Un oceano di plastica: si stima che nell’Atlantico ne arrivino ogni anno dai cinque ai tredici milioni di tonnellate, una presenza di cui però si conosce molto poco, appena il 10%, soprattutto a causa delle microplastiche. E proprio per colmare questa lacuna è partito HOTMIC- Horizontal and vertical oceanic distribution, transport, and impact of microplastics, un progetto triennale finanziato con 2,3 milioni di euro nell’ambito del programma europeo “JPI Oceans” a sostegno dei mari denominato “Healthy and Productive Seas and Oceans”.
I paesi europei impegnati nel progetto HOTMIC sono sei e per l'Italia l'unico partner è il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa. HOTMIC, che prenderà il via ufficialmente il 5 giugno, ha l’obiettivo di mappare la presenza delle microplastiche dalla costa Atlantica europea sino al vortice nord atlantico. Con questo progetto si metteranno a punto metodologie analitiche e si faranno campagne di campionamento delle microplastiche, anche sotto i 10 micron, per valutarne entità, tipologia, distribuzione, rotte dagli estuari fino al mare aperto e dalla superficie sino ai fondali, modalità di degradazione e di interazione con organismi biologici. L’intento è di porre le basi per una più accurata valutazione dei potenziali rischi per l’ambiente e per gli organismi marini. In particolare, i chimici e ricercatori dell’Ateneo pisano metteranno in campo le tecniche uniche che hanno ideato per identificare e quantificare le diverse varietà di microplastiche.
Gruppo di ricerca Hotmic dell'Università di Pisa
“Abbiamo sviluppato una metodologia del tutto originale che ci consente di identificare i diversi tipi di microplastica, polimero per polimero - spiega Valter Castelvetro dell’Ateneo pisano – sino ad oggi la tecnica più comune e utilizzata si limitava infatti a fare una separazione grossolana delle microplastiche dai sedimenti, seguita da una laboriosa e inaccurata conta tramite tecniche di microscopia e spettroscopia microscopica”.
Per caratterizzare le microplastiche, saranno quindi utilizzate diverse tecniche di separazione tramite estrazione o depolimerizzazione delle microplastiche, associate a tecniche analitiche di spettroscopia non distruttiva (Raman, FT-IR, microscopia) e distruttiva (HPLC, Py-GC/MS, EGA/MS).
“La sfida è identificare i principali inquinanti plastici, le insidie maggiori – conclude Castelvetro - arrivano dai frammenti di plastica più fini, come ad esempio i prodotti di degradazione di imballaggi plastici, le microsfere di polistirene che derivano da alcuni prodotti cosmetici o le microfibre dei tessuti sintetici, che più facilmente entrano nella catena alimentare degli organismi acquatici”.
Il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa coordinato da Valter Castelvetro è composto da Francesca Modugno, Alessio Ceccarini, Andrea Corti, Mario Cifelli e Antonella Manariti. Oltre all’Ateneo pisano fanno parte del consorzio di Hotmic GEOMAR come capofila insieme all’Università Tecnica di Monaco per la Germania, l’Università della Danimarca meridionale, l’Instituto Português do Mar e da Atmosfera e il centro MARE della Universidade Nova de Lisboa per il Portogallo, l’Università di Ghent in Belgio e l’Università di Tartu in Estonia.
Uno spray all’aroma di pepe per conservare più a lungo la carne oppure una pellicola alla cannella per proteggere le mele da insetti e funghi, tutto a base di chitosano una sostanza del tutto naturale e biodegradabile ricavata in questo caso dagli insetti. E’ questo lo scenario di un futuro non troppo lontano al quale stanno lavorando gli scienziati di Fedkito, un progetto triennale appena finanziato nell’ambito di PRIMA (Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area) attualmente il più importante programma di ricerca dell’area euro-mediterranea.
