Workshop "Estetica e tecnologia"
Workshop "Estetica e tecnologia"
Il profumo dei balsami racconta la storia di Kha e Merit
I ricercatori sono tornati ad “annusare” le “ultratracce” dell’Antico Egitto. Dopo la campagna di indagini preliminari svolta a luglio di quest’anno, la Tomba di Kha e Merit del Museo Egizio di Torino è stata protagonista di una nuova serie di analisi. La ricerca, appena conclusa, ha riguardato trenta nuovi reperti di circa 3500 anni fa appartenenti al corredo funerario rinvenuto integro nel 1906 che rappresenta uno dei principali tesori della collezione egittologica torinese.
Da sinistra, le professoresse dell’Università di Pisa Ilaria Degano ed Erika Ribechini al Museo Egizio (Foto di Nicola Dell'Aquila e Federico Taverni - Museo Egizio)
Nel quadro di un progetto di ricerca finanziato dalla regione Toscana e con il supporto dell’azienda SRA, un team di chimici dell’Università di Pisa, in collaborazione con gli archeologi e i curatori del Museo, ha analizzato in modo del tutto non invasivo, senza prelevare alcun campione, il contenuto di trenta ampolle, vasi e anfore. Ad essere “annusati” grazie a questa tecnologia sono i composti volatili rilasciati nell’aria in concentrazioni estremamente basse (ultratracce) dai residui organici presenti nei contenitori al fine di identificarne la natura. I risultati promettenti della prima campagna diagnostica, in corso di pubblicazione, hanno convinto ricercatori e staff del Museo Egizio a estendere lo studio a una più ampia gamma di contenitori che fanno parte della collezione, nonché alcune mummie di prossima esposizione in una sala dedicata.
Anche questa volta l’esame è stato eseguito con uno spettrometro di massa SIFT-MS (Selected Ion Flow Tube-Mass Spectrometry) trasportabile, un macchinario che solitamente è impiegato in ambito medico per quantificare i metaboliti del respiro e che solo recentemente ha dimostrato la sua utilità anche nel campo dei beni culturali per eseguire indagini preservando l’integrità dei reperti. I risultati saranno integrati da analisi effettuate in laboratorio mediante tecniche basate su cromatografia e spettrometria di massa.
Ricercatori Unipi a lavoro al Museo Egizio, in primo piano a destra Jacopo La Nasa (Foto di Nicola Dell'Aquila e Federico Taverni - Museo Egizio)
“Grazie ai promettenti risultati ottenuti durante la prima fase di indagine, che saranno a breve pubblicati su una rivista scientifica internazionale e successivamente presentati al pubblico, abbiamo deciso di effettuare una seconda campagna di misure. L’entusiasmo dello staff del Museo - spiega Ilaria Degano dell’Università di Pisa – e la disponibilità di SRA, che ci ha permesso di impiegare nuovamente la strumentazione, ci ha permesso di ampliare il numero di campioni analizzati tramite questa metodica innovativa”.
L’indagine ha coinvolto il dottor Jacopo La Nasa, la studentessa Camilla Guerrini e le professoresse Francesca Modugno, Erika Ribechini, Ilaria Degano e Maria Perla Colombini dell’Università di Pisa, il dottor Andrea Carretta della SRA Instruments e Valentina Turina, Federica Facchetti, Enrico Ferraris del Museo Egizio di Torino. L’iniziativa rientra nel progetto MOMUS - Spettrometria di Massa SIFT portatile e identificazione di Materiali Organici in ambiente Museale, realizzato con il sostegno della Regione Toscana e di SRA Instruments, cha inoltre ha messo a disposizione lo spettrometro di massa e la sua esperienza nella gestione dell’esperimento.
La bassa alfabetizzazione sanitaria funzionale corrisponde a una minore percezione del rischio ambientale
Gli studenti universitari che hanno una più bassa alfabetizzazione sanitaria funzionale hanno anche una minore percezione dei rischi ambientali per la salute. La notizia, che per la prima volta associa queste due variabili, arriva da una indagine coordinata dalla professoressa Annalaura Carducci (foto) dell’Università di Pisa. La ricerca, svolta dal gruppo di lavoro “salute e ambiente” della Società Italiana di Igiene, è stata pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment.
