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foto_laurea_Biondi

Si chiama Ettore Biondi, ha 25 anni, è di Genova e si è appena aggiudicato il primo premio "Gustavo Sclocchi" nell'ambito del concorso organizzato da SPE (Society of Petroleoum Engineers), EAGE (European Association of Geoscientists and Engineers) e Assomineraria per la sua tesi discussa all'Università di Pisa. Ettore, che si è laureato nel 2012 sotto la guida dei professori Alfredo Mazzotti ed Eusebio Maria Stucchi, ha frequentato il corso di studio magistrale in Geofisica di esplorazione ed applicata gestito dai dipartimenti di Scienze della Terra e di Fisica dell'Ateneo pisano.

La sua dissertazione finale che gli è valsa il prestigioso riconoscimento s'intitola "Forth order NMO non-stretch through iterative partial correction and deconvolution for time and offset varying waveforms" ed è stata selezionata tra una trentina di altri lavori presentati. La cerimonia di premiazione si è svolta il 10 dicembre nella sede ENI Exploration & Production a San Donato Milanese.

Ettore Biondi, che attualmente ha un assegno di ricerca alla Statale di Milano, ha così vinto 2.400 euro e per il futuro pensa agli Stati Uniti dove sta già facendo domande di dottorato in varie università.

Ne hanno parlato:
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Tirreno Pisa

Martedì, 10 Dicembre 2013 12:03

Conviene investire in ricerca?

bonaccorsi_SenatoSi è tenuto martedì 10 dicembre, nella sede del Senato di Palazzo Madama, l'incontro sul tema "Scienza, innovazione e salute". L'iniziativa, a cui hanno partecipato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha affrontato temi che vanno dalla biomedicina alla fisica, dagli investimenti in ricerca al rapporto tra cultura umanistica e cultura scientifica e tra scienza e libertà. L'obiettivo primario è quello di ripristinare un utile dialogo tra il mondo della cultura scientifica e il mondo della politica e delle istituzioni.

All'incontro ha preso parte il professor Andrea Bonaccorsi, docente di Ingegneria economico-gestionale dell'Ateneo e componente del Consiglio direttivo dell'ANVUR, che ha tenuto una relazione dal titolo "Conviene investire in ricerca?".
Pubblichiamo di seguito il testo dell'intervento del professor Bonaccorsi.

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Conviene investire in ricerca?

In momenti di crisi economica e in presenza di un elevato debito pubblico anche la spesa per ricerca viene assoggettata alla dura disciplina dell'austerità. Le decisioni del governo e del Parlamento sono costrette a misurarsi con la ristrettezza delle risorse e quindi a porre di fatto, al di là della formalità, domande brutali: perché assegnare risorse alla ricerca a preferenza di altri settori della vita pubblica? Una volta assegnate le risorse, è possibile garantire un uso efficiente?

In questo intervento intendo offrire alla riflessione dei parlamentari alcune acquisizioni della ricerca economica sul ruolo della ricerca nelle società avanzate e sui principi di fondo con i quali finanziarla e gestirla. Accetterò quindi un terreno di gioco economico, pur sapendo che vi sono anche fondamentali motivazioni extra-economiche (culturali, sociali, di crescita della coscienza civile e delle istituzioni democratiche, di qualità della vita) per sostenere la ricerca.

Primo: investire in ricerca conviene
Assumendo un punto di vista economico, la spesa pubblica in ricerca deve essere considerata una spesa per investimento, non una spesa corrente. Infatti per definizione la ricerca produce effetti differiti nel tempo e presenta quindi tutte le caratteristiche della spesa per investimenti. La domanda economicamente rilevante è dunque: quanto rende la spesa in ricerca?

La ricerca può generare direttamente un ritorno economico. Questo effetto è evidente per la ricerca privata e si può misurare in riferimento ai profitti aggiuntivi che le imprese ottengono dai nuovi prodotti (innovazione di prodotto) e dalla riduzione dei costi e dal miglioramento della qualità (innovazione di processo). Anche per la ricerca pubblica è possibile identificare un ritorno economico diretto, ad esempio sotto forma di licenze sui brevetti delle università o di idee di ricerca che si trasformano in prodotti commerciali attraverso l'attività delle spinoff companies. E tuttavia l'esperienza di tutti i paesi avanzati suggerisce che l'impatto diretto è trascurabile. Persino nel caso della NASA è stato stimato che l'impatto diretto, in termini di prodotti che non si sarebbero mai realizzati senza la ricerca svolta internamente, era intorno al 10% della spesa, un livello chiaramente insufficiente a giustificare l'investimento. Quindi è un errore cercare la giustificazione economica della spesa in ricerca nell'impatto diretto. Questa è una prima lezione importante.

Quello che conta è l'effetto economico indiretto, che si manifesta in due dimensioni principali: gli spillover di conoscenza e la creazione di capitale umano.

Gli spillover sono i flussi di conoscenza che vengono generati dalla ricerca e che circolano nel sistema economico trovando applicazioni in settori anche molto lontani e con tempistiche imprevedibili. La telefonia cellulare non sarebbe mai nata senza la trasformata veloce di Fourier (FFT) e le banche non gestirebbero oggi in sicurezza l'home banking senza sistemi basati su una delle parti più astratte della matematica, la teoria dei numeri. Ma nessuno, nemmeno gli stessi ricercatori, poteva prevedere queste applicazioni.