La professoressa Barbara Conti dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa è la coordinatrice del progetto che coinvolge Italia, Francia, Grecia, Tunisia e Marocco con la partecipazione di atenei, istituti di ricerca e aziende. Nell’ambito di Fedkito i ricercatori svilupperemo diversi packaging a base di chitosano arricchiti di oli essenziali in base alle caratteristiche di cibi che dovranno essere conservati, quindi film per proteggere frutta fresca e vegetali, spray per la carne, e liquido per i prodotti caseari.
La professoressa Barbara Conti dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa coordinatrice del progetto Fedkito
“Per potenziare gli effetti protettivi del chitosano - spiega Barbara Conti – abbiamo avuto l’idea è di aggiungere degli oli essenziali che sceglieremo sulla base di abbinamenti un’analisi sensoriale che tengano conto del gusto e degli aromi in modo da dare ai consumatori un ulteriore valore aggiunto”
Ma l’impegno del progetto nei confronti della sicurezza alimentare non finisce qui. I ricercatori infatti vogliono sperimentare anche una speciale “etichetta intelligente” dotata di biosensori per misurare l’eventuale presenza di micotossine e, residui di pesticidi e residui che possono compromettere la qualità e la salubrità dei cibi anche durante le fasi di trasporto, e stoccaggio e vendita al dettaglio.
“Lavoriamo secondo una prospettiva di protezione integrata che sia anche sostenibile per l’ambiente – conclude Barbara Conti – il progetto si basa infatti anche sul principio dell’economia circolare e così ricaveremo la chitina per il chitosano dagli stessi insetti utilizzati per degradare ed eliminare i rifiuti e gli scarti della filiera agroalimentare”.
Insieme all’Università di Pisa partecipano al progetto le università di Bologna, Hassan II di Casablanca in Marocco, Tessaglia in Grecia, la Sorbona e il Centre Technique Industriel de la Plasturgie et des Composites per la Francia, il Centro di Biotecnologia di Borj Cedria in Tunisia e come partner aziendali due italiane, Gusto parmigiano e Azienda Agricola Salvadori Furio.
Valorizzare la variabilità naturale del fico, un frutto antico per un’agricoltura mediterranea sostenibile. Questo in sintesi l’obiettivo del progetto di ricerca "FIGGEN" guidato dal professor Tommaso Giordani, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa che, assieme a una squadra di ricercatori di Italia, Spagna, Tunisia e Turchia, è riuscito a vincere, dopo una selezione durissima tra migliaia di team di ricerca internazionali di 19 nazioni, un milione di euro nella categoria Farming System della Call 2019 di PRIMA, il Programma per l’innovazione del settore idrico e agro-alimentare nell’area mediterranea guidato da tre anni dal professore ed economista Angelo Riccaboni, già rettore dell’Università di Siena
“I cambiamenti climatici stanno incidendo drammaticamente sulla regione del Mediterraneo e sono necessarie soluzioni per adattare le pratiche dei sistemi agricoli all'aumento delle temperature, della siccità e della salinità del suolo – spiega Giordani - L'adozione di sistemi di coltivazione mista come l'agroforestry può contrastare la perdita di agro-biodiversità e la riduzione della fertilità del suolo”.
Il fico (Ficus carica L.) ha un grande potenziale di espansione grazie a preziose qualità nutrizionali, energetiche e nutraceutiche dei frutti, e al crescente interesse per i metaboliti secondari prodotti nei frutti, nelle foglie e nel lattice, combinato con la capacità di adattarsi ad ambienti secchi, calcarei e salini, rendendo questa specie estremamente interessante per una produzione sostenibile nella regione mediterranea, anche in relazione al cambiamento climatico. Nei prossimi 36 mesi la squadra di ricercatori guidati da Giordani, con il coinvolgimento di agricoltori, produttori, distributori con esperienze e competenze multidisciplinari, hanno in progetto l'introduzione nei sistemi agricoli di cultivar di fico più adatte alle tipologie di ambiente che si produrranno in seguito al climate change e che consentiranno la produzione sostenibile del fico in futuro.
