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Per diminuire le emissioni di CO2 nell’atmosfera, il geotermico è la fonte di energia rinnovabile più efficace, seguito da idroelettrico e solare. La notizia arriva da uno studio su 27 paesi OCSE dal 1965 al 2020 pubblicato sul Journal of Cleaner Production.

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La ricerca ha analizzato l’impatto di alcune fonti di energia rinnovabile per la produzione di energia elettrica: geotermico, solare, eolico, biofuel, idroelettrico. Dai risultati è emerso che ognuna di esse contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 e dunque è utile agli obiettivi della transizione ecologica. Fra tutte, le migliori sono il geotermico, l’idroelettrico, e il solare, in ordine decrescente di importanza. A livello quantitativo, 10 terawattora di energia elettrica prodotti da geotermico, idroelettrico, e solare, consentono infatti di ridurre le emissioni di CO2 pro capite rispettivamente di 1.17, 0.87, e 0.77 tonnellate.

I 27 paesi OCSE esaminati dal 1965 al 2020 sono stati scelti come campione perché contribuiscono notevolmente al rilascio di emissioni di CO2 nell’atmosfera e rappresentano circa un terzo del totale delle emissioni globali di CO2. Nello specifico si tratta di Australia, Austria, Canada, Cile, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Per ricavare i dati, la ricerca ha analizzato molteplici fonti, le principali sono: Food and Agriculture Organization (FAO), International Energy Agency (IEA), OECD, Our World in Data (OWID), e World Bank.

“E’ noto che circa due terzi degli italiani si dichiara appassionato del tema della sostenibilità e ritiene importante l’uso delle rinnovabili per avere città più sostenibili – dice Gaetano Perone, ricercatore del dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa e autore dell’articolo – la mia analisi spiega in modo dettagliato l’impatto di ciascuna energia rinnovabile sulle emissioni di CO2, considerando anche altri aspetti legati ai costi di implementazione e costruzione delle centrali e delle opportunità date dalle caratteristiche geografiche e climatiche dei paesi considerati”.



Per diminuire le emissioni di CO2 nell’atmosfera, il geotermico è la fonte di energia rinnovabile più efficace, seguito da idroelettrico e solare. La notizia arriva da uno studio su 27 paesi OCSE dal 1965 al 2020 pubblicato sul Journal of Cleaner Production.

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La ricerca ha analizzato l’impatto di alcune fonti di energia rinnovabile per la produzione di energia elettrica: geotermico, solare, eolico, biofuel, idroelettrico. Dai risultati è emerso che ognuna di esse contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 e dunque è utile agli obiettivi della transizione ecologica. Fra tutte, le migliori sono il geotermico, l’idroelettrico, e il solare, in ordine decrescente di importanza. A livello quantitativo, 10 terawattora di energia elettrica prodotti da geotermico, idroelettrico, e solare, consentono infatti di ridurre le emissioni di CO2 pro capite rispettivamente di 1.17, 0.87, e 0.77 tonnellate.

I 27 paesi OCSE esaminati dal 1965 al 2020 sono stati scelti come campione perché contribuiscono notevolmente al rilascio di emissioni di CO2 nell’atmosfera e rappresentano circa un terzo del totale delle emissioni globali di CO2. Nello specifico si tratta di Australia, Austria, Canada, Cile, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Per ricavare i dati, la ricerca ha analizzato molteplici fonti, le principali sono: Food and Agriculture Organization (FAO), International Energy Agency (IEA), OECD, Our World in Data (OWID), e World Bank.

“E’ noto che circa due terzi degli italiani si dichiara appassionato del tema della sostenibilità e ritiene importante l’uso delle rinnovabili per avere città più sostenibili – dice Gaetano Perone, ricercatore del dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa e autore dell’articolo – la mia analisi spiega in modo dettagliato l’impatto di ciascuna energia rinnovabile sulle emissioni di CO2, considerando anche altri aspetti legati ai costi di implementazione e costruzione delle centrali e delle opportunità date dalle caratteristiche geografiche e climatiche dei paesi considerati”.