La buona notizia è che oggi disponiamo di una stima di quanto valgono questi spillover in termini economici. Da alcuni decenni gli economisti hanno cercato di misurare non solo gli effetti diretti ma anche gli effetti indiretti, con varie tecniche di rilevazione, e poi, attraverso metodi finanziari che tengono conto del tasso di sconto, hanno sintetizzato le misure in un numero, chiamato tasso di rendimento. L'idea è semplice: un tasso di rendimento del 20% significa che per ogni 100 euro di investimento si riceve un flusso netto di 20 per ogni anno di vita dell'investimento. Il tasso di rendimento può quindi essere confrontato con quello di altri investimenti pubblici. Sebbene gran parte degli studi si siano occupati del rendimento della ricerca privata, in quanto l'impatto è maggiormente misurabile, vi sono anche importanti studi sull'impatto della ricerca pubblica.

La seconda buona notizia è che una volta misurato, questo tasso di rendimento è largamente superiore a quello di altri investimenti, sia pubblici che privati. Investire in ricerca conviene!

Alcuni degli studi sull'impatto economico della ricerca pubblica si soffermano su tre indicatori:
- La quota di innovazioni derivante dalla ricerca pubblica
- Il beneficio complessivo derivante dall'investimento in ricerca pubblica per tutta la durata dei loro effetti (da pochi anni a 20-25 anni)
- Il tasso di rendimento annuale.

Tutti gli studi confermano un impatto elevato; laddove si sia stimato il tasso di rendimento si ottengono valori compresi tra il 20 e il 50%. Ciò significa che, tenendo conto di tutti gli effetti diretti e indiretti, l'investimento si ripaga in 2-5 anni. Si tratta di tassi nettamente superiori ad altre forme di investimento pubblico.

La seconda forma di effetto indiretto è data dal capitale umano. Le istituzioni che producono ricerca producono anche, inscindibilmente, capitale umano qualificato. Quanto vale l'investimento in istruzione superiore? Anche in questo caso numerosi economisti si sono applicati in esercizi di stima, misurando l'aumento di reddito nell'intera vita lavorativa che è associato ai titoli di studio superiori (laurea o titoli post-laurea). Le stime più frequenti si attestano intorno ad un tasso di rendimento privato del 15-20% annuo, ed un tasso di rendimento sociale nello stesso range, anche se in genere più basso in quanto lo Stato sostiene una quota elevata della spesa. Anche in questo caso, si tratta di un rendimento superiore al costo del capitale e al livello medio degli investimenti industriali.

bonaccorsi1Secondo: la ricerca si (auto)governa attraverso il merito
La seconda evidenza risponde ad una domanda che in sede politica viene spesso legittimamente avanzata: posto che il risultato della ricerca è in gran parte immateriale e poco visibile, come evitare che i finanziamenti vengano allocati in modo inefficiente? Come evitare che il legislatore e il decisore pubblico siano indotti a finanziare attività che rientrano nell'interesse dei ricercatori, ma non della società? In altre parole, anche ammesso che si debba investire, come controllare l'allocazione dell'investimento tra i ricercatori?

Anche qui l'analisi economica ha fatto una scoperta interessante, ovvero che la produttività dei ricercatori è molto differenziata. L'evidenza è robusta. Se prendiamo i ricercatori più produttivi, ad esempio il top 1% dei ricercatori più citati al mondo, e li confrontiamo con quelli meno produttivi, scopriamo che non stanno su una retta che scende dolcemente, ma su una curva molto ripida. In altre parole, tra il primo 10% e l'ultimo 10% la differenza è enorme, assai più marcata di quella che si ha in altre attività professionali. In gergo tecnico, è in azione una legge di potenza.

Per quanto disturbante questa scoperta possa essere per il proprio ego, gli scienziati ci sono abituati, competono fieramente tra loro ma allo stesso tempo tributano con generosità i riconoscimenti ai loro colleghi più produttivi. Tra le ragioni che spiegano queste grandi differenze vi è il fatto che i ricercatori più brillanti arrivano a scoperte, a volte anche fondamentali, che aprono interi nuovi settori di ricerca. Più in generale, i ricercatori che acquisiscono maggiore visibilità internazionale attraggono maggiori finanziamenti, attirano gli studenti di dottorato migliori, creano laboratori, collaborano con i colleghi più stimolanti. Se giungono a scoperte importanti da giovani questi effetti sono ancora più pronunciati. Cumulando nel tempo gli effetti si giunge alle ampie differenze osservate empiricamente. Se poi i ricercatori produttivi si trovano insieme ad altri altrettanto di talento, allora nascono istituzioni (laboratori, istituti, dipartimenti) che possono mantenere elevati livelli di qualità scientifica anche per molti decenni.

L'implicazione di questa scoperta è molto chiara: la ricerca va sempre (sempre) governata con il merito. L'unica moneta che ha valore nella comunità scientifica è il riconoscimento del merito scientifico. Ciò significa due cose: che nemmeno un euro deve essere speso senza una rigorosa valutazione ex ante, sulla base della peer review, e che tutte le attività di ricerca (non solo quelle vigilate dal MIUR) dovrebbero essere sottoposte periodicamente ad una valutazione ex post.

Questa è anche una garanzia per il denaro pubblico. Se la spesa in ricerca viene allocata secondo criteri di merito, allora il Parlamento sa che non sarebbe possibile fare meglio, perché le risorse andranno proporzionalmente a coloro che possono utilizzarle nel modo più produttivo. Seguendo la traccia del merito, le comunità scientifiche si auto-organizzano, trovando al proprio interno le regole di funzionamento che massimizzano l'impatto positivo sulla società.