“Uno degli obiettivi è quello di realizzare sistemi agricoli basati sulla biodiversità, più resistenti alle incertezze climatiche e più sostenibili. Ciò avrà effetti benefici sul mantenimento delle risorse naturali (soprattutto in riferimento alla biodiversità sopra- e sottosuolo), sulla conservazione del suolo e delle acque, sulla valorizzazione dei suoli delle aree marginali, e quindi assicurerà la fornitura di migliori servizi ecosistemici” – afferma Giordani. “Tutto ciò avrà un impatto sia sul benessere che sul reddito degli agricoltori, sull'agro-ecosistema e sulla produzione di frutti di questa specie, consentendo di invertire la tendenza al ribasso della produzione di fichi registrata negli ultimi anni nell'area mediterranea”.
Nella foto, il gruppo di Genetica e Genomica Vegetale del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali: da sinistra Alberto Vangelisti, Gabriele Usai, la professoressa Lucia Natali, Flavia Mascagni, il professor Andrea Cavallini, il professor Tommaso Giordani.
Da qualche anno, il gruppo di Genetica e Genomica Vegetale del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell'Università di Pisa si occupa di studiare le caratteristiche del genoma del fico, che ha recentemente sequenziato, e di come questa specie, diffusa nell'area del Mediterraneo, sia in grado di resistere a condizioni climatiche avverse come siccità e salinità. Del progetto FIGGEN fanno parte anche due partner spagnoli, l'Instituto de Hortofruticultura Subtropical y Mediterranea La Mayora dell'Agencia Estatal Consejo Superior de Investigaciones Cientificas, rappresentato dal Prof. Inaki Hormaza, capo del "Subtropical Fruit Crops Department" e il Centro de Investigaciones Científicas y Tecnológicas de Extremadura, rappresentato dalla Dott.ssa Margarita Lopez-Corrales, coordinatrice della banca di germoplasma di fico in Extremadura e responsabile del centro di analisi e registrazione di varietà commerciali di fico a livello nazionale e comunitario. Il progetto comprende anche due partner della sponda meridionale del Mediterraneo: la Facoltà di Scienze dell'Université de Tunis El Manar, in Tunisia, rappresentata dalla Prof.ssa Amel Hannachi, Direttrice del "Fruit Genetic Resources Team in the Laboratory of Genetics, Immunology and Biotechnology", e il Dipartimento di Orticoltura della Çukorova University, Turchia, rappresentato dalla Prof.ssa Ayzin Küden.
Riguardo gli impatti attesi tra 3 anni alla fine progetto, Giordani aggiunge: “FIGGEN avrà ricadute sulla valorizzazione e conservazione della biodiversità, in quanto saranno analizzati 300 genotipi del germoplasma di fico della regione mediterranea, comprese cultivar trascurate o poco utilizzate. L'individuazione e la caratterizzazione dei genotipi più adatti alle difficili condizioni ambientali dettate dal cambiamento climatico contribuirà al miglioramento genetico di questa specie per una produzione di fichi sempre più sostenibile in futuro.
Una delegazione dell’Università di Pisa ha partecipato al corso mascherato del Carnevale di Viareggio che si è svolto domenica 23 febbraio per sensibilizzare i giovani e l’opinione pubblica sul cambiamento climatico.
Sotto la figura di cartapesta di Greta Thunberg del carro di Lebigre-Roger intitolato “Home sweet home – Nessun posto è come casa” che ha vinto l’edizione 2020 del Carnevale ha sfilato un gruppo in rappresentanza del dipartimento di Scienze della Terra e del Museo di Storia Naturale di Calci. Mascherati con camici e parrucche c'erano dottorandi, studenti, borsisti e sei docenti - Giovanni Zanchetta, Monica Bini, Roberto Giannecchini, Elena Maggi, Claudia Vannini e Duccio Bertoni.
La delegazione UNIPI al Carnevale di Viareggio per sensibilizzare giovani e opinione pubblica sul cambiamento climatico
Prima della partenza del corso mascherato, il presidente del corso di laurea in scienze ambientali Giovanni Zanchetta ha presentato il corso, spiegando perché iscriversi e cosa offre agli studenti, quindi tutta la delegazione dell’Università di Pisa ha sfilato con uno striscione con su scritto “Scienze ambientali, perché la Terra è l’unico pianeta che abbiamo”.
