese.

Le studio etologico è stato realizzato presso il Parco Primati Apenheul nei Paesi Bassi e La Vallée des Singes in Francia dove i ricercatori sono riusciti a filmare tre nascite nel bonobo fin dalle prime fasi del travaglio, un’opportunità eccezionale che ha permesso di documentare non solo il comportamento della mamma, ma anche quello dell’intero gruppo sociale. Mai prima d’ora i comportamenti legati al parto in una grande scimmia erano stati descritti e analizzati in modo così dettagliato.

mamma e piccola.jpg

La femmina Lucy e la sua piccolina di due giorni (Foto di Elisa Demuru)



“Durante il parto di una loro compagna, le femmine di bonobo le si stringono intorno e mettono in atto comportamenti per proteggerla e supportarla in un momento di massima vulnerabilità, fino ad arrivare ad aiutare la partoriente a sorreggere il piccolo durante la fase espulsiva – spiega Elisabetta Palagi – Inoltre, gli scambi di espressioni facciali, vocalizzazioni e gesti raccontano una storia di intensa partecipazione emotiva che i ricercatori non hanno mai registrato in altre situazioni”.

L’assistenza al parto è sempre stata considerata una peculiarità che ci distingue dagli altri animali e la principale ragione è che per le donne il parto è reso estremamente difficoltoso dall’evoluzione che ci ha reso bipedi e “cervelloni”, abbiamo cioè un cranio molto voluminoso che però deve passare da un canale reso angusto per soddisfare le esigenze dettate dalla postura eretta. Queste condizioni però non valgono per le grandi scimmie, bonobo compreso, dove tuttavia il travaglio è comunque un evento sociale ed emotivo. Secondo i ricercatori, le somiglianze nelle dinamiche sociali attorno alla partoriente osservate nel bonobo e nell’uomo sono legate agli alti livelli di coesione femminile che caratterizzano queste due specie “cugine”. I bonobo, infatti sono considerati dagli etologi una specie estremamente tollerante e “femminista” dove il ruolo di comando spetta alle femmine che cooperano e formano forti alleanze e amicizie che vanno al di là dei semplici legami di parentela.

 

Da sinistra, Elisabetta Palagi, Elisa Demuru e Pier Francesco Ferrari


“La nostra ricerca dimostra quindi come l’assistenza al parto nei bonobo sia presente anche se l’evento non risulta particolarmente complicato – conclude Palagi – il che potrebbe suggerire addirittura il ribaltamento di un paradigma evolutivo che ci riguarda direttamente. In altre parole, potrebbe non essere stata la difficoltà dell’evento in sé a determinare l’assistenza al parto ma, al contrario, la socialità nel momento al parto potrebbe aver favorito l’evoluzione di quelle caratteristiche morfo-anatomiche, dalla misura del cranio all’andatura bipede, che hanno reso la nostra specie così peculiare”.

 

 

The Joint Research Centre (JRC) of the European Commission, whose mission is to provide independent scientific advice and support for the European Union strategy in the research sector, today met with the entire Pisan research system. The initiative started from talks between Professor Walter Ambrosini, President of the Second Cycle Degree Program in Nuclear Engineering, Francesco Marcelloni, Pro-Rector for Cooperation and International Relations, Lisandro Benedetti Cecchi, Pro-Rector for European and International Research, and Maria Betti, Director of the JRC’s Directorate G on Nuclear Safety and Security.

 gruppo_jrc_3.jpg

Among the participants were Charlina Vitcheva, the JRC’s deputy general manager; several other JRC directors and experts; Monica Barni, vice-president of the Tuscany Region, as well as researchers from the University of Pisa, the Superior Normal School (Scuola Normale Superiore) of Pisa, the Sant'Anna Superior School, the National research Council (CNR), the National Institute of Nuclear Physics (INFN), the National Institute of Geophysics and Vulcanology (INGV) and the European Gravitational Observatory (EGO - VIRGO). The purpose of the meeting was to identify possibility areas for collaboration between the University of Pisa, along with all the other Pisan research institutions, and the Joint Research Center. The day was divided into several sessions dedicated to macro strategic research sectors for Europe - energy and environment, artificial intelligence, new materials and biotechnologies - with the aim of identifying a roadmap leading to agreements for future collaboration.

JRC_rettore_barni.jpg

"Ever since I took office as rector, I have strongly encouraged every action that aims to promote the research and international partnerships of this University - declared Paolo Mancarella, Rector of the University of Pisa - This workshop, whose main purpose is to investigate possible collaboration with the JRC, once again moves in that direction. I am very happy and honored that such an important organization as the JRC is here today in Pisa with some of its most authoritative members. Thanks to the efforts of our university, we have been able to bring together the entire Pisan research system and to present to the JRC all the numerous excellences that it boasts. The University of Pisa has always been a vital part of the city of Pisa and its territory and has always acted as a meeting point for the various institutions involved in research in the area, not least because many of the researchers present in these institutions were trained in the classrooms and laboratories of the University of Pisa." 

