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Per la prima volta un team di ricercatori ha “filmato” in sequenza come si attiva il cervello quando è stimolato dalla serotonina, la cosiddetta “molecola della felicità”. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell Reports, è frutto della collaborazione tra il gruppo di ricerca guidato dal dottor Alessandro Gozzi del Center for Neuroscience and Cognitive System dell’Istituto Italiano di Tecnologia (CNCS – IIT di Rovereto) e quello del professore Massimo Pasqualetti del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa.

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Mappatura delle aree cerebrali attivate dalla serotonina



“Il funzionamento del cervello si basa su un’estesa rete di comunicazione tra neuroni appartenenti a regioni diverse – spiega Alessandro Gozzi – capire con quali regioni cerebrali comunica una specifica popolazione neuronale è di fondamentale importanza, soprattutto se quella popolazione neuronale è implicata in molteplici disturbi neurologici e psichiatrici”.

Nel caso della serotonina, i ricercatori hanno potuto osservare che questa specifica popolazione di neuroni attiva tutti i distretti del cervello, ma non nello stesso momento. Le prime regioni ad essere interessate sono ad esempio l’ippocampo e la corteccia cerebrale, non a caso due aree deputate a regolare il comportamento emotivo.

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Gruppo di ricerca Università di Pisa: Giacomo Maddaloni, Sara Migliarini, Massimo Pasqualetti

“Queste scoperte contribuiscono a svelare il meccanismo della neurotrasmissione serotoninergica – afferma Massimo Pasqualetti - e aprono la strada ad una maggiore comprensione, e quindi a possibili nuove cure, di importanti patologie neuropsichiatriche quali ansia, depressione, schizofrenia e autismo”.

La scoperta è stata possibile grazie ad una metodologia innovativa nata dalla combinazione di due tecniche. Grazie alla chemogenetica gli scienziati hanno agito su un modello animale in cui, attraverso la somministrazione di un farmaco, hanno attivato selettivamente i neuroni che producono serotonina; quindi attraverso la risonanza magnetica funzionale, hanno “filmato” in tempo reale le regioni cerebrali che si accendevano.

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Gruppo di ricerca CNCS – IIT di Rovereto: Marco Pagani, Carola Cannella, Alessandro Gozzi, Patrizia Floris, Alberto Galbusera, Alessia De Felice

“La combinazione di tecniche di chemo-genetica e risonanza magnetica funzionale - spiegano dal gruppo del professor Pasqualetti composto da Andrea Giorgi, Sara Migliarini e Giacomo Maddaloni - rappresenta una piattaforma tecnologica altamente innovativa e di grande impatto per lo studio delle connessioni funzionali tra aree distinte del cervello, sia in condizioni normali che patologiche”.

 

Un erbicida naturale contro le erbacce ricavato dagli oli essenziali delle stesse erbacce. A realizzarlo e testarlo è stato un gruppo di ricercatori di Scienze Agrarie e Farmacia dell’Università di Pisa che sull’argomento ha recentemente pubblicato uno studio sulla rivista Weed Research.

L’idea di partenza era di valutare l’efficacia delle sostanze naturali per combattere le piante infestanti in modo ecologicamente sostenibile, soprattutto alla luce dei progressivi divieti e/o limitazioni di usare alcuni erbicidi convenzionali (in particolare il ben noto glifosate) a causa del loro impatto sull’ambiente e dei rischi per la salute dell’uomo.


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“Nessuno sino ad ora aveva pensato di usare gli oli essenziali estratti da “erbacce” per combattere le stesse erbacce – spiega Stefano Benvenuti ricercatore dell’Ateneo pisano.

