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Un concorso per premiare le migliori tesi di laurea sulla cooperazione. È il “Premio Legacoop Toscana”, il bando lanciato dalla Lega Regionale Toscana Cooperative e Mutue rivolto a tutti i laureandi di un corso di laurea magistrale o magistrale a ciclo unico che conseguano il relativo titolo di studio presso l’Università di Pisa e che discutano la tesi nelle sessioni di laurea dell’anno accademico 2017/2018, ovvero entro la sessione di aprile 2019.

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Per partecipare alla prima edizione del concorso c’è tempo fino al 10 maggio 2019: il premio sarà poi replicato per altre due edizioni (2020 e 2021). A essere premiate saranno le tre migliori tesi di laurea magistrale o magistrale a ciclo unico dedicate a sviluppare e approfondire tematiche connesse all’impresa cooperativa e alla sua importanza nel contesto socio-economico locale, nazionale e internazionale, esaminata dal punto di vista giuridico, economico e sociale. Per i vincitori è previsto un riconoscimento pubblico e ufficiale e l’assegnazione di un contributo di mille euro per ciascun premiato, che verranno consegnati nel corso di una cerimonia pubblica.

L’obiettivo del concorso di Legacoop Toscana è quello di stimolare la ricerca in ambito accademico sui temi legati alla cooperazione e all’impresa cooperativa. A giudicare le tesi che verranno presentate sarà una commissione presieduta dal presidente di Legacoop Toscana, di cui faranno parte qualificati esponenti del mondo della cooperazione e almeno un docente delegato dall’Università di Pisa.

Il concorso è stato lanciato in occasione della prima “Career Week” dell'Università di Pisa, la settimana di incontri tra laureati e studenti dell'Ateneo con responsabili di aziende, enti e organizzazioni. Tra le diverse iniziative in programma, giovedì 20 settembre si è tenuta la tavola rotonda “Lavorare nelle imprese cooperative”, organizzata in collaborazione con Legacoop Toscana e a cui hanno preso parte Rossano Massai, delegato del rettore al Job Placement, Leonardo Bertini, delegato per la promozione delle iniziative di Spin off, start up e brevetti, e Massimo Carlotti, responsabile Area Agroalimentare Legacoop Toscana. Dopo una serie di approfondimenti e il racconto delle esperienze di alcuni giovani cooperatori, è stato presentato il “Premio Legacoop Toscana”.

Il bando di concorso per le migliori tesi di laurea sulla cooperazione rientra nell’ambito del protocollo d’intesa tra Università di Pisa e Legacoop Toscana siglato lo scorso novembre con l’obiettivo di promuovere le collaborazioni tra i due enti nell’ambito della didattica, della ricerca e del trasferimento tecnologico e di ottimizzare le sinergie tra il mondo accademico e quello produttivo.

 DSCN3634.jpegNella foto il rettore Paolo Mancarella e il presidente di Legacoop Toscana Roberto Negrini al momento della firma dell'accordo.

“La collaborazione tra Legacoop Toscana e Università di Pisa entra nel vivo. Il bando di concorso per le tesi di laurea è un progetto nel quale crediamo molto ed è solo la prima di una serie di iniziative che mirano ad avvicinare i giovani studenti e laureati dell’ateneo pisano al mondo imprenditoriale cooperativo toscano. Il bando, alla sua prima edizione qui a Pisa, è stato lanciato lo scorso anno all’Università degli Studi di Firenze e siamo stati molto soddisfatti della risposta che c’è stata da parte di studenti e professori e dei risultati raggiunti. Per questo ci auguriamo di riuscire a replicarne il successo”, ha dichiarato il presidente di Legacoop Toscana Roberto Negrini.

“Questo bando, oltre a costituire un aiuto significativo alla progressione della carriera per i giovani futuri vincitori, rappresenta un importante strumento di sensibilizzazione verso il mondo della cooperazione - ha affermato il professor Rossano Massai - La cooperazione si configura, oggi più che in passato, come una concreta possibilità di avanzamento personale e professionale dei nostri studenti che in questo ambito possono trovare molte delle risposte alle domande che un neolaureato si trova ad affrontare al termine del suo percorso formativo. Il mondo cooperativo rappresenta infatti una validissima alternativa a posizioni lavorative in aziende o enti orientati alla logica del profitto e della massimizzazione del risultato di impresa ma che molto spesso inducono comportamenti altamente competitivi tra i loro stessi addetti e che possono generare problematiche sociali di squilibrata distribuzione del benessere. La cooperazione consente invece a tutti coloro che sono più orientati a una visione sostenibile, equa e solidale del mondo produttivo futuro di realizzare le proprie aspirazioni ed è compito dell’Università quello di offrire ai suoi studenti le informazioni adeguate su questo modello di crescita futura”.

Per partecipare è possibile consultare la pagina www.legacooptoscana.coop/bandotesipisa.

There are days when it is right that the present and the past come together. We wanted this day to be one of these.

Right here, many years ago, something happened that should never have happened. We want to remember it. Starting from here, many lives were suspended, disrupted, destroyed. We will tell you about those lives and about what happened. Somewhere else as well, or to someone else, or before, or after. Hoping that this will never happen again.

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In 1938, Fascism passed the Jews persecution laws, and the obedient state bureaucracy acted surprisingly efficient. With a detailed form - family tree, kinship, address, properties, and bank accounts – it proceeded to the "census" of the forty-seven thousand Italian Jews and more than ten thousand foreign Jews residing in Italy. The lists were then kept updated, so that five years later, in 1943, the Nazi occupiers with the zealous help of the officials of the Republic of Salò, could go out on point, deporting more than eight thousand Jews and killing seven thousand - one hundred and seventy-two of them.
Seven thousand- one hundred and seventy-two.

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Eighty years ago, just a stone's throw from us, on San Rossore royal estate - the habitual summer residence of the House of Savoy – King Vittorio Emanuele III signed the first anti-Semitic measure ordered by the Fascist regime. It was the Royal Decree no 1390. Seven short articles only.

With the phrase "suspended from duty", Jewish professors, assistant teachers, lecturers, in short the entire Jewish teaching staff, were expelled from the universities along with students, deans, teachers in all the "schools of the kingdom". Moreover, Jewish students' enrolment in the new academic year was precluded, and so would be for the following six years.

The "Provisions for the defence of the race in the fascist school" hit those sectors that more than any other make a country free: training, education and research.
The anti-Jewish policy pursued by fascism in Italian schools and universities was even more drastic than the measures Hitler took in Germany and the Vichy government in France. All the Italian universities rectors applied that decree without any exception: they obeyed.

The result for the entire university system was that four hundred and forty-four Jewish teachers were removed from universities and seven hundred and twenty-seven scholars were expelled from academies, research institutes, and cultural institutions.

In the secondary education system, two hundred and seventy-nine deans and professors were affected, along with many primary school teachers, whose number remains unspecified to this day. One hundred and fourteen Jewish authors of textbooks were also banned. As far as we can assume, more than six- thousand Jewish children were excluded, from primary to high school.