Ed è importante richiamare a questo Parlamento il fatto che la comunità scientifica italiana nel suo insieme, sia nelle università che negli enti di ricerca vigilati dal MIUR, si è appena sottoposta ad una valutazione che ha coinvolto tutti i ricercatori senza eccezione alcuna, e che ha portato a risultati trasparenti, consultabili in rete e confrontabili fin nei minimi dettagli. Parliamo della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) realizzata dall'ANVUR. Sulla base di questa valutazione verrà allocato il 66% della quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario per le università, a sua volta pari al 13,5% del Fondo. Nessuna amministrazione dello Stato si è sottoposta ad un esercizio simile per ampiezza, copertura, rigore di metodo e trasparenza, nonché per impatto sul finanziamento. Invito a riflettere su cosa potrebbe accadere se altre parti della Pubblica Amministrazione venissero sottoposte ad una valutazione esterna di questa portata.

Non potrebbe esservi controprova migliore del fatto che i ricercatori sono quasi per costituzione pronti a sottoporsi al giudizio del merito. Ciò nonostante è onesto riconoscere che permangono ancora tracce, talora consistenti, di vecchie abitudini orientate a favorire i legami di appartenenza e di cordata, nella opacità dei criteri di giudizio. Ma occorre dire con assoluta chiarezza che la strada del merito è tracciata ed è irreversibile.

Terzo: i ricercatori sono più produttivi da giovani
Veniamo ad una ulteriore acquisizione della analisi economica della scienza, che va sotto il nome di ciclo di vita degli scienziati. Si è osservato che la produttività dei ricercatori diminuisce con l'anzianità. L'intuizione è la seguente: nel produrre risultati scientifici i ricercatori "investono" nel proprio capitale umano. Mano a mano che si avvicinano alla fine dell'attività accademica investono sempre di meno, perché sanno che non potranno sfruttare i risultati. Questo effetto è stato trovato su tutti i campi scientifici, con poche eccezioni. Naturalmente vi sono singoli scienziati che hanno una straordinaria produttività fino ad età avanzata, come questo Parlamento fino a poco tempo fa ha potuto constatare con la presenza di Rita Levi Montalcini e come testimoniano numerosi ricercatori attivissimi. Occorre tuttavia guardare agli effetti aggregati, non alle eccezioni, per quanto luminose.

La conseguenza è evidente. Se una istituzione scientifica non ha un adeguato turnover, la sua anzianità media aumenta inesorabilmente. Con il passare degli anni, questo produrrà un calo della produttività scientifica.

Il fatto che i ricercatori sono più produttivi da giovani ha anche un'altra conseguenza importante: occorre programmare la politica della ricerca su un ampio orizzonte temporale. I giovani non strutturati devono sapere che vi saranno opportunità di inserimento, molto selettive, per le quali prepararsi a tempo debito. I ricercatori devono sapere che vi saranno opportunità di carriera per le quali pianificare l'attività. Niente è più dannoso al sistema della ricerca di un avanzamento di carriera che funziona a "stop-and-go": per molti anni nessuna opportunità, poi d'improvviso una finestra stretta da cui tutti devono passare. Esistono studi economici che mostrano come la produttività della ricerca cali vistosamente a fronte di un andamento discontinuo del reclutamento.

Occorre quindi arrivare presto ad una programmazione pluriennale, che consenta ai soggetti di aprire veri e propri programmi di reclutamento a lungo termine.

Quarto: trovare con creatività nuove forme di finanziamento della ricerca
Di fronte alle evidenze sopra richiamate, e soprattutto all'ampiezza dei ritorni economici dell'investimento pubblico in ricerca, viene da chiedersi perché il nostro paese continui a segnalarsi nella coda di tutte le classifiche internazionali.

Vorrei avanzare una congettura. I governi e il Parlamento non ragionano secondo il tasso di rendimento della ricerca pubblica. Se lo facessero, raddoppierebbero la spesa italiana in pochi anni, comprimendo altre componenti della spesa pubblica.

Come ci dice un altro filone della teoria economica, i governi e il Parlamento ragionano sulla base di procedure di budgeting. Conservano la spesa dell'anno precedente se tutto va bene, tagliano se vi è austerità. L'Italia si è infilata in un tunnel di spesa sostanzialmente costante, in termini reali, dopo un decennio di forte crescita negli anni '80, e da allora non si è più mossa. La strategia di Lisbona è passata come acqua fresca. La logica del budgeting, in assenza di vigorose decisioni politiche, ha condotto ad assoggettare la spesa per ricerca agli stessi tagli lineari del resto della pubblica amministrazione, in controtendenza rispetto ai principali paesi nostri competitori.

Avanzo una modesta proposta. Perché non esplorare, prendendo atto di una difficoltà persistente, che si è finora espressa con governi di diverso orientamento, strade alternative di finanziamento della ricerca? Suggerisco due possibilità:
- Valorizzare il ruolo delle grandi aziende pubbliche nelle quali il Tesoro mantiene una quota del capitale: perché oltre che incassare dividendi lo Stati non chiede, in quanto azionista, di allocare una parte piccola ma costante degli utili alla costituzione di fondi per la ricerca, basati su procedure rigorose di peer review, sul modello delle fondazioni private?
- Agganciare la spesa in ricerca a qualche voce di fiscalità generale con un meccanismo automatico. Suggerirei di allocare alla ricerca una quota della tassazione dei giochi. Nelle scommesse le persone mostrano di essere propense al rischio, a differenza della generalità degli individui. Ebbene, una parte della tassazione potrebbe andare ad altri soggetti propensi al rischio, i ricercatori.

Credo che occorra esplorare nuove strade, sulle quali avventurarsi anche sfidando la opinione comune. I ricercatori a questo sono abituati e sono pronti a fare la loro parte.

