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Martedì 30 luglio e mercoledì 31 luglio al Polo Fiere di Lucca si svolge la seconda sessione di prove per l’accesso ai corsi di laurea a numero programmato in Medicina e Chirurgia, in Odontoiatria e Protesi dentaria e in Medicina Veterinaria, programmate. Gli iscritti per l’Università di Pisa sono circa 1.300, di cui 950 per Medicina e 350 per Veterinaria, in lieve calo rispetto alla sessione di maggio in cui erano stati complessivamente oltre 1.400. I posti provvisoriamente assegnati, in attesa che vengano confermati dal Ministero, sono 333 per Medicina e Chirurgia, 40 in più dell'anno scorso; per Odontoiatria e Protesi Dentaria sono 22; per Medicina Veterinaria sono 69.

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“Da qualche anno i test d’ingresso sono diventati un momento importante per tanti ragazzi e ragazze che si apprestano a iniziare il loro percorso universitario – ha detto il professore Giovanni Paoletti, prorettore per la Didattica dell’Ateneo pisano presente a Lucca - Al di là delle inevitabili criticità che la procedura incontra a livello nazionale, ci impegniamo come Ateneo ad offrire loro il miglior ambiente possibile per svolgere la prova con serenità e il giusto spirito. Un sincero in bocca al lupo, dunque, e aspettiamo a settembre tutti coloro che verranno a Pisa!”.

Da quest’anno le prove di Medicina e Medicina Veterinaria hanno cambiato completamente volto rispetto al sistema dei TOLC dello scorso anno, tornando al test cartaceo sostenuto in due date distinte in presenza, il 28 maggio ed il 30 luglio per Medicina ed Odontoiatria, il 29 maggio ed il 31 luglio per Veterinaria. Gli studenti potevano scegliere di partecipare ad una sola o ad entrambe le prove e quindi scegliere il test migliore tra quelli svolti.
I test 2024 si compongono di 60 quesiti, con 100 minuti a disposizione, suddivisi in quattro sezioni: lettura e conoscenze acquisite negli studi (4 domande), ragionamento logico e problemi (5), biologia (23), chimica (15), fisica e matematica (13). La graduatoria dei test sarà unica e nazionale e sarà pubblicata il 10 settembre, ordinata in base al miglior risultato ottenuto dai candidati.

Una cerimonia intima, ma dall'alto valore simbolico, a testimonianza di una comunità universitaria che sa dare valore al merito dei suoi studenti. Si è tenuta giovedì 25 luglio, presso l'Aula Magna Pacinotti della Scuola di Ingegneria dell'Università di Pisa, la consegna della Laurea Magistrale in Ingegneria aerospaziale alla memoria di Shradha Ghosh, studentessa scomparsa pochi giorni prima dell'appello in cui doveva laurearsi con una tesi sulla valutazione dei rischi dei sistemi di velivoli senza pilota: "Risk Assessment of Specific Category UAV Systems".

"Tra le mille difficoltà, tipiche della maggior parte degli studenti stranieri che accogliamo nei nostri percorsi di studio, Shardha Ghosh era riuscita ad inserirsi autonomamente nel mondo del lavoro qui in Italia e, allo stesso tempo, aveva deciso, con determinazione, di portare a conclusione i suoi studi, cosa anche questa non semplicissima - ha ricordato durante la cerimonia il suo relatore, prof. Mario Chiarelli, presentando brevemente il lavoro di tesi di Shradha - Vi era riuscita e mancava davvero pochissimo per ottenere formalmente il titolo di laurea magistrale. L'ultimo contatto che ho avuto con lei risale al 29 marzo 2024 per la firma del frontespizio elettronico della sua tesi. Ero in attesa di una sua e-mail per fissare un appuntamento per le ultime, classiche, indicazioni utili per la preparazione della discussione del suo lavoro di tesi. La notizia della sua scomparsa mi ha davvero sconcertato".

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La figura della giovane studentessa indiana è stata poi ricordata anche da Luigi Iadaresta della Efort Robotics S.r.l. - dove la ragazza lavorava come Sales engineer -, a cui il presidente del corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Aerospaziale, professor Fabrizio Paganucci, ha affidato il diploma di laurea alla memoria affinché lo consegni alla famiglia di Shradha Ghosh, residente in India.