Fra novembre 2017 e gennaio 2018, i ricercatori hanno intervistato 4778 studenti dei corsi di laurea scientifico-sanitari e umanistico-sociali tra i 18 e i 25 anni (65% donne e 35% uomini) provenienti da 15 atenei italiani (Pisa, Catania, Chieti, Sassari, Messina, Bari, Modena, Brescia, Torino, Padova, Milano, Napoli, Lecce, Camerino, Firenze). Parallelamente, nello stesso periodo e nelle stesse aree geografiche, i ricercatori hanno anche monitorato quanto pubblicato in tema di ambiente su Twitter e sui quotidiani on line.
“La nostra ricerca evidenzia una criticità della cosiddetta generazione Friday for Future – dice la professoressa Annalaura Carducci - il 44% degli studenti intervistati non è infatti riuscito a riconoscere almeno 9 su 12 parole, sebbene difficili, correlate alla salute, il che è preoccupante considerato che a rispondere è una parte di popolazione di elevato livello culturale. Alla scarsa consapevolezza corrisponde poi una minore percezione dei rischi ambientali, anche quelli legati all’inquinamento, e una minore fiducia nelle istituzioni, sia come fonti di informazione sia come soggetti attivi per la tutela del territorio”.
Dalle risposte ai questionari è emerso che per quanto riguarda i temi ambientali Internet e i social network sono le fonti di informazioni primarie consultate dal 77.7% degli studenti. In generale poi non sono risultate particolari differenze fra gli studenti di materia scientifiche e umanistiche mentre nelle donne è emersa comunque una maggiore sensibilità ambientale e fiducia nelle istituzioni.
“I risultati del nostro studio confermano l’importanza dell’alfabetizzazione sanitaria per creare cittadini più consapevoli – conclude Carducci - assistiamo oggi al dilagare di informazioni distorte se non addirittura false che il cittadino fa fatica a valutare, in questo senso l’alfabetizzazione sanitaria dovrebbe rientrare a pieno titolo nei programmi scolastici, per consentire una migliore comprensione delle relazioni fra ambiente e salute, un tema su cui la sensibilità sta crescendo proprio nella popolazione più giovane e che dovrebbe essere accompagnata da conoscenze scientificamente corrette”.
Insieme alla professoressa Annalaura Carducci, responsabile dell’Osservatorio della Comunicazione Sanitaria del Dipartimento di Biologia, il gruppo dell’Università di Pisa che ha realizzato lo studio comprende Andrea Calamusa, Ileana Federigi, Giacomo Palomba e Marco Verani. Hanno inoltre partecipato all’indagine molti studiosi dei 15 atenei coinvolti nell’indagine e di particolare importanza è risultata la collaborazione con le professoresse Margherita Ferrante e Maria Fiore dell’Università di Catania per la complessa elaborazione dei dati.
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Quindici studenti del Polo Universitario Sistemi Logistici di Livorno in viaggio studio a Barcellona
Dal 20 al 22 novembre quindici studenti selezionati del Polo Universitario Sistemi Logistici di Livorno hanno avuto la possibilità di approfondire sul campo le materie studiate nel corso di laurea triennale e magistrale, attraverso un viaggio-studio a Barcellona. Il viaggio, finanziato dall’Ateneo nell’ambito dei Progetti speciali per la didattica, ha permesso agli studenti di visitare il Porto di Barcellona, tra i più avanzati del Mediterraneo, nonché uno dei principali per tonnellaggio merci e container movimentati.
Gli studenti, accompagnati dai professori Nicola Castellano, Antonio Pratelli e David Burgalassi hanno assistito ad una presentazione del porto e dei suoi terminal, da parte di Jordi Torrent, strategy manager della locale Autorità Portuale e hanno, poi, proseguito la visita, in battello, accompagnati dal personale della Escola Europea – Intermodal Transport.
Il viaggio è stata anche l’occasione per visitare l’Expo Smart City, una delle più importanti fiere europee e mondiali dedicate al tema delle smart cities, presente nella città spagnola proprio in quei giorni. Durante la visita, gli studenti, suddivisi in cinque gruppi, uno per ciascuna delle aree tematiche dell’Expo (Urban Environment, Mobility, Digital Information, Governance & Finance, Inclusive & Sharing cities) hanno potuto condurre interviste con gli espositori e partecipare a eventi e workshop sugli argomenti chiave del mondo delle “città intelligenti”, attuali e futuri, trattati in modo coinvolgente ed interattivo.
