L’informatica pisana fa storia
Il corso di dottorato ha festeggiato 25 anni
L’informatica italiana è nata a Pisa. All’inizio degli anni Cinquanta, infatti, le Province di Pisa, Lucca e Livorno misero a disposizione la somma, allora enorme, di 150 milioni di lire allo scopo di realizzare un sincrotrone, ma la Provincia di Roma, con una montagna di soldi in più, le scavalcò. Così il sincrotrone fu costruito a Frascati e i soldi raccolti a Pisa furono investiti in altro modo. Trenta milioni furono messi per la costruzione di una macchina per datare i fossili col carbonio 14, e il resto fu usato non già per l’acquisto, ma per il progetto e la realizzazione di un calcolatore elettronico, secondo il consiglio di Enrico Fermi. Fu allora messo in piedi il Centro Studi Calcolatrici Elettroniche (CSCE) all’interno dell’Istituto di Fisica, in cui lavoravano ricercatori non ancora trentenni che si buttarono a capofitto in un’esperienza senza alcuna garanzia di successo. Dopo qualche anno fu realizzato un prototipo di calcolatore (anzi di calcolatrice, perché allora la parola si usava al femminile) che fu chiamato macchina ridotta, basato ancora su una tecnologia a valvole ma con caratteristiche tecniche di assoluta avanguardia. In seguito la macchina ridotta fu arricchita e ampliata, dando origine alla Calcolatrice Elettronica Pisana (CEP) che oggi può essere ammirata al Museo degli Strumenti per il Calcolo.
La vita del personale accademico, impegnato in un’attività di ricerca e d’insegnamento, rappresenta un’immagine fedele dello sviluppo della struttura universitaria in cui si svolge l’attivitā degli scienziati. Le linee di ricerca esplorate riflettono lo sviluppo storico associato a una particolare disciplina, gli spostamenti degli interessi scientifici all’interno di una comunità di scienziati e i temi rilevanti per le agenzie che finanziano la ricerca a livello nazionale o internazionale. Questa evoluzione temporale di interessi determina alla fine il percorso scientifico di ogni ricercatore. Un’attivitā in fisica (e più in generale in qualunque campo di ricerca), che davvero piaccia al ricercatore fino al punto di farne uno stakanovista, richiede un opportuno bilancio fra supporto della comunità accademica e libertà d’azione. Per lo scienziato fare quello che piace al meglio della propria capacità rappresenta un modo di sentirsi davvero realizzato. La bellezza del risultato finale è la ricompensa e la libertà con cui scegliere i percorsi per raggiungerlo costituisce la condizione indispensabile per la sua creatività. Oltre agli aspetti architetturali altamente innovativi, come la microprogrammazione, i progettisti della CEP affrontarono anche i problemi legati alla produzione del software, tanto da realizzare uno dei primi compilatori per un linguaggio di alto livello, il FORTRAN; si tenga conto che allora si programmava ancora in binario nel linguaggio macchina, il che richiedeva uno sforzo enorme ai programmatori. Nascono così le prestigiose scuole pisane sui linguaggi di programmazione e sull’architettura degli elaboratori, senza dimenticare algoritmi e applicazioni, a quel tempo prevalentemente orientate al calcolo. Insomma, in quegli anni a Pisa si muovono i primi passi in tutti i campi dell’informatica. A quel tempo non si poteva prevedere lo sviluppo futuro dei calcolatori e molte delle grandi industrie internazionali che hanno legato il loro nome all’informatica non esistevano o non lo consideravano un campo in cui impegnarsi. Faceva eccezione l’Olivetti che, fin dai primi momenti partecipò direttamente e finanziò la ricerca, installando a Pisa il suo Centro studi sui calcolatori, i cui membri, i cosiddetti “ragazzi di Barbaricina”, lavoravano in stretta collaborazione con il nostro Istituto di Fisica. Ed ecco dunque che, sempre a Pisa, nasce l’industria informatica italiana. Nella sua breve e tormentata vita (conseguenza di imperizia, di scarsa lungimiranza e forse questioni internazionali) ha saputo proporre prodotti originalissimi e di grande qualità, come la Programma 101, la mitica Perottina, il primo personal computer. Finita la costruzione della CEP, si rischiava di veder disperso il prezioso gruppo di studio che l’aveva creata e tutte le competenze che si erano formate intorno ad essa. Per questo si decise di trasformare la CSCE in un istituto del CNR, l’Istituto per l’elaborazione dell’informazione (IEI). Poi nacque l’Istituto di Linguistica Computazionale, destinato a pionieristici studi sui testi e le lingue naturali con l’ausilio di tecniche e strumenti informatici. Un ulteriore importante momento fu l’istituzione del Centro Universitario Nazionale di Calcolo Elettronico (CNUCE) nel 1965, grazie alla donazione di un calcolatore 70/90 da parte della IBM all’Università di Pisa. Infine, la stessa IBM aprì a Pisa un centro studi, a riprova della reputazione dell’ambiente scientifico pisano. Negli anni le cose sono cambiate, ma non è cambiato l’ambiente stimolante in cui gli studenti e i professori si trovano a lavorare: alcune industrie informatiche nazionali e internazionali hanno aperto e a volte chiuso le loro sedi a Pisa, nuove imprese spesso assai dinamiche sono nate fianco a fianco all’Università e ai maggiori istituti di Informatica del CNR, in un reciproco e costante arricchimento. È nell’ambiente delineato sopra che, a metà degli anni Sessanta, il professor Alessandro Faedo iniziò a pensare all’istituzione di un nuovo corso di laurea in cui gli aspetti legati al software fossero affidati alla facoltà di Scienze e quelli legati all’hardware alla facoltà di Ingegneria. Purtroppo, gli ingegneri scelsero di