“È impossibile, in poche parole, rendere partecipi tutti della fortuna che abbiamo ad avere nel nostro gruppo una persona come Shradha, che fin da subito è riuscita a contagiarci col suo entusiasmo e il suo modo di essere - ha detto Iadaresta nel suo intervento - Per tutti noi, Shradha non era una semplice collega, ma una giovane professionista perfettamente calata nel suo ruolo, con spiccate doti di leadership. Tutto questo unito, ovviamente, all’inesperienza dovuta alla sua giovane età, le aveva permesso di essere benvoluta da tutti. La sua scomparsa ha lasciato un vuoto enorme. Ci rimane, però, il prezioso ricordo di aver condiviso un tratto della nostra vita professionale con una persona speciale".

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“Conferire a Shradha Ghosh la laurea in memoria era il minimo che potessimo fare di fronte a un dolore così grande come quello di una giovane vita che si interrompe - ha detto il prorettore per la didattica dell’Università di Pisa, prof. Giovanni Paoletti, durante la cerimonia -  È un modo per darle almeno simbolicamente il riconoscimento che ha meritato, ma soprattutto per raccoglierci come comunità attorno a lei, ai suoi cari e alle persone che l’hanno conosciuta e le hanno voluto bene nella sua vita in Italia. Shradha è stata un’allieva brillante e per l'Università di Pisa è stato un onore averla fra i nostri studenti.”

Il diploma di dottoressa magistrale in Ingegneria aerospaziale è stato consegnato dal Presidente del corso di studi, prof. Fabrizio Paganucci. Alla cerimonia ha preso parte anche Michelangela Ionna e Lionello Lattanzi, la famiglia italiana che ha accolto Shradha in Italia, una commissione di docenti del corso di studi in Ingegneria aerospaziale e la Direttrice del Dipartimento di Ingegneria civile e industriale, prof.ssa Maria Vittoria Salvetti.

Il futuro viaggia sulle onde radio e il punto sullo stato dell’arte a livello mondiale c’è stato nei giorni scorsi a Firenze. Dal 14 al 19 luglio alla Fortezza da Basso si è svolto l'International Symposium on Antennas and Propagation and ITNC-USNC-URSI Radio Science Meeting, il primo mai tenuto fuori dagli Stati Uniti.
Oltre 2mila ingegneri, fisici, ricercatori e ricercatrici provenienti da 59 paesi si sono confrontati sugli ultimi progressi del settore. Fra i partecipanti per l’Università di Pisa c’erano i professori Giuliano Manara e Agostino Monorchio, quest’ultimo nella veste di Conference Chair. Senza dimenticare naturalmente i moltissimi studenti e le studentesse del corso di laurea in ingegneria delle Telecomunicazioni che, come volontari, hanno contribuito alla buona riuscita del simposio.

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I professori Manara e Monorchio insieme agli studenti volontari del Simposio

Professore Monorchio, quali sono i principali sviluppi emersi dal convegno che potranno avere un peso sulla vita delle persone?
Gli spunti sono stati moltissimi, ad esempio si parla già del 6G, che promette maggiore efficienza e risparmio energetico. L’idea è di utilizzare delle superfici intelligenti al posto delle antenne, si potrebbero prevedere in futuro dei quadri o delle pareti che mandano il segnale dove non c’è, consentendo così di risparmiare potenza. Poi naturalmente ci sono le comunicazioni satellitari e i radar, senza dimenticare l'uso dei campi elettromagnetici nell'ambito biomedicale, una nuovissima frontiera. Potremo farci gli screening con il telefonino o con gli orologi smart, che tra l’altro già ci sono, dotati di sensori in grado di rivelare moltissimi parametri fisiologici, e in futuro potremo fare visite mediche sempre più accurate anche da remoto.

Dove si colloca Pisa in questo quadro, quale è la tradizione di studi dell’Ateneo?
Tutto è cominciato nell’87 con il professore Giuliano Manara arrivato da Firenze, io e Paolo Nepa, anche lui oggi professore all’Università di Pisa, abbiamo seguito il suo primo corso e da lì abbiamo creato, posso dire con orgoglio, una scuola. Adesso abbiamo un gruppo di dieci persone, tra ricercatori e docenti, molto valido internazionalmente come attestano numerosi riconoscimenti ricevuti, fra cui la IEEE Fellowship dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers conferita a me e al professor Manara.