Sabato 17 febbraio 2024, dalle ore 15.00 alle ore 18.30, si terrà il terzo incontro di illustrazione naturalistica del ciclo “Disegnare al Museo”, dal titolo "Introduzione all’acquarello naturalistico".

L’incontro, di livello base, prevede una introduzione al disegno e all’acquarello naturalistico.

Leggi i dettagli: https://www.msn.unipi.it/it/eventi/disegnare-al-museo-introduzione-allacquarello-naturalistico/ 

Sabato 17 febbraio 2024, dalle ore 15.00 alle ore 18.30, si terrà il terzo incontro di illustrazione naturalistica del ciclo “Disegnare al Museo”, dal titolo "Introduzione all’acquarello naturalistico".

L’incontro, di livello base, prevede una introduzione al disegno e all’acquarello naturalistico.

Leggi i dettagli: https://www.msn.unipi.it/it/eventi/disegnare-al-museo-introduzione-allacquarello-naturalistico/ 

Oggi è solo una porzione di terreno dietro il Polo Fibonacci, ma presto diverrà un'area verde curata e attrezzata con tavolini e gazebo, dove tutti potranno rilassarsi e mangiare all'aria aperta. E questo grazie ad un accordo tra Università di Pisa, C.E.M.E.S. spa e Sacon srl che, giovedì 1° febbraio, hanno firmato una “Convenzione per la riqualificazione dell’Area Verde di proprietà dell’Università di Pisa nel Complesso Ex Marzotto”. Convenzione con la quale, in cambio della concessione dell'area da parte dell'Ateneo, le due società si impegnano, a loro spese, ad occuparsi della sua cura e degli arredi, facendone un giardino pubblico con zona ristoro collegata sia al Polo universitario che al vicino Supermercato CONAD che riserverà appositi sconti a dipendenti e studenti dell'Università di Pisa.

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“Accordi come questo credo rappresentino un modello virtuoso di quella collaborazione con le aziende del territorio che il nostro Ateneo intende sviluppare – ha commentato il rettore dell’Università di Pisa, Riccardo Zucchi – Nel caso specifico, questa convenzione ci aiuta a valorizzare un ambiente che era necessario riqualificare. Ci tengo, quindi, a ringraziare i nostri partner che si faranno carico anche della manutenzione ordinaria degli spazi verdi dell’area. Non posso, dunque, che esprimere soddisfazione per questa firma, con l’auspicio che sia un punto di partenza per altre iniziative simili future”.

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Grande soddisfazione anche per Matteo Madonna di Sacon srl, che ha definito la convenzione un “esempio di collaborazione tra pubblico e privato che, allo stesso tempo, mira a riqualificare una zona pregiata di Pisa nell’interesse della collettività e svolge una funzione di servizio attraverso un accordo che promuove una scontistica per tutti gli studenti, i docenti e il personale dell’Università di Pisa”.

Le praterie di Posidonia possono ridurre in modo significativo gli effetti dell’acidificazione dei mari, la prova arriva da una specie sentinella come i ricci di mare. E’ questo quanto emerge da alcuni studi condotti dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto europeo FutureMARES e pubblicati sulle riviste Science of the Total Environment e Environmental Research.

I ricercatori dell’Università di Pisa hanno condotto gli esperimenti nei mesocosmi collocati presso l’Acquario di Livorno, un sistema di vasche di grandi dimensioni che riproduce gli ecosistemi marini. Le analisi hanno dimostrato che Posidonia oceanica, la principale pianta marina che popola il Mediterraneo, contribuisce a difendere lo sviluppo delle larve del riccio di mare (Paracentrotus lividus). Questa specie, che ha anche un interesse commerciale, è minacciata dall’acidificazione delle acque marine che ostacola lo sviluppo dello scheletro composto da carbonato di calcio. Ma grazie alla propria attività fotosintetica, la Posidonia è stata in grado di alzare il pH dell’acqua di 0.15 unità. In presenza delle piante, le larve di riccio hanno così sviluppato meno malformazioni e raggiunto una grandezza maggiore nella fase finale dello sviluppo.