Andrea Bonaccorsi
docente di Ingegneria economico-gestionale e componente del Consiglio direttivo dell'ANVUR

 

Docenti_pisa-santannaLo scorso 6 dicembre la Andrea Bocelli Foundation e il Massachusetts Institute of Technology hanno dato vita a un laboratorio vivo e animato nell'ambito della neuroscienza e della tecnologia di ausilio (workshop Challenges) e della lotta alla povertà (workshop Break the Barriers). Nel workshop Challenges (Sfide), sono stati presentati i risultati del progetto "Fifth Sense" sostenuto dalla Andrea Bocelli Foundation che vede coinvolti vari scienziati dello CSAIL (Computer Science Artificial Intelligence Laboratory) presso MIT. Il progetto si pone l'obiettivo ambizioso di riuscire a fornire le funzioni della vista alle persone non vedenti, in modo che possano recarsi da sole al lavoro, trovare gli uffici o i negozi che stanno cercando, leggere i nomi, o, entrando in una riunione o in un locale trovare la persona desiderata, camminare per la strada evitando gli ostacoli, vivere una vita autonoma e sociale senza dover dipendere dagli altri.

Intensa è stata anche la partecipazione di alcune tra le più importanti università italiane e americane in tema di innovazione tecnologica, le quali hanno presentato interessanti lavori sugli aspetti neurologici della visione, sulle protesi retiniche, le tecnologie di ausilio per la socializzazione, come il riconoscere i volti e le espressioni delle persone, i giochi per l'ausilio all'apprendimento dei bambini non vedenti.

In particolare, Antonio Bicchi, dell'Università di Pisa, si è soffermato sull'interazione tra le neuroscienze e la robotica, o meglio tra gli studi della percezione umana e la tecnologia per rendere i non vedenti indipendenti; mentre Bergamasco della Scuola Superiore Sant'Anna, presentando l'esperienza del Museo della Pura Forma, ha mostrato la forte relazione e integrazione tra i movimenti della mano attorno agli oggetti e i processi cognitivi legati al loro riconoscimento. Pelillo, dell'Università di Venezia, ha presentato una tecnologia in grado di incrementare la capacità dei non vedenti di relazionarsi in ambienti sociali complessi, di seguito Cattaneo dell'Università Milano Bicocca, ha approfondito invece gli aspetti cognitivi dei non vedenti e quali implicazioni essi abbiano per la loro formazione e crescita, Governi, dell'Università di Firenze ha presentato un modello di riproduzione 3D di dipinti. Infine Ugo Faraguna, dell'Università di Pisa, ha presentato un interessante lavoro sui sogni dei non vedenti.

workshop Challenges a BostonAd aprire i lavori è stato lo stesso maestro Bocelli, che è l'ideatore e l'anima pulsante della Fondazione nonché il proponente di possibili indirizzi verso cui la tecnologia, la ricerca e infine la produzione dovrebbe indirizzarsi per aiutare la risoluzione di problemi aperti.

"Il mondo è di chi fa, di chi si appassiona alla vita, scegliendo di stare dalla parte del bene, senza paura di mettersi in gioco - ha dichiarato il celebre tenore - Grazie alla felice sinergia innescata fra ABF e MIT, grazie a tanti illustri amici di queste due istituzioni, oggi verifichiamo potenzialità galvanizzanti, in merito allo sviluppo di soluzioni innovative per aiutare le persone a superare i limiti imposti dalle loro disabilità. Essere ottimisti, in questo caso, non è solo un dovere morale, è uno slancio supportato dai fatti. Ancora una volta, verifichiamo che i sogni possono diventare realtà, se ci crediamo davvero, e se siamo in molti a sognare. Qui a Boston, stiamo dando un contributo in più, alla luce di quell'imperativo che muove quotidianamente le nostre azioni: lasciare ai nostri figli un mondo migliore''.

Andrea Bocelli, insieme al presidente del MIT Reif e dell'ambasciatore Bisogniero, ha aperto nel pomeriggio anche il workshop "Break the Barriers".

Nell'ambito di questo programma la Andrea Bocelli Foundation ha organizzato insieme a J-PAL (Abdul Latif Jameel Poverty Action Lab) sempre del MIT, una giornata di lavoro e di confronto con alcuni fra i ricercatori e operatori coinvolti nei programmi di aiuto e sviluppo nei paesi più poveri del mondo sui temi dell'acqua e dell'istruzione, temi che ABF sta affrontando nei progetti che sta sostenendo in Haiti.

Faraguna a BostonQuesto momento di riflessione nasce dalla volontà della Fondazione di condividere esperienze e ricerche in materia di salute, acqua e istruzione con J-PAL stessa, considerando quegli elementi che per ambedue le organizzazioni concorrono a determinare l'efficacia delle azioni stesse:

• l'insight, il cui fine è riconoscere i bisogni profondi, è la guida verso la strategia utile per arrivare alla soluzione possibile, e rappresenta una delle spinte all'inizio dell'attività;
• la perseveranza nel fare, base sostanziale per cambiare le condizioni;
• l'evidenza scientifica, la misura dei progressi allo scopo di migliorare l'insight, quindi ridefinire la strategia di intervento per accrescere l'impatto di queste stesse azioni, in un circolo virtuoso.

I tre elementi descritti danno infatti vita a un processo che può aiutare pubblico e privato a fornire strumenti e servizi utili alla collettività e questo a prescindere dai luoghi e dalle azioni.

"La collaborazione con MIT, il coinvolgimento di università italiane (Pisa, Firenze, Scuola Superiore Sant'Anna) - osserva la presidente della fondazione, Laura Biancalani - ma soprattutto il confronto tra diverse culture, ci dicono dell'importanza e della necessità di stimolare il dialogo e la conoscenza quali mezzi principali per la crescita comune.