A livello mondiale dov'è che si fa ricerca in questo campo?
Il settore può sembrare di nicchia, ma in realtà è alla base di ogni tecnologia che utilizzi segnali elettromagnetici, come per gli ambiti già ricordati, cioè telecomunicazioni, radar, internet, biomedicale. In questo senso le eccellenze sono abbastanza distribuite nel mondo, chiaramente gli americani la fanno da padroni, ma in realtà anche gli italiani occupano una buona posizione. Prima che i cinesi si aprissero al nostro mondo scientifico, l'Italia era la seconda nazione dopo gli Stati Uniti per produzione scientifica nel settore. Una tradizione che certo porta anche il nome di Guglielmo Marconi.

A proposito di Marconi, la figlia Elettra, classe 1930, ha inaugurato il convegno con una testimonianza video, quale il senso del suo intervento?
E’ stata un'esperienza bellissima, per registrare l’intervista siamo andati a Roma ospiti a casa sua, una abitazione che è rimasta come negli anni Trenta, niente è cambiato in quel salotto da cui Marconi nel 1931 mandò il segnale per illuminare il Cristo Redentore a Rio de Janeiro. Elettra Marconi ci ha raccontato di quando era piccola e praticamente viveva a bordo dello yacht Elettra con suo padre. Fra gli episodi della sua infanzia ha ricordato quella volta che aiutò il padre a stendere i teli davanti alla plancia del comandante per un esperimento di navigazione al buio, con il solo ausilio di boe dotate di segnali radio. Ma soprattutto ha detto e sottolineato più volte che suo padre voleva che le sue invenzioni fossero usate per salvare vite umane, a beneficio dell'umanità, non per distruggerla, e non possiamo che concordare con questa visione.

Anche a Pisa c’è una traccia importante di Marconi, mi riferisco alla stazione radiotelegrafica a Coltano da anni in stato di abbandono, quale futuro auspica per questo luogo?
Mi auguro che venga finalmente recuperata, è un pezzo di storia, l'ideale sarebbe che diventasse un centro di ricerca, un hub per start-up e spin-off dell'Università di Pisa, perché il posto si presta bene, è abbastanza fuori dal centro, ma non molto. Certo ci vogliono investimenti e forse si potrebbero anche trovare nel privato. Problemi burocratici a parte, se tutti spingiamo nella stessa direzione forse alla fine, dopo tanto parlare, dopo tanti anni, potremmo riuscire a concretizzare qualcosa.

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Il gruppo di ricerca del laboratorio Antenne, Microonde, EMC del Dipartimento di ingegneria dell'informazione

Martedì, 30 Luglio 2024 07:05

Che cosa è la Public History

Manifesto-tag-cloud-small-small.jpgA giugno scorso la professoressa Enrica Salvatori del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Ateneo è stata eletta presidente della Associazione Italiana di Public History (AIPH). Studiosa di storia specializzata nell’età di mezzo e in cultura digitale, Enrica Salvatori insegna nei corsi di laurea di Storia, Archeologia e Informatica Umanistica. Convinta che lo storico debba impegnarsi per far percepire l’utilità sociale del suo mestiere nel tempo ha cominciato ad occuparsi di Storia Digitale e Storia Pubblica, ossia dei nuovi modi di poter “condividere” la storia con il resto del mondo.

 

Professoressa Salvatori, che cosa è la Public History e quale è la specificità di questa disciplina nel contesto italiano?

La Public History (Storia pubblica) è un campo delle scienze storiche a cui aderiscono coloro che svolgono attività attinenti alla ricerca, alla comunicazione e alla pratica della storia, come alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico, materiale e immateriale. Tali attività si realizzano "con e per" diversi pubblici, tanto all’interno quanto all’esterno degli ambiti accademici e istituzionali, nel pubblico e nel privato. In sostanza la Public History è allo stesso tempo un insieme di pratiche e una corrente di pensiero, che invita gli storici a lavorare insieme a pubblici diversi, condividendo, non semplificando, la complessità del ragionamento storico, portando le persone "dentro" quella stessa complessità con iniziative che mirino a renderle partecipi della scrittura della storia. L'Italia è la prima nazione europea ad aver creato un'associazione nazionale dedicata alla Public History, l'AIPH appunto, nata nel 2016 con il sostegno della International Federation for Public History (IFPH) e della Giunta Centrale per gli Studi Storici (ora Giunta Storica Nazionale). Nel giugno del 2017 a Ravenna si è tenuto il primo congresso nazionale, che nel 2018 è stato replicato proprio all'Università di Pisa. Quest'anno a Roma si è svolto il nostro sesto incontro.