800px ToaffThe share of Jewish Italian university students remains, however, still undetermined. Being the enrolment of approximately eight hundred/ one thousand Jewish students banned, the pursuance of the studies was tolerated only for those already attending the second year. Despite a troubled path, this allowed Elio Toaff (right in the picture) to graduate here in Pisa. Jewish students, however, were no more supported with scholarships, grants, or tuition exemption.

After their census in February 1938, foreign Jewish students were themselves subject to a dramatic crackdown that affected an essential component of the international dimension of Italian universities during the 1930s.

The University of Pisa was the busiest in Italy, right after the University of Bologna: almost two- thousand students were attending at that time; three hundred and ninety of each were foreigners including two hundred and ninety Jews. Despite the feeble possibility of completing their studies elsewhere, all the excluded students left Italy, along with the majority of foreign students.

Today's gathering intends to take on the significance of a moral compensation on behalf of those institutions that with their obedience shared the responsibility for discrimination.

This can be considered as the origin of fascist legislation; from November 1938 on, however, it went ahead also affecting real estate and business properties, central and peripheral administration of the State, parastatal, National Works, banks and insurance companies, professions, art and itinerant trade, entertainment industry. It ended discriminating in testamentary intentions, parental authority, and protection of minors: the most ordinary aspects of everyday life. The persecution was the result both of the regime totalitarian politics and the prevalent directions of some new scientific disciplines practised and taught in the Italian and European universities. The "newest" subjects were Colonial Law, Biology of Human Races, Comparative Demography of Races, thus providing the teachers with a pretext for their obedience and cynicism towards the expulsion of their Jewish colleagues.

The racial and anti-Jewish legislation in the colonies was, therefore, also an effect of a process that severely involved universities since 1931. With their "Oath of loyalty to fascism", they had proved to be, in large part, prone to the regime up to this last unfortunate choice: they obeyed.

Mussolini's political determination obtained a scientific legitimacy also thanks to the Academy's support. On July 1938, he laid down the "Manifesto of racist scientists". The purge involved a significant part of the teachers, with severe losses in the fields of medicine, mathematical, physical and chemical sciences, and significant losses in the humanistic ones.

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Allow me now a word about the history of my university, which we could study in deep, only to make a better sense of it all.

EcalabresiOn September 24 1938, our rector Giovanni D’Achiardi obeyed and sent to the ministry the list of the teachers bound to suspension. Those in charge were five full professors, all belonging to scientific faculties: the physicians Enrico Emilio Franco, Attilio Gentili and Cesare Sacerdoti; the physicist Giulio Racah; the agronomist Ciro Ravenna. To these, eight adjunct teachers were added: the entomologist Enrica Calabresi (left in the picture); the physicist Leonardo Cassuto; the physicians Aldo Bolaffi, Salvatore De Benedetti, Roberto Funaro, Emanuele Hajon Mondolfo, Raffaello Menasci and Bruno Paggi. The assistants suspended were the physicians Giorgio Millul, Naftoli Emdin, Aldo Lopez, Renzo Toaff; the chemist Pietro De Cori; the jurist Renzo Bolaffi and the German-language lecturer Paul Oskar Kristeller. The total loss for our university staff was, therefore, twenty people; this did not raise in their colleagues any stance, any indignation, and least of all any public outcry. Obedience prevailed.
We can put a name on each one of the teachers expelled from the University of Pisa, but we cannot for the Jewish students who were banned from enrolment for seven years.

Instead, we know and can give a name and a face to all the Jewish refugee students who could not revalidate their enrolment, thus paying a high price because of their double condition. Their persecution began in April, before the start of anti-Semitic legislation. The documentation retained in the Historical Archive of our University, is fierce.

Their escape for hope, in search for a longer, ensured right to study, led a substantial part of Jewish European student emigration to our university.

The new rector Evaristo Breccia, in his inaugural address for the academic year 1939-1940, tackled the subject obediently resorting to the abused rhetoric of the regenerating recover of vacancies.
«The number of students enrolled in our faculties - stated Breccia – has considerably decreased in the last year, due to the departure, yet not deplorable, of a few hundred foreigners who were welcome guests, but who did not contribute in any way to increase the prestige of our school, nor to increase the level of teaching. I am pleased to announce that this void is rapidly filling with domestic elements."

After their expulsion from the University of Pisa, the fate of these hundreds of students, whose rights were all cut off, remained unknown.

On the contrary, it is well known, even if partially, the fate of the twenty expelled teachers. We know that after the persecutions and the war, only five of them could return: Bolaffi, Lopez, Mìllul, Paggi and Gentili, although with his own separate story.

The physicist Giulio Racah, the physicians Enrico Emilio Franco and Renzo Toaff voluntarily decided not to return to Italy. For others, the return was not possible.

The fascists arrested the entomologist Enrica Calabresi, in Florence in 1944. She was doomed to Auschwitz, but in the Santa Verdiana prison, on the 20th of January, she swallowed a vial of phosphorus zinc she had been carrying with her for a long time. It is strange to think that today in the animal world some creatures are bearing her name.

On October 16, 1943, the physician Raffaello Menasci was arrested in Rome during the raid in the Ghetto. Two days later, he was deported to Auschwitz.

ravenna ciroThe chemist Ciro Ravenna was arrested in his hometown, Ferrara, on November 15, 1943; after being detained in the concentration camp of Fossoli, he was deported to Auschwitz on 22 February where he was killed upon arrival.

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Aiming to raise the remembrance in a remedial act, today 20 September 2018, the University of Pisa takes the words that Naftoli Vulfovic Emdin wrote after the expulsion in 1938, to his sons Ruben and Rafael, also expelled from high school:

«My dearest children, I write you because I understand how in your minds, still young and fresh, and not used to a broader and calmer vision of human issues, the events of these last days may have brought certain bewilderment (...). I do not wish (...) this anguish would leave in you that sense of inferiority (...) that could jeopardise the correctness and straightness of your journey on that path of life that has always been difficult for us (…).
It will, therefore, be useless to discuss the so-called theories we have read (...), useless to look for the proof that we are of the same race as our other neighbours (...); useless to glue our brains to see if we are Europeans like others or if others are more Asian than we are - everything that is written and written about it is not science, but a political guidance (...) ».
Only by raising in our hearts the flame of dignity, just by looking right into the eyes those who are trying to scorn us, we will be able to instil in others the respect for ourselves (...) ».
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We had to use the word apology merely to make our intention clear; it is an eloquent word but, at the same time, inappropriate and inadequate.