“E’ importante usare anche situazioni di divertimento per parlare con i giovani – spiega la professoressa Monica Bini responsabile dell’orientamento a Scienze della Terra –i ragazzi e le ragazze che seguono Greta con entusiasmo spesso infatti non sanno dove si studiano questi temi”.
Per i 77 allievi dell’edizione 2020 si è concluso il percorso del PhD+, il programma promosso all’interno del Contamination Lab dell’Università di Pisa che ha l’obiettivo di stimolare lo spirito imprenditoriale, favorire i contatti e le opportunità di confronto tra studenti di laurea magistrale, dottorandi, dottori di ricerca e docenti. Al termine dei 13 seminari che componevano il programma di quest’anno, i partecipanti, divisi in team multidisciplinari, hanno presentato il pitch delle proprie idee innovative, alcune delle quali saranno sviluppate nella seconda parte del CLab, il CYB+ che inizierà il 18 febbraio con 31 iscritti. Il Contamination Lab è sviluppato dall’Ateneo pisano in collaborazione con Scuola IMT Alti Studi Lucca, Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa.
Gli allievi del PhD+ che hanno partecipato all'evento finale dei pitch. A sinistra il professor Leonardo Bertini.
Delle 15 idee innovative scaturite quest’anno dal PhD+, sono 9 quelle che i ragazzi hanno illustrato durante l’evento finale che si è tenuto alle Benedettine. Ospite speciale è stata la rappresentante del Polo Tecnologico di Navacchio, Silvia Marchini, che ha assistito ai pitch dei ragazzi. «Le idee d’impresa di quest’anno toccano ambiti molto diversi tra loro, dai più tecnologici, a quelli umanistico-letterari – commenta il professor Leonardo Bertini, delegato del rettore per la promozione delle iniziative di spin off, start up e brevetti – Quello che accomuna questi progetti è la forte vocazione all’innovazione e l’augurio che facciamo a tutti i nostri allievi è che possano riuscire, grazie agli strumenti che diamo loro, a trasformarli in vere imprese».
Tra le idee innovative c’è quella proposta da Anita Paolicchi, Carolina Paolicchi e Francesca Mannocci, che hanno pensato a una casa editrice, Astarte Edizioni, che si occupi di temi legati al mondo mediterraneo; oppure Eurikos, un pannello fonoassorbente in grado di produrre presentato da Luca Bonatti; un team numeroso composto da Rebecca Piccarducci, Rebecca Ferrisi, Lorenzo Germelli, Lorenzo Flori, Giovanni Petrarolo, Stefania Merlino, Davide Musco, Antonio Ritacco e Marco Cardia, ha ideato EXPAPP, un servizio che genera uno scontrino elettronico per la lotta allo spreco alimentare; MoWu around, ideato da Lorenzo Cenceschi, Luca Mastrosimone, Oreste Sabatino e Chiara Vellucci, è un sistema che permette di analizzare e modellizzare quantitativamente il flusso turistico per un turismo più sostenibile; Àngela Puig Sirera, Giovanni Rallo e Andrea Sbrana hanno proposto PhD-, un sistema di monitoraggio del consumo idrico delle città.
C’è poi Smart alcoltest di Rudy Semola e Alessandro Carpenzano, un sistema da integrare nelle automobili che impedisce l’accensione della vettura in caso di stato di ebbrezza; Tessra, ideato da Elgeziry Mahmoud Samir Mahmoud Hassan, offre una piattaforma cloud per analisi e design di materiali e processi innovativi; Miriam Colella e Andrea Giumetti hanno presentato Uroboros Project, un progetto per creare una rete di contatti per valorizzare le realtà artistiche e museali poco valorizzate: infine Giacomo Cillari, Roberto Rugani e Giulia Lamberti, hanno parlato di VESTA, moduli abitativi ad alte prestazioni per situazioni d'emergenza.