Proprio per la sua valenza culturale, d'innovazione e sviluppo i due workshop sono stati patrocinati dal ministero degli Affari Esteri e sono stati inseriti nel programma ufficiale delle celebrazioni dell'Anno della Cultura Italiana negli Stati Uniti. (Comunicato della ABF)

Tre incontri a dicembre per ricordare la famiglia di Bruno Pontecorvo e i fratelli Guido e Gillo, oltre che per approfondire il loro legame con la città di Pisa. È questo il senso delle iniziative organizzate dalla Limonaia-Scienza Viva, in collaborazione con l'Università di Pisa e con l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, a conclusione delle celebrazioni per i cento anni dalla nascita di Bruno Pontecorvo, il grande scienziato nato a Pisa il 22 agosto del 1913 che ha dato un contributo decisivo allo sviluppo della fisica delle particelle elementari.

Il primo di questi appuntamenti si svolgerà martedì 10 dicembre, alle ore 16 nella sede della Limonaia di Palazzo Ruschi, con una tavola rotonda su "Guido Pontecorvo. Il genetista e l'uomo", a cui parteciperanno i professori Manuela Giovannetti e Anna Maria Rossi, dell'Università di Pisa, Marcello Buiatti, dell'Università di Firenze, e Angelo Abbondandolo, dell'Università di Genova.

gpontecorvo1Guido, il maggiore tra i fratelli di Bruno Pontecorvo, dopo aver frequentato il liceo classico "Galileo Galilei", si è laureato nel 1928 alla facoltà di Agraria dell'Università di Pisa, come allievo di Enrico Avanzi, con il quale ha continuato a collaborare anche dopo la laurea. Chiamato a lavorare all'Ispettorato Compartimentale Agrario di Firenze, fu allontanato a seguito della promulgazione delle leggi razziali da parte del regime fascista. Non potendo rientrare in Italia, decise di rimanere a Edimburgo, dove si trovava nel momento del licenziamento, avviando le sue brillanti ricerche nel campo della genetica. Nel corso della sua carriera, è stato direttore del dipartimento di Genetica dell'Università di Glasgow e membro dello staff dell'Imperial Cancer Research Fund di Londra. Guido Pontecorvo è molto noto all'interno della comunità scientifica internazionale, essendo stato tra i primi a intraprendere gli studi per la determinazione delle mappe cromosomiche dell'uomo e per aver introdotto la tecnica di irradiazione con raggi X per provocare la rottura dei cromosomi.

Il secondo incontro si terrà martedì 17 dicembre, al Cineclub l'Arsenale, con una mezza giornata dedicata a "Gillo Pontecorvo. L'uomo e il regista". Il programma prevede la proiezione di tre tra i suoi film più noti - "Queimada", "Kapò" e "La Battaglia di Algeri" - con un dibattitto al quale interverranno, oltre al professor Maurizio Ambrosini dell'Ateneo pisano, anche la moglie e il più piccolo dei figli di Gillo.

L'appuntamento conclusivo è fissato per venerdì 20 dicembre, nell'Auditorium di Palazzo Blu, con un incontro su "Pisa e i Pontecorvo". Gli interventi di storici e scienziati si alterneranno con i ricordi dei tanti familiari che verranno a Pisa per l'occasione da ogni parte del mondo e di chi ha conosciuto Bruno e i suoi fratelli, con la lettura di brani teatrali sulla storia del grande fisico emigrato in Unione Sovietica e con la proiezione del film-documentario dal titolo "Bruno Pontecorvo l'uomo e lo scienziato".

Tutti gli incontri sono aperti al pubblico e gratuiti. Per ogni altra informazione, si rimanda ai siti: www.lalimonaia.pisa.it e www.pontecorvopisa.it

Le celebrazioni pisane per il centenario della nascita di Bruno Pontecorvo hanno avuto il loro fulcro nella mostra "Da Pisa a Mosca, un lungo viaggio attraverso storia e scienza", che resterà aperta nella sede della Limonaia di Palazzo Ruschi fino al 22 dicembre. Curata da Marco Maria Massai, docente del dipartimento di Fisica dell'Ateneo, Gloria Spandre, ricercatrice dell'INFN, ed Elena Volterrani, della Limonaia-Scienza Viva e dell'INFN, l'esposizione è stata organizzata dalla Limonaia-Scienza Viva, insieme all'Università di Pisa, all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e al Joint Institute for Nuclear Research di Dubna in Russia.

abuelasIl giorno in cui Estela Carlotto, presidentessa dell'Associazione delle Abuelas de Plaza de Mayo, ha incontrato gli studenti dell'Università di Pisa, c'era anche Rafael, un ragazzo spagnolo iscritto al nostro Ateneo che ha origini argentine e che ha vissuto con un'emozione particolare il racconto della "nonna" che da 26 anni sta lottando per rintracciare i "nietos" desaparecidos, lanciando la campagna per il diritto all'identità.

Leggi qui l'articolo.

Alla fine dell'incontro abbiamo chiesto a Rafael se era disponibile a scrivere un articolo in cui raccontava la storia dei suoi genitori, con parole e ricordi capaci di spiegare meglio ai suoi "colleghi" di università cosa succedeva ai loro coetanei argentini durante gli anni della dittatura militare. Rafael ha subito accettato e ci inviato questa preziosa testimonianza.


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Paura e psicosi: vivere in Argentina negli anni Settanta


rafaelLa visita all'Università di Pisa di Estela Carlotto, presidentessa dell'Associazione delle Abuelas de Plaza de Mayo, ha avuto per me un significato speciale.

Io sono spagnolo, ma provengo da una famiglia argentina. I miei genitori hanno lasciato l'Argentina nel 1984, quando - anche se "il Processo di Riorganizzazione Nazionale" (soprannome che si era scelto il regime militare) era ufficialmente finito - i militari detenevano ancora un immenso potere politico e guidavano in maniera diretta il processo di transizione democratica. Mia sorella aveva appena due anni e i miei genitori decisero di costruirsi un futuro, con l'intento di evitare ai propri figli il clima di terrore che essi stessi avevano sofferto.