“E’ una soluzione che presenterebbe anche dei vantaggi dal punto di vista economico dal momento che si tratta di piante che hanno costi agronomici limitati, soprattutto da un punto di vista idrico – aggiunge Benvenuti - e così paradossalmente anche specie spontanee ancora prive di una utilità possono divenire amiche dell’uomo e dell’ambiente”.

 oli essenziali

La ricerca, durata tre anni e condotta sia in laboratorio che in serra, ha individuato cinque specie da cui sono stati estratti oli essenziali particolarmente efficaci: l’achillea (Achillea millefolium), l’assenzio annuale (Artemisia annua), l’assenzio dei fratelli Verlot (Artemisia verlotiorum), la santolina delle spiagge (Otanthus maritimus), e la Nappola (Xanthium strumarium).

“Questi erbicidi naturali possono essere usati come quelli tradizionali sia nella fase di pre-impianto della coltura, quindi senza problemi di selettività nei confronti di una coltura ancora assente, sia localizzandone la distribuzione in presenza della coltura stessa – conclude Benvenuti - tuttavia l’impiego di maggiore innovazione potrebbe essere quello in città, dai marciapiedi, ai bordi stradali a tutte le aree spesso colonizzate da specie indesiderate".
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Foto in alto, distribuzione in ambiente sperimentale degli oli essenziali su piante infestanti allevate in vaso; foto sotto, Artemisia verlotiorum una comune infestante che contiene oli essenziali utilizzabili come erbicida.

 

Non tutte le balene sono grandi come ce le immaginiamo: nelle acque fredde e temperate dell’emisfero australe vive la Caperea (Caperea marginata), una misteriosa balena che non supera i 6 metri e mezzo di lunghezza e che per questo motivo viene anche chiamata Balena pigmea. Poco si sa di questo cetaceo, noto prevalentemente per gli avvistamenti al largo di Sud America, Africa meridionale, Nuova Zelanda e Australia. I suoi legami di parentela con gli altri cetacei sono ancora poco chiari e rimane ancora un mistero come mai questa piccola balena sia confinata negli oceani meridionali. Anche i fossili, fino ad oggi, sono stati di aiuto limitato dato che i soli tre reperti al mondo di cetacei imparentati con la Balena pigmea sembravano confermare che, anche in passato, i suoi antenati vivessero esclusivamente negli oceani dell'emisfero australe.

Figura2_balena.jpgConfronto tra la Balenottera azzurra e la piccola Caperea disegnati alla stessa scala. (illustrazione di Carl Buel).

In questo scenario, è con grande stupore che due gruppi di ricerca geograficamente agli antipodi hanno ritrovato, più o meno contemporaneamente, nuovi resti fossili di Caperea: da un capo del mondo in Sicilia e dall'altro in Giappone. Il fossile siciliano è una bulla timpanica (un osso dell'orecchio con caratteristiche inconfondibili) scoperta nei pressi di Siracusa e oggi conservata nel Museo di Storia Naturale di Comiso. Il reperto giapponese è un cranio frammentario rinvenuto presso Okinawa. Il dato straordinario è che entrambi i fossili sono stati trovati a nord dell'equatore, fuori dall'area di distribuzione di questa balena. Tutto questo ha convinto i ricercatori a mettere insieme le forze e pubblicare la scoperta sulla prestigiosa rivista internazionale Current Biology. Di questo team internazionale fanno parte anche paleontologi italiani dell'Università di Pisa, dell'Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del Museo di Storia Naturale di Comiso.

“Questi fossili provengono da un periodo piuttosto recente della storia della Terra: il Pleistocene, la cosiddetta 'era glaciale', caratterizzata da fasi di forte raffreddamento globale alternate a fasi di clima mite” - spiega Giovanni Bianucci, professore di paleontologia presso il dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa - In particolare, l'età del fossile siciliano è stata vincolata intorno a 1,8 milioni di anni fa, un momento cruciale della storia geologica del Mediterraneo che coincide con l'ingresso in questo bacino semichiuso di alcune specie di invertebrati nord-atlantici, testimoni di una fase di forte raffreddamento”.