Quali sono i progetti di Public History che ha portato avanti in questi anni e quelli futuri?

Effettivamente tanti, perché la Public History era nelle mie corde ben prima che venissi a conoscenza dell'esistenza di questa disciplina nata oltreoceano e che si fondasse la stessa Associazione, soprattutto grazie al mio impegno nelle Digital Humanities e nel corso di laurea di Informatica Umanistica. Infatti, ogni anno il mio corso di Storia Pubblica Digitale alla Magistrale fa realizzare agli studenti un progetto concreto: l'ultimo in ordine di tempo una mostra virtuale e partecipata sulla Cancel Culture avente per oggetto la statua di Costanzo Ciano conservata alla Spezia.
Tra i miei primi grandi progetti direi TraMonti. Itinerari di generazioni lungo i crinali della Val di Vara (2011): che ho gestito come P.I. di un consorzio di comuni: la produzione di articoli scientifici è andata di pari passo con la narrazione e la condivisione dei risultati, accessibili grazie a due volumi e un WebGIS con le evidenze di interesse storico-archeologico; fondamentale un archivio Web delle testimonianze-video degli abitanti sul “sapere locale” e sull’alluvione che nel 2011 ne ha colpito le esistenze e cancellato parte del patrimonio. Nel 2020 è poi terminato un progetto di cui sono estremamente orgogliosa: l'edizione digitale del Codice Pelavicino, edizione scientifica di un manoscritto del XIII secolo concepita e realizzata in modo che potesse al tempo stesso essere utile agli studiosi e favorire la partecipazione attiva del pubblico interessato.
Se si guarda al futuro il prossimo impegno è verso il mondo della Rievocazione, con il corso di perfezionamento Il rievocatore come Public Historian che partirà a ottobre 2024. Il corso è indirizzato a chi intende apprendere gli strumenti necessari per operare consapevolmente nella partecipazione, organizzazione, allestimento, promozione di eventi rievocativi che si fondino sulla ricerca storica e archeologica. Per questo motivo si richiama esplicitamente ai metodi e alle pratiche della Public History, nella convinzione che la rievocazione ricostruttiva possa costituire una settore importante per la condivisione della storia e la valorizzazione corretta del patrimonio culturale.


Pensa che lo “storico pubblico” possa diventare un vero e proprio lavoro al di là dell’accademia?

Non solo lo penso, lo so. In questi anni di attività come docente e membro dell'AIPH ho incontrato diversi laureati in storia o in discipline vicine (come archivistica o archeologia ad esempio) che lavorano già come Public Historian, magari senza essere ufficialmente riconosciuti come tali (questa è una delle finalità dell'Associazione): nell'ambito della Rievocazione come organizzatori o co-organizzatori di eventi, nella progettazione di festival, nella didattica laboratoriale, nella predisposizione di mostre per enti pubblici e privati, in sostanza in tutte le attività legate alla promozione del patrimonio culturale e del territorio. Non solo, le pratiche della public history, portando fuori dell'Università gli strumenti per la comprensione critica dei contesti storici e dei processi in atto, aiutano le comunità ad affrontare la complessità del presente, favorendo la comprensione e l’incontro fra persone che provengono da luoghi ed esperienza diverse e che sono portatrici di memorie talvolta contrastanti. Questo, credo, risponde in pieno alla Terza Missione dell'Università.
La strada innovativa dello "storico pubblico" rispetto alla semplice divulgazione o "buona comunicazione" della storia sta proprio nel suo impegno per il coinvolgimento diretto dei diversi pubblici in attività di condivisione e di scrittura della storia. Per farlo deve però possedere non solo una ottima preparazione da storico, ma anche essere capace di dialogare e mediare con istituzioni, enti, gruppi, comunità e portatori di interesse, organizzare iniziative che promuovano il loro coinvolgimento oltre che conoscere i nuovi media e i principali strumenti dell'infosfera.

 

Quali gli obiettivi di questo suo mandato da presidente dell’AIPH?