non imbarcarsi in un’impresa così incerta. Anche per questo la nascita del corso di laurea in Scienze dell’informazione fu particolarmente lunga, per la diffidenza di alcuni settori accademici insieme alle difficoltà dovute al fatto che tutte le decisioni dovevano esser prese a Roma. Finalmente, un giorno d’estate del 1969, chi vi scrive trovò un depliant viola all’uscita del suo liceo: vi si descriveva Scienze dell’informazione, un nuovo corso che sarebbe partito nell’anno accademico 1969-70, con un primo biennio dalla struttura simile ai corsi di scienze e di ingegneria e un secondo con insegnamenti che coprivano gran parte delle discipline informatiche di allora. Non ebbi nessuna esitazione a iscrivermi. L’entusiasmo dei docenti e di noi studenti era palpabile: per me quegli anni sono stati tra i più stimolanti e i più belli della vita. Ricordo i compagni di allora, molti dei quali oggi ricoprono 20 posizioni di alta responsabilità in industrie, università, banche, come i migliori che mi potessero toccare: ancora li rivedo tutti alla lezione introduttiva del 17 novembre 1969! Il successo del corso di laurea fu immediato e spinse altre sedi ad aprire analoghi corsi. Anche le facoltà di Ingegneria cambiarono idea e, nel 1985, furono istituiti i corsi in Ingegneria informatica. Dal 1969 a oggi molte cose sono cambiate e l’ordinamento degli studi non poteva non risentirne. La grande novità fu l’istituzione, nell’anno accademico 1983-84, del dottorato di ricerca. Il primo fu istituito a Pisa e fu proprio il dottorato in Informatica congiunto con Genova e Udine. Negli stessi anni ci fu una prima ristrutturazione dell’offerta didattica in tre livelli: il diploma triennale, il corso di laurea quinquennale, il dottorato di ricerca quadriennale. Infine siamo passati alla struttura attuale del 3+2+3: laurea, laurea magistrale e dottorato. Intanto, io continuo a credere in ciò che scrivevo in occasione del venticinquesimo dell’istituzione del corso di laurea: pur con gli inevitabili cambiamenti occorsi nel tempo, l’impostazione globale della formazione e l’idea stessa di informatica sono rimasti gli stessi proposti dai padri fondatori. Azzardo una definizione: l’informatica è la risultante di tre aspetti complementari, assolutamente inscindibili tra loro e strettamente interagenti, e cioè la capacità progettuale di sistemi altamente complessi, condotta con il costante supporto di metodi esatti e tecniche formali, la realizzazione efficiente di questi progetti in sistemi effettivamente usabili, la comprensione delle potenzialità e dei limiti di applicazione degli strumenti informatici per la soluzione dei problemi che incontriamo quotidianamente. Questa è stata la grande intuizione di chi ha lanciato il corso di laurea ed è la filosofia che in seguito noi pisani abbiamo continuato a elaborare. Anche se il peso dato a ciascuna componente è di volta in volta diverso, questa impostazione è stata fatta propria dai numerosi corsi di laurea nati dopo il nostro, anche perché moltissimi professori in Italia sono di formazione pisana. Quindi il predominio di Pisa non è più assoluto, come era negli anni Cinquanta, Sessanta e forse Settanta, e il suo ruolo nella determinazione del la koinè informatica è ridimensionato, eppure, con un pizzico di presunzione, possiamo dire che l’imprinting sull’informatica italiana è stato e potrà continuare ad essere pisano. Dopo aver raccontato il passato glorioso dell’informatica pisana, è il momento di guardare al futuro. Che fine fanno i laureati in informatica, e i pisani in particolare? Anche qui, abbiamo più di una ragione per essere ottimisti. I nostri neoinformatici si dichiarano in grandissima parte soddisfatti della preparazione ricevuta e non hanno difficoltà a trovare lavoro, come ha dimostrato un’indagine di una decina di anni fa. Purtroppo non abbiamo dati più recenti: la situazione non dovrebbe essere molto diversa, anche se, lo ammettiamo, si delinea una flessione della qualità degli studenti che è del resto comune a tutti i corsi di laurea. Come dicevamo, non hanno difficoltà a trovare lavoro e spesso raggiungono grandi successi professionali: spesso si aprono loro le porte di dottorati prestigiosi in Italia, in altri paesi d’Europa e in Nord America e anche il settore privato li riconosce come figure eccellenti nel panorama italiano. Tutto ciò conferma quello che già sappiamo e spiega perché i nostri corsi continuino a essere scelti da studenti di tutta Italia soprattutto per la loro qualità, che è anche riconosciuta dalle valutazioni indipendenti di enti internazionali.Per quanto riguarda i nostri dottori di ricerca invece i dati ci sono, altrettanto felici per il momento. Centosettanta studenti sono passati dalle nostre aule e nella stragrande maggioranza dei casi oggi sono impiegati in posizioni di assoluto rilievo in università e centri di ricerca pubblici (circa centoventi) e industriali (circa trenta), e lavorano principalmente in Italia, anche se una trentina sono in Europa, nelle Americhe e in Asia. La nostra scuola ha contatti continui e costanti con le realtà estere, i docenti collaborano con centri stranieri di altissimo livello, e pertanto anche la formazione dei dottorandi è improntata allo scambio e al confronto di livello internazionale. Oggi il dottorato in Informatica pisano fa parte della scuola di eccellenza Galileo e, nonostante le difficoltà, continua a meritarsi tale titolo. L’informatica italiana è nata a Pisa e a Pisa vuole (e può, se sostenuta adeguatamente) continuare a prosperare.
Pierpaolo Degano
presidente dei corsi di dottorato
in Informatica
degano@di.unipi.it