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Società e sociologia

Gian Franco Elia, cinquant’anni di lavoro scientifico in sociologia urbano-rurale

 

Anche se non ce ne accorgiamo, sempre le biografie incontrano la storia; talvolta fanno la storia, in molti altri casi contribuiscono a definire la storia. Naturalmente si tratta di capire quale storia, la storia generale o la miriade di storie speciali: e, d’altra parte, nessuno può evitare il “giudizio” proprio sul tipo di apporto che è stato tributato alla configurazione della storia o di una storia. Il nostro giudizio è che il ruolo di Gian Franco Elia nella promozione e nell’orientamento della storia della sociologia urbano-rurale in Italia è stato di particolare rilievo e significato operando in quelle intersezioni costruttive che producono effetti di alto valore sintetico.

Gian Franco Elia si è collocato in un ambito di riflessione che da un canto era nell’ordine evolutivo delle cose, da un altro veniva potenziato proprio dalle elaborazioni personali. In una condizione culturale che sembra frequentare ad oltranza la memoria e insieme indulgere ad obsolescenze assai rapide - con un nesso “dialettico” tra le due modalità fenomenologiche -, è importante recuperare testimonianze serie in grado di consolidare percorsi e rappresentarli correttamente.
Veniamo pertanto all’epoca in cui ha massimamente operato Elia. Era l’epoca del secondo dopoguerra, quando l’Italia viveva il suo vero take off industriale, andando incontro a trasformazioni assolutamente inedite e a mutamenti radicali negli assetti politici, economici, sociali, e infine nelle abitudini e nei costumi. Il “social change” che costituiva il banco di prova della sociologia fin dalla sua origine era in atto: e in effetti invocava una visione nuova della realtà e delle tendenze della realtà e interpretazioni che potessero coniugare ipotesi e fatti in un quadro utile per la politica sociale.
Alcune scritte murali in Tolosa

Alcune scritte murali in Tolosa.

La sociologia ottenne dalle condizioni “oggettive” una forte stimolazione per chance soggettive di lavoro e di ricerca, e dunque per collocazioni accademiche coerenti; e venne istituzionalizzata nelle università in virtù di un consenso delle circostanze che produsse una legittimazione fondamentale tuttora vigente, sebbene sempre sottoposta alle avventure del divenire. Ma nella sociologia generale prendevano a distinguersi campi via via più circoscritti in base sia ad evidenze ed emergenze di dinamiche nuove sia ad esigenze di adeguamenti metodologici e vocazionali.
La sociologia urbano-rurale apparve allora come un settore privilegiato sotto il profilo della espressività di eventi concreti ineludibili, da analizzare con robustezza di intenti a causa della quantità e qualità, della intensità strategica, dei destini coinvolti: e che erano, diciamo per semplificazioni topografiche, ubicati sia nelle città, sia nelle campagne. Le città italiane si ingrandivano e le campagne si spopolavano. Il settore “primario” regrediva irreparabilmente, quello secondario e terziario progredivano inarrestabilmente.
Tre nuclei tematici, frequentati da Gian Franco Elia, documentano della connessione tra formule dell’intelligenza e forme della realtà; e permettono una rapida, ma non poco significativa, storia concettuale efficace anche oltre i confini di questo excursus specifico: il territorio, la comunità, il potere.
Fu “scoperto” il territorio: non che fosse ignoto, ma certamente fu ripercorso e riscritto secondo nuovi canoni e nuovi orientamenti. Le indagini si moltiplicarono, anche alla ricerca di “unità territoriali” diverse da quelle tradizionali, e più “omogenee” sul piano delle attività socio-economiche: tali cioè da permettere di individuare linee efficaci di intervento strutturale e infrastrutturale come richiesto dalla fase di espansione in atto.
Elia, che aveva avuto esperienze di amministrazione del territorio in Maremma, trovava in qualche misura del tutto ovvio occuparsi scientificamente di quella grande questione, e dunque vedeva con speciale interesse l’impegno della sociologia urbano-rurale in merito. Non era solo in questa impresa: nel Sud, eminenti studiosi, capitanati da Manlio Rossi Doria, avevano già portato l’attenzione sul territorio, mobilitando energie un po’ da tutti i settori disciplinari e orientandole anche allo studio di un certo territorio, quello meridionale. Non vi è dubbio che attraverso la riscoperta del territorio, come riscoperta fisica ma soprattutto morale, passava una forma di devozione patriottica per una Italia nova e suppostamente in grado di affrontare con insolita lena e con moderne categorie l’antico problema dell’unità del paese. Nelle celebrazioni del centenario dell’Unità (1961) viveva ancora uno spirito resistenziale e costituzionale, che peraltro era impersonato dai molti protagonisti della Resistenza e padri della Costituzione ancora in vita.
La sociologia in generale e la sociologia urbano-rurale in particolare traevano da questa atmosfera irripetibile una diffusa linfa vitale, in grado di motivare o rimotivare giovani e meno giovani studiosi. Si potrebbe finanche dire che la ricerca sociologica si accompagnava alla rinascita dello spirito pubblico e al rinnovamento della pratica democratica.
L’argomento della comunità fu investito di una grande vena introspettiva e di una particolare intensità razionalistica. Comunità e razionalizzazione fu, in quel periodo, il titolo quasi pleonastico di un testo di Alessandro Pizzorno che ben descriveva una presenza e un’esigenza. La comunità era il dato più manifesto della situazione italiana; nello stesso tempo proprio quel dato era di per sé in transizione e doveva essere comunque modificato per accogliere le nuove prospettive di vita e di lavoro. Non dobbiamo dimenticare che un vero e proprio movimento politico - quello appunto “di comunità”, sostenuto e diretto da Adriano Olivetti - si fece interprete della necessità di coniugare il processo di industrializzazione con una base di solidarietà umana che trovava tuttavia nell’ambiente antropologico della comunità una possibilità di realizzazione umanistica. Ancora una volta il rurale e l’urbano assumevano un valore paradigmatico e l’innovazione consisteva appunto nella individuazione di connessioni felici tra l’una e l’altra condizione allo scopo di organizzare “armonicamente” lo sviluppo. Furono molti i prodotti che la letteratura sociologica ebbe modo di offrire in quella stagione alla considerazione dei politici e degli amministratori, rinsaldando agli occhi di un settore qualificato di policy makers l’immagine di una disciplina non aliena da un pensiero applicativo e da suggerimenti ben controllati. Era tuttavia sulla percezione di un territorio non solo fisico, ma etico che tutto il dialogo si affermava e si distendeva, non disgiunto dalla preoccupazione del futuro di aggregati umani sempre più complessi e differenziati.