In fact, what gives us, me, the right to pronounce today such clear and resolute words, as it would be necessary for the purpose of moral and civil reparation. Nothing does, nobody does. What I really think is that today we feel under the obligation to do it though not having the right. The very long time passed, gives us an advantage, not a right. Today we no longer take hold of the reasons of state, corporations, career, quiet living, or mutual indulgence; at the time of the Liberation from fascism, those reasons prevented to join the reintegration of teachers and scholars chased by Italian universities and the explicit acknowledgement of the mad iniquity that had offended them.
Too easy then to apologise. Nevertheless, today we must have the strength to never obey, to never obscure our mind to yield to new unfair reasons - of state, corporations, career, quiet living, or mutual indulgence.
From an apology then, we have to begin. For the communities, and even for the institutions, something can and should exist that has the same civil value as a plea for forgiveness addressed to individuals or to faith communities. It did not occur in those days. Actually, the complete opposite occurred: that those that suffered racist persecution were then reintegrated although postponed to other categories. It happened to distinguished teachers, to be resettled in the chairs from which they had been expelled, but only as assistants and subordinates of their "successors".

Besides, yes, there were personal expressions, even numerous, even public, heartfelt and moving. Nevertheless, it never took place a collective, institutional demonstration of consciousness of the shame. If so, it would not make sense the intent that is gathering us here today, finally looking into each other’s eyes.

costituzione italianaWe must say that there was an acknowledgement actually, the most solemn one, and it came from the Italian Constitution: here the word "race" was used for the last time. A merit of the Italian Charter. Just a quotation, from a language from now on unutterable: "All citizens have equal social dignity and are equal before the law, without distinction of sex, race, language, religion, political opinion, personal and social conditions".

This year, the last 13th July, the French National Assembly unanimously suppressed the word "race", from the first Article of its Basic Law. A word which the most reliable and brilliant etymology was established by Gianfranco Contini, another great Italian, a teacher at our university, when he wrote that it had a "zoological, veterinary, equine origin."

In order to recall the story of the expelled Jews return, of the compromises, the cowardly, the come and go of purges and rehabilitation, it is worthwhile to quote a simple sentence where the philologist Cesare Segre describes the bitterness experienced by his great uncle, Santorre Debenedetti, from his "reconquered" chair in Turin :
"He could not get along with a world that came out of the shame without blushing.”

That is, Italy was trying to come out of the shame without blushing and tried harder right where sacred justice and freedom should have to be, the academic world.
Precisely, to take on our shoulders today the burden of that missing blushing cannot bet enough. It is only a part of the whole, the most blatant. I cannot escape the question that each one of us is wandering while tracing back the history of Italian Fascism. The question that, let me guess, is deep inside each and every one: "What would I have done then? Would I have obeyed?" A question left without an answer. A question, nevertheless, that is essential to prevent hypocrisy and coward prevarication. A question that is worthwhile to reintroduce nowadays, just changing the verbal tense: "What would I do in a similar circumstance? Would I obey?"

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Last July I read a sentence that a Bosnian Serb blogger wrote for the Srebrenica massacre anniversary, another horrible example of hatred for those that some ways are different (because it is this what we are talking about, let's remember it).
He says, "Evil does not need evil people, it needs obedient people".

It immediately evoked another sentence written by a man to whom my personal training owes a lot, an Italian - born Jew, moreover - then priest and prior in Barbiana: "Obedience is no longer a virtue"; you do remember it, don’t you?

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Should the morality of the students and teachers who then suffered injustice, guide us through the memory, the repair, the reconstruction of those civic virtues that today appear necessary to struggle against every kind of discrimination, including the present ones. We must never again obey blind intentions that trample our senses and nullify the dignity of man.

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Was it therefore for us to compensate? I cannot say. There is only one thing I know, of which I have certainty: we are those who came here after those blinded ones that hurt your mothers and your fathers. This is why we have felt we owe you this acknowledgement.

Paolo Mancarella
Rector of the University of Pisa

A ottanta anni di distanza dall’adozione del primo provvedimento antisemita voluto dal regime fascista, le università italiane hanno riconosciuto le proprie responsabilità per l’applicazione delle leggi razziali, che solo in ambito universitario portarono all’allontanamento di 448 docenti e all’espulsione di 727 studiosi, oltre a colpire un migliaio di studenti. Lo hanno fatto giovedì 20 settembre a Pisa, nel Palazzo della Sapienza, simbolo dell’Ateneo, con la "Cerimonia del ricordo e delle scuse", in cui il rettore Paolo Mancarella, a nome e alla presenza dell’intera Accademia italiana, ha fatto ammenda per gli atti che, a partire dalla plebiscitaria adesione al “Giuramento di fedeltà al Fascismo” del 1931, videro il mondo universitario silente e complice verso le scelte del regime che giunsero fino all’emanazione delle Leggi razziali.
"Qui, molti anni fa - ha detto il rettore dell’Università di Pisa in apertura - sono avvenute cose che non sarebbero mai dovute accadere. E noi vogliamo ricordarlo. Ci sono vite che, a partire da questo luogo, sono state sospese, stravolte, distrutte". Ha quindi ripercorso storie, numeri e nomi della persecuzione contro gli ebrei, chiudendo con un ammonimento: “la moralità degli studenti e dei docenti che allora subirono l’ingiustizia - ha detto il professor Paolo Mancarella - ci guidi nel ricordo, nella riparazione, nella ricostruzione delle virtù civiche oggi necessarie alla resistenza contro tutte le discriminazioni, anche quelle del nostro tempo. Noi non dobbiamo obbedire mai più a ciechi intendimenti che calpestino la ragione e annullino la dignità dell’uomo”.
Subito dopo, è intervenuta la presidentessa dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, sottolineando che “oggi, in questo Ateneo, dinanzi a noi - rappresentanti delle comunità ebraiche in Italia - con emozione e solennità sono state pronunciate parole e riflessioni importanti che abbiamo ascoltato con il cuore e con la mente”. Anche la presidentessa dell’UCEI ha voluto terminare attualizzando il messaggio che parte dalla cerimonia pisana: "è importante oggi non solo studiare la storia, e saper dire a voce alta – questa è verità, questo è accaduto a cittadini italiani, questo è successo nel nostro Paese, questi furono i comportamenti dell’accademia e della comunità degli scienziati - ma anche sapersi porre rispetto agli eventi passati con la propria coscienza e saper trasmettere una ferma convinzione a chi tentenna, a chi desidera essere parte dell’accademia italiana. Questo è il senso di quanto oggi avviene qui a Pisa, con l’odierna cerimonia e con le iniziative programmate in queste settimane che non hanno precedenti nella storia di questo paese e delle sue istituzioni educative."
Aperta dalla lettura di un breve messaggio inviato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la cerimonia si è chiusa con il commosso abbraccio tra i rappresentanti dei rettori e quelli della comunità ebraica e con l’inaugurazione di una lapide in perenne ricordo dell’evento. Il testo recita: “San Rossore, 5 settembre 1938 - Pisa, 20 settembre 2018. In questo luogo, alla presenza dei rettori delle università italiane, il rettore dell’Università di Pisa ha voluto si svolgesse ‘La cerimonia del ricordo e delle scuse’, rivolta ai rappresentanti delle comunità ebraiche italiane, nell’ottantesimo anniversario della firma delle leggi razziali”.
Dopo la cerimonia, si è aperta la conferenza internazionale “A ottanta anni dalle leggi razziali fasciste: tendenze e sviluppi della storiografia internazionale sull’antisemitismo e la Shoah”, introdotta da un intervento video della senatrice a vita Liliana Segre e dal saluto del presidente della Crui, Gaetano Manfredi.
“Invito a fare patrimonio di questo esempio - ha detto la senatrice Liliana Segre nel suo saluto - che sia significativo non solo per noi ma anche per chi ancor oggi patisce persecuzioni per le idee, per il colore della pelle, per le condizioni di nascita, per la fede che professa, e sono certa rimarrà nel cuore e nella mente di tutti gli ebrei italiani e non, per sempre".