JRC_pubblico.jpg

"The JRC already works with over a thousand partners and it wants to develop its collaboration with areas of excellence and scientific ecosystems - commented Charlina Vitcheva - We are very happy to have met with the Pisan system of research today and we are sure that this initiative marks the beginning of a close collaboration with the JRC. Our goal is to see how we can benefit from shared research and partnerships among researchers, able to bring new approaches to innovative research areas and themes"

"When Professor Walter Ambrosini introduced us to Maria Betti and we started discussing the possibility of organizing a common event, we immediately saw it as a great opportunity for the University of Pisa and for the entire Pisan research system - adds Professor Francesco Marcelloni - We are very happy and honored that this workshop today has made it possible for us to present to the JRC the multiple research activities that take place at the University of Pisa and in all the other institutions present in the territory; and we sincerely hope that this first meeting will enable close collaboration in the future, which will allow, on the one hand, the research network to draw on the competences and knowledge present in the JRC and on the other, the JRC to use the numerous excellences present in Pisan system".

JRC_aula.jpg

In un momento strategico per la definizione delle politiche dell’UE a sostegno di ricerca e innovazione, l’Università di Pisa ha firmato, il 16 maggio scorso, l’accordo per la costituzione di Tour4Eu (Tuscan Organisation of Universities and Research for Europe), l’associazione senza scopo di lucro di diritto belga che riunisce la Regione Toscana e le sette università toscane (Università di Pisa, Università di Firenze, Università di Siena, Università per Stranieri di Siena, Imt Alti Studi Lucca, Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore Sant'Anna) per promuovere gli interessi del sistema della ricerca toscana presso l’UE, rafforzarne l’internazionalizzazione e accrescerne la progettualità europea.

Alla firma a Bruxelles era presente per l’Università di Pisa il professor Lisandro Benedetti-Cecchi, prorettore per la Ricerca in ambito europeo e internazionale, che dell’associazione Tour4Eu sarà vice presidente (alla presidenza ci sarà la vicepresidente della Regione Toscana e assessore alla Ricerca, Monica Barni).

Tour4Eu-2 (2).jpg
I rappresentanti della Regione e delle università toscane a Bruxelles il 16 maggio per la costituzione di Tour4Eu. 

A Bruxelles sono già presenti numerose reti, enti, centri di ricerca, università singole e consorziate. Tour4Eu si inserisce in questo panorama per interagire con le istituzioni dell'Unione europea e intercettare opportunità, finanziamenti e incoraggiare la collaborazione fra ricercatori e altri partner europei. L'associazione avrà il compito di promuoverà sinergie, internazionalizzazione, cooperazione scientifica e progettazione europea e lavorerà per favorire l'interazione degli atenei con il mondo industriale toscano più avanzato e innovativo in modo da partecipare insieme alle opportunità offerte dai bandi europei.

bruxelles-unione-europea.jpg

«L’Università di Pisa ha creduto fortemente in questa iniziativa e ha avuto un ruolo importante nella costituzione dell’associazione – dichiara il rettore Paolo Mancarella – È nostra intenzione accogliere pienamente la sfida di rendere Tour 4Eu uno strumento chiave non solo per attrarre risorse ma per rafforzare la mentalità europea della ricerca. Una sfida che l’Ateneo pisano ha già fatto propria, adottando una serie di iniziative che da un lato incentivano la progettualità europea dei propri docenti e dall’altro cercano di accrescere le opportunità di dialogo di UNIPI con i decision-maker europei».

«È fondamentale per la nostra università e tutto il sistema toscano della ricerca e dell’innovazione essere presenti sulla scena europea – aggiunge il prorettore Lisandro Benedetti Cecchi – si tratta non solo di intercettare le opportunità di finanziamento che dall’Europa arrivano, con un incremento del 30% delle risorse dedicate al nuovo programma di Ricerca e Innovazione Horizon Europe, ma anche di portare la voce degli atenei toscani presso le istituzioni, per valorizzare le competenze di un sistema della ricerca che è un unicum nel panorama italiano e tra i più competitivi a livello europeo e internazionale».

Il Joint Research Centre (JRC) della Commissione Europea, che ha come missione fornire consulenza scientifica indipendente e supporto alla strategia della Unione Europea, ha incontrato oggi l’intero sistema pisano della ricerca. L’iniziativa è nata da colloqui intercorsi tra il professor Walter Ambrosini, presidente del corso di laurea magistrale in Ingegneria nucleare, Francesco Marcelloni, prorettore alla cooperazione e relazioni internazionali, Lisandro Benedetti Cecchi, prorettore alla ricerca europea e internazionale, e Maria Betti, direttore della Direzione G. Nuclear Safety and Security del JRC.