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Distribuzione geografica della Caperea attuale (area in blu) e dei resti fossili affini a questa balena (quadratini). I quadratini rossi indicano i fossili scoperti in Sicilia e in Giappone.

Ma cosa può aver spinto una balena così caratteristica dell'emisfero sud ad oltrepassare l'equatore e ad occupare nuovi habitat nell'emisfero nord? “Oggi molti cetacei mostrano una distribuzione antitropicale: cioè sono diffusi nelle acque temperate di entrambi gli emisferi, a volte come 'specie sorelle', ma non nelle acque calde tropicali ed equatoriali – spiega Alberto Collareta, dottorando in paleontologia presso il dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa – per questi mammiferi marini l'equatore rappresenta una vera e propria barriera termica, invisibile ma invalicabile. Durante le fasi più fredde del Pleistocene, però, tale barriera termica sarebbe temporaneamente venuta meno permettendo un rimescolamento tra le faune marine dei due emisferi, come suggerito dal ritrovamento di fossili di Caperea in Sicilia e Giappone. Al termine di ogni fase glaciale, la barriera equatoriale si sarebbe ripristinata separando il destino delle popolazioni dei due emisferi”.

Queste condizioni di isolamento biogeografico hanno permesso l'origine di nuove specie ma anche, drammaticamente, l'estinzione delle popolazioni più piccole rimaste isolate in un ambiente divenuto improvvisamente più caldo. Una lezione di cui tenere conto, soprattutto in tempi in cui le attività umane contribuiscono ad un rapido mutamento climatico a scala globale.
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Bulla timpanica fossile della Sicilia (a destra) e attuale (a sinistra).


Ne hanno parlato:

La Repubblica
La Sicilia
Ansa
The Conversation
The Herald Sun
Science News  
National Geographic 
gonews.it 
Greenreport.it

Il persistente fascino degli artisti americani e italiani per la cultura dell'antica Roma e del Rinascimento è il tema del convegno internazionale “The Course of Empires: American-Italian Cultural Relations, 1770-1980” che si svolge il 19-20 ottobre 2017 allo Smithsonian American Art Museum di Washington DC. Fra i curatori scientifici dell’evento, come unico storico dell’arte italiano nel comitato organizzatore, c’è Sergio Cortesini, ricercatore del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa.


William Thon Twilight in Rome

William Thon, Twilight in Rome

“Il convegno cerca di aggiornare e ampliare la nostra comprensione delle relazioni culturali americane-italiane dall'era della rivoluzione americana fino alla guerra fredda, invitando a discuterne una pluralità di studiosi internazionali con differenti approcci”, spiega Cortesini.

Tra gli argomenti che saranno toccati, il ruolo dell'Italia e l'Accademia Americana a Roma nel mantenere vive le tradizioni classiche e rinascimentali all’inizio del ventesimo secolo; un esame dei modi in cui la committenza pubblica del New Deal mantenne vivo l’innamoramento per la tradizione rinascimentale dell’affresco; e un'analisi del crescente scambio culturale tra Italia e Stati Uniti nell'era della guerra fredda, con l'inaugurazione della Biennale di Venezia e la formazione della galleria Peggy Guggenheim.

“Nella creazione di identità nazionali, entrambi i paesi si sono rivolti alla storia per ragioni analoghe – conclude Sergio Cortesini - trovare l'ispirazione per le pratiche politiche illuminate, individuare modelli di primato artistico, politico e economico e modalità di difesa dalla decadenza imperiale”.

Il convegno sarà visibile in webcast dal sito dello Smithsonian American Art Museum http://s.si.edu/empires.