Le praterie di Posidonia possono quindi rappresentare un rifugio per alcune delle specie minacciate dall’acidificazione dei mari anche perché il fenomeno in sé non ha effetti significativi su queste piante. E tuttavia, come hanno dimostrato ulteriori indagini dell’Università di Pisa, se l’acidificazione è associata ad un innalzamento della temperatura dell’acqua, possono subentrare alterazioni fisiologiche e molecolari, specialmente nelle piante più in profondità, che potrebbero ridurre la funzione protettiva.

“I nostri studi dimostrano le praterie di piante marine come Posidonia oceanica possano mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici su altre specie, con importanti ricadute in termini sia di biodiversità che economici – spiega il professore Fabio Bulleri del Dipartimento di Biologia e del Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) dell’Università di Pisa – questa capacità però può essere compromessa da un ulteriore riscaldamento del mare e per questo è necessario individuare popolazioni di piante più tolleranti allo stress termico e siti caratterizzati da un minore tasso di riscaldamento che possano funzionare da rifugi in scenari futuri”.

Fabio Bulleri, responsabile scientifico del progetto FutureMARES, si occupa della valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici in ambiente marino. Insieme a lui hanno collaborato, per l’Università di Pisa, Chiara Ravaglioli assegnista di ricerca del Dipartimento di Biologia che si occupa degli effetti antropici sulle piante marine; Lucia De Marchi e Carlo Pretti, esperti in ecotossicologia del Dipartimento di Scienze Veterinarie. Partner esterni sono il Dipartimento di Scienze Della Vita dell’Università di Trieste, il Centro Interuniversitario di Biologia Marina “G. Bacci” (CIBM) di Livorno, la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, il National Institute of Oceanography, Israel Oceanographic and Limnological Research, Haifa in Israele e il National Biodiversity Future Centre (NBFC) di Palermo.



 

 

 

 

Le praterie di Posidonia possono ridurre in modo significativo gli effetti dell’acidificazione dei mari, la prova arriva da una specie sentinella come i ricci di mare. E’ questo quanto emerge da alcuni studi condotti dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto europeo FutureMARES e pubblicati sulle riviste Science of the Total Environment e Environmental Research.

 

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Sistema di mesocosmi composto da vasche con acqua di mare, utilizzate per testare gli effetti dell’acidificazione dei mari e della presenza della pianta marina, Posidonia oceanica, sullo sviluppo delle larve di riccio, Paracentrotus lividus

I ricercatori dell’Università di Pisa hanno condotto gli esperimenti nei mesocosmi collocati presso l’Acquario di Livorno, un sistema di vasche di grandi dimensioni che riproduce gli ecosistemi marini. Le analisi hanno dimostrato che Posidonia oceanica, la principale pianta marina che popola il Mediterraneo, contribuisce a difendere lo sviluppo delle larve del riccio di mare (Paracentrotus lividus). Questa specie, che ha anche un interesse commerciale, è minacciata dall’acidificazione delle acque marine che ostacola lo sviluppo dello scheletro composto da carbonato di calcio. Ma grazie alla propria attività fotosintetica, la Posidonia è stata in grado di alzare il pH dell’acqua di 0.15 unità. In presenza delle piante, le larve di riccio hanno così sviluppato meno malformazioni e raggiunto una grandezza maggiore nella fase finale dello sviluppo.

Le praterie di Posidonia possono quindi rappresentare un rifugio per alcune delle specie minacciate dall’acidificazione dei mari anche perché il fenomeno in sé non ha effetti significativi su queste piante. E tuttavia, come hanno dimostrato ulteriori indagini dell’Università di Pisa, se l’acidificazione è associata ad un innalzamento della temperatura dell’acqua, possono subentrare alterazioni fisiologiche e molecolari, specialmente nelle piante più in profondità, che potrebbero ridurre la funzione protettiva.