Un brindisi con acqua pubblica per dire addio alla plastica. Così il rettore dell’Università di Pisa, Paolo Mancarella, ha dato il via lunedì 10 febbraio a una nuova stagione per la vita dell’Ateneo, proiettata verso una sempre maggior sostenibilità ambientale. "Oggi – ha commentato il rettore – abbiamo inaugurato sette nuovi erogatori di acqua pubblica che, assieme alla distribuzione delle borracce, ci aiuteranno ad abbattere le bottigliette di plastica consumate nel nostro Ateneo. Circa 2.000 al giorno solo nel Polo Piagge e 350.000 all'anno in tutto l'Ateneo, pari a 7 tonnellate di PET per la cui produzione vengono emesse nell’atmosfera quasi 16 tonnellate di CO2. Senza contare l’impatto del trasporto e del loro smaltimento. È solo un primo passo, ma grazie anche alla neo-costituita Commissione di Ateneo, daremo rapidamente un contributo incisivo allo sviluppo sostenibile e al miglioramento della qualità di vita di tutta Pisa".
Dopo le circa 10.000 borracce distribuite agli immatricolati (presto disponibili per la comunità universitaria a un prezzo simbolico) e l’eliminazione della plastica monouso in occasione di riunioni, eventi e momenti istituzionali, prosegue così la conversione dell’Università di Pisa in “Ateneo sostenibile”. Tante le novità presentate: dai sette nuovi erogatori di acqua pubblica nei poli Piagge (3), Fibonacci (2) e Guidotti (2), alla costituzione della Commissione di Ateneo per lo sviluppo sostenibile.
Presieduta dal prorettore Marco Raugi, nominato anche come referente all’interno della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (RUS), la Commissione avrà il compito di guidare l’Università in questo cammino, dettando obiettivi e strategie e misurando i risultati. La Commissione, composta in modo paritetico da docenti, rappresentanti del personale tecnico-amministrativo e studenti, è formata dai seguenti 18 membri: Marco Raugi (presidente), Daniele Antichi, Sabrina Arras, Leonardo Baldacci, Federico Boggia, Carlo Carminati, Cristina Cruciano, Michela Gesualdi, Lisa Ghezzi, Elisa Giuliani, Camilla Guerrero Molano, Luca Lanini, Valentino Liberto, Marina Caterina Magnani, Elena Menchetti, Elena Perini, Giovanna Pizzanelli, Andrea Somma.
Le iniziative presentate al Polo Piagge sono solo le ultime, in ordine di tempo, messe in atto dall’Università di Pisa per supportare l’affermazione di una vera e propria cultura della sostenibilità ambientale. Già da qualche anno, infatti, l’Ateneo ha inserito questo impegno nel suo Statuto e, più recentemente, nel suo Piano Strategico, facendone un elemento centrale della propria attività.
Alla fine dello scorso anno all’Orto e Museo Botanico è stato aperto un erogatore di acqua potabile, che nelle prime settimane di funzionamento è stato utilizzato da un gran numero di studenti, personale universitario e visitatori.
Attualmente sono almeno quattro i centri di ricerca che hanno un richiamo evidente agli obiettivi di sviluppo sostenibile enunciati dall’ONU, a partire dal Centro di ricerche agro-ambientali “Enrico Avanzi”, che con quasi cinquant'anni di attività è una delle più grandi e riconosciute realtà d’Europa per lo studio dei sistemi agricoli sostenibili. Inoltre, sono attivi i Centri interdipartimentali sulla Nutraceutica e alimentazione per la salute, sull’Energia per lo sviluppo sostenibile (CIRESS) e per lo studio degli effetti del cambiamento climatico (CIRSEC). Da quasi quattro anni, infine, è attivo il Green Data Center di Ateneo, che è stato progettato seguendo criteri di sostenibilità e per ottenere una riduzione dei consumi e delle emissioni.
Nella foto in alto: il rettore Mancarella e l'assessore Bedini inaugurano l'erogatore al Polo Piagge.