 

Sono quattro le iniziative del Sistema museale d’Ateneo (SMA) organizzate nell’ambito di “Aspettando BRIGHT 2018”, il ciclo di eventi che questo fine settimana accompagneranno alla “Notte delle ricercatrici e dei ricercatori” in programma il prossimo 28 settembre.
Il primo appuntamento, in programma venerdì 21 settembre, è una visita guidata e laboratorio creativo per bambini dai 7 agli 11 anni all’Orto e museo botanico. Dalle ore 16.30 alle ore 18.30, attraverso “I racconti di Gaetano”, i bambini incontreranno dal vivo Gaetano Savi, prefetto dell’Orto dal 1814 al 1843, che li accompagnerà nella visita della serra tropicale, della serra delle succulente e della serra del banano. Gaetano spiegherà ai piccoli partecipanti le peculiarità delle specie botaniche ospitate nelle serre, evidenziandone le differenze morfologiche e funzionali legate ai diversi adattamenti alle specifiche condizioni ambientali. Alla visita seguirà un laboratorio creativo, durante il quale i bambini realizzeranno la propria serra, utilizzando materiale vegetale e di riciclo. L’evento è gratuito, la partecipazione è su prenotazione fino a esaurimento dei posti disponibili, massimo 15 partecipanti (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., tel. 050 2211355-2211368. Le prenotazioni si accettano entro le ore 13 di giovedì 20 settembre).
Sabato 22 settembre, alle 16.30, il Museo della Grafica ospita “RobotArte”, un laboratorio creativo per famiglie (bambini e bambine dai 6 ai 11 anni, con adulto accompagnatore). Sarà un pomeriggio all’insegna dell’arte e della robotica dove robot artisti e artisti amanti dei robot si incontreranno per creare sensazionali opere d’arte. L’evento è gratuito, partecipazione su prenotazione fino a esaurimento dei posti disponibili, massimo 20 partecipanti con adulto accompagnatore. Prenotazioni entro le ore 13 di giovedì 20 settembre: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., tel. 050 2216059-060.
Il Museo della Grafica e l’Orto e museo botanico ospiteranno inoltre due iniziative organizzate in occasione del mese dedicato all’Alzheimer. Venerdì 21 settembre, alle ore 16, al Museo della Grafica appuntamento con “Musei per l’Alzheimer - Segni tra le mani”, una tavola rotonda sul tema della comunicazione, prevenzione e gestione della malattia. L’iniziativa è promossa dal Museo della Grafica, che da anni organizza iniziative per le persone affette da Alzheimer e per coloro che se ne prendono cura attraverso attività dedicate alla stimolazione dell’espressione creativa, con la collaborazione dell’AIMA – sezione di Pisa. È prevista anche la presentazione di un libro sul tema. L’ingresso è libero e gratuito.
Sabato 22 settembre, alle ore 10, l’Orto e museo botanico ospiterà “Musei per l’Alzheimer - Le radici della memoria”, un itinerario con tappe dedicate a conversazioni, esperienze sensoriali, creatività. Con i suoi manti erbosi e gli elementi arborei, l’Orto botanico offre numerosi spazi dei sensi e spazi connettivi adatti a realizzare esperienze polisensoriali ed essere spunto per attività che favoriscano le abilità residue. L’itinerario durerà circa 75 minuti. Il percorso è riservato a persone affette da Alzheimer o altra demenza accompagnati da almeno un caregiver. L’evento è gratuito. Prenotazioni entro la mattina di giovedì 20 settembre: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., tel. 050 2213629.

A ottanta anni di distanza dall’adozione del primo provvedimento antisemita voluto dal regime fascista, le università italiane hanno riconosciuto le proprie responsabilità per l’applicazione delle leggi razziali, che solo in ambito universitario portarono all’allontanamento di 448 docenti e all’espulsione di 727 studiosi, oltre a colpire un migliaio di studenti. Lo hanno fatto giovedì 20 settembre a Pisa, nel Palazzo della Sapienza, simbolo dell’Ateneo, con la "Cerimonia del ricordo e delle scuse", in cui il rettore Paolo Mancarella, a nome e alla presenza dell’intera Accademia italiana, ha fatto ammenda per gli atti che, a partire dalla plebiscitaria adesione al “Giuramento di fedeltà al Fascismo” del 1931, videro il mondo universitario silente e complice verso le scelte del regime che giunsero fino all’emanazione delle Leggi razziali.

A questo link è possibile rivedere l'intera Cerimonia del ricordo e delle scuse.

A questo link è possibile rivedere la Cerimonia con la traduzione in LIS (Lingua dei Segni Italiana).

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"Qui, molti anni fa - ha detto il rettore dell’Università di Pisa in apertura - sono avvenute cose che non sarebbero mai dovute accadere. E noi vogliamo ricordarlo. Ci sono vite che, a partire da questo luogo, sono state sospese, stravolte, distrutte". Ha quindi ripercorso storie, numeri e nomi della persecuzione contro gli ebrei, chiudendo con un ammonimento: “la moralità degli studenti e dei docenti che allora subirono l’ingiustizia - ha detto il professor Paolo Mancarella - ci guidi nel ricordo, nella riparazione, nella ricostruzione delle virtù civiche oggi necessarie alla resistenza contro tutte le discriminazioni, anche quelle del nostro tempo. Noi non dobbiamo obbedire mai più a ciechi intendimenti che calpestino la ragione e annullino la dignità dell’uomo”.

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Subito dopo, è intervenuta la presidentessa delle Comunità ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, sottolineando che “oggi, in questo Ateneo, dinanzi a noi - rappresentanti delle comunità ebraiche in Italia - con emozione e solennità sono state pronunciate parole e riflessioni importanti che abbiamo ascoltato con il cuore e con la mente”. Anche la presidentessa dell’UCEI ha voluto terminare attualizzando il messaggio che parte dalla cerimonia pisana: "è importante oggi non solo studiare la storia, e saper dire a voce alta – questa è verità, questo è accaduto a cittadini italiani, questo è successo nel nostro Paese, questi furono i comportamenti dell’accademia e della comunità degli scienziati - ma anche sapersi porre rispetto agli eventi passati con la propria coscienza e saper trasmettere una ferma convinzione a chi tentenna, a chi desidera essere parte dell’accademia italiana. Questo è il senso di quanto oggi avviene qui a Pisa, con l’odierna cerimonia e con le iniziative programmate in queste settimane che non hanno precedenti nella storia di questo paese e delle sue istituzioni educative".