“I nostri studi dimostrano le praterie di piante marine come Posidonia oceanica possano mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici su altre specie, con importanti ricadute in termini sia di biodiversità che economici – spiega il professore Fabio Bulleri del Dipartimento di Biologia e del Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) dell’Università di Pisa – questa capacità però può essere compromessa da un ulteriore riscaldamento del mare e per questo è necessario individuare popolazioni di piante più tolleranti allo stress termico e siti caratterizzati da un minore tasso di riscaldamento che possano funzionare da rifugi in scenari futuri”.

Fabio Bulleri, responsabile scientifico del progetto FutureMARES, si occupa della valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici in ambiente marino. Insieme a lui hanno collaborato, per l’Università di Pisa, Chiara Ravaglioli assegnista di ricerca del Dipartimento di Biologia che si occupa degli effetti antropici sulle piante marine; Lucia De Marchi e Carlo Pretti, esperti in ecotossicologia del Dipartimento di Scienze Veterinarie. Partner esterni sono il Dipartimento di Scienze Della Vita dell’Università di Trieste, il Centro Interuniversitario di Biologia Marina “G. Bacci” (CIBM) di Livorno, la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, il National Institute of Oceanography, Israel Oceanographic and Limnological Research, Haifa in Israele e il National Biodiversity Future Centre (NBFC) di Palermo.


In alto: esemplare adulto di riccio di mare, Paracentrotus lividus; in basso a sinistra una larva di riccio normale ed a destra una larva anormale

 

 

 

 

Mentre avanza il cantiere per il completamento dell’Ospedale Nuovo Santa Chiara, a Cisanello si inaugurano due nuove realizzazioni grazie ai fondi previsti dal Decreto legge 34/2020 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

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Il primo manufatto è un nuovo edificio ad alta tecnologia, dedicato all’isolamento e alla gestione dei pazienti infettivi, ed è stato realizzato in un corpo di fabbrica adiacente all’edificio 31 che ospita il Dipartimento di emergenza-urgenza. La costruzione, oltre ad aumentare gli spazi dedicati all’isolamento di pazienti infettivi giunti al Pronto soccorso, permette anche di ottimizzare flussi e percorsi e la presa in carico assistenziale nel rispetto delle misure anti contagio, minimizzando sia le interferenze con altre attività sanitarie sia il rischio clinico. Oltre alle aree di lavoro del personale (comprensive di un locale svestizione e decontaminazione per il rientro dall’area operativa, dotato di filtro con impianto di pressurizzazione) sono stati realizzati 6 locali con caratteristiche di biocontenimento, che rappresentano il cuore del nuovo corpo di fabbrica, caratterizzati da pressione negativa di 10 Pa rispetto all’ambiente esterno (con possibilità di commutarla in sovra-pressione ove necessario, in caso di pazienti non infettivi ma immunodepressi), 6 ricambi d’aria orari, infissi e porte a tenuta stagna, impianti di gas medicinali, filtri HEPA (High Efficiency Particulate Air). Il nuovo edificio, rispondente a tutti gli attuali criteri di sicurezza antincendio e impiantistica, conformità all’idoneità degli ambienti di lavoro e accessibilità, garantisce anche prestazioni antisismiche ottimali: le strutture portanti sono infatti realizzate con tecnologia Light Steel Frame, il cui utilizzo è innovativo negli edifici sanitari. Grazie alla consistente fase di assemblaggio off-site, infatti, è stato possibile ridurre al minimo gli spazi di operatività del cantiere (aspetto fondamentale, in considerazione della congestione dell’area in cui è ubicato il manufatto, proprio nel mezzo del maxi-cantiere del nuovo ospedale) e i tempi di realizzazione.