Nella foto al centro: i membri della Commissione presenti all’inaugurazione con il rettore e il direttore generale, Grasso.
Nella foto in basso: un momento dell’inaugurazione con, da sinistra, Marco Raugi, presidente della Commissione di Ateneo per lo Sviluppo Sostenibile; Filippo Bedini, assessore all'Ambiente del Comune di Pisa; il rettore Paolo Mancarella; Elisa Giuliani, referente della Commissione su "Resource, Water and Waste Management”; il direttore generale, Riccardo Grasso.
E' uscita on line, liberamente scaricabile in formato pdf, una pubblicazione della Pisa University Press sulle ricerche condotte all'Università di Pisa in tema di cambiamento climatico. La raccolta intitolata The researches of the University of Pisa in the field of the effects of climate change” è il frutto del primo incontro del neonato Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) che si è svolto a dicembre scorso.
Pubblichiamo di seguito una presentazione della pubblicazione del professore Giacomo Lorenzini Direttore del CIRSEC.
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Nonostante la persistente presenza di fenomeni di ‘negazionismo’, la comunità scientifica è ormai concorde che sia in atto una preoccupante serie di fenomeni che coinvolgono diversi aspetti del nostro clima. Non si tratta soltanto di evidenze di tipo strumentale, ma vi sono dimostrazioni di natura fisica (es. il progressivo ritiro dei ghiacciai) e biologica (es. l’allungamento di cicli dei vegetali). E’ altrettanto pacifico che sono le attività umane (e soprattutto la combustione di materiali fossili a fini energetici) ad avere un ruolo determinante nella genesi di tali variazioni, ed è la prima volta che prendiamo atto che variazioni climatiche intervengono non solo a causa di processi naturali di lungo periodo.
Le nuove condizioni climatiche rischiano di avere impatti importanti sulla nostra storia, sulla geografia e su tutte le nostre attività quotidiane, con inevitabili riflessi sulla salute di tutti gli organismi viventi e sul loro benessere. Il clima influenza i rapporti sociali (es. migrazioni), lo stato psicologico (aggressività, disturbi mentali, cognizione) e le condizioni economiche (agricoltura, pesca, turismo), per non parlare degli aspetti ecologici in senso lato e, inevitabilmente, i cambiamenti climatici interferiscono con tutti questi processi, sì da costituire una minaccia per il nostro futuro.
Anche in Italia abbiamo subito recentemente situazioni critiche in termini di “ondate di calore”, eventi piovosi estremi ed alluvioni e incendi forestali che si ritiene possano essere correlati appunto con i cambiamenti climatici in corso.Azioni di contrasto si devono basare innanzitutto su nuove politiche energetiche, ma, ad esempio, anche i nostri comportamenti alimentari dovrebbero essere ridiscussi. Nel frattempo siamo chiamati ad adottare strategie per minimizzare già nel breve periodo l’impatto degli scenari climatici presenti e di quelli previsti. Per raggiungere questi obiettivi dobbiamo meglio conoscere la natura e l’intensità degli effetti fenomeno.
Recentemente si è costituito presso l’Università di Pisa il Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico dell'Università di Pisa, che raccoglie le competenze di 100 ricercatori, afferenti a 13 dipartimenti. Lo scorso 6 dicembre si è svolto l’evento di presentazione, basato su 36 relazioni, che letteralmente spaziano dalla ‘A’ (Antropocene) alla ‘Z’ (zoonosi). E non poteva essere diversamente, in quanto le variazioni climatiche in atto condizionano infiniti aspetti delle condizioni sanitarie e del benessere degli organismi viventi e dell’ambiente che li ospita. Sette le sessioni: salute umana e animale, agroecosistemi, biosistemi naturali terrestri, temi geologici, biologia marina, aspetti economici, sociali e politici.
Tutti i contributi scientifici sono raccolti in uno special issue di Agrochimica, edito dalla Pisa University Press, dal titolo “The researches of the University of Pisa in the field of the effects of climate change”, reperibile on-line e liberamente scaricabile (formato pdf) in configurazione open access.