L’associazione che ho ereditato ha ormai passato la prima fase pionieristica e sta avviandosi verso l’età matura, in cui deve aver ben chiari gli scopi e i bisogni dei suoi associati. Da un lato non siamo, e mai saremo, una associazione corporativa, orientata solo verso il mondo universitario, ma dobbiamo comunque promuovere la formazione di Public Historian nelle sedi appropriate. Abbiamo bisogno di esprimere linee guida condivise riguardanti il codice etico e lo statuto scientifico della Public History e contemporaneamente promuovere la professionalità dello storico nell’arena pubblica. Una serie di sfide importanti che passano attraverso la promozione di convegni tematici interdisciplinari con forte coinvolgimento di tutte le realtà non accademiche, la promozione delle buone pratiche di Public History, la fondazione di una rivista, la promozione della disciplina nelle scuole e infine la creazione di sinergie con le altre Società storiche. Crediamo, infatti, molto nel fare rete con chi ha a cuore l'avanzamento degli studi storici, che siano intesi in maniera tradizionale o innovativa.
Un compito non piccolo, ma che per fortuna mi vede affiancata da un Consiglio Direttivo di altissima qualità e dal supporto costante del presidente uscente, nonché fondatore dell'AIPH, Serge Noiret.

 

Il Circolo culturale Filippo Mazzei ha premiato due docenti dell’anno dell’Università di Pisa. La cerimonia si è svolta il 4 luglio scorso in occasione dell’Indipendence Day, presso la Villa di Corliano. I docenti menzionati sono il professore Paolo Di Marco per l’insegnamento di Fisica tecnica presso la Scuola di Ingegneria e la professoressa Chiara Migone per l’insegnamento di Controllo di qualità della formulazione e gestione della produzione industriale presso il Dipartimento di Farmacia.

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Da sinistra, Marco Macchia, Chiara Migone e Paolo Di Marco

“Ringrazio il Presidente Massimo Balzi del Circolo Mazzei – ha detto il professore Giovanni Paoletti prorettore per la Didattica dell’Università di Pisa – la scelta di dare questa menzione a due dei docenti dell’anno 2022/23, scelti in rappresentanza di tutti per età ed esperienza, è un riconoscimento che va a tutta la didattica dell’Ateneo”.

“Negli anni scorsi il Circolo Mazzei ha premiato la nostra università attraverso alte rappresentanze del mondo della ricerca e dell’innovazione oltreché giovani startupper; importante e densa di significato è stata anche la scelta di quest’anno del Circolo Mazzei di premiare la qualità ed il valore della didattica a testimonianza del suo ruolo imprescindibile per trasmettere e favorire la cultura, la conoscenza e le competenze alle nostre studentesse ed ai nostri studenti”, ha detto il professore Marco Macchia, delegato del Rettore per i Rapporti con il Territorio dell’Ateneo pisano.

La nomina dei docenti dell’anno all’Università di Pisa si è svolta per la prima volta il 19 dicembre 2023. I designati sono stati in tutto 39 e la loro scelta si è basata fondamentalmente sui questionari di valutazione degli studenti, anche se ogni dipartimento che ha partecipato all’iniziativa ha profilato i criteri anche con altri indicatori, come ad esempio la realizzazione di progetti speciali o il numero di tesi seguite.

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Un momento della cerimonia

Il circolo Filippo Mazzei, così chiamato in onore al medico e diplomatico italoamericano, opera per valorizzare le discipline a cui il Mazzei si dedicò in vita, dunque politica, quella estera in particolare, giornalismo, agricoltura, economia e medicina. In un quadro di amicizia e scambio tra i popoli, in particolare con gli Usa, il circolo organizza eventi, raccolte di fondi e iniziative di volontariato a tutela del nostro patrimonio culturale e dell’italian food.

All’inizio del VI millennio a.C. le popolazioni neolitiche italiane avevano già sviluppato tecniche avanzate per estrarre, lavorare e utilizzare il cinabro. È questa l’importante scoperta fatta da un gruppo di ricerca italo-spagnolo che vede assieme Università di Pisa, Museo delle Civiltà di Roma, la sede pisana ICCOM del CNR e il Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) di Barcellona. Il ritrovamento delle tracce che testimoniano l’uso precoce del cinabro è stato fatto nel sito archeologico de La Marmotta, situato sulle rive del Lago di Bracciano nel Lazio. Il ritrovamento, spiegano i ricercatori, impone una revisione delle conoscenze attuali riguardanti la diffusione e l'uso dei pigmenti minerali nel Neolitico europeo.