20180518_IMG_0106.jpg

Alla giornata sono intervenuti Charlina Vitcheva, vice direttore generale del JRC, alcuni direttori ed esperti del JRC, Monica Barni, vice-presidente della Regione Toscana, oltre a ricercatori dell’Università di Pisa, Scuola Normale Superiore, Scuola Sant’Anna, CNR, INFN, INGV ed EGO. Scopo dell’incontro è stato identificare possibilità di collaborazioni tra l’Università di Pisa – insieme a tutte le istituzioni pisane della ricerca – e il Joint Research Centre. La giornata era articolata in varie sessioni dedicate a macro settori di ricerca strategici per l’Europa – energia e ambiente, intelligenza artificiale, nuovi materiali e biotecnologie – con l’intento di identificare una roadmap che porti a futuri accordi di collaborazione.

 JRC_rettore_barni.jpg

“Da quando mi sono insediato come rettore, ho incoraggiato con convinzione ogni azione che tendesse a promuovere la ricerca e le partnership internazionali di questo Ateneo – ha dichiarato Paolo Mancarella, rettore dell’Università di Pisa – Questo workshop, il cui principale scopo è quello di investigare possibili collaborazioni con il JRC, va ancora una volta nella direzione auspicata. Sono molto felice e onorato che un’organizzazione così importante in ambito comunitario come il JRC sia oggi qui a Pisa con alcuni dei suoi più autorevoli esponenti. Grazie all’impegno della nostra università, siamo riusciti a riunire l’intero sistema pisano della ricerca e a presentare al JRC tutte le numerose eccellenze che questo vanta. L’Università di Pisa è da sempre parte indistinguibile della città e del territorio e ha sempre agito come punto di incontro delle varie istituzioni attive nella ricerca nel territorio, se non altro perché molti dei ricercatori presenti in queste istituzioni si sono formati nelle aule dell’Università di Pisa e nei suoi laboratori”.

JRC_pubblico.jpg

“Il JRC già collabora con oltre mille partner e desidera coltivare la collaborazione con le eccellenze e con gli ecosistemi scientifici – ha commentato Charlina Vitcheva – Siamo molto felici di aver incontrato oggi il sistema pisano della ricerca e contiamo sul fatto che questa iniziativa sia l’inizio di una stretta collaborazione con il JRC Il nostro obiettivo è vedere come si possa beneficiare di ricerche comuni e partnership tra ricercatori in grado di portare nuovi approcci in aree e temi innovativi della ricerca”.

“Quando il professor Walter Ambrosini ci ha presentato Maria Betti e abbiamo cominciato a discutere della possibilità di organizzare un evento comune, ci è subito parsa una grande opportunità per l’Università di Pisa e per l’intero sistema pisano della ricerca – aggiunge il professor Francesco Marcelloni – Siamo molto contenti e onorati che oggi questo workshop permetta di presentare al JRC le molteplici attività di ricerca che si svolgono nell’Università di Pisa e in tutte le altre istituzioni presenti nel territorio e speriamo vivamente che questo primo incontro consenta di attivare future strette collaborazioni, che permettano, da un lato, alla rete pisana della ricerca di attingere dalle competenze e conoscenze presenti nel JRC e dall’altro al JRC di utilizzare le numerose eccellenze presenti nel territorio”.

JRC_aula.jpg

Il nuovo velivolo PrandtlPlane prende forma a un anno di attività dall’inizio del progetto PARSIFAL, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma di Ricerca ed Innovazione “Horizon 2020”. È stato infatti realizzato un modello in scala 1:50 della configurazione definita attraverso gli studi iniziali che sono stati fatti presso l’Università di Pisa e le altre sedi dei partner del progetto, con il coordinamento del professor Aldo Frediani, responsabile della ricerca.

PARSIFAL_TRA2018.jpg

La nuova configurazione del “PrandtlPlane”, con ali che “sorreggono” la fusoliera sia nella parte anteriore che in quella più vicina alla coda, oltre ai noti vantaggi in termini di riduzione della resistenza aerodinamica, consentirà infatti di trasportare fino a circa il 50% in più di passeggeri per ciascun singolo volo, consentendo dunque di realizzare quell’aumento di traffico viaggiante che sarà necessario per far fronte alle richieste del mercato, ma mantenendo in pratica lo stesso numero di voli e la piena compatibilità con gli aeroporti che oggi ospitano aerei con la stessa apertura alare. Corridoi più larghi e un maggior numero di porte di entrata e uscita, permetteranno di ridurre i tempi di imbarco e di sbarco, impattando in modo sostenibile su tempi di “turn-around”, e di stazionamento in aeroporto in generale.