Particolarmente curiosa è la copertina del volume, che raffigura i dati della serie italiana delle ormai famose “warming stripes”, ovvero rappresentazioni cromatiche delle temperature medie degli ultimi 120 anni. Anche gli scettici (‘negazionisti’) devono prendere atto che le medie degli anni recenti sono inequivocabilmente superiori ai valori del secolo scorso. E se aumenta la temperatura si innescano reazioni a catena che coinvolgono fenomeni biologici, chimici e fisici che implicano conseguenze a medio-lungo termine di difficile individuazione e dagli effetti non sempre facilmente prevedibili. C’è necessità di approfondire questi argomenti e l’Università di Pisa è pronta a continuare a dare il proprio contributo.
Giacomo Lorenzini
Direttore CIRSEC UniPI
Una nuova agricoltura in grado di sostenere la sfida del cambiamento climatico per una gestione più sostenibile del territorio. E’ questa l’obiettivo di Agromix, un progetto europeo appena approvato al quale partecipa il Centro Ricerche Agro-ambientali “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa sotto la responsabilità scientifica del dottor Daniele Antichi. Il consorzio Agromix, formato da 28 partner provenienti da 14 diversi Paesi Europei, ha ricevuto un finanziamento di circa 7 milioni di euro e sarà attivo per i prossimi quattro anni.
Tenuta Paganico
“Noi come Centro Avanzi ci occuperemo di misurare e monitorare alcuni indicatori agro-ambientali e socio-economici dei sistemi agricoli biodiversi in relazione ai cambiamenti climatici - spiega Daniele Antichi – fra questi la stabilità nel tempo delle produzioni e la qualità dei prodotti, il sequestro di carbonio nel suolo e le ridotte emissioni di gas serra, il consumo idrico e risparmio di concimi minerali, la redditività e le dinamiche dei prezzi”.
La sperimentazione avverrà a San Piero a Grado, nei campi del dispositivo sperimentale “Arnino LTE” su una superficie complessiva di circa 40 ettari sui quali si testano sistemi agroforestali in cui coesistono colture erbacee, animali al pascolo ed alberi da legno, e presso l’azienda agricola “Tenuta di Paganico” di Civitella Paganico (GR), dove si conduce a livello aziendale una forte integrazione tra allevamento animale e produzioni vegetali.
Daniele Antichi
Attraverso il coinvolgimento delle aziende agricole e degli attori delle filiere interessate, il progetto guiderà la transizione dei sistemi agricoli verso una maggiore resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici. Nello specifico, basandosi su un network di ben 83 diversi siti sperimentali e casi studio aziendali e regionali, Agromix approfondirà la conoscenza dei nuovi modelli di business e testerà il potenziale di mitigazione e di adattabilità nei confronti dei cambiamenti climatici da parte di sistemi agricoli che integrano allevamento animale e produzioni colturali, incrementando la biodiversità dei sistemi produttivi e diversificando il paniere dei prodotti.
Il Centro Avanzi contribuirà alla realizzazione del progetto Agromix attraverso la partecipazione di un gruppo di lavoro interdisciplinare coordinato dal dottor Daniele Antichi e dai professori Fabio Bartolini (responsabile di un WorkPackage sugli aspetti socio-economici dei sistemi misti e agroforestali) e Marcello Mele (direttore del Centro “Avanzi” e responsabile di un task sulle produzioni animali).
“Questo nuovo progetto europeo – conclude Antichi - è un’ulteriore conferma del ruolo fondamentale che il Centro Avanzi svolge da trent’anni nel coordinare le conoscenze interdisciplinari e promuovere modelli innovativi di agricoltura sostenibile”.