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Aperta dalla lettura di un breve messaggio inviato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la cerimonia si è chiusa con il commosso abbraccio tra i rappresentanti dei rettori e quelli della comunità ebraica e con l’inaugurazione di una lapide in perenne ricordo dell’evento. Il testo recita: “San Rossore, 5 settembre 1938 - Pisa, 20 settembre 2018. In questo luogo, alla presenza dei rettori delle università italiane, il rettore dell’Università di Pisa ha voluto si svolgesse ‘La cerimonia del ricordo e delle scuse’, rivolta ai rappresentanti delle comunità ebraiche italiane, nell’ottantesimo anniversario della firma delle leggi razziali”.

Dopo la cerimonia, si è aperta la conferenza internazionale “A ottanta anni dalle leggi razziali fasciste: tendenze e sviluppi della storiografia internazionale sull’antisemitismo e la Shoah”, introdotta da un intervento video della senatrice a vita Liliana Segre e dal saluto del presidente della Crui, Gaetano Manfredi.

“Invito a fare patrimonio di questo esempio - ha detto la senatrice Liliana Segre nel suo saluto - che sia significativo non solo per noi ma anche per chi ancor oggi patisce persecuzioni per le idee, per il colore della pelle, per le condizioni di nascita, per la fede che professa, e sono certa rimarrà nel cuore e nella mente di tutti gli ebrei italiani e non, per sempre".

 
 
 

Oggi, in questo Ateneo, dinanzi a noi - rappresentanti delle comunità ebraiche in Italia - con emozione e solennità sono state pronunciate parole e riflessioni importanti che abbiamo ascoltato con il cuore e con la mente.

È la parola “legge” con il suo perché sociale, la sua forza vincolante e la sua funzione essenziale di tutela e di regolazione dello spazio relazionale, al centro della nostra riflessione. Com’è potuto accadere nel ’38 che un insieme di provvedimenti voluti e votati da esseri umani – a ciò delegati in rappresentanza del popolo – siano divenuti strumento che normalizzava un antico odio, ordinandone l’attuazione in ogni ambito dell’essere e per ogni avere? Perché dire no alla legge era più giusto che dire sì e sulla base di quale principio più alto invocare giustizia?

2018-09-05 - San Rossore 193829.jpegAppena ieri è terminata la festività del kippur, giorno dedicato all’introspezione e all’espiazione, riflettendo sulle nostre colpe e riaffermando propositi per l’anno a venire, riunendosi e recitando preghiere tramandate da secoli di padre in figlio. Abbiamo più volte nel corso della giornata ribadito – sia al singolare che al plurale – sia rivolgendoci a Dio sia al prossimo – che non siamo stati capaci di rispettare la legge, di riconoscere verità, di respingere maldicenza e superbia. I nostri torti nascono dalla inosservanza delle norme (divine) e non dall’obbedienza, ed invero il tema del perdono è complesso, intreccia rigore, libero arbitrio, coerenza, aspettative e speranze di cambiamenti.

La nostra generazione ha ricevuto da chi ha vissuto l’esclusione – allora studenti o docenti - un messaggio ed una missiva che non ha carattere di rivendicazione o restituzione di odio ma di vigilanza e rispetto della libertà e del riconoscimento dell’altro, “altro” che è “noi” società italiana, e di partecipazione alla ricostruzione e allo sviluppo culturale ed accademico del paese e dell’Europa.

Ottant’anni rappresentano per i demografi la durata di un’intera vita e di tre generazioni. Per noi tutti un’eternità. Tanto abbiamo atteso per ascoltare queste parole nel nostro Paese. È vero, anche se fossero state pronunciate il 26 aprile del ‘45 all’indomani della liberazione così anelata, non avrebbero restituito vite spezzate, speranze abbandonate, dignità di cittadinanza sottratta, attestati di appartenenza ad una comunità scientifica negati, orgoglio di essere italiani svaniti.
Anche dopo il varo della costituzione e le leggi abrogative non vi è stata piena reintegrazione e considerazione,- sia per i ricercatori, i docenti che gli studenti di allora – i pochi sopravvissuti o appena in tempo fuggiti, di quanto loro sottratto e negato.

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È per me e noi tutti i presenti qui oggi difficile se non impossibile pronunciarsi e rappresentare, anche idealmente, chi ha subito l’umiliante applicazione dei decreti con i quali si sancivano i divieti di frequentare ed insegnare nella scuola e nell’accademia. Chi è presente qui oggi, dei nostri padri, madri nonni e nonne. Persone che con il loro studio e lavoro concorrevano allo sviluppo della cultura e della scienza in Italia, credendo che fosse la loro patria. Credendo di avere come colleghi e come interlocutori persone colte e capaci di discernere e di ragionare con la propria mente e con la propria coscienza civile e forse anche religiosa. Così sorprendentemente non fu. Nel trasmettere e nel condividere questo pensiero, noi oggi proviamo fatica ad essere la loro voce e questo segue lo esprimo con riverenza e rispetto del loro ricordo.

Nelle parole da voi pronunciate ricerchiamo la consapevolezza che il chiedere scusa non ha un l’ingenuo fine riparatorio di quanto è svanito e cancellato e di quanto è stato orrendamente vissuto, ma il riconoscimento della distorta ragione, dell’indomita acquiescenza, della penetrante indifferenza, dell’aggravante che pesa sulla comunità dei dotti e degli scienziati per aver ideato quel manifesto e sottoscritte quelle idee, assieme ad una l’assunzione di responsabilità per il futuro e per le generazioni future di accademici e scienziati. Affinché non accada mai più che in un ateneo, centro di sapere, di innovazione e ricerca, luogo di formazione di cultura e di scienza, si partecipi attivamente, o passivamente o con il subdolo boicottaggio, a scrivere, insegnare, propagandare odio, contro gli ebrei, contro lo Stato di Israele, le sue istituzioni e comunità scientifiche e culturali, contro chi è considerato Altro da sé. E ribadiamo ancora una volta che la ferita e le conseguenze devastanti non furono solo quelle per i singoli che ne erano i destinatari, ma l’intero Paese, gli Atenei stessi, la scienza e la cultura ad essere precipitate in un medioevo e povertà di valori.

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E saremmo miopi e irresponsabili se, anche in questa sede e in questa particolare giornata, non denunciassimo le parole di odio, le violenze verbali e fisiche rivolte contro individui che diventano collettività, ossia pregiudizio, che ogni giorno di più sentiamo pronunciate e difese anche nello spazio pubblico, la distorsione mediatica che ripetuta e propagata genera nemici, e il recepimento di ogni falso come assoluta verità. Segnali inquietanti e oserei dire angoscianti – perché generano incertezza e che temiamo accostare a quella passata, elusa e sottovalutata.