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L’altro intervento è consistito nella riconversione di un reparto di degenze al piano primo dell’edificio 30 in un reparto di terapia semi-intensiva dotato di 12 posti letto. I lavori hanno riguardato la modifica distributiva degli ambienti, il rifacimento integrale degli impianti elettrico, di trasmissione dati e di trattamento aria per il controllo dei gradienti di pressione, e la nuova distribuzione dell’impianto dei gas medicinali e testa-letto. La dotazione impiantistica degli ambienti (gradienti pressori di 10 Pa, sia in depressione sia in sovra-pressione, impianti gas medicinali, 15 ricambi d’aria orari, filtri ad alta efficienza HEPA) e l’organizzazione funzionale degli spazi consentono di poter utilizzare i 12 posti letto anche come letti di terapia intensiva. In ognuna delle quattro camere (ciascuna da tre posti) gli spazi sono stati studiati in modo opportuno per consentire agevoli manovre assistenziali sui quattro lati dei letti, è presente un servizio igienico interno accessibile e l’entrata avviene tramite filtro, opportunamente pressurizzato per mantenere i diversi regimi di pressione, con dimensioni tali da consentire la vestizione del personale. In questo reparto si trasferiranno le degenze dell’Unità operativa ospedaliera di Medicina d’urgenza e pronto soccorso, finora ubicate all’Edificio 31 (sopra il Pronto soccorso).

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Oggi l'inagurazione alla presenza di tutte le autorità:

“Questa riorganizzazione – dichiara la direttrice generale dell’Aoup Silvia Briani - ottimizza anche il lavoro nelle degenze di area medica, in particolare delle due strutture di Medicina d’urgenza (ospedaliera e universitaria) che saranno contigue, all’interno dell’Edificio 30, con tutti i vantaggi di operatività assistenziale che è facile immaginare specialmente in termini di alta intensità di cure di cui a volte necessitano i pazienti instabili ricoverati in medicina d’urgenza o infettivi. Il Covid – aggiunge – è stato per tutti un grande banco di prova che ci ha imposto scelte coraggiose e necessarie e da questa esperienza abbiamo tutti imparato. Una delle necessità emerse è stata appunto la velocità di riconversione dei posti letto a pressione positiva o negativa, a seconda delle esigenze terapeutiche, e la separazione dei percorsi fra pazienti infetti e non-. L’edificio di biocontenimento realizzato con i fondi governativi - una piccola anteprima del grande ospedale ad alta tecnologia che sta prendendo forma in questi anni - ci consente adesso di lavorare con maggiore serenità in caso di emergenze epidemiche riducendo così anche i tempi di attesa al pronto soccorso”.

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“Nonostante la complessa congiuntura economica - commenta il rettore dell’Università di Pisa Riccardo Zucchi -, l’Università è fortemente impegnata in progetti strategici di sviluppo e contribuisce significativamente all’edificazione delle strutture che ospiteranno l’area medica nel Nuovo Santa Chiara. Gli importanti risultati che celebriamo oggi sono stati resi possibili dalla costruttiva collaborazione che si è instaurata con Aoup e con tutte le altre istituzioni coinvolte. Lo stesso clima costruttivo sarà necessario per sfruttare al meglio il nuovo presidio che si sta realizzando a Cisanello, rimodulando i percorsi assistenziali e progettando una migliore interazione con le attività formative e di ricerca. In particolare, le criticità della medicina d’urgenza non possono essere risolte semplicemente con l’impropria attribuzione di compiti assistenziali complessi agli specializzandi dei primi anni di corso, ma richiedono un ripensamento globale del settore, dalla formazione degli operatori alla implementazione sul campo. Confido che la Toscana, grazie alle iniziative che stiamo discutendo congiuntamente, possa proporre soluzioni innovative e inizi a sperimentarle nel prossimo futuro”.

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"Una buona notizia per il Pronto soccorso e per la Medicina d’urgenza dell’Ospedale di Cisanello – dichiara il sindaco di Pisa Michele Conti -. Una nuova struttura e una riorganizzazione dei servizi che contribuiscono ad alleggerire il lavoro di reparti che si trovano quotidianamente sotto pressione. Un passo in avanti verso la realizzazione del grande polo ospedaliero che farà di Pisa, ancora di più, punto di riferimento per la sanità a livello regionale e nazionale. L’Amministrazione comunale continuerà a fare la propria parte per accompagnare questa nuova opportunità con i necessari interventi in termini infrastrutturali, logistici e di mobilità. Rimane però da affrontare l’altro fronte, quello del recupero del vecchio e storico Santa Chiara, su cui abbiamo già avviato un confronto con tutti i soggetti coinvolti”.