Luni: nuovi particolari sulla scoperta del tempio nel quartiere di Porta Marina
L’ultima campagna archeologica dell’Università di Pisa a Luni nel 2019 ha portato alla luce un tempio della seconda metà del I secolo d.C. nel quartiere di Porta Marina. L’edificio si affaccia proprio sul cardo maximus, la strada principale della città con andamento nord-sud, e sorge su quella che sinora si pensava fosse “soltanto” una domus.
“Lo spazio privato di una domus diventò dunque un’area sacra per gli abitanti del quartiere e, probabilmente, anche per coloro che lavoravano nel vicino porto, dal quale l’edificio doveva essere visibile”, spiega la professoressa Simonetta Menchelli dell’Ateneo pisano, che coordina gli scavi.
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L’alto podio su cui venne costruito il tempio è andato completamente perduto ma, considerando le fondazioni dei vani di servizio al di sotto della cella e del pronao, gli archeologi sono riusciti a ricostruire la pianta dell’edificio a cella unica quadrangolare che appare simile a quella di altri templi dell'epoca nella stessa Luni, come ad esempio quello cosiddetto di Diana, o ad Ostia.
“Nella prossima campagna nel 2020, l’obiettivo sarà di portare in luce i resti della scalinata di accesso al tempio, al quale si arrivava appunto dal cardo maximus”, aggiunge la professoressa Menchelli.
Ma non finiscono qui le novità emerse dagli scavi dell’Università di Pisa che hanno riguardato la parte di Luni più vicina al porto, dove negli anni scorsi gli archeologi hanno individuato due domus del II secolo a.C., che nei secoli hanno subito numerose ristrutturazioni, rifacimenti e cambi d’uso.
Nella domus meridionale gli scavi hanno infatti messo in luce parte di un vasto peristilio pavimentato con un conglomerato cementizio marmoreo, nelle cui vicinanze doveva esserci una fontana, e/o delle volte o delle pareti decorate con conchiglie, come si deduce dai numerosi molluschi marini bivalvi ritrovati incastonati nella malta.
“Erano decorazioni comuni nelle domus di prestigio a partire dal I secolo a.C. - dice Simonetta Menchelli - per arricchire le case con elementi naturali connessi con l’ambiente acquatico, ma anche con funzione simbolica, essendo le conchiglie considerate simbolo di prosperità e fecondità”.
Per quanto riguarda la seconda domus più a settentrione, la struttura fu occupata da un impianto per il lavaggio di pellami e tessuti e su questo, alla fine VI secolo d.C., fu costruita una casa, di cui sono stati scavati due ambienti, uno con un focolare al centro, ed un cortile esterno. L’area continuò quindi ad essere occupata sino alla fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo d.C. e i suoi abitanti dovevano avere un elevato tenore di vita, come rivelano le anfore ritrovate che contengono derrate alimentari provenienti da tutto il Mediterraneo (Campania, Tunisia/Algeria, Grecia, Turchia e area siro-palestinese).
Le campagne di scavo a Luni dell’Ateneo pisano sono svolte in regime di concessione da parte della Soprintendenza Archeologica Liguria e in sinergia con il Museo Archeologico Nazionale di Luni ed il Comune di Luni. Partecipano gli studenti dell’Università di Pisa, dell’Istituto Parentucelli Arzelà di Sarzana e del Liceo Costa di La Spezia, coordinati sul campo dal dottore Paolo Sangriso, con i dottori Alberto Cafaro, Stefano Genovesi, Rocco Marcheschi, Silvia Marini, e con la collaborazione del dottore Domingo Belcari.
Alle attività sul campo prende parte il professore Stephen Carmody (Troy University, Alabama, USA) per la classificazione dei materiali paleobotanici che ha recuperato mediante la flottazione degli strati archeologici. Tale studio offrirà dati significativi sull’ambiente naturale lunense, e sulla relativa interazione antropica.
Al progetto partecipano inoltre il professore Adriano Ribolini (DST, UniPi), per le indagini Ground Penetrating Radar volte ad individuare gli edifici sepolti nel settore meridionale della città, per definirne la pianta ed indirizzare i futuri scavi, il professore Vincenzo Palleschi (CNR, Pisa) per la modellazione delle strutture in 3D, ed il dottor Younes Naime (DCFS, UniPi) per lo studio dei reperti archeozoologici.
I risultati della campagna archeologica sono stati presentati in un Open day lo scorso ottobre, che ha visto la partecipazione di oltre 350 visitatori.