È ai nastri di partenza il progetto COOLSUN (“coating organici riflettenti”), che mira a creare prodotti innovativi per la realizzazione di un coating per l’isolamento termico, permettendo un significativo risparmio energetico e insieme la diminuzione dell’utilizzo di cromo e di diverse sostanze pericolose per l’ambiente. Al progetto lavora un gruppo di ricerca del dipartimento di Chimica e chimica industriale dell'Università di Pisa coordinato dal professor Fabio Bellina e formato dai professori Andrea Pucci, Marco Geppi, Giacomo Ruggeri e dal dottor Marco Lessi che collabora con tre aziende toscane: la lucchese Cromology, la pistoiese IEXI Srl e la pisana Tecnochimica SpA.

La ricerca si basa sull'analisi degli effetti delle radiazioni nella regione del vicino infrarosso, Near InfraRed (NIR), non rilevabili dall’occhio umano e il cui assorbimento da parte di un oggetto ne causa un aumento di temperatura. I pigmenti capaci di interagire nel NIR, detti NIR-riflettenti, riducono il riscaldamento degli oggetti trattati: per questo la proprietà NIR-riflettente è utile nelle applicazioni in cui è necessario attenuare il riscaldamento solare, quali per esempio coperture per edifici, pelletteria, coperture e trasporto di materiali termosensibili.

 

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Fino a oggi, la riflettività NIR è ottenuta con l’uso di pigmenti di natura inorganica, che sono tuttavia costosi e tossici. La chiave per ottenere rivestimenti innovativi è invece quella di produrre pigmenti NIR-riflettenti organici per ovviare agli inconvenienti relativi a costi, impatti ambientali, efficienza e colore degli attuali pigmenti inorganici in commercio.

Il progetto COOLSUN focalizza, quindi, l’attenzione su pigmenti NIR-riflettenti di derivazione organica, in particolare quelli a struttura perilenica, che possono consentire con semplicità la modulazione delle loro proprietà ottiche e chimico-fisiche e della loro tossicità, oltre a permettere una diminuzione dei costi, mediante semplici modifiche chimiche. Inoltre, essi esibiscono tutte le caratteristiche dei pigmenti ad alta efficienza come un’elevata stabilità termica, alta forza colorante, stabilità agli agenti atmosferici e foto-stabilità. Anche se recenti studi hanno suggerito come sia possibile sviluppare questi nuovi pigmenti per ottenere prodotti coloranti altamente efficienti, il loro comportamento nella regione NIR non è ancora stato studiato in dettaglio.

"Con questo progetto - conferma il professor Fabio Bellina, ordinario di Chimica organica all'Ateneo pisano - contiamo di sviluppare nuovi pigmenti organici termo e fotostabili, capaci di riflettere la radiazione nel vicino infrarosso (NIR), e di perfezionare il loro possibile impiego per l'ottenimento e la commercializzazione di vernici NIR riflettenti utili in edilizia, nella pelletteria, nell’industria del legno ed in quella alimentare, con potenziali ricadute anche nel settore automobilistico".

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Foto del kick off meeting del progetto da destra a sinistra in senso antiorario: Ing. Simona Bargiacchi (Cromology), Prof: Fabio Bellina, Prof. Bruno Maraviglia (Iexi), Dr. Andrea Fastelli (Tecnochimica), Dr. Blerta Xhafa (Tecnochimica), Dott. Erik Pedrielli (Golden Group), Dr. Matteo Iubatti (Golden Group), Dr. Luca Contiero (Cromology), Dr. Alessandro Fanucchi(Cromology).

È stato inaugurato venerdì 6 ottobre il Laboratorio di microscopia elettronica e microanalisi dell'Università di Pisa, acquisito dal Centro Interdipartimentale di Scienza e Ingegneria dei Materiali (CISIM) grazie al cofinanziamento dell'Ateneo nell'ambito del progetto "Grandi attrezzature scientifiche 2015". Il Laboratorio è equipaggiato con un microscopio elettronico a scansione con sorgente a emissione di campo, che consente di caratterizzare dal punto di vista morfologico, composizionale, tessiturale e strutturale, materiali sia organici che inorganici, conduttivi e non conduttivi, nonché umidi in modalità "ambientale". Attraverso questi sistemi di rivelazione, si possono raccogliere diversi tipi di immagini dei campioni analizzati ad altissima risoluzione, fino a risolvere particolari di dimensioni nanometrici. Il microscopio è dotato di celle riscaldanti/raffreddanti che permettono di visualizzare ad alta risoluzione e in diretta la risposta dei campioni alle variazioni di temperatura.