“I nuovi locali che si inaugurano oggi sono figli dell’esperienza vissuta con il Covid – conclude il presidente della Toscana, Eugenio Giani - Un’emergenza che ci ha imposto la necessità di isolare pazienti infetti e non- e l’importanza della versatilità degli ambienti e dei posti in terapia intensiva e sub intensiva. Di quella esperienza in Toscana abbiamo fatto tesoro e quello di Pisa, piccolo assaggio del nuovo ospedale che sarà, è un esempio”. (Fonte Ufficio stampa AOUP).

Is your phone draining its battery too quickly? The problem may depend on the different protocols we use to surf the web, and the latest ones are not necessarily the most energy-efficient. This is the conclusion of a study conducted by the University of Pisa and the CNR Institute for Informatics and Telematics, recently published in the journal Pervasive and Mobile Computing.


Specifically, the researchers set out to evaluate the energy consumption of smartphones and Internet of Things (IoT) devices in relation to the various HTTP protocols that underpin data transmission over the Internet.

“In general, when we talk about the different versions of the HTTP protocol, the focus is on ‘performance’, which is the time required to download data and resources over the network,” explains Alessio Vecchio, author of the study and professor at the Department of Information Engineering at the University of Pisa. Our study, on the other hand, focused on energy consumption, which is particularly relevant in the context of the Internet of Things (IoT), where many devices are battery-powered. In this context, saving energy makes it possible to significantly extend the life of the device, avoiding the need to replace or recharge batteries, with positive consequences in terms of sustainability and usability.”

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A photo of the system

 
The HTTP protocol is one of the most widely used communication protocols in computer networks; suffice it to say that the web is based on it. Communication between IoT devices, such as sensors or home automation systems, is also often based on the HTTP protocol. Currently, the three main versions are HTTP/1.1, HTTP/2 and the newer HTTP/3, which differ significantly in terms of performance. The study found that HTTP/3, which is generally more efficient than the previous versions, can consume up to 30% more in some scenarios. This happens, for example, when there is a lot of data to transfer, while it consumes less than the others when the volume of data is smaller.

“Our study is important for two reasons, one practical and one scientific,” Vecchio points out. ‘From a practical point of view, thanks to the results obtained, those who are interested in building systems that use smartphones and IoT devices can make choices that take into account energy aspects. From a scientific point of view, new research scenarios are opening up, such as the study of intelligent algorithms capable of dynamically selecting the most energy-efficient version of the HTTP protocol depending on the communication scheme, the amount of data to be transferred and the network conditions.”

The research was carried out in the context of the Future-Oriented REsearch LABoratory (FoReLab), a project of the Department of Information Engineering of the University of Pisa, funded by the Ministry of University and Research (MUR) within the framework of the Departments of Excellence programme.

Besides Alessio Vecchio, the study was conducted by Chiara Caiazza, PhD student in Smart Computing (joint PhD programme of the Universities of Florence, Pisa and Siena) and Valerio Luconi, PhD student in Information Engineering at the University of Pisa in 2016 and researcher at the CNR Institute of Informatics and Telematics since 2019.
All three participants in the research group share an interest and concern for environmental issues, in particular energy sustainability. Therefore, the study of the energy implications of network protocols was an excellent start to combine research aspects related to computer science and systems engineering with energy saving issues.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A partire dal secondo semestre dell’a.a. 2023/2024 le studentesse e gli studenti regolarmente iscritte/i all’Università di Pisa possono presentare domanda di ammissione alle attività formative erogate dalla Scuola Superiore Sant’Anna con una procedura concordata tra l’Università e la Scuola che riduce gli adempimenti richiesti allo studente. Sarà possibile frequentare i corsi della Scuola, sostenerne il relativo esame e richiedere un riconoscimento crediti all’Università di Pisa.

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