Si chiamano ipossia e acidificazione i due pericoli che insieme possono minacciare gravemente la salute degli oceani e l’intero clima del nostro pianeta. L’unione di questi due stress ambientali di origine antropica è infatti in grado di minare l’equilibrio dei fondali marini, un ecosistema fragile ma fondamentale per contribuire alla cattura ed al sequestro di CO2 dall’atmosfera. Questo rischio ambientale è stato per la prima volta messo a fuoco da uno studio coordinato dai ricercatori dell’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista “Global Change Biology”. La ricerca, finanziata in parte dal MIUR tramite il progetto TETRIS, è stata condotta da Chiara Ravaglioli e Fabio Bulleri del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano, in collaborazione con il Plymouth Marine Laboratory, la Southampton University e la Florida State University.
Da destra Chiara Ravaglioli dell’Università di Pisa e Ana Queiros del Plymouth Marine laboratory, durante lo svolgimento dell’esperimento
Secondo i ricercatori a minacciare l’equilibrio dei fondali marini sarebbe proprio l’azione congiunta di questi due fenomeni in gran parte dipendenti dalle attività umane. L’acidificazione corrisponde infatti ad un aumento della concentrazione di CO2 nei mari provocato da un incremento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera; l’ipossia è invece un fenomeno che deriva da una diminuzione di ossigeno negli oceani causato da accumulo eccessivo di nutrienti, legato per esempio all’uso dei fertilizzanti in agricoltura.
“Eventi di ipossia, come quello simulato nel nostro studio, si osservano frequentemente lungo le zone marine costiere e la previsione è che si intensifichino ulteriormente a causa dei cambiamenti climatici – spiega la dottoressa Chiara Ravaglioli prima autrice dell’articolo - Valutarne gli effetti legati all’azione simultanea dell’acidificazione è quindi fondamentale per capire come gli ecosistemi marini risponderanno a queste condizioni in un possibile scenario futuro”.
Per condurre la sperimentazione, i ricercatori hanno utilizzato dei “mesocosmi” di ultima generazione, cioè dei laboratori in cui vengono simulate le condizioni degli ecosistemi marini. Durante i test, gli scienziati hanno marcato le alghe con carbonio-13 per seguire il flusso di carbonio, dalla sua assunzione da parte degli invertebrati marini sino al successivo accumulo nel sedimento.
“I risultati della nostra ricerca forniscono indicazioni importanti per la gestione dei sistemi marini – sottolinea Fabio Bulleri - ad esempio, la riduzione di uno stress che agisce su scala locale o regionale, come ad esempio un apporto eccessivo di nutrienti, può mitigare gli impatti del cambiamento climatico come l’acidificazione sui sedimenti marini”.
La vasca di mesocosmi (1m3), riempita di acqua di mare, in cui sono stati collocati i cilindri trasparenti contenenti il sedimento con la comunità di invertebrati marini. All’interno di ciascun cilindro sono state manipolate le diverse condizioni sperimentali (alcuni erano mantenuti in condizioni naturali, altri sottoposti ad un aumento di CO2 o una diminuzione di O2 o la combinazione dei due stress). La CO2 è stata iniettata all’interno di ciascun cilindro grazie all’utilizzo dei piccoli tubi di plastica che si vedono in foto. La concentrazione di O2 è stata manipolata sigillando con silicone tutte le aperture del cilindro per circa 48 h.
Lo studio degli habitat marini è un filone di ricerca consolidato nell’Ateneo pisano. Protagonista di questa ricerca è Chiara Ravaglioli, 31 anni di Sinalunga (Siena), attualmente assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Biologia, unità di Biologia Marina ed Ecologia. I suoi principali interessi di ricerca riguardano lo studio degli effetti dei cambiamenti climatici globali e delle attività umane sulle comunità marine costiere.
Insieme a lei ha coordinato lo studio Fabio Bulleri, 49 anni di Livorno, professore associato del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa dove tiene i corsi di Ecologia ed Impatto dei Cambiamenti Climatici in Ambienti Marini. La sua attività di ricerca che conta all’attivo circa 90 articoli su riviste scientifiche indicizzate è incentrata sugli ambienti marini costieri, utilizzati come sistemi modello per affrontare tematiche di ecologia di base.