Questo oggi accade e noi come voi non possiamo restare inerti. È l’Italia con le sue istituzioni – a partire da quelle preposte all’educazione e allo sviluppo culturale, assieme a chi è chiamato ad assicurare giustizia, ordine, legalità e costituzionalità dell’agire collettivo e individuale, a dover difendere quanto faticosamente ricostruito e definito come quadro normativo in Italia e in Europa nel dopoguerra, rafforzando, e non svilendo, i principi di solidarietà e di uguaglianza tra le genti. La pace e la convivenza non sono vessilli e proclamazioni di intenti ma un impegno quotidiano che richiede di attraversare confini e di abbandonare paure, per potersi radicare come cultura di vita.

L’appello a voi rivolto è di accogliere e condividere anche in seno al mondo universitario, nelle prassi e regolamenti interni, la definizione operativa di antisemitismo che è stata elaborata in seno all’International Holocoust Remebrance Alliance (IHRA), adottata dal Consiglio d’Europea e dal Parlamento europeo con invito agli Stati membri di recepirla e di attivarsi nella lotta contro ogni forma di antisemitismo. La discriminazione come attacco ai valori democratici non è un problema – o non è solo un problema - di chi le subisce ma anche ed in particolare da chi la esercita.

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È importante oggi non solo studiare la storia, e saper dire a voce alta – questa è verità – questo è accaduto a cittadini italiani – questo è successo nel nostro Paese, questi furono i comportamenti dell’accademia e della comunità degli scienziati - ma anche sapersi porre rispetto agli eventi passati con la propria coscienza e saper trasmettere una ferma convinzione a chi tentenna, a chi desidera essere parte dell’accademia italiana. È importante oggi tradurre la vostra solenne dichiarazione in fatti – in un percorso che guarda al futuro attivando corsi e studi sulla cultura ebraica. Cultura e popolo che sono vivi e presenti. Questo è il senso di quanto oggi avviene qui a Pisa, con l’odierna cerimonia e con le iniziative programmate in queste settimane che non hanno precedenti nella storia di questo paese e delle sue istituzioni educative. L’auspicio è che queste iniziative, così come nuovi corsi, formazione specialistica e studi dedicati vedano la più ampia partecipazione ed introiezione, traducendosi in esempio e cultura del convivere.

Noemi Di Segni
Presidentessa dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

 

Ci sono giorni in cui è bene che il presente incontri il passato, oggi abbiamo voluto che fosse uno di questi.

Qui, molti anni fa, sono avvenute cose che non sarebbero mai dovute accadere. E noi vogliamo ricordarlo. Ci sono vite che, a partire da questo luogo, sono state sospese, stravolte, distrutte. Diremo di loro e di quel che accadde. Anche altrove, anche ad altri, anche prima, anche dopo, con la speranza che questo non succeda mai più.

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Nel 1938 il fascismo varò le leggi di persecuzione degli ebrei, e la burocrazia statale, obbediente, agì con sorprendente efficienza. Con un formulario dettagliato – albero genealogico, parentele, indirizzo, proprietà, conto corrente – si procedette al “censimento” dei 47 mila italiani ebrei e degli oltre 10 mila stranieri ebrei residenti in Italia. Gli elenchi vennero tenuti aggiornati, cosicché, cinque anni dopo, nel 1943, gli occupanti nazisti, con l’ausilio zelante dei funzionari di Salò, poterono andare a colpo sicuro, deportarne più di 8.000 e ucciderne 7.172.
Settemila-cento-settantadue esseri umani.

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Fu a due passi da noi, nella tenuta di San Rossore, – tradizionale residenza estiva di Casa Savoia – che, ottant’anni fa, Vittorio Emanuele III firmò il primo provvedimento antisemita voluto dal regime fascista: il regio decreto legge n. 1390. Si trattava di sette brevi articoli.

Usando la formula “sospensione del servizio” si stabiliva che – assieme a studenti, presidi, insegnanti, di tutte le “scuole del regno” – fossero espulsi dalle università: professori, assistenti, aiuti e liberi docenti. Si precluse, inoltre, agli studenti ebrei di iscriversi per quello e per i successivi sei anni.

I “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” colpivano il settore che più di ogni altro rende un paese libero: quello della formazione, dell'educazione e della ricerca.

La politica antiebraica perseguita dal fascismo nella scuola e nell’università risultò persino più drastica delle misure adottate dalla Germania hitleriana e dal governo della Francia di Vichy. Quel decreto fu applicato, senza eccezioni, dai rettori di tutti gli atenei italiani: i rettori obbedirono.

Il bilancio per l’intero sistema universitario porta il risultato finale di 448 docenti ebrei allontanati dalle università e di 727 studiosi espulsi da accademie, istituti di ricerca, istituzioni culturali.

Anche nella scuola media vennero colpiti 279 presidi e professori oltre che un numero ancora oggi imprecisato di maestri elementari. Si misero al bando anche 114 libri di testo di autori ebrei. Dalle elementari alle superiori si calcola, per come si può, che i ragazzi e i bambini ebrei estromessi da scuola furono più di 6.000.

800px ToaffLa quota degli studenti universitari italiani ebrei rimane, invece, ancora indeterminata. Bandite le iscrizioni – si può ipotizzare l’esclusione di 800/1000 giovani ebrei – venne tollerata la prosecuzione degli studi per coloro che erano al 2° anno. Questo consentì, dopo un tormentato percorso, anche a Elio Toaff (nella foto a destra) di conseguire qui a Pisa la laurea. Gli studenti ebrei, comunque, non poterono ottenere più alcun sostegno, né premi, né borse e posti di studio.

Censiti fin dal febbraio 1938, gli studenti stranieri ebrei furono a loro volta oggetto di drammatiche restrizioni che colpirono una componente cospicua ed essenziale della dimensione internazionale delle università italiane negli anni Trenta.

Dopo quella di Bologna, l’università di Pisa era la più frequentata: 390 studenti stranieri – su una popolazione totale di meno di 2000 studenti – di cui ben 290 ebrei. Oltre gli espulsi, nonostante la fragile possibilità di concludere gli studi, anche la quasi totalità degli altri studenti stranieri scelse di lasciare l’Italia.

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L’incontro di oggi vuole assumere un senso di risarcimento morale da parte dell’istituzione che si rese corresponsabile della discriminazione: l’università obbedì.

La legislazione fascista prese dunque le mosse da qui ma, dal novembre ’38, riguardò le proprietà immobiliari e aziendali, l’amministrazione centrale e periferica dello Stato, il parastato, le Opere Nazionali, le banche e le assicurazioni, le professioni, il commercio d’arte e ambulante, gli spettacoli, sino a discriminare anche in materia testamentaria, di patria potestà, di tutela di minori, degli aspetti più ordinari della vita quotidiana. La persecuzione fu il risultato sia della politica totalitaria del regime che degli indirizzi prevalenti in alcune “nuove” discipline scientifiche praticate e insegnate nelle stesse università italiane ed europee. Materie come Diritto coloniale, Biologia delle razze umane, Demografia comparata delle razze fornirono alibi all’obbedienza e al cinismo complice dei docenti sull’espulsione dei colleghi.