Questo microscopio elettronico è quindi uno strumento molto versatile, che mira a rispondere alle esigenze di diverse tipologie di utenti nei campi della ricerca e della didattica, oltre che servizi esterni a supporto di enti di ricerca, operatori industriali ed enti del territorio, nonché una "immaginifica macchina delle meraviglie" per la della divulgazione scientifica.

 

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L'inaugurazione è stata aperta dai saluti del prorettore per la Ricerca nazionale, Claudia Martini, cui sono seguiti gli interventi del direttore del CISIM, Andrea Lazzeri, e del responsabile del Laboratorio, Luigi Folco, coordinati da Simone Capaccioli, vicedirettore del CISIM. All'inaugurazione sono intervenuti anche l'ex rettore Massimo Augello, il prorettore per l'Organizzazione e le politiche del personale, Michele Marroni, il direttore del dipartimento di Scienze della terra, Sergio Rocchi, e ricercatori dell'Ateneo, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e del NEST della Scuola Normale Superiore. Subito dopo, Randa Ishak e Maurizio Gemelli hanno guidato una visita al laboratorio.

Nel suo saluto introduttivo, la professoressa Martini ha sottolineato "l’attenzione per le attrezzature scientifiche dimostrata dall’Università di Pisa che negli ultimi 2 anni si è concretizzata in un investimento di oltre 4 milioni di euro. L’obiettivo – ha concluso la prorettrice – è continuare il percorso di valorizzazione e condivisione delle attrezzature scientifiche al fine di facilitare le attività di ricerca e promuovere un network di servizi”.

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Un nuovo riconoscimento per l’Università di Pisa nell’ambito della ricerca. Il progetto “Melanocortin receptor 4 (MC4R) as a novel therapeutic target in glioblastoma (GBM)” del professor Guido Bocci, associato di Farmacologia del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, si è aggiudicato la challenge Discovery Partnerships with Academia (DPAc) promossa dall’azienda farmaceutica Glaxo Smith Kline. Si tratta di un programma che mira a creare una partnership innovativa tra i ricercatori accademici e le ricerche effettuate in azienda.

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Il professor Guido Bocci con Teresa Di Desidero (a sinistra) e Paola Orlandi (a destra).

Lo studio si pone l’obiettivo di esplorare, per la prima volta, la presenza di un particolare recettore (MC4R) nel gliobastoma, un tumore ad alto grado di malignità e a prognosi infausta. Tramite l’inibizione del recettore attraverso nuovi farmaci da soli o in combinazione chemio e radioterapia, potrebbe essere possibile trovare nuove valide opzioni farmacologiche da percorrere nei pazienti affetti da questo tipo di tumore che, ad oggi, hanno limitate opportunità terapeutiche.

La ricerca, coordinata dal professor Bocci, è il risultato del lavoro di un team formato dalla dottoressa Teresa Di Desidero e Paola Orlandi, con la collaborazione della dottoressa Francesca Vaglini (dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia), e del dottor Francesco Pasqualetti (U.O. Radioterapia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana). Inoltre, si avvarrà della preziosa collaborazione del professor Salvatore Guarini, della professoressa Daniela Giuliani e della dottoressa Alessandra Ottani, dell'Università di Modena e Reggio Emilia, esperti internazionali della farmacologia del recettore MC4R.

La rivista scientifica Molecular Neurobiology ha recentemente pubblicato parte dei dati raccolti durante lo studio.