Noto per la sua straordinaria conservazione di materiali organici e manufatti, che offrono una finestra unica sulla vita quotidiana delle popolazioni neolitiche, il sito archeologico de La Marmotta non smette di sorprendere. Grazie alla collaborazione e disponibilità del Museo delle Civiltà di Roma, esaminando una serie di reperti archeologici con tecniche avanzate di analisi chimica e mineralogica, i ricercatori italo-spagnoli hanno individuato la presenza di cinabro in vari manufatti del sito. Un ritrovamento che suggerisce un utilizzo di questo particolare minerale come pigmento. Lo studio dei depositi di cinabro presenti nella penisola suggerisce che questa sostanza venisse estratta da depositi situati a notevoli distanze da La Marmotta, indicando una rete di scambi e commerci ben sviluppata, in cui materie prime, idee e tradizioni venivano condivise tra le diverse aree della penisola.

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“La scoperta dell'uso del cinabro in questo contesto è particolarmente significativa perché il cinabro è un minerale tossico che richiede una gestione e un trattamento particolari – spiega la dottoressa Cristiana Petrinelli Pannocchia del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa - Questo implica, infatti, un certo grado di conoscenza e competenza tecnica da parte delle popolazioni che lo utilizzavano”.

“Oltre a ciò, l'uso del cinabro a La Marmotta riflette un significativo aspetto culturale e simbolico delle società neolitiche – prosegue Petrinelli Pannocchia - Il pigmento rosso, ottenuto dal cinabro, è infatti spesso associato a pratiche rituali e cerimoniali, inclusi i riti funerari e le decorazioni corporee. Questo uso simbolico del cinabro potrebbe indicare una complessa struttura sociale e spirituale tra le popolazioni neolitiche della regione”.

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“La datazione che siamo riusciti a stabilire attraverso i reperti del sito de La Marmotta – conclude la ricercatrice dell’Università di Pisa – ci permette di arretrare l'uso del cinabro in Italia all’inizio del VI millennio a.C., ridefinendo così la cronologia dell'uso di questo pigmento nel Mediterraneo occidentale. Oltre ad offrirci importanti spunti sulla complessità delle società preistoriche in termini di tecnologia, commercio e cultura”. ​

I dettagli della scoperta sono stati inseriti nell’articolo "New evidence reveals the earliest use of cinnabar in the western Mediterranean: The Neolithic settlement of La Marmotta (Lazio, Italy)" pubblicato sulla rivista Quaternary Science Reviews.

All’inizio del VI millennio a.C. le popolazioni neolitiche italiane avevano già sviluppato tecniche avanzate per estrarre, lavorare e utilizzare il cinabro. È questa l’importante scoperta fatta da un gruppo di ricerca italo-spagnolo che vede assieme Università di Pisa, Museo delle Civiltà di Roma, la sede pisana ICCOM del CNR e il Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) di Barcellona. Il ritrovamento delle tracce che testimoniano l’uso precoce del cinabro è stato fatto nel sito archeologico de La Marmotta, situato sulle rive del Lago di Bracciano nel Lazio. Il ritrovamento, spiegano i ricercatori, impone una revisione delle conoscenze attuali riguardanti la diffusione e l'uso dei pigmenti minerali nel Neolitico europeo.

Noto per la sua straordinaria conservazione di materiali organici e manufatti, che offrono una finestra unica sulla vita quotidiana delle popolazioni neolitiche, il sito archeologico de La Marmotta non smette di sorprendere. Grazie alla collaborazione e disponibilità del Museo delle Civiltà di Roma, esaminando una serie di reperti archeologici con tecniche avanzate di analisi chimica e mineralogica, i ricercatori italo-spagnoli hanno individuato la presenza di cinabro in vari manufatti del sito. Un ritrovamento che suggerisce un utilizzo di questo particolare minerale come pigmento. Lo studio dei depositi di cinabro presenti nella penisola suggerisce che questa sostanza venisse estratta da depositi situati a notevoli distanze da La Marmotta, indicando una rete di scambi e commerci ben sviluppata, in cui materie prime, idee e tradizioni venivano condivise tra le diverse aree della penisola.

“La scoperta dell'uso del cinabro in questo contesto è particolarmente significativa perché il cinabro è un minerale tossico che richiede una gestione e un trattamento particolari – spiega la dottoressa Cristiana Petrinelli Pannocchia del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa - Questo implica, infatti, un certo grado di conoscenza e competenza tecnica da parte delle popolazioni che lo utilizzavano”.