Non vi voglio parlare di processi politici, di colpi di Stato, di presidenti o di date. Queste sono informazioni che potete trovare su qualsiasi libro di storia contemporanea latinoamericana. Vorrei invece raccontarvi la vita quotidiana di un qualsiasi studente universitario sotto una dittatura militare colpevole di sequestri, di torture e di oltre 30.000 morti.

I miei genitori frequentavano l'università della città di La Plata, a una cinquantina di chilometri da Buenos Aires. Si tratta di una città di dimensioni medie, popolata soprattutto da studenti universitari, considerata da sempre città combattiva e politicamente impegnata con idee di sinistra (vi giuro che non sto parlando di Pisa!). In ragione di tali caratteristiche, La Plata divenne ben presto uno degli obiettivi principali della repressione.
 

Desaparecidos

Il governo dichiarò che tutti i giovani tra i diciotto ei trent'anni potevano, eventualmente, essere considerati sospetti di appartenere a gruppi terroristici. Essere uno studente, un operaio o membro di un sindacato significava perciò essere nel mirino degli apparati di repressione dello Stato. Quindi, anche se non frequentavi circoli progressisti o dichiaratamente anti-sistema, eri a rischio. A nulla valeva non avere motivazioni ideologiche o essere solo una studentessa modello che non si era mai preoccupata di politica. Qualsiasi persona poteva essere, potenzialmente, arrestata e desaparecida. Alcuni amici di mio padre, per esempio, hanno dovuto andare in esilio, altri furono torturati e purtroppo altri non tornarono mai.

Gli studentati, le aule studio e addirittura la mensa universitaria furono chiuse. La vita sociale era in pratica inesistente. Chi avrebbe osato a uscire la sera, quando solo si sentivano le sirene delle macchine della polizia o colpi di pistola in aria?

Non era possibile nemmeno prendere un caffè con tre amici, tutti i raggruppamenti di quattro o più persone erano vietati perché, secondo il regime, potevano essere "riunioni di organizzazione di atti sovversivi". Mia zia mi ha raccontato come lei e i suoi amici si ritrovavano spesso nella casa di uno di loro per studiare, mentre mangiavano una pizza o bevevano un po' di mate. E d'improvviso, un giorno, un gruppo di poliziotti entrò urlando e picchiandoli con dei manganelli. Tutti i suoi libri furono confiscati, ma per fortuna nessuno di loro fu portato in prigione.

Un collega di mio padre abitava di fronte a uno dei centri illegali di detenzione, situato in pieno centro della città. Tutto il quartiere sapeva cosa si trovava dietro quel portone, da dove tutti i giorni uscivano e tornavano numerosi Ford Falcon verdi senza targa; guidati da uomini vestiti di borghese che pulivano le loro armi in pieno giorno, indisturbati, impuniti. Tutti sapevano, ma si era costretti a fingere di non aver visto o sentito niente.

L'unico sbocco che la società trovò per sfuggire da quest'ambiente di oppressione erano le partite di calcio. La polizia non poteva ovviamente arrestare le migliaia di persone che affollavano gli stadi. Così, la gente approfittava dell'occasione per insultare il presidente e ai militari o cantare La Marcha Peronista.

C'era invece altra gente, che non aveva paura delle torture o della morte. Las Madres y Abuelas de Plaza de Mayo, quasi le uniche persone che avevano il coraggio di scendere, a viso aperto, in piazza e protestare; qualificate dalla stampa come "vecchie pazze, mamme di assassini e terroristi, anti-argentine".

Spero che questo piccolo articolo vi abbia fatto capire, almeno un po', com'era la vita sotto la giunta militare argentina. E per dare almeno un'idea di quanta importanza hanno avuto - e hanno - persone come Estela Carlotto.

Rafael Cejas Acuña

Giovedì, 05 Dicembre 2013 10:43

Artwork stories: from source to digital

antonella_gioliGetting to know the artistic heritage conserved in museums in an innovative manner also aided by technology. This is the aim of "Artwork stories: from source to digital. Pilot project for the research and communication in museums of the conservation history of artworks", a three-year project coordinated by the University of Pisa which has just received funding from the MIUR of around 120,000 euros. Alongside Antonella Gioli, a researcher in Museology, Art Criticism and Conservation at the University of Pisa, there will also be a further two researchers, Chiara Piva from the Ca' Foscari University of Venice and Maria Beatrice Failla from the University of Turin.

"The project originates from two fundamental assumptions," explains Antonella Gioli, "firstly from the consideration that as well as presenting works of art, a museum can also relate the episodes that brought the pieces there, the changes they have undergone and the different value they have had over time, in other words 'artwork stories' also seen as an expression of much broader cultural, social, religious and political phenomena. Secondly, we believe that it is possible to present these contents through new means of communication, in the firm belief that digital technology can be employed as a carrier of knowledge of the cultural heritage."

The museums which will be involved in the piloting of the project are the Gallerie dell'Accademia and the National Archeological Museum of Venice, the Royal Palace of Turin and the Residences of the Royal House of Savoy, the National Museum of the Certosa Monumentale di Calci, the National Museums of Villa Guinigi and Palazzo Mansi in Lucca, the Galleria civica "Lorenzo Viani" in Viareggio and the Diocesan Museum in Massa.

"The idea," adds the researcher from the University of Pisa, "is in fact to present the project to a significant cross section of the complex spectrum of museums in Italy ranging from ancient art to modern, from the noble residence to the monographic collection, from the work of art to the piece of furniture, the religious offering, from the city with a high influx of tourists to more outlying areas and therefore different segments of the public."