Afferrare il carrello, lasciarlo scivolare fino all’ingresso del supermercato, fermarsi per un attimo per pensare a quali oggetti comprare. E se in questa situazione ci fosse qualcuno in grado di suggerirci che cosa mettere nel carrello?

A partire anche da questa suggestione un gruppo di ricercatori del KDD Lab, laboratorio congiunto di Università di Pisa e ISTI-CNR, ha sviluppato TX-means, un algoritmo in grado di analizzare il comportamento di un gran numero di clienti di un supermercato fino a capire quale sarà la loro prossima spesa.

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“Ogni cliente ha le proprie caratteristiche. C’è chi acquista sempre le stesse cose, chi differenzia, chi fa una spesa più importante in un determinato giorno della settimana e così via - racconta Riccardo Guidotti, ricercatore presso il KDD. Riuscire a interpretare questa complessità rappresenta una sfida interessante”.

Così Guidotti e colleghi hanno messo a punto l’algoritmo e l'hanno testato sui dati dei supermercati di UniCoop Tirreno, la cooperativa della galassia Coop che gestisce i negozi di buona parte della costa tirrenica, fra cui il supermercato di Livorno Sud che compare nel video.

“TX-means in modo completamente automatico è riuscito a interpretare i dati della spesa di decine di migliaia di clienti, per un totale di oltre 2 milioni di carrelli della spesa”, prosegue - Per capire di quali oggetti hanno bisogni i diversi clienti, il sistema raggruppa i carrelli con caratteristiche simili e per ogni gruppo individua una spesa-tipo".

Questo tipo di algoritmi può rivelarsi strategico in una grandissima varietà di campi. “Con lo stesso metodo si possono analizzare le terapie farmacologiche dei pazienti di un ospedale o le pagine visitate a partire da un motore di ricerca”, conclude Guidotti, che il mese prossimo volerà ad Halifax, in Canada, per presentare Tx-means alla prestigiosa conferenza internazionale KDD2017.

Gli autori del paper, che compaiono anche nel video divulgativo che racconta che cos’è e come funziona TX-means in 3 minuti, sono Riccardo Guidotti, Anna Monreale, Mirco Nanni, Fosca Giannotti e Dino Pedreschi.

Alla conferenza KDD2017, una giuria assegnerà il "best video award" scegliendo fra i video più popolari. Per sostenere il video dei nostri ricercatori basta mettere un “mi piace” su Youtube e condividerlo attraverso i social.

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Lo zafferano, molto apprezzato in ambito culinario, può avere anche un importante ruolo in campo medico, in particolare nell’ambito della lotta ai tumori. Uno studio coordinato dal professor Filippo Minutolo del dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa, ha identificato il meccanismo con cui un metabolita attivo presente nello zafferano, la crocetina, riesce a ridurre l’aggressività delle cellule tumorali attraverso l’azione su un enzima-chiave nella glicolisi tumorale, la lattato deidrogenasi (LDH).

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I sorprendenti risultati di questa ricerca sono stati presentati dalla dottoressa Carlotta Granchi, prima autrice dell’articolo e relatrice al “First Congress on Edible, Medicinal and Aromatic Plants (ICEMAP 2017)” svoltosi a Pisa dal 28 al 30 giugno. Il lavoro è stato inoltre pubblicato nella rivista “Journal of Agricultural and Food Chemistry” della American Chemical Society.

3 Granchi fotoQuesta ricerca si colloca all’interno degli studi che negli ultimi anni si stanno concentrando sempre di più sul trattamento “metabolico” dei tumori; tuttavia, come spiega la dottoressa Granchi (nella foto a destra), “la crocetina non è purtroppo disponibile, né facilmente isolabile da fonti naturali quindi è stata messa appunto una metodologia sintetica per la sua preparazione. La crocetina artificiale, del tutto identica per struttura a quella naturale, ha dimostrato una notevole abilità di inibire l’LDH”.

