Numero 30 – Editoriale
Dicembre 2009
Questo numero di Athenet si apre con due degli interventi che hanno animato la discussione in occasione del convegno «Città e Cittadini» organizzato dalla facoltà di Scienze politiche come atto di omaggio a Gian Franco Elia. Studioso di vaglia, tra i fondatori della Sociologia urbana in Italia, Elia è stato tra l’altro rettore della nostra Università dal 1989 al 1993. Tornare a riflettere sull’opera di Elia, come osserva giustamente Mario Aldo Toscano, significa confrontarsi con la storia, quella della disciplina, che negli anni del boom economico riusciva finalmente ad imporsi sulle perplessità degli scettici, e quella più generale del nostro Paese. Dal nostro punto di vista, di naufraghi dello sviluppo, quello sforzo conoscitivo, quella vigorosa creatività nello sperimentare percorsi nuovi, guidata da una incrollabile fiducia nella capacità di intervenire democraticamente sui destini collettivi, e di poter programmare la crescita economica entro un rapporto armonico tra territorio, comunità e i diversi soggetti che la compongono, ci appare quasi come l’età dell’innocenza perduta, una Thaiti diderottiana cancellata dalle mappe della cartografia politica. Eppure, quella di Elia, è stata un’esperienza che ha riempito l’esistenza di almeno una generazione: uomini e donne, dopo l’abisso della guerra, attraversati da una tensione ideale, da una forma di “devozione patriottica per un’Italia nova”, secondo Toscano; o forse, più semplicemente, da un bisogno improcrastinabile di giustizia sociale. Cos’è che è accaduto? Quand’è stato che abbiamo smarrito la bussola per Thaiti? La crisi della globalizzazione liberista ci consegna un paese scoraggiato, vecchio nello spirito ancor prima che all’anagrafe. Sconfessato ogni patto generazionale, perduta qualsiasi prospettiva di futuro, il pilota naviga a vista, tutto solo sul cassero, senza preocupparsi del cattivo odore che viene su dalla sentina. Il conflitto, che ci aveva sospinto verso nuovi traguardi di uguaglianza e di giustizia, non trova più mediazioni progressive nell’arengo politico, e degenera sotto coperta nella giungla egoistica delle identità immaginarie. Come quel frate che in tempo di Quaresima prese un coniglio e lo battezzò carpa, così, per legge, una minoranza si è fatta maggioritaria e crede di non dover più scendere a patti con le diverse istanze che vengono dalla società. Ma lontano dalla plancia di comando chi suda la vita continua ad essere fatto di carne ed ossa, e anche se può essere scambiato per un’anima dannata arruolata nella ciurma dell’Olandese volante, non c’è nessuna sentenza che l’abbia condannato a vagare eternamente senza meta. Ogni testa dura trova il suo scoglio, e ogni capitan Bligh il suo Bounty. Allora, dovremmo scuoterci dal senso di struggente nostalgia che ci prende tutte le volte che torniamo col pensiero al progetto incompiuto della generazione di Elia, e pensare che prima o poi a quei fili interrotti bisognerà riallacciarsi.
La Redazione