“Oltre a ciò, l'uso del cinabro a La Marmotta riflette un significativo aspetto culturale e simbolico delle società neolitiche – prosegue Petrinelli Pannocchia - Il pigmento rosso, ottenuto dal cinabro, è infatti spesso associato a pratiche rituali e cerimoniali, inclusi i riti funerari e le decorazioni corporee. Questo uso simbolico del cinabro potrebbe indicare una complessa struttura sociale e spirituale tra le popolazioni neolitiche della regione”.

“La datazione che siamo riusciti a stabilire attraverso i reperti del sito de La Marmotta – conclude la ricercatrice dell’Università di Pisa – ci permette di arretrare l'uso del cinabro in Italia all’inizio del VI millennio a.C., ridefinendo così la cronologia dell'uso di questo pigmento nel Mediterraneo occidentale. Oltre ad offrirci importanti spunti sulla complessità delle società preistoriche in termini di tecnologia, commercio e cultura”. ​

I dettagli della scoperta sono stati inseriti nell’articolo "New evidence reveals the earliest use of cinnabar in the western Mediterranean: The Neolithic settlement of La Marmotta (Lazio, Italy)" pubblicato sulla rivista Quaternary Science Reviews.

Venerdì, 26 Luglio 2024 11:57

Chiusure Direzione e Uffici 2024/2025

Le Direzioni e gli Uffici saranno chiusi per il periodo aprile 2024/gennaio 2025 secondo il seguente calendario:
-venerdì 26 aprile 2024;
-da lunedì 12 agosto (compreso) a mercoledì 21 agosto (compreso);
-venerdì 27 dicembre 2024;
-giovedì 2 e venerdì 3 gennaio 2025.

Per chi è appassionato di sostenibilità e vuole sviluppare un'idea imprenditoriale sostenibile, la nuova edizione del “Circle U. Entrepreneurial Change-Making Programme”  ritorna a partire dal prossimo ottobre con una serie di webinar online e un evento in presenza a Louvain-la-Neuve a dicembre.

Aperto a tutti gli studenti di laurea magistrale e dottorato, Entrepreneurial Change-Making Programme è un corso che tratta di innovazione e imprenditorialità, destinato ad affrontare le principali sfide sociali, economiche e ambientali in Europa.

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Highlights:

  • Seminari online tenuti da docenti delle Università dell’Alleanza Circle U. appartenenti a discipline diverse
  • Team di studenti multiculturali e multidisciplinari
  • Facilitatori dei team che guidano la progettazione delle idee imprenditoriali
  • Presentazione delle idee a Louvain-la-Neuve, in Belgio

Programma
Il programma inizia il 16 ottobre 2024. La prima fase si svolge completamente online. Ogni mercoledì, dalle 17.30 alle 20.00 CET, si tiene un webinar di due ore e mezza. Il programma termina con un evento finale a Louvain -la-Neuve (Belgio) dal 9 al 13 dicembre 2024. La partecipazione a tutte le attività è obbligatoria. Il programma prevede il rilascio di 5 ECTS, il cui riconoscimento dovrà essere preliminarmente verificato con i referenti del proprio corso di laurea. 

L’Università di Pisa supporterà la partecipazione di 5 studenti, contribuendo alle spese di viaggio secondo quanto previsto dal programma Erasmus Plus. 

Processo di registrazione e scadenze
Per la registrazione, inviare un CV accademico e una lettera di motivazione a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. (e in copia conoscenza a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.). Nella lettera di motivazione (max 500 parole) i candidati devono descrivere, in lingua inglese, il proprio interesse verso l'imprenditoria sostenibile e l'innovazione nonché la loro esperienza o disponibilità a vivere un'esperienza formativa in un contesto internazionale e multiculturale.

La scadenza per l’invio delle domande per gli studenti UNIPI è il 12 settembre 2024. L’ateneo organizzatore (UCLouvain) invierà le informazioni riguardanti l'ammissione entro e non oltre il 23 settembre. La registrazione al corso non equivale necessariamente all'ammissione. UCLouvain invierà una mail che comunica l'eventuale ammissione al corso o l'inserimento nella lista d'attesa.

Contatti
Per qualsiasi informazione, contattare il responsabile locale del corso, prof. Alessio Cavicchi Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., mettendo sempre in copia la dr.ssa Alessandra Meoni Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

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