Grazie alla collaborazione con il gruppo di ricerca del professor Paul J. Hergenrother della University of Illinois at Urbana-Champaign e con il dottor Flavio Rizzolio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, nonché fondatore dell'azienda Biofuture Medicine, è stato inoltre possibile verificare come la crocetina sia in grado di ridurre la produzione di lattato in cellule tumorali e la loro proliferazione. “In questo studio abbiamo quindi dimostrato – aggiunge Granchi – che la componente dello zafferano maggiormente responsabile di tale effetto sembra essere proprio la crocetina.”

2 CrocetinaSintetica

Infatti l’analisi di modellazione molecolare condotta dal professor Tiziano Tuccinardi ha evidenziato le caratteristiche strutturali che permettono alla crocetina di interagire in modo efficace con il sito attivo dell’enzima-bersaglio.

“Chiaramente né lo zafferano, né la crocetina potranno mai sostituire le varie terapie antitumorali approvate per l’uso clinico – specifica il professor Minutolo – comunque possono sicuramente costituire un utile ausilio alimentare nella prevenzione delle neoplasie e, se validati da opportuni studi clinici, potranno in futuro contribuire ad aumentare l’efficacia dei regimi terapeutici utilizzati per diversi tipi di tumore”.

(Nella foto a destra in basso la crocetina sintetica).

Ne hanno parlato: 
Ansa
InToscana.it 
Greenreport.it 
ilMattino.it 
ADNkronos
gonews.it 
AgenziaImpress.it 
Greenplanner


 

 

 

 
















Il gruppo di ricerca del professor Donato Aquaro, docente di Impianti nucleari al dipartimento di Ingegneria civile e industriale dell’Università di Pisa, ha vinto un bando di ricerca internazionale per lo studio in scala reale del principale sistema di sicurezza del reattore a fusione nucleare, ITER, in costruzione in Francia nei pressi di Aix-en-Provence.

L’attività di ricerca, con un budget di circa 1 milione di euro, studierà il ‘Vacuum Vessel Pression Suppression System’ ossia il sistema che garantisce il mantenimento della pressione entro i limiti ammissibili in caso di incidente nel componente principale del reattore, la camera a vuoto. Nell’interno di tale componente (figura in basso a destra), in condizione di vuoto quasi assoluto, avviene la reazione di fusione nucleare fra un nucleo di deuterio e uno di trizio nel plasma a una temperatura di oltre 100 milioni di gradi. La reazione di fusione simula quella che avviene nel sole.

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ITER è una organizzazione internazionale di cui fanno parte Unione Europea, USA, Federazione Russa, Cina, Giappone, India e Corea del Sud. Tale organizzazione finanzia il più grande e costoso esperimento mai effettuato precedentemente. Lo scopo del progetto è la dimostrazione della fattibilità di produrre energia dalla fusione nucleare con un impianto di taglia industriale ottenendo un plasma stabile. Il plasma per le altissime temperature non deve venire in contatto con le pareti, pertanto viene messo in movimento in un recipiente torico (Tokamak) da elevatissimi campi elettromagnetici.

camera vuoto reattoreConsiderando le estreme condizioni operative, non si può escludere la possibilità di incidenti di rottura delle tubazioni di refrigerazione della parete affacciata al plasma. Il fluido refrigerante (acqua) potrebbe invadere il Tokamak e vaporizzare a causa delle elevate temperature, provocando la sua pressurizzazione. Per evitare il raggiungimento di valori di pressione pericolosi per la stabilità della struttura, viene attivato un sistema di sicurezza di riduzione della pressione con condensazione diretta del vapore in acqua, il ‘Vacuum Vessel Pression Suppression System’. Tale sistema è stato scelto dall’Autorità di Sicurezza per gli stress test sull’impianto.

Il professor Aquaro e il suo gruppo di ricerca hanno vinto il bando internazionale per la loro esperienza, unica in campo internazionale, sulla condensazione diretta del vapore a pressioni sub atmosferiche.

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