Fig. 1. L’area di scavo vista da est
Fig. 2. Alcuni dei molluschi inseriti nelle murature
Fig. 3. In primo piano i resti del tempio visti da sud
Fig. 4. L’open day in corso a Luni (12 ottobre 2019)
L'enigma della sicurezza tra pericolosità sociale e tutela della salute mentale
Il 5 dicembre 2019, alle ore 15,45, in aula M1, Polo didattico delle Piagge, si terrà il convegno "L'enigma della sicurezza tra pericolosità sociale e tutela della salute mentale. OPG, REMS e altre storie", organizzato dall'associazione Altro Diritto con il contributo dell'Università di Pisa (rif. 1983).
Il convegno si pone l'obiettivo di avviare un dialogo che dia risposta al seguente interrogativo: “L'ordinamento italiano ha da sempre previsto per soggetti ritenuti pericolosi, imputabili o meno, misure di sicurezza che, ancorate ad una maniera arcaica di intendere la malattia mentale, hanno portato a casi di "ergastolo bianco". Quanto è cambiato il quadro con l'introduzione della L. 81/2014 e l'istituzione delle REMS?"
"Do humans dream of creative machines?". Tavola rotonda e workshop
Il 5 dicembre l'associazione KRINO organizza una tavola rotonda e un workshop dal titolo "Do humans dream of creative machines?".
L'evento è realizzato con il contributo di ateneo per le attività studentesche autogestite (rif. n. 2180 e 2182), nell'ambito dei workshop “Algoritmi e Dati: dinamiche sociali, biopolitiche e comunicative” e “Algoritmi e Dati: una prospettiva filosofica e culturale”.
Programma
5 dicembre 2019
h. 10:00 - 13:00
Panel discussion in Sala Colonne, Palazzo Venera (Via Santa Maria 36)
Continuamente i media ci informano sui nuovi traguardi raggiunti dalle intelligenze artificiali, restituendoci l’immagine di algoritmi capaci di cimentarsi quasi coscientemente in attività complesse e creative, dalla risoluzione di giochi di strategia alla produzione artistica.
I computer stanno finalmente acquisendo alcune caratteristiche proprie degli esseri umani?
Oppure siamo noi che tendiamo a dar loro un’identità umana?
L'incontro affronterà queste domande cercando di sfatare alcuni miti e di proporre una diversa narrazione delle intelligenze artificiali.
Intervengono: Maurizio Parton, Simone Pieranni, Anna Monreale e Davide Bacciu. Modera Stefano Capezzuto di KRINO.
h. 14:00 - 16:00
Workshop in RLab2 (Laboratorio di Cultura Digitale), Palazzo Ricci (via Collegio Ricci 10)
Masterclass su livecoding e processi algoritmici in ambito artistico, a cura di Umanesimo Artificiale.
La masterclass a cura di Umanesimo Artificiale ha lo scopo di presentare la programmazione informatica come linguaggio artistico e performativo introducendo il movimento del livecoding e due tra i software opensource più utilizzati dalla community internazionale: TidalCycles (livecoding musicale) e Hydra (livecoding visuale).
I partecipanti avranno la possibilità di esplorare le possibilità creative di questi strumenti insieme all'artista multimediale Nesso e di sperimentare in prima persona come generare visualizzazioni usando funzioni matematiche di base.
Al termine della masterclass si assisterà ad una performance audiovisiva che metterà in pratica i concetti trattati.
Info:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
https://www.facebook.com/krino.org/
"Do humans dream of creative machines?". Tavola rotonda e workshop
Il 5 dicembre l'associazione KRINO organizza una tavola rotonda e un workshop dal titolo "Do humans dream of creative machines?".
L'evento è realizzato con il contributo di ateneo per le attività studentesche autogestite (rif. n. 2180 e 2182), nell'ambito dei workshop “Algoritmi e Dati: dinamiche sociali, biopolitiche e comunicative” e “Algoritmi e Dati: una prospettiva filosofica e culturale”.
Programma
5 dicembre 2019
h. 10:00 - 13:00
Panel discussion in Sala Colonne, Palazzo Venera (Via Santa Maria 36)
Continuamente i media ci informano sui nuovi traguardi raggiunti dalle intelligenze artificiali, restituendoci l’immagine di algoritmi capaci di cimentarsi quasi coscientemente in attività complesse e creative, dalla risoluzione di giochi di strategia alla produzione artistica.
I computer stanno finalmente acquisendo alcune caratteristiche proprie degli esseri umani?
Oppure siamo noi che tendiamo a dar loro un’identità umana?
L'incontro affronterà queste domande cercando di sfatare alcuni miti e di proporre una diversa narrazione delle intelligenze artificiali.