La legislazione razziale nelle colonie e quella antiebraica furono quindi anche effetti di un percorso che coinvolse pesantemente l’università che, fin dal 1931, col “Giuramento di fedeltà al fascismo” si era dimostrata, in larghissima parte, prona al regime fino a quest’ultima sciagurata scelta: tutti obbedirono.

Mussolini si procurò addirittura una “legittimità scientifica”, proprio grazie al concorso dell’Accademia. “Il manifesto degli scienziati razzisti” da lui dettato, è del luglio del ’38. L’epurazione coinvolse una parte significativa dei docenti, con perdite molto gravi nei campi della medicina e delle scienze matematiche, fisiche e chimiche, e rilevanti in quelli delle scienze umanistiche.

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EcalabresiConsentitemi ora un cenno alla storia di questo ateneo, è quella che siamo riusciti ad approfondire di più: la uso solo per dare meglio il senso del tutto.

Il 24 settembre 1938 il rettore Giovanni D’Achiardi obbedì. Spedì al ministero la lista dei docenti destinati alla sospensione: quelli di ruolo erano cinque, quattro ordinari e uno straordinario, tutti di facoltà scientifiche: i medici Enrico Emilio Franco; Attilio Gentili e Cesare Sacerdoti; il fisico Giulio Racàh; l’agronomo Ciro Ravenna. Ad essi si aggiungevano, tra i liberi docenti: l’entomologa Enrica Calabresi (nella foto a destra); il fisico Leonardo Cassuto; i medici: Aldo Bolaffi; Salvatore De Benedetti; Roberto Funaro; Emanuele Hajòn Mondolfo, Raffaello Menasci, Bruno Paggi. Tra gli assistenti, i medici: Giorgio Mìllul, Naftoli Emdin, Aldo Lopez, Renzo Toaff; il chimico Pietro De Cori; il giurista Renzo Bolaffi e il lettore di lingua tedesca Paul Oskar Kristeller. La perdita complessiva fu dunque di 20 docenti, ma questo non suscitò alcuna presa di posizione, alcuna indignazione, e men che meno alcuna pubblica protesta da parte dei colleghi. I colleghi obbedirono.

Se ai docenti espulsi dall’ateneo di Pisa è possibile dare un nome, così non ci è dato sapere chi e quanti furono gli studenti ebrei a cui per sette anni fu impedito di iscriversi.

Sappiamo invece quanti furono – e possiamo dare a tutti loro un nome e un volto – gli studenti stranieri ebrei che non poterono rinnovare l’iscrizione pagando quella doppia condizione. La loro persecuzione iniziò nell’aprile, prima dell’avvio della legislazione antisemita. La documentazione dell’Archivio Storico del nostro Ateneo, da questo punto di vista, è spietata.

La loro era stata una fuga della speranza, alla ricerca di un diritto agli studi più garantito che convogliò verso il nostro ateneo una parte consistente dell’emigrazione studentesca europea ebraica.

Nella prolusione dell’anno accademico 1939/40, il nuovo rettore Evaristo Breccia affrontava l’argomento facendo ricorso, per obbedienza, all’abusata retorica della rigenerante copertura dei vuoti: «La cifra degli studenti iscritti nelle varie Facoltà – affermava Breccia – è notevolmente diminuita nello scorso anno, per la partenza, non deplorabile, di qualche centinaio di stranieri i quali erano ospiti ben accetti, ma che non contribuivano in nessun modo ad accrescere il prestigio della nostra Scuola, né ad elevare il tono dell’insegnamento. Sono lieto di annunciare che il vuoto si va rapidamente colmando con elementi nazionali».

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Dopo l’espulsione dall’ateneo di Pisa la sorte di queste centinaia di studenti, a cui vennero annullati tutti i diritti, rimase ignota.

Nota, almeno parzialmente, è invece la sorte dei 20 docenti espulsi. Sappiamo che dopo le persecuzioni e la guerra soltanto 5 poterono ritornare: Bolaffi, Lopez, Mìllul, Paggi e prima, con una storia a sé, Gentili.

Il fisico Giulio Racàh, i medici Enrico Emilio Franco e Renzo Toaff decisero, volontariamente, di non tornare in Italia. Per altri il ritorno non fu possibile.

L’entomologa Enrica Calabresi nel 1944 fu arrestata dai fascisti a Firenze. Destinata ad Auschwitz, il 20 di gennaio, nel carcere di Santa Verdiana, ingerì una fialetta di fosforo di zinco che da tempo portava con sé. Fa uno strano effetto pensare che oggi nel mondo ci siano creature animali che portano il suo nome.

Il medico Raffaello Menasci (a destra nella foto) fu arrestato a Roma dai nazisti durante la retata al ghetto del 16 ottobre 1943 e fu deportato ad Auschwitz due giorni dopo.

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Il chimico Ciro Ravenna (nella foto a sinistra), venne invece arrestato nella sua città natale, Ferrara, il 15 novembre 1943; condotto nel campo di Fossoli e deportato ad Auschwitz il 22 febbraio. Fu ucciso all’arrivo.

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Nell’elevare il ricordo in atto di riparazione, l’ateneo di Pisa fa proprie oggi – 20 settembre 2018 – le parole scritte nel 1938, dopo l’espulsione, da Naftoli Emdin, ai propri figli Ruben e Rafael, anch’essi espulsi dal liceo.

«Ragazzi miei, scrivo per voi perché comprendo come nei vostri cervelli ancora giovani e freschi, e non abituati a una visione più vasta e più calma delle cose umane, gli avvenimenti di questi ultimi giorni abbiano potuto produrre un certo smarrimento (…). Non vorrei che (…) questa angoscia lasciasse in voi quel senso d’inferiorità (…) che potrebbe pregiudicare la regolarità e la dirittura del vostro cammino su quella via della vita che per noi è stata sempre difficile (…).
Inutile sarà quindi discutere sulle cosiddette teorie che abbiamo letto (…), inutile sarà cercare la dimostrazione che noi siamo della stessa razza degli altri nostri vicini (…); inutile lambiccarsi il cervello per vedere se noi siamo europei come gli altri o se gli altri sono più asiatici di noi – tutto ciò che si scrive e si scriverà in proposito non è una scienza, ma un indirizzo politico (…)».
«Solo levando alta nei nostri cuori la fiamma della dignità, solo guardando diritto negli occhi chi cerca di vilipenderci potremo infondere negli altri il rispetto verso di noi stessi (…)».

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La parola scuse che abbiamo dovuto usare solo per far comprendere la nostra intenzione, è eloquente ma, al contempo, inappropriata e inadeguata.

Infatti, che cosa dà a noi, a me, il diritto di pronunciare oggi parole così nette e risolute, com’è necessario a un proposito di risarcimento morale e civile? Niente e nessuno. Quel che penso è che noi, oggi, sentiamo il dovere di farlo pur senza averne il diritto. Il tempo, lunghissimo, trascorso ci dà un vantaggio, non un diritto. Non hanno più presa su di noi oggi le ragioni – di Stato, di corporazione, di carriera, di quieto vivere, di indulgenza reciproca – che al momento della Liberazione impedirono di unire alla reintegrazione di docenti e studiosi cacciati ignobilmente dalle università italiane, anche il riconoscimento aperto della folle iniquità che li aveva offesi.