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Venne di conseguenza il dibattito, che fu intenso e altamente problematico, sul potere, potere come risorsa nella deontologia del fare, e del fare utile e razionale. Furono, come si ricorderà, gli anni della programmazione, legata peraltro all’ingresso di forze di sinistra nel governo del paese (centro-sinistra, 1963). Un gran fermento, di nuovo con forti implicazioni territoriali, emerge dalle circostanze di un paese che deve, in concomitanza con i suoi successi economici, rivedere le proprie infrastrutture materiali e mentali e “modernizzarsi”. È l’epoca della modellazione dei distretti, industriali, scolastici e così via; e della istituzione delle Regioni (1971). Il potere va incontro a ridefinizioni non solo in termini propriamente “politici” di ceti e classi emergenti che esigono di “contare”, ma anche in termini di esperienze e istanze sociali manifestate complessivamente dalla città.
Questi processi “oggettivi” hanno altrettante manifestazioni “soggettive”. Elia è stato dentro gli eventi, respirandone il clima e cogliendone le irradiazioni. La considerazione del territorio è stata una sorta di background sul quale erigere e condurre progetti di ricerca. Così l’indagine su Nomadelfia mette in luce le interazioni comunitarie e le relazioni umane in uno speciale contesto in parte spontaneo in parte intenzionale: con una riflessione articolata sulle sue possibilità e i suoi limiti. Un’indagine che si pone nel solco di altre, come abbiamo detto, compiute in quel periodo, e tra le quali si deve annoverare l’originale esperimento di Agostino Palazzo su Nomia e autonomia nelle comunità del marmo delle Apuane, che avrà una continuazione di elevato profilo teorico in Autorità e potere (1964). In questa atmosfera, assai proficua nell’ambito del benemerito Istituto di sociologia dell’Ateneo pisano, matura, nel 1966, il testo di Elia su Città e potere, dove si mettono in evidenza i modi di esteriorizzazione organizzativa del potere nella città e dunque le capacità del potere di produrre “realtà” sulle quali poi muove il gioco delle contrapposizioni e finanche dei conflitti. Il conflitto urbano è un lavoro successivo che chiarisce ulteriormente come la città sia un agglomerato in cui tensioni di vario genere sono contenute o esplodono per effetto di consapevolezze successive di diritti di eguaglianza e di giustizia. Del 1971 è l’antologia di Sociologia urbana che fa il punto sulla disciplina di cui si ricordano gli autori antesignani, i “classici”, i moderni e gli studiosi più recenti in un quadro di insieme dotato ancora oggi di una sua forte incisività. In seguito, Elia ha avviato studi sulle città della ragione come Brasilia o della tecnologia come Sophia Antipolis, e, non senza ironia, sui loro opposti, come le città dei campanili, e del provincialismo tradizionalistico. Il lavoro di Elia si svolgeva nella cornice del dipartimento di Scienze sociali, le cui meritevoli attività di ricerca, di elaborazione didattica, di promozione internazionale, di collaborazione con gli enti e gli organismi territoriali all’insegna dell’analisi e della soluzione di problemi sociali pesanti e difficili non sono bastate a preservarlo da una politica puramente contabile dell’Università, incapace di separare l’aspetto amministrativo dalla qualità dell’impegno culturale e dell’apporto alla razionalizzazione civile dei sistemi sociali.
Tornando, per concludere, all’opera di Elia, dobbiamo seguire il doppio binario delle dinamiche “esterne” e delle ispirazioni “interne” per interpretarla correttamente, nell’ipotesi di una sintesi da quelle biunivoche fonti. La condizione attuale ha largamente mutato i termini del discorso sociologico prevalenti nella seconda metà del secolo scorso. La globalizzazione, con i suoi riflessi territoriali, ha in un certo senso delocalizzato anche la città; e i problemi dell’inquinamento hanno imposto una preoccupazione ecologica che mette l’ambiente in un orizzonte extraterritoriale. Ma se tutto ciò sollecita nuova e sempre vigile analisi/critica, e una dilatazione degli interessi teorico-empirici, vecchie e drammatiche realtà delle città che popolano le singole regioni del mondo sotto tutte le latitudini continuano ad invocare supplementi di pensiero e di azione. È il caso degli homeless, a cui si dedica con antica determinazione etico-politica l’ultimo Elia, nel segno di una encomiabile continuità del lavoro scientifico che non conosce pause né riluttanze di fronte al proprio daimon, e alla convinzione di una responsabilità irrinunciabile, e indelegabile.

Mario Aldo Toscano
docente di Sociologia generale
toscano@dss.unipi.it