Intervengono: Maurizio Parton, Simone Pieranni, Anna Monreale e Davide Bacciu. Modera Stefano Capezzuto di KRINO.
h. 14:00 - 16:00
Workshop in RLab2 (Laboratorio di Cultura Digitale), Palazzo Ricci (via Collegio Ricci 10)
Masterclass su livecoding e processi algoritmici in ambito artistico, a cura di Umanesimo Artificiale.
La masterclass a cura di Umanesimo Artificiale ha lo scopo di presentare la programmazione informatica come linguaggio artistico e performativo introducendo il movimento del livecoding e due tra i software opensource più utilizzati dalla community internazionale: TidalCycles (livecoding musicale) e Hydra (livecoding visuale).
I partecipanti avranno la possibilità di esplorare le possibilità creative di questi strumenti insieme all'artista multimediale Nesso e di sperimentare in prima persona come generare visualizzazioni usando funzioni matematiche di base.
Al termine della masterclass si assisterà ad una performance audiovisiva che metterà in pratica i concetti trattati.
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Ricerca internazionale documenta l’impatto antropico sull’ambiente alpino già dall’Età del Ferro
Una ricerca internazionale coordinata dall’Università di Pisa ha documentato l’effetto delle attività umane sull’ambiente alpino già dall’Età del Ferro, circa 2800 anni fa. Eleonora Regattieri e Giovanni Zanchetta, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo pisano, insieme al loro team hanno analizzato una colata stalagmitica proveniente della Grotta di Rio Martino nelle Alpi occidentali in Piemonte. Questo eccezionale “archivio naturale” ha consentito infatti di studiare l’impatto antropico sull’ambiente alpino negli ultimi 9000 anni. I risultati della ricerca, appena pubblicati sulla rivista Scientific Reports, hanno così collegato l’instaurarsi dell’attività della transumanza stagionale, uno dei tratti della futura economia della zona, con una maggiore vulnerabilità del suolo rispetto alle precipitazioni e alle variazioni climatiche.
Eleonora Regattieri Giovanni Zanchetta nella Grotta di Rio Martino
“Nella regione alpina - spiega Eleonora Regattieri - l’inizio dell’Età del Ferro coincide con lo sviluppo delle tecniche casearie. La possibilità di conservare e trasportare il latte prodotto in estate coincide con l’inizio dell’utilizzo permanente dei siti di alta quota e lo sviluppo della moderna economia alpina, tutte attività che impattano sull’ambiente e soprattutto sul suolo”.
Come emerge dal confronto fra le analisi geologiche e i dati archeologici, nel periodo compreso tra 9800 e i 2800 anni fa, quando la pressione antropica nei siti di alta quota era scarsa, l’erosione del suolo appare legata soprattutto a contrazioni naturali della vegetazione, legate a momenti di riduzione delle precipitazioni. A partire dall’ Età del Ferro, 2800 anni fa, i dati geochimici evidenziano invece un drastico cambiamento nella risposta del suolo, che determina una maggiore erosione in risposta al brusco aumento delle precipitazioni.
“Il record di Rio Martino – spiega Giovanni Zanchetta - suggerisce un profondo e precoce impatto delle attività umane sui naturali processi della cosiddetta ‘Zona Critica’, che nelle Alpi come altrove, è quella “pelle” che riveste il nostro pianeta, dalle acque sotterranee sino all’apice della vegetazione, e che tramite una rete di complesse interazioni tra le diverse componenti biotiche ed abiotiche, determina la disponibilità di risorse che rendono possibile la vita sulla Terra”.
Lo studio delle proprietà geochimiche e magnetiche della concrezione della grotta di Rio Martino ha infatti consentito agli scienziati di collegare le informazioni locali sul suolo e sulla vegetazione ai parametri climatici che agiscono su scala regionale, compreso il regime idrologico.
Giovanni Zanchetta nella Grotta di Rio Martino
“Come sappiamo bene l’attività umana trasforma gli ambienti e l'ecologia terrestre da migliaia di anni, un processo che negli ultimo secoli si è fatto sempre più imponente, fino a cambiare la composizione dell’atmosfera e influenzare il clima stesso del nostro pianeta - conclude Giovanni Zanchetta – Quando tutto questo sia cominciato e con quanta intensità sono domande che come ricercatori ci poniamo, anche nell’ottica di prevedere e mitigare i possibili cambiamenti futuri indotti dall’attività umana”.