Come sarà l’aereo del futuro, guarda il video.

“Il PrandtlPlane si configura come la soluzione più promettente per conciliare il futuro aumento di richiese nel settore dell’aeronautica civile, con l’imminente saturazione degli spazi aeroportuali che stanno vivendo, sin da ora, grosse problematiche dovute al già troppo elevato numero di voli presenti – dichiara il professor Aldo Frediani – Le nuove soluzioni tecnologiche adottate nel PrandtlPlane permetteranno altresì di ridurre i consumi specifici, l’inquinamento ambientale e i costi di esercizio: questo è l’argomento principale che vedrà impegnati i ricercatori di PARSIFAL durante il prossimo periodo di attività”.

image.png

Gli studi di mercato fatti nel primo periodo di attività di PARSIFAL, mostrano come nei prossimi venti anni ci si aspetti un incremento di traffico aereo fino al 50% superiore ad oggi per rotte soprattutto continentali (corto e medio raggio), e proprio sulle quali il team di ricercatori ha deciso di orientare l’impostazione iniziale del velivolo.

Il modello è stato presentato a due tra i principali eventi che si svolgono in Europa: la “Transport Research Arena (TRA-2018)” che ha avuto luogo a Vienna gli scorsi 16-19 aprile, e la “ILA Berlin Air Show (ILA-2018)”, svoltasi a Berlino dal 25 al 29 aprile, dove un team di docenti e di dottorandi dell’ateneo pisano ha partecipato su esplicito invito della Commissione Europea, che ha peraltro ospitato il modello presso i propri stand espositivi.

ila_conference.jpg

Un team di ricercatori ha individuato un nuovo metodo più efficace per somministrare i farmaci nel trattamento delle degenerazioni retiniche come la maculopatia. La novità arriva dal dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa dove Susi Burgalassi, Daniela Monti, Nadia Nicosia, Silvia Tampucci, Eleonora Terreni e Patrizia Chetoni hanno condotto uno studio sperimentale in collaborazione con Andrea Vento direttore dell’Unità di oculistica dell’Ospedale Versilia di Viareggio. La ricerca finanziata con i fondi di Ateneo è stata appena pubblicato sulla rivista “Drug Delivery and Translational Research”, giornale ufficiale della Controlled Release Society.

 

Gruppo di ricerca_inside.jpg

Il gruppo di ricerca Unipi, da sinistra: Susi Burgalassi, Daniela Monti, Patrizia Chetoni, Silvia Tampucci, Eleonora Terreni



Ad oggi per la cura delle degenerazioni retiniche viene principalmente utilizzato il Bevacizumab, un farmaco che blocca la genesi vascolare della malattia, e la sua somministrazione avviene mediante iniezioni intraoculari all’interno del corpo vitreo ripetute, generalmente, a cadenza mensile.

“Queste ripetizioni aumentano il rischio e la gravità degli effetti collaterali che, in alcuni casi, possono essere anche molto seri – spiega Susi Burgalassi dell’Università di Pisa - del resto, la macromolecola del Bevacizumab non supera le barriere oculari in quantità terapeuticamente sufficienti se somministrato per via topica, cioè attraverso un semplice collirio”.

La soluzione sperimentata è stata quindi quella di mettere a punto un millimetrico impianto da inserire nell’occhio sotto la congiuntiva per il rilascio prolungato del farmaco, che si “dissolve” naturalmente una volta esaurito il suo compito. Si tratterebbe cioè di una “matrice” ottenuta mediante liofilizzazione e realizzata con un polimero che deriva dalla cellulosa.

 


infografica_matrice.jpg

Immagine di un occhio, la freccia azzurra indica la posizione precisa dell’inserimento della matrice, sotto la congiuntiva superiore che ricopre la sclera, a destra la matrice


“La possibilità di dosare il farmaco attraverso questo sistema, pur mantenendo un certo grado di invasività, porterebbe ad una diminuzione della frequenza di somministrazioni, con conseguente diminuzione dell’incidenza di effetti collaterali”, aggiunge Susi Burgalassi.

La sperimentazione condotta su modelli animali ha quindi rivelato che il dispositivo può essere ben tollerato e che è in grado di rilasciare il farmaco per circa 3 mesi.

“Il sistema è sicuramente migliorabile in termini di facilità di applicazione e durata del rilascio e questo lavoro getta le basi per ulteriori ricerche in questo senso – conclude Burgalassi – ma già adesso le nostre matrici sono pensate per essere prodotte a livello industriale e, al contrario dei dispositivi sinora sperimentati, possono essere facilmente rese sterili con processi conosciuti e sicuri”.

Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa