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Gabriele SicilianoUno studio multicentrico sull’efficacia clinica del trattamento a lungo termine con il farmaco steroideo Deflazacort per i pazienti affetti da distrofia muscolare congenita causata da difetti del gene LMNA, e sulla ricerca di biomarcatori affidabili, si è classificato primo nel bando nazionale per i progetti di ricerca indipendente, in tutto 12, che verranno finanziati sui fondi 2017 dell’Aifa-Agenzia italiana del farmaco per un valore complessivo di 7.670.976,50 di euro.

Lo studio, presentato dal professor Gabriele Siciliano (foto), neurologo responsabile del Programma sulle malattie neuromuscolari e in servizio nell’Unità operativa di Neurologia dell’Aoup, si è posizionato in testa alla graduatoria finale, stilata dalla Commissione Aifa, su un totale di 368 protocolli valutati.

Si tratta di uno studio, di cui Pisa è capofila, finalizzato a verificare, in pazienti colpiti da questa rara patologia causata da un deficit genetico della lamina, importante proteina dello scheletro nucleare nelle fibre muscolari, gli effetti sulla traduzione proteica nelle cellule muscolari di questo trattamento cortisonico. Approfondire la notevole variabilità clinica di questo tipo di miopatia, che va da forme puramente muscolari a gravi forme cardiomiopatiche che possono rendere necessario il trapianto cardiaco, sarà l’altro obiettivo dello studio, che si propone di individuare biomarcatori di malattia necessari per proseguire la sperimentazione con ulteriori opzioni terapeutiche.

Il professor Siciliano sarà quindi a capo del gruppo di lavoro composto, oltreché dalla Neurologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana, dall’Istituto Neurologico Besta di Milano, dall’Istituto Gaslini di Genova, dall’Istituto di Genetica molecolare del Cnr di Bologna, dall’Azienda ospedaliera universitaria di Padova, dall’Istituto delle Scienze neurologiche dell’Ospedale Bellaria di Bologna, dall’Ospedale e IRCCS Bambin Gesù di Roma. Nello staff pisano le neurologhe Giulia Ricci e Costanza Simoncini. Il finanziamento ottenuto coprirà la durata dello studio di 24 mesi.

“Nella graduatoria finale della Commissione Aifa – come si rileva nella nota ufficiale - l’area tematica delle ‘malattie rare’ è stata la più rappresentata, con ben 7 studi. I progetti ammessi al finanziamento hanno ottenuto un punteggio pari o inferiore a 9, valore soglia che corrisponde all’eccellenza stabilito dal Cda dell’Aifa e l’iter di valutazione è stato condotto mediante un sistema di revisione indipendente internazionale articolato in due fasi. Nella prima fase, due revisori indipendenti hanno valutato gli studi assegnando un punteggio in base a criteri quali la rilevanza scientifica, il livello di innovatività, la metodologia, il disegno di studio, la produzione scientifica dello sperimentatore principale e l’adeguatezza dei centri sperimentali. La seconda fase di valutazione è stata svolta da una Study Session di 16 esperti nazionali con competenze specifiche nelle aree tematiche individuate dal bando, nominati dall’Aifa e chiamati a valutare il potenziale impatto dei progetti sul Servizio sanitario nazionale e la congruità dei budget richiesti. La Study Session ha poi assegnato i punteggi che hanno portato alla costituzione della graduatoria finale” (Fonte ufficio stampa AOUP).

paolo piaggiLe persone a rischio obesità si possono individuare già a 10 anni, sono i bambini che per predisposizione genetica hanno un metabolismo “risparmiatore”. Per la prima volta uno studio italo-statunitense dell’Università di Pisa e del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases del Maryland ha individuato il rischio in una età così precoce correlando la misura del metabolismo basale e l’aumento di peso durante l’adolescenza. La ricerca è stata condotta per l’Ateneo pisano dall’ingegnere biomedico Paolo Piaggi (a destra), ora al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dopo aver vinto nel 2015 il programma "Rita Levi Montalcini", un progetto del Miur per far rientrare in Italia i giovani ricercatori che lavorano all’estero.

“Il risultato importante di questa ricerca è la dimostrazione che alcuni bambini hanno un ridotto metabolismo il che è probabilmente dovuto ad una predisposizione genetica, hanno cioè un genotipo metabolico “risparmiatore” – spiega Paolo Piaggi - i bambini con questo profilo metabolico dovrebbero essere quindi individuati prima possibile in modo da prevenire l’insorgenza di sovrappeso e obesità nell’età adulta, con tutte le complicanze che questa condizione comporta come ad esempio, il diabete o i rischi cardiovascolari”.

La ricerca pubblicata sulla rivista scientifica “Metabolism Clinical and Experimental” è stata condotta su 181 bambini Nativo Americani (91 femmine e 90 maschi), un campione selezionato proprio perché in questa etnia l’obesità è particolarmente diffusa. Questo per i ricercatori rappresenta infatti un vantaggio poiché risulta più facile identificare i fattori di rischio, pur mantenendo validi i risultati per tutte le altre etnie.

Tutti i bambini sono stati visitati per ottenere le misure del loro metabolismo basale a 5 e a 10 anni, due età scelte poiché definiscono le fasi della crescita durante l’infanzia. I ricercatori hanno quindi messo in relazione i dati metabolici con l’aumento di peso a 15 anni quantificato come variazione dell’indice di massa corporea in unità standardizzate (“z-score”), un indice che, per stabilire il sovrappeso nei bambini e adolescenti, tiene conto non solo del peso corporeo ma anche dell’altezza, del sesso e dell’età. Dall’analisi sono emerse associazioni significative per quanto riguarda le misure del metabolismo a 10 anni: una differenza di 200 kcal al giorno nel metabolismo basale è infatti associata ad un aumento di 0.18 unità dello z-score di peso a 15 anni.

“In altre parole, presi due bambini a 10 anni con una differenza di 200 kcal al giorno nel loro metabolismo basale, il bambino con dispendio energetico minore guadagna 0.18 unità z-score di peso a 15 anni rispetto al bambino con un dispendio energetico maggiore – conclude Paolo Piaggi – è quindi molto importante individuare questi bambini caratterizzati da un metabolismo “risparmiatore” per aiutarli a prevenire e contrastare la loro predisposizione all’obesità unendo una dieta sana ed equilibrata ad una attività fisica regolare”.

 

Evil ditches, devils, demons, circles of hell, eternal pain and forgotten people. These are some of Dante’s words and expressions which recur in the descriptions of the Nazi Lagers as recounted by the survivors: the Lager is a hell on earth which the survivors are able to describe by borrowing the language of Dante. The categorical imperative of ‘the obligation to testify’ has therefore found a voice through Dante’s Divine Comedy, which has provided the victims with the vocabulary necessary to name events and realities otherwise indescribable. These ‘right words’ are, in fact, the focal point of the study carried out by Marina Riccucci, a professor of Italian literature at the University of Pisa. She has been working on this theme for around two years and by the end of 2019 will have published at least three works, one of which with her pupil Sara Calderini in the “Italianistica” journal.

 

Sandro Botticelli La Carte de lEnfer



The study takes into consideration non-literary texts such as diaries, letters and oral recounts of those who were interned in extermination camps. This is a huge heritage which includes, for example, “Un mondo fuori dal mondo”, an investigation carried out by the DOXA institute in 1971 among the Italian ex-deportees from various extermination camps, but also a number of specific interviews conducted by Riccucci with Senator Liliana Segre, Mauro Betti, a political dissident interned in various camps who sadly passed away last year, and Goti Bauer, the oldest living Italian woman to have survived Auschwitz.

“The thing which strikes you the most“, says Marina Riccucci, “is the great difficulty the witnesses have in telling their stories and the most common phrase is ‘no words can express it’: at the same time, however, when these people are able to put a name and face to what they have seen and undergone, it comes naturally to them, almost like a reflex action, to resort to the image of Dante’s hell, regardless of their level of education; Dante is referred to as a collective linguistic patrimony, with no literary pretense, driven by the need to find a code - the right words.”

For the survivors, therefore, in many cases the concentration camp is like Dante’s world beyond the grave and for this reason when they refer to it, they invoke the images created by Dante, using the very words of the poet of the Divine Comedy.

 

marina riccucci

Marina Riccucci

In order to describe the arrival in the lager, witnesses often borrow the words from the third ring of Dante’s Hell, which say “Lasciate ogni speranza o voi che entrate (Abandon hope all ye who enter here)/… / Per me si va nella città dolente, (Through me you pass into the city of woe) / per me si va ne l’etterno dolore, (through me you pass into eternal pain) /per me si va tra la perduta gente (through me among the people lost for aye).” In addition, they appear to feel the need to repeat terms like ‘bolgia’ (ditch) and ‘Malebolge’ (Evil ditches), or expressions such as ‘voci alte e fioche’ (voices shrill and faint), ‘pianti e altri guai’ (lamentations and loud cries), and ‘girone infernale’ (circles of hell) and when they talk of the moment of liberation they say they have returned ‘a riveder le stelle’ (to rebehold the stars). They have no intention of citing or professing to a literary culture. The survivors constantly feel a pressing need to find the right words to describe the unthinkable.

“The concentration camps recur in the words of the witnesses like a concrete realization of a perverse and evil fantasy, just like the one proffered by Dante, the best and most representative example,” concludes Marina Riccucci. “The difference is that the divine justice expounded in Dante’s poem is literally turned upside down: in the Lagers, in fact, it was the innocent victims of delinquent persecutors who were tortured and killed. We must never forget that what the survivors saw and endured is a real life world with executioners and condemned victims, where millions of people found themselves damned without ever having committed a crime. This is what must be remembered, so that nothing so atrocious ever happens again.”

mit 2019Sono sei i nuovi progetti di ricerca finanziati dell’ambito del MIT-UNIPI Project, l’accordo tra Università di Pisa e Massachusetts Institute of Technology (MIT), nato per favorire progetti di ricerca comuni e lo scambio di studenti e ricercatori tra le due istituzioni. Ad oggi 49 le collaborazioni finanziate grazie al programma congiunto: “Siamo fieri che il nostro Ateneo sappia concepire e condurre progetti di ricerca innovativi nei più diversi ambiti disciplinari – ha dichiarato il professore Lisandro Benedetti-Cecchi, prorettore per la Ricerca in ambito europeo ed internazionale - come dimostrano anche i sei promettenti progetti selezionati con questa settima call del MIT-UNIPI Project, che vedono coinvolti ben sette dei nostri venti dipartimenti, anche in tandem multidisciplinare. Grazie ai seed fund del MIT-UNIPI Project i nostri Principal Investigator, ai quali vanno i miei più sentiti complimenti, avranno l’opportunità di avviare ricerche con alcuni tra i più brillanti colleghi a livello internazionale”.

I progetti finanziati sulla settima call sono i seguenti: “INTENSE: Particle Physics Experiments at the Fermilab High Intensity Frontier” di Simone Donati del dipartimento di Fisica; “Using Graph Compression for Shortest Path Computation in Urban On-Demand Mobility” di Paolo Ferragina del dipartimento di Informatica; “Event Extraction for Fake News Detection” di Alessandro Lenci e Francesco Marcelloni, rispettivamente del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica e del dipartimento di Ingegneria dell'informazione; “Waves of Globalization, Between Tradition and Innovation” di Valeria Pinchera del dipartimento di Economia e Management; “Microfluidic Fabrication of Bioengineered Microspheres for Tissue Repair” di Elisabetta Rosellini e Maria Grazia Cascone del dipartimento di Ingegneria civile e industriale; “An In Vitro Model of Pyelonephritis” di Giovanni Vozzi e Emilia Ghelardi, del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione e di ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia.

Le attività dei progetti che hanno ottenuto il finanziamento, coordinate congiuntamente da un Principal Investigator dell'Università di Pisa e da uno del MIT, si svolgeranno tra gennaio 2019 e agosto 2020.

L’accordo quadro con il Massachusetts Institute of Technology (MIT), stipulato dall’Università di Pisa sin dal 2012 e recentemente rinnovato fino al 2021, è finalizzato alla realizzazione di progetti di ricerca comuni e allo scambio di studenti e ricercatori, in tutte le aree scientifiche. Nell’ambito dell’accordo, il MIT-UNIPI Project ha l’obiettivo di facilitare gli scambi e le attività di ricerca tra i due enti con i Seed Funds, finanziamenti che sostengono le nuove collaborazioni nella loro fase iniziale. L'Ateneo finanzierà le spese di viaggio, vitto e soggiorno del gruppo di ricerca del nostro Ateneo che si recherà presso il MIT, la partecipazione del gruppo di ricerca a convegni per la disseminazione dei risultati della ricerca e pubblicazioni in open access dei risultati della ricerca. Analogamente, il MIT finanzierà le spese di viaggio, vitto e alloggio del proprio Principal Investigator e del suo gruppo di ricerca che si recherà a Pisa.

Bolge, diavoli, demoni, gironi infernali, l’eterno dolore e la perduta gente. Sono queste alcune delle parole e delle espressioni dantesche che ricorrono nelle descrizioni dei Lager nazisti rese dai sopravvissuti: il Lager è un inferno in terra che i testimoni sono riusciti a raccontare facendo in molti casi ricorso al lessico dantesco. L’imperativo categorico del ‘dovere della testimonianza’ ha così trovato la via attraverso la Commedia di Dante, che ha fornito alle vittime il vocabolario attraverso il quale dare un nome a eventi e a realtà altrimenti indicibili. Sono proprio queste “parole per dirlo” al centro della ricerca di Marina Riccucci, docente di Letteratura italiana dell’Università di Pisa, che sul tema sta lavorando da circa due anni e che entro il 2019 pubblicherà almeno tre lavori, uno dei quali insieme all’allieva Sara Calderini sulla rivista “Italianistica”.

 

Sandro Botticelli La Carte de lEnfer



Lo studio prende in considerazione fonti non letterarie, cioè diari, lettere e racconti orali di chi ha vissuto il campo di sterminio, un patrimonio molto vasto di cui fanno parte, per esempio, “Un mondo fuori dal mondo”, l’indagine dell’istituto DOXA condotta nel 1971 tra gli ex-deportati italiani nei vari capi di sterminio, ma anche alcune interviste, realizzate ad hoc da Riccucci, alla Senatrice Liliana Segre, a Mauro Betti, dissidente politico internato in vari campi scomparso purtroppo l’anno scorso, e a Goti Bauer, la donna italiana più anziana ancora in vita sopravvissuta ad Auschwitz.

“In tutti i casi – dice Marina Riccucci – a colpire è l’enorme difficoltà che i testimoni hanno nel raccontare e la frase che usano di più è ‘non ci sono parole per dirlo’: nello stesso tempo, però, quando queste persone arrivano a dare un nome e un volto a ciò che hanno visto e subìto, viene loro spontaneo, quasi in virtù di un automatismo, ricorrere all’immaginario infernale dantesco, indipendentemente dal loro livello di istruzione; perché si attinge a Dante come a un patrimonio linguistico collettivo, senza ambizioni letterarie, in nome dell’urgenza di trovare un codice, le parole, appunto”.

Per i sopravvissuti, insomma, in molti casi il campo di concentramento è come l’oltretomba dantesco e per questo quando se ne riferisce, lo si fa rimandando alle immagini che Dante ha creato, con le parole che il poeta della Commedia ha usato.

 

marina riccucci

Marina Riccucci

Accade spesso che per descrivere l’arrivo nel Lager i testimoni prendano in prestito le parole del terzo canto dell’Inferno, quelli che recitano “Lasciate ogni speranza o voi che entrate / … / Per me si va nella città dolente, / per me si va ne l’etterno dolore, /per me si va tra la perduta gente”. Non solo: sembra che abbiano bisogno di ripetere spesso termini come ‘bolgia’ e ‘Malebolge’, o espressioni come ‘voci alte e fioche’, come ‘pianti e altri guai’, come, ancora, ‘girone infernale’, e quando parlano del momento della liberazione dicono di essere tornati ‘a riveder le stelle’. In loro non c’è nessun intento di citare o di esibire una cultura letteraria. Per i salvati c’è, incombente sempre, il bisogno di trovare le parole per descrivere l’inaudito.

“I campi di concentramenti ritornano nelle parole dei testimoni come la realizzazione concreta di una fantasia malvagia e perversa, quella di cui Dante ci ha offerto, appunto, il migliore e il più rappresentativo esempio – conclude Marina Riccucci – solo che la giustizia divina che caratterizza il poema dantesco è letteralmente capovolta: nei Lager, infatti, a essere torturate e uccise furono vittime innocenti dei colpevoli aguzzini. Non dimentichiamo mai che quello che i sopravvissuti hanno conosciuto e subìto è un regno dei vivi con carnefici e dannati, in cui milioni di persone si sono trovate a essere dannate senza avere commesso alcuna colpa. È questo che dobbiamo ricordare: perché nessuno dimentichi, perché niente di così atroce si ripeta mai più”.

Con un contest rivolto ad agricoltori, operatori forestali e imprenditori nel settore agro-alimentare, il progetto europeo “Liaison” va alla ricerca di 15 ambasciatori dell’innovazione rurale in Europa. Partner dell’iniziativa è anche l’Università di Pisa, con un team del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali guidato dal professor Gianluca Brunori: «I settori agricolo, forestale e di trasformazione alimentare affrontano oggi sfide economiche e ambientali sempre più impegnative – spiega il professore – Il progetto “Liaison”, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito di Horizon 2020, nasce con l’obiettivo di dare un contributo significativo alle politiche dell’UE per accelerare l’innovazione in questi settori e il concorso che lanciamo in questi giorni fa parte di questa attività».

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I 15 ambasciatori riceveranno un riconoscimento internazionale durante la cerimonia di premiazione in programma nel prossimo mese di novembre in una grande capitale europea e potranno beneficiare dalla cooperazione con il progetto “Liaison” e la sua rete. Per candidarsi basta compilare form di iscrizione. Alla fine del contest verrà realizzato un database interattivo con circa 150 casi di studio.

I soggetti che intendono candidarsi devono avere una storia di successo da condividere, devono aver fatto parte di un’iniziativa innovativa ispiratrice ed essersi avvalsi di competenze da parte di partner con un background scientifico o professionale, con cui si è instaurato un rapporto collaborativo e di condivisione. Maggiori informazioni sui requisiti per partecipare al contest sono disponibili a questo link.

«Il progetto “Liaison” produrrà metodi e strumenti pratici per ottimizzare l'uso dell'approccio interattivo all'innovazione nei progetti finanziati nell’ambito di EIP-AGRI, il Partenariato europeo per l’innovazione per la produttività e sostenibilità in agricoltura, lanciato dalla Commissione Europea nel 2012 – aggiunge Brunori – In particolare il mio gruppo di ricerca (composto, oltre a me, da Elena Favilli e Gabriela Molina) si occuperà di studiare e analizzare gli approcci all’innovazione interattiva messi in atto all’interno di progetti realizzati in Italia, al fine di individuarne i meccanismi di funzionamento e poter fornire raccomandazioni alla sfera politica riguardo al miglioramento degli strumenti di supporto».

Del progetto fanno parte 17 istituzioni, ONG e aziende europee; capofila è la tedesca Eberswalde University for Sustainable Development.

“I dati (1) sui progetti europei presentati e vinti dall’Università di Pisa nel corso del 2018 evidenziano un trend in ulteriore e significativa crescita rispetto al 2017 - afferma il Rettore Paolo Mancarella - e confermano l’efficacia delle misure di incentivazione e supporto alla progettazione europea che il nostro Ateneo ha voluto attivare nel primo biennio della nuova governance”.

I progetti europei di ricerca vinti dall’Università di Pisa (2) (nell’arco temporale della programmazione europea in corso, ovvero dal 2014 ad oggi) sono 111, per un contributo europeo complessivo pari a 36,5 milioni di euro: di questo, quasi la metà, ovvero oltre 17,4 milioni di euro, è il contributo ottenuto soltanto nel 2018, triplicato rispetto alla media dei tre anni precedenti (2015, 2016, 2017) che si attestava sui 6 milioni di euro.

Al dato finanziario corrisponde il dato numerico: nel 2018 sono stati vinti 41 progetti europei, contro i 27 vinti del 2017 e i 17 vinti nel 2016.

Progetti di ricerca UNIPI finanziati dallUnione Europea

 

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Altro dato positivo è la crescita del numero di progetti vinti come coordinatori da UNIPI, più che raddoppiato nel 2018, con 9 progetti vinti come coordinatori (erano stati 4 nel 2017 e nel 2016 ed 1 nel 2015), per un finanziamento ad UNIPI come coordinatori balzato da 1,4 milioni di euro nel 2017 a 8,6 milioni di euro nel 2018.

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E proprio tra i progetti coordinati spiccano i tre finanziamenti dello European Research Council (ERC Grant) ottenuti tra fine 2017 e 2018, i più prestigiosi finanziamenti europei che premiano la ricerca di eccellenza, assegnati a docenti dell’Ateneo per sviluppare importanti ricerche in ambito medico-comportamentale, chimico e di ingegneria dell’informazione. A questi si aggiungeranno presto altri due ERC Grant di studiosi che hanno scelto di trasferire le loro ricerche premiate dall’Europa presso l’Università di Pisa, grazie anche alla nuova misura di incentivazione della chiamata diretta (in termini di punti organico) come professore associato/ordinario per i vincitori dei finanziamenti ERC.

“Abbiamo creduto sin dall’inizio che la via maestra per accrescere la qualità della ricerca e la propria competitività fosse potenziare la capacità progettuale europea - spiega il Prorettore per la Ricerca in ambito Europeo ed Internazionale Lisandro Benedetti-Cecchi - perché sapere confrontarsi, collaborare e competere con colleghi, centri di ricerca e aziende europee ed internazionali è la dimensione della ricerca del nostro presente e del nostro futuro. Abbiamo così messo in campo una serie di misure di incentivazione e di supporto alla progettazione europea, investendo ingenti risorse e competenze e lavorando su più fronti: sensibilizzando e premiando i nostri docenti che si impegnano nel presentare proposte, in particolare come coordinatori, offrendo un nuovo servizio di supporto alla preparazione delle proposte ed investendo parallelamente in attività e strategie di networking e lobbying sul piano europeo.”

La prima iniziativa è stata il lancio a inizio 2017 di BIHO, il Bando Incentivi di Ateneo Horizon e Oltre che premia il coordinamento dell’Università di Pisa di progetti Horizon e di progetti finanziati da altri programmi di ricerca europei: tra il 2017 e il 2018 sono stati assegnati ai docenti di UNIPI oltre 40 incentivi, per un investimento dell’Ateneo di oltre 1,6 milioni di euro. Tra le ulteriori misure introdotte nel 2018, il cofinanziamento in termini di punto organico di un posto di ricercatore di tipo b) per il dipartimento e il settore scientifico-disciplinare del docente coordinatore di progetti Horizon 2020 ed il servizio di supporto qualificato alla preparazione e alla redazione di proposte progettuali, attivato presso la Direzione Servizi per la Ricerca e il Trasferimento Tecnologico. In soli 10 mesi è stata fornita assistenza alla redazione di oltre 110 proposte progettuali, individuali e in partenariato, e al reperimento di opportunità di finanziamento mirate per oltre 90 docenti.

A conferma della spinta catalizzatrice data anche da tali misure, si registra infatti un significativo incremento su tutti i fronti (numero dei progetti vinti, numero delle proposte presentate - anche in qualità di coordinatori, entità dei finanziamenti ottenuti) tra il biennio nel quale sono state attivate le misure di incentivazione e supporto alla progettazione europea (2017-2018) ed il biennio precedente (2015-2016):

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Tra i più recenti successi delle ultime settimane, è il finanziamento ad UNIPI per il coordinamento di un progetto del nuovo programma PRIMA, la Public-Public Partnership che finanzia lo sviluppo di soluzioni innovative per migliorare la produzione agroalimentare e la gestione delle risorse idriche nell’area mediterranea.

Insieme alle misure di incentivazione, un forte impulso è stato dato allo sviluppo delle attività di networking europeo (Istituzioni e reti europee, Rappresentanza Permanente italiana presso l’Unione Europea): tra le più recenti iniziative, la collaborazione con Tour4EU, l’associazione che riunisce la Regione Toscana e le sette università toscane: “L’Università di Pisa ha creduto fortemente in questa iniziativa e ha avuto un ruolo importante nella costituzione dell’associazione – aggiunge il Prorettore Benedetti-Cecchi - è nostra intenzione accogliere pienamente la sfida di rendere Tour4EU uno strumento chiave non solo per attrarre risorse ma per rafforzare la mentalità europea della ricerca.”

“I primi risultati ottenuti dalle misure di incentivazione – conclude il Rettore Paolo Mancarella - non sarebbero stati raggiunti senza la competenza e la passione dei nostri docenti e senza il costante impegno del nostro Prorettore per la Ricerca in ambito europeo ed internazionale, professor Lisandro Benedetti-Cecchi e dello staff tecnico della Direzione Servizi per la Ricerca. A tutti loro va il mio sentito ringraziamento. Questo primo traguardo ci incoraggia a proseguire sulla strada intrapresa per accrescere ulteriormente la capacità del nostro Ateneo di produrre e attrarre ricerca di eccellenza e di competere con i grandi atenei di ricerca europei”.

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Note:
(1) I dati, aggiornati al 7 gennaio 2019, sono estratti dal Participant Portal, il portale della Commissione europea che veicola i bandi di Horizon 2020 e dei principali programmi europei di finanziamento (vedi nota 2).
(2) Oltre al programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione, Horizon 2020, altri programmi e iniziative europee di finanziamento, come le principali Public-Private Partnership e Joint Technlogies Intiatives: 3rd Health Programme, Asylum, Migration and Integration Fund, Internal Security Fund Police, Research Fund for Coal & Steel, Rights, Equality and Citizenship Programme, Union Civil Protection Mechanism, Clean Sky 2, Bio-Based Industries JU, Euratom, ECSEL, IMI2.

 

Per approfondimenti:


I progetti dell’Università di Pisa in Horizon 2020


Gli ERC Grant vinti all’Università di Pisa

Il sostegno dell’Università di Pisa alla progettualità europea

Newsletter sulla Ricerca Europea e Internazionale

Rubrica «Il Ricercatore del mese»

Per informazioni:

Unità Servizi per la ricerca - Sezione Ricerca europea e internazionale

- Michele Padrone (responsabile)
- Elena Di Stefano
- Alessandra Nucci

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Cosa accadrebbe se il nostro cervello smettesse di produrre la serotonina, ovvero la cosiddetta molecola della felicità? La risposta arriva da uno studio tutto italiano pubblicato su “Scientific Reports”, rivista del gruppo "Nature", che ha mostrato l’esistenza di un legame causale fra la riduzione dei livelli di serotonina nel cervello e l’insorgenza del disturbo bipolare.

Lo studio è stato condotto dal professore Massimo Pasqualetti del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, dal professore Alessandro Usiello dell’Università della Campania e del Ceinge di Napoli e dalla dottoressa Chiara Mazzanti del Fondazione Pisana per la Scienza. La ricerca ha inoltre coinvolto competenze di elettrofisiologia e imaging funzionale delle équipe guidate da Alessandro Gozzi dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Rovereto e da Raffaella Tonini dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.

 

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Risonanza magnetica funzionale che individua le regioni del cervello in cui l’attività neuronale è aumentata

“Il nostro studio ha permesso di associare il deficit di serotonina allo sviluppo di sintomi riconducibili alla sindrome maniacale – spiega il professore Massimo Pasqualetti dell’Università di Pisa – infatti abbiamo dimostrato che la cosiddetta molecola della felicità è fondamentale per attenuare lo stress da ‘insulti’ ambientali provenienti dal mondo esterno, senza di essa il nostro cervello è più attivo e da cui appunto la fase “up” o maniacale che fa da contraltare alla depressione”.


Ricostruzione in 3D dei filamenti neuronali dell’ippocampo in cui si osserva un aumento del numero delle “spine” sinaptiche

I ricercatori hanno condotto lo studio attraverso una sperimentazione su modelli animali e così hanno visto che i topi a cui veniva inibita la produzione di serotonina mostravano comportamenti, come ad esempio la perdita del senso del rischio, assimilabili a quelli delle persone in fase maniacale. Se però agli stessi animali veniva somministrato l’acido valproico, un farmaco comunemente usato per la cura del disturbo bipolare, ecco che i loro tratti comportamentali alterati si normalizzavano. Oltre all’analisi comportamentale, i ricercatori hanno condotto lo studio anche nelle cellule nell’ippocampo dove i geni sono risultati più attivi proprio in corrispondenza della fase maniacale.

“La conoscenza dei complessi meccanismi che governano la fenomenologia del disturbo bipolare – conclude Massimo Pasqualetti – costituisce senz’altro un passo in avanti per l’identificazione di modelli validi per testare terapie farmacologiche sempre più avanzate”.

 

pic organoid sNegli ultimi anni le tecniche di coltura in tre dimensioni di cellule staminali hanno visto dei progressi consistenti. Gli “organoidi”, i mini-organi così formati dalla struttura tridimensionale e dalle staminali che vi proliferano, forniscono un modello di come si sviluppa e vive un organo umano, imitandone struttura e funzionalità. Un risultato potenzialmente rivoluzionario per lo studio di alcune malattie, ma anche per i test farmacologici. Questi modelli di organi hanno però dei limiti, principalmente dovuti alla difficoltà di creare ambienti che garantiscano a lungo la sopravvivenza delle cellule. Le cellule staminali infatti vi proliferano per un certo tempo, dando luogo agli stessi tipo cellulari che generano in vivo, ma poi, mancando nutrienti fondamentali nel suo interno, l’organoide muore.

Dai laboratori del centro di ricerca dell’Università di Pisa “E.Piaggio” e dell’Università del Lussemburgo arrivano però nuove scoperte, che permetteranno agli organoidi di restare vitali, rendendoli modelli scientifici validi per lo studio di malattie come il Parkinson.

arti«La nostra ricerca – spiega Arti Ahluwalia, direttrice del Centro di Ricerca “E.Piaggio” dell’Università di Pisa - ha dimostrato che è possibile ingegnerizzare ambienti di crescita degli organoidi nei quali il flusso di ossigeno e nutrienti svolge una funzione di mantenimento delle condizioni vitali. In particolare, abbiamo testato questo metodo sull’organoide del mesencefalo: attraverso l’uso della tecnologia fluidica e modelli computazionali, mostriamo che le cellule all'interno dei mini organi, quando stimolate da un flusso, hanno una maggiore vitalità e si differenziano in maniera più efficace in neuroni dopaminergici, che sono importantissimi per il buon funzionamento del cervello. Infatti, la morte dei neuroni dopaminergici è una caratteristica del morbo di Parkinson. Inoltre, la sinergia di modelli computazionali e osservazioni al microscopio ci hanno permesso di individuare una soglia critica per la vitalità delle cellule, che ci permetterà di ottimizzare ulteriormente il protocollo di generazione di questi cervelli in vitro».

La possibilità di avere un organoide-mesencefalo vitale permetterà quindi di studiare come il deterioramento nei neuroni incide sullo svilupparsi della malattia. Ma non è tutto. Lo sviluppo della tecnologia di coltura degli organoidi significa anche costruire un’alternativa concreta ai testi sugli animali. “L’evidenza sperimentale – conclude Arti Ahluwalia – ci dice che tecnologie bioingegneristiche integrate con nuovi metodi per la manipolazione di cellule staminali in-vitro rendono gli organoidi dei modelli scientificamente validi per i test farmacologici, aprendo la strada alla possibilità di fare a meno di cavie animali”.

Più arido e con minori precipitazioni, potrà essere così il clima del Mediterraneo nei prossimi cento anni secondo quanto emerge da uno studio internazionale pubblicato su Nature Communications e al quale hanno partecipato come unici italiani Eleonora Regattieri e Giovanni Zanchetta del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. La ricerca, che complessivamente ha coinvolto 12 istituzioni fra cui l’University College di Londra come capofila, si basa sull’idea che l’analisi del clima passato, in questo caso l’ultimo periodo interglaciale (129-116 mila anni fa), possa fornire fondamentali indicazioni per capire le tendenze attuali e future.

“Lo studio dell'ultimo periodo interglaciale è particolarmente rilevante perché è stato caratterizzato da un intenso riscaldamento artico, con temperature più alte di alcuni gradi rispetto a quelle attuali e quindi paragonabili agli scenari di riscaldamento previsti per la fine di questo secolo”, spiega Giovanni Zanchetta.

Come conseguenza del riscaldamento, la ricerca ha stimato che il livello globale del mare nell’ultima epoca interglaciale sia stato di circa 6-9 metri superiore al livello attuale, un innalzamento in buona parte dovuto alla fusione della calotta glaciale della Groenlandia.

“Un tale scioglimento dei ghiacci potrebbe quindi aver contribuito ad un’instabilità, della circolazione oceanica del Nord Atlantico, con momenti di indebolimento corrispondenti a periodi di scarsità di precipitazioni in Europa”, aggiunge Zanchetta.

 

antro corchia

Stalagmiti dall'Antro del Corchia (Lucca) (Foto I. Isola).


Per definire in dettaglio i cambiamenti oceanici e atmosferici dell'Atlantico settentrionale e dell'Europa meridionale, i ricercatori hanno prodotto una sorta di "stele di rosetta stratigrafica" analizzando una carota di sedimento marino proveniente dal margine atlantico della penisola iberica. I dati emersi, relativi ad esempio ai pollini e ai cambiamenti della vegetazione, sono stati quindi confrontati con l’andamento delle precipitazioni, registrato nelle stalagmiti della grotta “Antro del Corchia”, nel nord Italia, già studiate dai geologi dell’Università di Pisa. Il collegamento tra Corchia e il margine atlantico della penisola iberica ha così permesso ai ricercatori di datare per la prima volta in modo dettagliato e preciso i cambiamenti climatici nel Nord Atlantico. L'Antro del Corchia possiede infatti un vero e proprio archivio del clima passato, conservato nella stratigrafia e nelle proprietà chimiche delle sue concrezioni, che copre più di un milione di anni.

“Sebbene l’ultimo periodo interglaciale non sia un del tutto sovrapponibile a quanto accade oggi come conseguenza dell’attività umana – conclude Zanchetta - il profilo climatico che emerge, su scala secolare, indica che il progressivo riscaldamento che stiamo osservando possa generare in futuro un’instabilità del clima associata a fenomeni significativi di siccità”.

Giovanni Zanchetta ed Eleonora Zanchetta sono ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, dipartimento da anni leader nelle ricerche paleoclimatiche che a livello didattico offre, fra i primi in Italia, un nuovo curriculum di Climatologia nell’ambito un corso di laurea magistrale di Scienze ambientali.

 

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