On a scientific level the project is divided into three phases. It begins with the study of the documentary, archival, iconographic and scientific sources in order to reconstruct the entire life of the artwork, in other words the incidences of conservation and restoration, the passages through collection exhibitions and the market and their critical and visual fortunes. The second phase envisages the planning of new forms of communication of this information, with particular reference to the creation of videos, apps, websites and other digital media. The final part of the project will deal with the actual experimentation in the museums with evaluation and tests carried out by both the museum staff and the real and virtual visitors.

Giovedì, 05 Dicembre 2013 10:31

La vita delle opere: dalle fonti al digitale

antonella_gioliConoscere in modo innovativo il patrimonio artistico conservato nei musei, anche con l'aiuto della tecnologia. E' questo l'obiettivo de "La vita delle opere: dalle fonti al digitale. Progetto pilota per la ricerca e la comunicazione nei musei della storia conservativa delle opere d'arte", un progetto triennale coordinato dall'Università di Pisa che ha appena ricevuto un finanziamento MIUR di circa 120mila euro. Ad affiancare nella ricerca Antonella Gioli, docente di Museologia e Critica Artistica e del Restauro dell'Ateneo pisano, ci saranno anche altre due ricercatrici, Chiara Piva dell'Università Ca' Foscari di Venezia e Maria Beatrice Failla dell'Università degli Studi di Torino.

"Il progetto muove da due assunti fondamentali – ha spiegato Antonella Gioli - in primo luogo, la considerazione che un museo, oltre che presentare le opere d'arte, possa anche raccontare le vicende che le hanno lì condotte, le modifiche che hanno subito, i valori diversi che hanno avuto nel tempo, in altre parole la 'vita delle opere' anche come espressione di più ampi fenomeni culturali, sociali, religiosi, politici. In secondo luogo, pensiamo che sia possibile declinare questi contenuti attraverso nuove forme di comunicazione, nella convinzione che la tecnologia digitale possa essere impiegata come tramite di conoscenza del patrimonio culturale".

I musei che saranno coinvolti nella sperimentazione del progetto sono la Gallerie dell'Accademia e il Museo archeologico nazionale di Venezia, il Palazzo reale a Torino e le residenze sabaude, il Museo nazionale della Certosa Monumentale di Calci, i Musei nazionali di Villa Guinigi e Palazzo Mansi a Lucca, la Galleria civica "Lorenzo Viani" a Viareggio e il Museo Diocesano a Massa.

"L'idea – ha aggiunto la ricercatrice dell'Università di Pisa – è infatti di declinare il progetto su uno spaccato significativo del complesso panorama museale italiano esteso dall'arte antica alla contemporanea, dalla residenza nobiliare alla raccolta monografica, dal capolavoro, al mobile, all'ex voto, dalla città ad altissima affluenza turistica, alla località decentrata e dunque a diversi segmenti di pubblico".

A livello scientifico il progetto si articola in tre fasi. Inizia dallo studio delle fonti documentarie, archivistiche, iconografiche e scientifiche per ricostruire globalmente la vita delle opere d'arte, ossia le vicende di conservazione e restauro, i passaggi collezionistici espositivi e di mercato e la loro fortuna visiva e critica. La seconda fase prevede la progettazione di nuove forme di comunicazione di queste informazioni, con particolare riferimento alla realizzazione di video, app, siti e altri prodotti digitali. L'ultima parte del progetto riguarderà la sperimentazione vera e propria nei musei con valutazioni e verifiche che coinvolgeranno sia gli operatori museali sia i visitatori reali e virtuali.

Ne hanno parlato:
Nazione.it
GoNews.it
PisaInformaFlash
InToscana.it
PisaNews.it
NovedaFirenze.it
Controcampus.it
IlTitolo.it

Mercoledì, 04 Dicembre 2013 13:36

#Tessuto

Giovedì 5 dicembre alle 21.30, a Palazzo Ricci, l'Associazione studentesca "Pisa città di frontiera", grazie al contributo dell'Università di Pisa e con il patrocinio del Consiglio degli Studenti dell'Università di Pisa, presenta lo spettacolo teatrale #Tessuto, del collettivo Cascina Barà.

#Tessuto
Da un'idea di: Daniela Scarpari
Scritto da: Alessandra De Luca
Adattamento epr il teatro: Daniela Scarpari
Produzione Alessio trillini
Interpretazione: Daniela Scarpari
Regia visuale e tag-tool idea: fupete
Musiche: Lorf e Alessandra De Luca
Disegno dal vivo: Alessio Trillini

Lo spettacolo è a ingresso libero.

Info:

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

http://tessuto.altervista.org/blog/lo-spettacolo/

 


cranfield_ragazziguidiLa loro è una laurea speciale, un titolo che vale doppio, riconosciuto in Italia e Gran Bretagna: mercoledì 4 dicembre Luca Cinti e Marta Magazzini hanno discusso la loro tesi con il professor Gino Dini e, grazie all'accordo con la Cranfield University, hanno ottenuto la laurea magistrale in Ingegneria gestionale all'Università di Pisa e il Master of Science in Engineering and Management of Manufacturing presso l'Ateneo britannico. A partire dall'anno accademico 2011-2012, infatti, Cranfield ospita fino a quattro studenti l'anno provenienti dal corso di laurea pisano, che hanno così l'opportunità di conseguire il doppio titolo, vivendo un'esperienza unica in uno dei più prestigiosi atenei britannici. Alla discussione hanno portato i loro saluti anche il prorettore per la Promozione dell'internazionalizzazione Marco Guidi, e Franco Failli, presidente del corso di laurea in Ingegneria gestionale.