Troppo facile quindi chiedere scusa. Ma noi oggi dobbiamo avere la forza di non obbedire mai, di non obnubilare mai la mente per cedere a nuove inique ragioni – di Stato, di corporazione, di carriera, di quieto vivere, di indulgenza reciproca.

Dobbiamo cominciare dalle scuse. Anche per le comunità infatti, anche per le Istituzioni, deve e può esistere qualcosa che valga civilmente come vale la richiesta di perdono per i singoli o per le comunità di fede. Allora non successe. Successe spesso il contrario: che i perseguitati dal razzismo e poi reintegrati fossero posposti ad altre categorie. Successe a docenti insigni di essere reinsediati nelle cattedre da cui erano stati espulsi, ma solo affiancando e subordinandosi ai loro “successori”.

Ci furono, sì, espressioni personali, anche numerose, anche pubbliche e sentite e toccanti. Ma non una manifestazione collettiva, istituzionale, di riconoscimento della vergogna che ebbe luogo. Se non fosse così non avrebbe senso l’intento che ci ha portati qui oggi a incontraci e a guardarci finalmente negli occhi.

Costituzione b grUn riconoscimento in realtà ci fu, il più solenne, e fu la Costituzione.

Lì si impiegò la parola “razza” – e questo è un pregio della Carta italiana – solo come citazione, con la volontà di non pronunciarla più: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Lo scorso 13 luglio l'Assemblea nazionale francese ha soppresso all'unanimità la parola “race”, “razza”, dall'articolo 1 della sua Legge fondamentale. Una parola che deve la più attendibile e folgorante etimologia a Gianfranco Contini, un altro grande dell’Università italiana e pisana: un’origine “zoologica, veterinaria, equina”, scrisse.

Per rievocare la vicenda del rientro degli ebrei espulsi: dei compromessi, delle viltà, del viavai delle epurazioni e delle riabilitazioni, valga una sola frase, quella con cui il filologo Cesare Segre descrisse l’amarezza del suo grande prozio, Santorre Debenedetti, dalla cattedra torinese “riconquistata”, scrisse:
Male si trovava in un mondo uscito senza rossore dalla vergogna”.

Ecco, l’Italia si ingegnava di uscire dalla vergogna senza rossore e lo faceva soprattutto il luogo cui avrebbero dovuto esser sacre giustizia e libertà, il mondo dell’università.

Ma appunto, caricarci noi oggi, qui, del rossore allora mancato non può bastare. In realtà non è che una parte del tutto, la più manifesta. Non posso evitare l’interrogativo che è in ciascuno che ripercorra la vicenda del razzismo italiano. L’interrogativo che è, lasciatemi facilmente immaginare, in ciascuno di noi convenuti: “Che cosa avrei fatto io allora? Avrei obbedito?”. Interrogativo senza risposta. Interrogativo utile, non solo a evitare ipocrisia e codarda prevaricazione, ma a riproporsi oggi con la sola variazione del tempo del verbo: “Che cosa farei io in una circostanza simile? Obbedirei?

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Nel luglio scorso ho letto una frase di un blogger serbo-bosniaco che pure riguardava un anniversario, quello del massacro di Srebrenica, altro orrendo esempio dell’odio per i diversi da sé – perché di questo stiamo parlando, ricordiamocelo bene. Dice: “La malvagità non ha bisogno di gente malvagia, ma di persone obbedienti”.

Mi ha subito evocato un'altra frase di un uomo a cui la mia formazione deve molto, un italiano – ebreo, peraltro – poi prete e priore a Barbiana: “L’obbedienza non è più una virtù”, ricordate?

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La moralità degli studenti e dei docenti che allora subirono l’ingiustizia ci guidi nel ricordo, nella riparazione, nella ricostruzione delle virtù civiche oggi necessarie alla resistenza contro tutte le discriminazioni, anche quelle del nostro tempo. Noi non dobbiamo obbedire mai più a ciechi intendimenti che calpestino la ragione e annullino la dignità dell’uomo.

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Spettava quindi a noi risarcire? Non so dirlo. C’è una cosa di cui ho certezza: noi siamo quelli venuti qui dopo coloro che, accecati, fecero del male alle vostre madri e ai vostri padri, ed è per questo che sentivamo di dovervi questo riconoscimento.

Paolo Mancarella
Rettore Università di Pisa

Giovedì 20 settembre, dalle 15, al Palazzo della Sapienza, luogo simbolo dell’Università di Pisa, si terrà la "Cerimonia del ricordo e delle scuse", l’atto più significativo del programma “San Rossore 1938”. Un solenne appuntamento volto a offrire un risarcimento morale a tutti coloro che, studenti e docenti, ebbero a patire discriminazioni ed esclusioni per il solo fatto di essere ebrei.

Segui la diretta streaming:

 

 

Alla presenza dei rettori delle università italiane, il rettore dell’Università di Pisa Paolo Mancarella a nome dell’intera Accademia italiana farà ammenda per gli atti che, a partire dalla plebiscitaria adesione al “Giuramento di fedeltà al Fascismo” del 1931, videro il mondo universitario silente e complice verso le scelte del regime che giunsero fino all’emanazione delle Leggi razziali. Un momento storico in senso proprio, la prima ammissione pubblica di quelle sciagurate responsabilità.

La cerimonia sarà preceduta dalla lettura di un breve messaggio del Presidente della Repubblica quindi il rettore dell’Università di Pisa pronuncerà un discorso e sarà poi raggiunto dalla presidentessa delle Comunità ebraiche Italiane Noemi Di Segni, che risponderà con un suo messaggio. Al termine sarà scoperta una lapide in perenne ricordo dell’evento.

La cerimonia sarà trasmessa in diretta streaming dalle 14,30 e ripresa su maxischermi in tutte le principali sedi universitarie di Pisa per consentire la visione a studenti e cittadini: nella Sala Azzurra della Scuola Normale (Palazzo della Carovana, piazza dei Cavalieri), nell’Aula magna della Scuola Superiore Sant’Anna (Piazza Martiri della Libertà, 33), e all’Università di Pisa nell’Aula Magna del Polo Carmignani (piazza dei Cavalieri, 8) e nell’aula Fratelli Pontecorvo del Polo Fibonacci (Largo Bruno Pontecorvo 3).

Dopo la cerimonia, alle 16,30 nell’aula magna nuova del Palazzo della Sapienza inizierà la conferenza internazionale “A ottanta anni dalle leggi razziali fasciste: tendenze e sviluppi della storiografia internazionale sull’antisemitismo e la Shoah”. I lavori saranno introdotti da un intervento video della senatrice a vita Liliana Segre e dal saluto presidente della Crui Gaetano Manfredi. La conferenza proseguirà anche venerdì 21 settembre, sempre in Sapienza. 

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