LucaI due studenti pisani hanno trascorso un anno a Cranfield e questa esperienza di studio ha aperto loro anche le porte del mondo del lavoro: Luca, 24 anni di Viareggio, ritornerà presto in Inghilterra per lavorare alla Bentley Motors, dove ha già un posto che lo aspetta. Con la sua tesi ha studiato un modello di valutazione dei costi di dismissione di prodotti complessi come aerei, navi e centrali nucleari, ottenendo la votazione di 109/110. Anche Marta, 24 anni di Cecina, tornerà presto in Inghilterra per lavorare: dopo l'esperienza a Cranfield, è stata tre mesi in Portogallo per preparare la sua tesi, ospite presso l'azienda TMG Automotive, dove ha sviluppato un modello matematico per soddisfare la domanda finale del cliente. La commissione di laurea l'ha premiata con la votazione di 110/110 e lode.
 

Marta"L'Ateneo si augura che il doppio titolo rilasciato con l'Università di Cranfield faccia da apripista a numerose altre iniziative simili, alcune delle quali sono ormai alla fase di lancio – ha detto Marco Guidi - I fondi appena attribuiti dal MIUR all'Università di Pisa per sostenere titoli doppi e congiunti sono un segnale che questa è la strada giusta per consentire ai nostri migliori studenti di acquisire un profilo internazionale, che apra loro una carriera brillante nel mondo del lavoro".

L'accesso degli studenti al percorso di doppio titolo è stabilito secondo due criteri ben precisi, ossia l'esito degli esami già sostenuti a Pisa durante il primo anno di corso, e la conoscenza della lingua inglese. Una volta selezionati, i ragazzi hanno la possibilità di frequentare e sostenere gli esami del secondo e ultimo anno di corso presso l'Università di Cranfield, oltre che lavorare a un progetto di gruppo, con la collaborazione di aziende inglesi, e a una tesi finale, da sviluppare individualmente.
 

Commissione di laurea"La possibilità di conseguire sia il titolo di ingegnere magistrale in Ingegneria gestionale presso l'Università di Pisa, sia quello di Master of Science in Engineering and Management of Manufacturing Systems rilasciato dall'Ateneo di Cranfield – dichiara il professor Franco Failli - rappresenta indubbiamente un importante riconoscimento internazionale della validità dei nostri metodi di insegnamento ed è indubbiamente un "fiore all'occhiello" non solo per il nostro corso di laurea, ma anche per tutta l'Università di Pisa".




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Massimo Maria BarbatoNella stessa sessione di laurea, grazie all'opera di assistenza e coordinamento dell'avvocato Adarosa Ruffini, docente a contratto di Normazione integrata della logistica e dei trasporti, ha ottenuto il titolo di Ingegnere gestionale magistrale con la votazione di 107/110 anche Massimo Maria Barbato, che si è laureato con una tesi riguardante lo sviluppo di una analisi svolta in collaborazione con ISO (International Organization for Standardization) e UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) che è rivolta all'individuazione di criteri oggettivi per la determinazione del valore economico insito nell'applicazione sistematica delle diverse normative nazionali e internazionali all'interno delle imprese. La tesi, giudicata da ISO il miglior lavoro internazionale presentato nel contesto di tali studi, culmina nella pubblicazione di un volume della collana "ISO International case studies", e testimonia ancora una volta la validità degli studi e l'importanza del corso di laurea in Ingegneria gestionale.

Ne hanno parlato: 
Tirreno Pisa
TirrenoPisa.it
Nazione Pisa
Tirreno Viareggio
Nazione Livorno
NazionePisa.it
PisaToday.it
gonews.it 
Controcampus.it 
PisaInformaFlash.it 

Martedì, 03 Dicembre 2013 10:42

Nuove speranze per i malati di diabete

foto diabeteDa uno studio made in Pisa e pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Diabetologia, si intravedono nuovi orizzonti terapeutici per il diabete di tipo 2. La ricerca, infatti, condotta fra Aoup e Università di Pisa, evidenzia che la ridotta quantità di insulina nel diabete di tipo 2 sembra essere dovuta non tanto alla morte delle cellule beta, come generalmente ritenuto, ma soprattutto al fatto che molte di tali cellule, pur vive, non riescono a produrre l'insulina, con conseguente aumento delle concentrazioni di glucosio nel sangue e sviluppo del diabete. "Lo studio – come sintetizza il prof. Piero Marchetti, coordinatore della ricerca - ha visto il contributo sostanziale di numerosi e autorevoli ricercatori e clinici (vedi riferimento a fondo pagina) dell'Università e dell'Aoup, e apre la porta a nuove possibilità di trattamento. Se si riuscirà, infatti, a capire quali sono i meccanismi molecolari che causano il cattivo funzionamento delle cellule beta, si potranno ottimizzare le nostre terapie, in modo da ripristinare la normale produzione di insulina, e così prevenire, curare e forse guarire il diabete di tipo 2". Il diabete mellito, caratterizzato dall'aumento dello zucchero (glucosio) nel sangue, è una delle malattie più diffuse nel mondo. In Italia si stima che ci siano circa 3 milioni e mezzo di persone con diabete, di cui oltre 200.000 in Toscana. La forma di diabete più comune è quella cosiddetta di tipo 2, in cui si associano una ridotta produzione dell'ormone insulina da parte delle cellule (chiamate cellule beta) che normalmente ne garantiscono l'adeguata quantità, e una minor funzione da parte dell'insulina stessa (fenomeno definito resistenza all'azione dell'insulina).

Riferimento: Marselli L, Suleiman M, Masini M, Campani D, Bugliani M, Syed F, Martino L, Focosi D, Scatena F, Olimpico F, Filipponi F, Masiello P, Boggi U, Marchetti P. Are we overestimating the loss of beta cells in type 2 diabetes? Diabetologia. 2013 Nov 15. [Epub ahead of print]

(Ufficio stampa AUOP)

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